La proposta normativa elaborata dal ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, mira a mettere in pratica quanto stabilito nel terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. In conformità con tale disposizione, mediante un accordo tra lo Stato e la regione interessata, le regioni a statuto ordinario possono ottenere, su richiesta, specifiche forme e condizioni di autonomia in 23 settori. Si includono, dunque, anche quelle materie percepite come delicate e complesse nell’ottica di un’autonomia regionale, sia dal punto di vista politico, sia da quello economico-sociale.Salute e Istruzione sembrerebbero essere i principali soggetti delle prossime discussioni politiche. In particolare, l’articolo 8 del disegno di legge impone l’esclusione di “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, mentre l’articolo 9 prevede il “previo riconoscimento delle risorse allo scopo destinabili” e l’implementazione di “misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale”. Questi punti sollevano molti interrogativi riguardo alle implicazioni finanziarie e alla distribuzione delle risorse in relazione all’autonomia differenziata.
Sembrerebbe, quindi, che la Scuola sia nuovamente vittima di normative altamente verticali, pressanti dal punto di vista giuridico, quasi inutili dal punto di vista educativo. Ciò che manca al Governo è una visione più ampia della Scuola, centrata su studi pedagogici e non su visioni aziendalistiche. Potremmo persino avere venti sistemi scolastici diversi l’uno dall’altro e questo è un pericolo che sembra diventare sempre più concreto poiché alle Regioni verrebbe conferita la potestà legislativa sull’intera questione. A questo proposito, viene riportata di seguito una breve intervista con un insegnante di Lingua, Letteratura e Civiltà Francese di una scuola di Torino, trasferitosi qui dalla Sicilia per lavoro, che ha preferito mantenere l’anonimato.
Professore, innanzitutto grazie per aver accettato. Partiamo subito dalla sua storia come insegnante: da quanto tempo lavora qui a Torino?
“Sono arrivato a Torino quasi dieci anni fa, in un assolato giorno di fine settembre del 2014, per svolgere la mia prima supplenza da docente precario in una scuola superiore del capoluogo piemontese. Ricordo ancora il mio arrivo in questa splendida città, carico di aspettative e di sogni per un futuro lavorativo stabile che oggi, posso dire, ha una sua compiuta realizzazione. Giungevo dal profondo Sud, dopo anni di studio intenso tra le facoltà di Lingue di Palermo e di Roma. Non posso nascondere il dispiacere e anche la rabbia, nell’aver dovuto – mio malgrado – recidere il legame quasi ancestrale con la mia terra d’origine, i miei affetti e la mia gente. Sono e sarò sempre grato a questa città che ho trovato accogliente, culturalmente stimolante e che ho scelto convintamente come mio luogo stabile di residenza”.
Una sua opinione generale su questo governo?
“Dopo una certa vis polemica che non ho mai incanalato in parole e atteggiamenti violenti e che ha caratterizzato gli anni della mia giovinezza, adesso sono in una fase della vita in cui prima di dare giudizi definitivi, osservo con molta attenzione idee, programmi e conseguenti scelte. Posso però dire che ciò che sempre di più noto nella politica di oggi, senza incappare nel timore di essere tacciato di qualunquismo, è la progressiva perdita, spero non definitiva, di valori etici e morali altissimi e universali: l’accoglienza, lo spirito di servizio, il senso di giustizia, la totale mancanza di interessi personali, il rispetto di scelte cosiddette non tradizionali, la pacatezza. Molti di questi valori sono incarnati dalle parole della nostra Costituzione che ritengo, a partire dagli anni novanta del ventesimo secolo, sempre più in pericolo. Probabilmente, in noi italiani si sta sempre più sbiadendo la caratura etica e morale dei padri costituenti. Ci si trova a fare i conti con una politica che ha sempre di più l’abitudine di alzare la voce, in un frastuono generale che non risolve di certo i problemi, ma che astutamente confonde i piani per orientare l’opinione pubblica in pericolose direzioni di cui la Storia ha inequivocabilmente già mostrato l’assurdità. Figure di politici come Giorgio La Pira, siciliano come me, o Giuseppe Dossetti, che ha poi scelto la via del monachesimo, sono ormai impensabili, ahimè”.
E per quanto riguarda il Ministro dell’Istruzione Valditara, che opinione ha finora rispetto al suo operato?
“Credo che il dicastero dell’Istruzione e del Merito sia uno dei più difficili da gestire. Sulla scuola ogni governo, di sinistra, di destra e di unità nazionale, ha legiferato e ha fatto sentire concretamente i segni della sua azione politica con il pernicioso risultato che essa risente di scelte diverse, talvolta anche contraddittorie e diametralmente opposte. In altre parole, sulla scuola e sulla cultura più in generale, è mancata e spero non manchi anche oggi una visione non improntata all’ottica dell’hic et nunc ma più lungimirante e che guardi al futuro con un approccio di tipo veramente olistico. Dalla scuola delle “Tre I” di morattiana memoria alla cosiddetta “Buona scuola” di renziana ispirazione per arrivare all’annunciata e in via di attuazione riforma dell’istruzione tecnico-professionale dell’attuale ministro, on. Valditara, la scuola sta vivendo negli ultimi vent’anni un vero e proprio terremoto con continue scosse di assestamento che non accennano a diminuire. Vorrei che i politici si confrontassero concretamente con i professionisti che nella scuola lavorano ogni giorno affinché si trovino le soluzioni più adeguate al fine di dare risposte alle reali esigenze delle studentesse e degli studenti che, insieme al Sapere, rappresentano il bene supremo della scuola e della nostra società del futuro. Se a quanto detto si aggiungono anche gli standard europei a cui occorre giustamente conformarsi, si capisce quanto sia complicata la gestione del sistema scolastico del nostro tempo”.
Veniamo ora al dunque: il disegno di legge Calderoli sembra essere il nuovo soggetto di polemiche e diatribe politiche di oggi, quali sono le sue opinioni riguardo l’autonomia differenziata?
“Rispondo in maniera molto breve. La Costituzione prevede che alcune materie siano di competenza delle regioni. La riforma del Titolo V della Costituzione, la cosiddetta Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, l’ha attuata pienamente. Occorrerebbe partire da questo punto: questa legge ha realmente migliorato il nostro Paese? Se mi limito a pensare alla situazione della sanità in alcune regioni, la risposta non può che essere sconsolata. Non condivido l’idea di un’eccessiva centralizzazione dello Stato ma al contempo temo che alcune spinte centrifughe potrebbero riacutizzarsi. Penso anche “all’inanismo” di pirandelliana memoria che sembra un termine attuale nel descrivere certa classe politica. Con una scuola differenziata su base regionale, che senso avrebbero poi certe indagini oggi condotte a livello nazionale o le attività di prestigiosi enti di ricerca? Penso ad esempio alle prove I.N.V.A.L.S.I. o alle attività di ricerca educative svolte da I.N.D.I.R.E. Sono quesiti a cui i politici dovranno dare risposte reali, non elusive. Per quanto riguarda l’istruzione, credo poi che aumenterebbero i divari qualitativi tra le diverse aree del Paese con effetti deflagranti anche in settori fondamentali per il benessere economico del nostro Paese”.
Davide Scaglione Liberi! Piemonte
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