Se in questi giorni passeggiate sotto i portici di piazza San Carlo, avrete sotto gli occhi cinquant’anni di teatro, una ricchezza non soltanto per gli appassionati, una strada di piccole curiosità, una mostra fotografica, “cinquant’anni di memoria dello spettacolo dal vivo”, che non è che il curioso preambolo ai festeggiamenti l’anno prossimo per i (primi) settant’anni del Teatro Stabile torinese. Dal “Grande coltello” di Odets (stagione 1960/61) per la regia di Franco Parenti ad “Akhenaton”, un’Agatha Christie riadattata da Valter Malosti (stagione 2014/15), dal pirandelliano “Come tu mi vuoi” diretto da Susan Sontag con Adriana Asti (1980/81) all’”Ifigenia” di Valerio Binasco (2021/22), dalla “Commedia senza titolo” di Cechov diretta da Lavia (1997/98) a “Itala Film” di Giancarlo Sepe (1985/86) al lontanissimo “Come ali hanno le scarpe” di Alberto Perrini per la regia di Gianfranco De Bosio (1959/60). Per l’intero mese di febbraio, trentadue “bandiere” fotografiche, suddivise in quattro percorsi tematici – “appassionarsi”, “incontrarsi”, “abbandonarsi”, “cercarsi”: ovvero “le azioni attraverso cui i personaggi entrano in relazione tra loro o con il pubblico” -, che sono la vetrina del Centro Studi dello Stabile, fondato da Nuccio Messina e Aldo Trionfo, il luogo di raccolta e di conservazione di locandine, manifesti, recensioni, fotografie, schede e quaderni di sala, copioni, bozzetti e figurini, videoregistrazioni e note di regia “provenienti non solo dall’attività del Teatro Stabile di Torino ma anche dalle numerose collezioni librarie ricevute nel corso degli anni da artisti, compagnie, critici teatrali che hanno consentito un costante e capillare aggiornamento di tutto il materiale archivistico”, sottolinea Anna Peyron, responsabile del Centro.
Essendo il primo nucleo il fondo ricevuto da Lucio Ridenti, che alla fine del 1973 mise a disposizione l’archivio completo della rivista “Il Dramma”, dal 1952 al ’73 appunto, con al suo interno, tra l’altro, ricorda ancora Peyron, “un ricco carteggio tra Ridenti ed Eduardo, fotografie e ricordi, e le bozze di stampa delle “Voci di dentro” e “Questi fantasmi”, autografate”. A quell’importante lascito seguirono (e il risultato sono i 30.000 volumi attuali) quello di Gian Renzo Morteo, docente universitario e codirettore dello Stabile nella Direzione Collegiale che ne prese la guida tra il ’68 e il ‘71 (3000 volumi, più un centinaio di tesi di laurea), del Fondo Armando Rossi, del Gruppo della Rocca, del Cabaret Voltaire, del Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti, del Teatro Popolare Italiano di Vittorio Gassman, di Misa Mordeglia Mari e Febo Mari legati ai primordi del cinema torinese, di Fabio Doplicher e di Massimo Castri, indimenticato regista. Molto probabile ultimo tassello, sono in questi mesi in fase di acquisizione i materiali provenienti dall’archivio personale di Eugenio Allegri. È altresì da ricordare che nel 2009 il Centro Studi è stato riconosciuto come Istituto di ricerca attraverso un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e dal 2015, oltre a garantire un costante servizio al pubblico (su appuntamento), ha reso disponibile gratuitamente on line tutta la documentazione relativa alla storia dello Stabile, dalla sua fondazione (1955) ad oggi, per un totale di oltre 700 spettacoli (60.000 pagine di materiali d’archivio).
Sottolinea ancora Peyron: “È la nostra un’eccellenza a livello nazionale, visitata non soltanto da studenti nella preparazione della tesi ma altresì da critici e da attori di passaggio a Torino. E da un pubblico in cerca di semplice documentazione. Sorprendono sempre le ricchezze che il visitatore può trovare al suo interno, da una ricca documentazione sulla “scandalosa” “Arialda” di Testori messa in scena da Luchino Visconti all’Eliseo di Roma nel dicembre del ‘60, certe rare fotografie di Pirandello, tra gli altri i bozzetti e gli allestimenti firmati da Luzzati e da Colombotto Rosso, i modellini di Enrico Job per i “Sei personaggi” o di Giulio Paolini per la “Mandragola”, spettacoli entrambi firmati da Mario Missiroli. Un vero patrimonio, ricco e ineguagliabile, non soltanto a raccontare la polvere del palcoscenico ma costruito ad essere una memoria che ancora trova solide base nel tempo presente.
Elio Rabbione
Nella immagine di Luigi De Palma, “Ifigenia” di Euripide per la regia di Valerio Binasco (stagione 2021/22) e, foto di Tommaso Le Pera, “Itala Film”, regia di Giancarlo Sepe (stagione 1985/86); nella foto di Michele D’Ottavio, Gabriele Lavia in “Commedia senza titolo” di Cechov (stagione1997/98)
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