Tassisto a Moncalvo: vita e arte, un continuo rapporto di emozioni

LA MOSTRA E’ IN CORSO AL MUSEO CIVICO

La mostra dedicata a Mario Tassisto vuole riportare alla memoria uno dei più singolari artisti  monferrini del 900 affinché non si disperda il ricordo del suo grande talento.

Nato a Casale Monferrato nel 1919, egli  respirò fin da giovane il clima culturale di una città orgogliosa di aver dato i natali ad artisti famosi quali, tra i tanti, Martino Spanzotti, Pietro Francesco Guala e, ancora vivente, Leonardo Bistolfi.

Formatosi presso Gino Mazzoli, virtuoso ritrattista allievo di Giacomo Grosso, frequentò poi l’Accademia Albertina, abbandonata quando fu chiamato alle armi durante la Seconda Guerra Mondiale,  ma non volle sottostare a regole accademiche, senza peraltro cedere a lusinghe di avanguardia, accolte più tardi per alcuni anni.

Piuttosto si nota, nel periodo giovanile, una affinità elettiva con Felice Casorati nel convenire che i valori autentici dell’arte figurativa non dovessero perdersi se portati avanti con stile innovativo.

Le opere giovanili, intorno agli anni trenta, sono trattate secondo la poetica del quotidiano, silenti paesaggi collinari del Monferrato, ritratti di persone solitarie, nature morte con oggetti semplici, frutta e verdura colte nell’orto sotto casa.

Particolarmente interessante il “Piatto bianco con uova” di influsso casoratiano, con purezza volumetrica ed essenzialità spaziale vista secondo la prospettiva dal basso in alto.

Uno stile più personale si delineò dal 1946 quando, tra i pochi superstiti dell’eccidio di Cefalonia e della prigionia in Germania, ritornò a Casale segnato dolorosamente nel corpo e nello spirito.

La tragica esperienza si ripercosse non solo nel suo carattere di per sè scontroso ma anche nella sua arte sostituendo alla visione naturalistica una visione interiore rivestita di ansiosa inquietudine.

A mio parere, contrariamente a quanti hanno considerato migliore il successivo periodo aniconico, è questa la fase più bella e sincera in cui mette a nudo con forza espressiva la propria anima, consegnata alle opere come una accorata confessione.

Sempre più solitario e scostante, si rifugiò in casa dedicandosi quasi completamente alla pittura degli interni in una atmosfera di travolgente espressionismo.

Ora in preda all’horror vacui dipingendo una ridondanza di mobili e oggetti di famiglia di alto valore  simbolico, quasi volesse riappropriarsi della vita precedente,  ora assalito da una stato claustrofobico espresso attraverso l’oppressiva violenza del colore non semplice complemento ma esso stesso forma.

E’ questo uno dei tanti casi in cui la conoscenza della vita di un artista è illuminante ed eloquente per la comprensione delle opere in cui si conciliano personalità umana ed energia creatrice.

Le varie fasi del percorso artistico diventano ricostruzione del conflitto con la realtà che lo spinge all’isolamento mentre l’istinto di sopravvivenza lo incita a gettarsi in una nuova sperimentazione,

Sono gli anni tra il 1957 e il 1962 in cui abbandona i temi dolorosi e strazianti come le crocifissioni, usando non più colori plumbei ma più vivaci e accostandosi all’arte gestuale istintiva.

Fu una scelta forse non tanto per forte convinzione quanto per scacciare l’oppressione dei ricordi tormentosi attraverso il radicale cambiamento di vita e di stile.

Si susseguirono apprezzate mostre in importanti gallerie all’estero e in Italia, in particolare ad Albisola nel 1962 insieme a Lucio Fontana,  Giuseppe Capogrossi, Emilio Scanavino ed altri famosi artisti.

Sicuramente Tassisto fu contagiato ed appagato dal frenetico clima della cittadina ligure dove gravitavano maestri ceramisti, futuristi, astrattisti, informali, spazialisti, e dove avevano casa Wifredo Lam, Tullio Mazzotti, Asger Jorn e il mitico gallerista Carlo Cardazzo che, con Milena Milani, aveva contribuito a lanciarli.

Nonostante si fosse inserito tra di loro, che lo avrebbero voluto ancora in altre occasioni, fu colpito nuovamente da una nuova crisi esistenziale che lo spinse a ritornare nel guscio protettivo della sua città natale lontano dal clamore.

Fu una sorta di crisi di coscienza, quasi incolpandosi di aver abbandonato l’ arte figurativa per l’aniconica sacrificando l’oggetto a favore della sola idea.

Il ritorno non fu più però in versione naturalistica del reale bensì come espressione del proprio sentire interiore.

Ogni tonalismo viene eliminato, le nature morte assumono bagliori cromatici azzardati, ne fa testo la stupenda “Zucca” antropomorfa simile ad un tragico volto, le figure umane hanno aspetto sofferente, i fiori scaturiscono come visioni apparse all’improvviso dal nulla, le maschere disumanizzate urlanti d’angoscia e gli autoritratti dallo sguardo sperduto sono specchio di malessere spirituale.

Il rapporto emozionale tra la vita e l’arte confermano Tassisto grande esponente del movimento espressionista novecentesco a cui hanno dato voce non solo pittori, scultori, incisori ma anche filosofi, letterati, musicisti.

Una esistenza, la sua, dedicata all’arte volta con stile personalissimo, senza per questo ignorare suggestioni di altri artisti che, essendo uomo di intelligenza e cultura, seppe cogliere e ricreare.

Lo si nota nello stupendo fregio materico, nell’atrio di un palazzo di Casale, in cui si sente l’eco del danese Asger Jorn nel risvegliare la concezione animistica del divenire del Cosmo a cui partecipa la creazione dell’artista, oltre allo slancio vitale bergsoniano come forza spirituale che gli permette di dominare la materia liberandone la potenzialità con forte carica espressiva.

Giuliana Romano Bussola

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