Impariamo la felicità dagli scozzesi

La ricerca della felicità è stata una delle mete perseguite dall’uomo fin dalle sue origini.

Ogni epoca ha avuto i propri metri di misura, a seconda dell’influsso che elementi esterni hanno portato alla società (religione, consumismo, filosofia new age): pensiamo soltanto all’edonismo, allo yuppismo degli anni ’80 in contrapposizione alla felicità semplice del tempo di guerra quando si era felicianche soltanto per il fatto di possedere cibo.

Negli ultimi anni la crisi economica, la disoccupazione in aumento, la pandemia e l’isolamento cui siamo stati inutilmente obbligati ci hanno fatto riscoprire il bisogno di felicità, bisogno quanto mai soggettivo, ma generalizzabile per sommi capi. Lo stress cui siamo sottoposti, i ritmi frenetici non ci lasciano tempo per riflettere, per domandarci se realmente siamo felici, se la nostra vita ci dia le soddisfazioni che tutti noi, ognuno a modo suo, cerchiamo.

Gli scozzesi ci vengono in soccorso con il còsagach, che permette di ristabilire l’equilibrio interiore senza dover fare chissà quali atti eclatanti, recuperando la serenità persa nei meandri delle troppe faccende quotidiane che siamo chiamati a compiere.

Elemento base di questa terapia è la natura, che da sola ci apporta tutto ciò che ci occorre; il Sole, l’aria, le camminate, da soli o in compagnia e, di conseguenza, l’astensione dal PC, dalla televisione, dalla tecnologia.

Passeggiare nelle colline o lungo un fiume, sedersi in un parco a leggere quel libro che da tempo avevamo comprato e, al ritorno a casa, goderci una tisana o un tè, preparare qualcosa in cucina.

I ritmi cui siamo sottoposti, che nulla hanno di naturale, ci portano a non pensare più a noi stessi, a non ascoltarci, rimandando la soluzione di problemi interiori e allontanandoci sempre più dalla natura.

Una camminata, magari fermandoci ad osservare gli animali intorno a noi, o il gioco dei bambini, o le nuvole che assumono forme sempre diverse, respirare aria fresca, ricevere i benefici dei raggi solari (così importanti per chi lavora tutto il giorno al chiuso) ci permettono di ristabilire un contatto con l’ambiente, la natura e il nostro interiore.

Ne consegue un miglioramento per noi stessi e, ça va sans dire, per la società nella quale viviamo: un individuo sereno, felice trasmette il suo stato d’animo a quanti lo circondano; una persona sola felice può fare poco, ma quando sono in molti ad esserlo l’intera società lo diventa.

Chi abbia viaggiato nei Paesi caraibici avrà notato come quelle persone, pur avendo poco, pur dovendo ogni anno ricostruire tutto dopo il passaggio degli uragani, sono sempre felici, sorridenti, e l’intera popolazione lo dimostra: hanno capito che la felicità non dipende dalla ricchezza o da valori materiali, ma dall’essere in salute, avere una famiglia, qualcuno da amare e che ti ama, essere vivi.

Ecco, se soltanto noi capissimo l’importanza di trovare i nostri momenti di confort, capendo realmente che le soddisfazioni materiali (il contratto concluso con successo, le ore di straordinario pagate con maggiorazione, le ore dedicate all’azienda con il miraggio della carriera) non possono e non devono sostituirsi alla propria realizzazione spirituale cresceremmo intimamente imparando a dosare i nostri compiti e le nostre aspirazioni e, così facendo, a raggiungerli più facilmente.

Qualcuno diceva: “Nella vita bastano le piccole cose: una piccola villa, un piccolo yacht….”; se pensiamo che la felicità sia generata dal possesso di beni materiali e, quindi, dal confronto fra i nostri beni e quelli altrui resteremo degli eterni infelici, alla ricerca eterna di un qualcosa in più non accorgendoci che inevitabilmente andremo nella direzione opposta.

Mettere sullo stesso piano mente e spirito non è facile; solitamente siamo restii ad ascoltare ciò che ci giunge dal profondo continuando, così, a perpetuare attività insoddisfacenti e questo perché non sappiamo o non vogliamo stare in ascolto di noi stessi.

Quanti di noi continuano, dopo anni, a svolgere quotidianamente, senza alcuna soddisfazione, le stesse mansioni sopportando tutto ciò solamente perché poi arriva il fine settimana con, si spera, un po’ di tempo per svolgere ciò che ci piace? Ovviamente, sempre che famiglia, amici, associazioni e conoscenti non avanzino richieste da assecondare annullando quel poco ristoro che avremmo avuto.

Proviamo per una settimana, giunti a casa dal lavoro,  a prendere la bicicletta o anche a piedi e andare in un parco cittadino, immersi nel verde poi seduti su una panchina, ad ascoltare il fruscio del vento fra i rami, il canto degli uccelli, il rumore di una cascata, il gioco dei bimbi o ad osservare due fidanzati che passeggiano mano nella mano, un bimbo che insegue gli scoiattolimentre impara i primi passi e molto altro: non sentite come lo stress cerchi di uscire da noi, per lasciare posto al rilassamento, alla serenità, a nuovi pensieri positivi?

Non succederà il primo giorno, e forse neanche dopo una settimana, ma se diventa il nostro stile di vita il successo è garantito. E a guadagnarci sarà non solo il vostro benessere personale, ma anche il rapporto con amici e colleghi, con i figli e con il vostro partner, specie a letto. Adottate questo stile di vita, almeno 2-3 volte alla settimana, anche soltanto un’ora per volta.

E non dimenticate di portare con voi un buon libro: non ha effetti collaterali.

Sergio Motta

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