“Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati insieme…” Sono le parole con le quali, nonostante l’evidente sofferenza, Enrico Berliguer concluse il comizio in piazza delle Erbe a Padova Erano da poco passate le ventidue del 7 giugno 1984. Il leader del Pci morì quattro giorni dopo. Quello fu il suo ultimo, appassionato discorso: un messaggio di speranza e di incoraggiamento con il quale si consegnò alla storia del nostro paese. Sono trascorsi quarant’anni dalla sua morte e più di una generazione, diventate adulte, non l’hanno conosciuto. La sua grandezza, aldilà delle parole, è andata nel tempo di pari passo con la sua solitudine. Eppure quest’uomo, uno dei grandi leader della sinistra, ancora oggi è tanto rimpianto e amato. Per quale ragione, verrebbe da chiedersi. Forse perché si avverte, in un panorama piuttosto mediocre come quello offerto dalla politica odierna, la mancanza di uomini di quella levatura. E non è un caso che siano stati pubblicati tanti libri su di lui.
La passione non è finita, titolava uno di questi, proponendo al lettore una scelta di scritti, interviste e discorsi tra i più significativi: dall’invito a un’austerità che crei giustizia sociale, efficienza, sviluppo, alla proposta di compromesso storico tra la le grandi componenti storiche come furono il Pci, la Dc e il Psi, alla denuncia della questione morale, alle riflessioni sul rinnovamento della politica e sui grandi temi globali della pace, della cooperazione e dell’ambiente. Quattro decenni dopo la scomparsa il suo esempio e la sua tensione ideale e morale restano intatti anche se il mondo di oggi è del tutto diverso da quello di allora. Eppure la sua figura e le sue idee conservano una forza straordinaria. C’è persino un sito web (www.enricoberlinguer.it) con centinaia di migliaia di iscritti a testimoniarne l’attualità. Prova evidente che in una nazione che sta progressivamente perdendo punti di riferimento e in cui la politica si è fatta barbara e senza respiro, le idee di Berlinguer mostrano ancora l’anima e la forza di un progetto di società diversa. Un esempio d’attualità? Era la fine di luglio del 1981 e l’intervista rilasciata da Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari provocò l’effetto di una scudisciata che fece sobbalzare i lettori de la Repubblica e mezza classe politica italiana: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela”. Nessun leader quel tempo, eccetto il radicale Marco Pannella, aveva mai osato tanto. In quell’estate calda Enrico Berlinguer espresse quel giudizio così secco, destinato a raccontare l’Italia di allora, quella di Mani pulite (che avrebbe sconvolto la politica italiana undici anni più tardi) e che, purtroppo, ci offre ancora oggi immagini e vicende di quel pantano di voti di scambio, ruberie, collusioni con la malavita e corruzione. Spesso, come è stato denunciato da molti, si è anche cercato di rendere più debole, o forse meno incomprensibile, il suo messaggio riversandone l’eredità in una grande melassa di buoni sentimenti, mettendo in rilievo l’aspetto della questione morale che è molto importante ma non è il più importante della sua storia e dell’eredità che ha lasciato. Berlinguer è stato l’uomo del nuovo socialismo, dell’autonomia del Pci e del distacco dall’esperienza del cosiddetto socialismo reale di stampo sovietico, della democrazia come valore universale, delle battaglie per i diritti dei lavoratori e delle donne, della breve stagione dell’eurocomunismo e della ricerca di una terza via. Fu un protagonista nella lotta senza quartiere alla violenza e al terrorismo mettendo la centro la difesa delle istituzioni repubblicane, prestando attenzione ai diritti, elaborando pensieri lunghi sulle questioni internazionali a partire dalla pace, la coesistenza pacifica e il diniego delle guerre. Questi furono gli aspetti più innovativi e importanti del pensiero e dell’azione di un uomo che prima di tutto è stato, come si è scritto, “un comunista italiano, legato indissolubilmente alla storia lunga – non priva di errori e ritardi – del Pci. Ispirato da uno stile di rigore e concretezza che lo ha portato a compiere scelte difficili che hanno segnato per sempre la storia della sinistra italiana ed europea”. Lo strappo con Mosca fu il risultato di una lunga elaborazione dell’intero Pci avviata da Togliatti, proseguita con Longo e portata a compimento da Berlinguer. Una linea non esente da timidezze e incertezze ma che portò il Pci lontano dal vecchio campo garantendo autonomia e indipendenza al partito. Basta leggere le sue parole pronunciate nel 1977 a Mosca per rendersene conto: “L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione… che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un’originale società socialista”. Tempo fa sono stati ripubblicati due importanti discorsi che tenne nel 1977 sulla proposta dell’austerità che andava intesa come chiave culturale e politica per costruire un nuovo modello di sviluppo fondato sulla sobrietà, il superamento delle diseguaglianze e un diverso equilibrio tra Nord e Sud del mondo. Oggi, a quasi mezzo secolo di distanza, contro il consumismo e un modello produttivo iniquo, l’attualità di quella rivendicazione (allora inascoltata) di un diverso rapporto tra economia e qualità della vita, dimostra l’originalità e la lungimiranza delle sue idee. Sono i “pensieri lunghi” di Enrico Berlinguer, la visione di futuro che la politica sembra aver smarrito nella foga di consumare tutto in un eterno presente. Nel dicembre del del 1983 L’Unità dedicò uno speciale, a cura di Ferdinando Adornato, al temuto 1984. L’anno carico di oscuri presagi del romanzo di George Orwell, era alle porte: intellettuali, artisti e scrittori si interrogarono sulla profezia orwelliana che la diffusione dei personal computer e dell’informatica parevano poter concretizzare.
Ad aprire quello speciale vi fu una lunga intervista a Enrico Berlinguer, una delle ultime. Il leader del Partito comunista italiano sosteneva come Orwell si sbagliasse: nel mondo un numero sempre maggiore di individui si era liberato e, dal 1948, si era assistito “a un generale processo mondiale di elevazione culturale degli uomini”. I nuovi mezzi a disposizione potranno far avanzare l’umanità in questo percorso di realizzazione degli individui. Nessuna paura del futuro, quindi, ma al contrario la visione di un mondo in cui il “sol dell’avvenire” sarebbe stato quello che alimentava le cellule fotovoltaiche, per un pianeta più sano e libero dall’ incubo atomico. Questo era Berlinguer. Una sua cara amica di famiglia, Marina Addis Saba, in un libro che proponeva il ritratto privato e inedito del grande leader della sinistra ricordava come, in una vecchia intervista televisiva, alla domanda di cosa avrebbe voluto che si dicesse di lui, Berlinguer rispose , col suo sorriso timido, che non avrebbe voluto si dicesse di lui che era triste. Quel sorriso e quegli occhi svelavano solo la capacità e la determinazione di un uomo che sapeva guardare lontano.
Marco Travaglini
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