IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Ho provato a ricordare scrivendoli su un foglietto i ristoranti chiusi negli ultimi anni a Torino. Si tratta di un numero altissimo: il “San Giorgio “ al Castello Medievale ,la “ Vecchia Lanterna “,i “ Due lampioni” ,” Cuculo”, il “Giardinetto“, il “Gran Giardino”, poi diventato la “Rotonda“, la “Cittadella“, ”Cucco“, l ’”Antico cervo“, “La smarrita“, “Ferrero“ ,il “Rendez – Vous“ , il Tiffany, Villa “Sassi“, la “Fontana luminosa“ ,il “Baccarat“ , il “Firenze“, il “Pavia“, il “Passator cortese“, il “Ciacolon “, il “Bastian Contrario“, “il Muletto“, il “RistoDante”, il “Giancarlo“, la “Capannina”, ”la Pace,” l’”Appennino pistoiese”, ”l’Abetone“, il “Bridge“, “Calandrino”, “Mon Ami”, “Osvaldo”, “La fontana dei francesi”, “Perbacco”, “Montecarlo”. E qui mi fermo, anche se potrei continuare con altri nomi come il ristorante friulano il “Camin“ che prese il posto di Gipo in corso Francia, un locale dove non volli mai mettere piede per antipatia verso il cantautore allora apertamente comunista. Ogni nome mi ricorda una storia, degli amici con cui andavo a cena ,degli episodi piacevoli di serenità, di allegria, di intimità. Mio padre amava le cene al ristorante e ogni settimana si andava a cenare. Mi ha abituato al piacere della civiltà della tavola. Sicuramente una giovinezza dorata per parafrasare Elena Croce. Lui ci andava in giacca e cravatta anche d ‘estate e voleva che tutti seguissimo il suo stile che allora non era solo nostro, ma di tanti torinesi. E poi ho cominciato ad andarci io con compagne di liceo e con le prime amiche. Capisco bene di essere stato un privilegiato. Un privilegiato soprattutto perché ho conosciuto una Torino che non c’è più. Ogni locale con il ricordo di uno stile e con un’ eleganza scomparsa. Ogni esame superato all’ università ,andavo a festeggiarlo al ristorante. Un passato che forse oggi idealizzo e che non c’è più, ma che è motivo di piacere ricordare, anche se devo constatare che quegli ambienti eleganti o anche semplici ,ma sempre accoglienti, appartengono ad un passato, ad una civiltà torinese, come avrebbe detto Mario Soldati, che è stata travolta dai tempi nuovi e non sempre felici. Era bello cenare con il filosofo Oscar Navarro che si dilettava di cucina insieme al latinista Vincenzo Ciaffi, come era bello ritrovarsi insieme a Mario Bonfantini e a Liana De Luca, la poetessa di cui il grande francesista si era follemente innamorato . Era piacevole ritrovarsi la sera con Edoardo Ballone, sociologo e giornalista che diventava la “forchetta curiosa“ del giornale “La stampa“, sempre alla ricerca di nuovi locali. Anche loro appartengono ad un tempo perduto che non tornerà mai più.