Il Bastone e la Carota

IL PUNTASPILLI di Luca Martina 

La sequela dei buoni dati economici pubblicati negli ultimi mesi hanno convinto, gli investitori che la recessione non è poi così probabile, specie negli USA, favorendo un inizio d’anno molto positivo per i mercati finanziari. 

Quelle che potrebbero sembrare ottime notizie hanno però avuto l’effetto (scontato) di rinfocolare l’attenzione, e la conseguente preoccupazione, della banca centrale americana. 

La prima funzione degli istituti nazionali è quella di proteggere il valore (il potere d’acquisto) della moneta, messo seriamente a rischio dall’ancora elevata inflazione. 

L’aumento dei prezzi, infatti, riduce la capacità di spesa dei redditi: quello che riusciamo ad acquistare oggi è inferiore a quanto potevamo fare un anno fa. 

Per calmierare la dinamica inflazionistica le principali banche centrali hanno da tempo ricominciato ad alzare i tassi d’interesse, rendendo così più costosi i prestiti (per famiglie ed aziende) con lo scopo di ridurre la domanda di beni e servizi e, in questo modo, calmierare i loro prezzi. 

La Federal Reserve statunitense, in particolare, ha aumentato in meno di dodici mesi i tassi ufficiali dallo zero (dove erano rimasti inchiodati per due anni) al 4,5% ma l’economia statunitense ne ha sinora risentito assai poco. 

Possiamo quindi facilmente comprendere la frustrazione dei signori della moneta di fronte all’ apparente inefficacia della stretta posta in essere.

Questo stato d’animo è stato chiaramente espresso dal capo della Fed, Jerome Powell, che una settimana fa ha rovesciato acqua gelata sugli investitori mettendo in chiaro che la sua missione non si potrà ritenere compiuta sino a quando l’inflazione non scenderà al livello desiderato (fissato, convenzionalmente, nel 2%). 

Il messaggio è stato che la carota/taglio dei tassi d’interesse sventolata per anni davanti al cavallo/economia è stata ormai sostituita dal bastone/aumento dei tassi e gli investitori non possono fare altro che prenderne atto con dispiacere. 

Le borse, meccanismi che riflettono il valore delle società quotate sulla base dei loro utili futuri attualizzandoli con tassi di sconto più elevati, hanno quindi lasciato sul terreno in pochi giorni buona parte dei risultati accumulati nei primi due mesi dell’anno. 

Lo stesso è avvenuto per i mercati obbligazionari, vittime della ben nota relazione inversa tra i tassi d’interesse (in risalita) ed i loro prezzi (in discesa). 

La nostra Europa aveva per la verità risentito sino ad agli ultimi giorni molto poco di questi scossoni “americani”. 

Nel nostro continente prevale ancora, a differenza degli Stati Uniti, una grande prudenza: l’inflazione è anche qua elevata ma il suo calo è supportato da un quadro economico ancora estremamente incerto e quindi sembra essere assai meno giustificato un “animus pugnandi”, a voler mulinare il bastone, da parte delle BCE.  

In questo contesto si è appena profilata all’orizzonte la sagoma inconfondibile di quello che Nassim Nicholas Taleb avrebbe definito un “cigno nero”; un evento non previsto, poco probabile ma dalle conseguenze potenzialmente disastrose. 

Nella ricchissima California la banca delle start up e di molte delle aziende più dinamiche ed innovative, la Silicon Valley Bank, si candida ad essere la prima vittima illustre del repentino aumento dei tassi d’interesse. 

Occorre ricordare che durante la pandemia, tra il 2020 e il 2021, la liquidità affluita alle banche statunitensi è stata enorme e solo in minima pare è stata utilizzata per concedere prestiti: il grosso è stata “parcheggiata” in emissioni obbligazionarie.  

Le regole contabili prevedono due possibili metodi di valorizzazione di questi titoli nei bilanci bancari: al loro prezzo di acquisto (“held-to-maturity”, HTM, detenute cioè fino alla loro naturale scadenza) o a quello di mercato (“available-for-sale”, AFS, attività che possono essere rivendute prima del loro rimborso). 

A fine 2021 molte banche americane hanno in buona parte scelto di valutare le obbligazioni a più lunga scadenza (più rischiose perché più sensibili alla variazione dei tassi) come HTM (evitando così di dovere mettere a bilancio le possibili perdite di valore dovute al rialzo dei tassi), riducendo la componente AFS dal 75% al 50%. 

Come spiegato precedentemente, la risalita dei tassi d’interesse ha prodotto il peggior calo delle obbligazioni degli ultimi quarant’anni e, con esso, l’erosione degli attivi investiti in essi delle banche, il cui valore è in buona parte “mascherato” dalla loro valutazione a prezzi di acquisto (ben inferiori a quelli reali).

Il caro denaro ha creato inoltre seri problemi proprio alle aziende più innovative e alle startups che nella loro fase di lancio non dispongono di mezzi finanziari e non sono in grado di produrre utili (gli investimenti iniziali sono ingenti e richiedono spesso molti anni prima di essere ripagati dai risultati) 

Il prezzo dato al tempo e alla pazienza dei finanziatori (l’interesse da pagare alle banche), che era nullo solo un anno fa, è tornato ad essere un onere insostenibile per tante società della “valle del silicio” ponendole a serio rischio di fallimento e riducendo la liquidità presso le loro banche. 

A farne le spese è stata la SVB che, dopo avere subito per quattro trimestri consecutivi un calo dei depositi dei propri clienti, è stata costretta a fare liquidità e a vendere (in perdita) parte dei titoli (quelli trattati come AFS) in portafoglio. 

Questo non è stato però sufficiente e la SVB si è ritrovata priva di capitali e con l’impossibilità di vendere altri titoli (gli HTM vanno conservati sino a scadenza) o di ottenere la fiducia dei mercati finanziari (per niente intenzionati a finanziare un aumento di capitale) e, quindi, costretta a chiudere.

Ora i mercati temono che la banca californiana possa non essere stata la sola a patire di questa venefica accoppiata di tassi in rialzo e massicce perdite degli investimenti obbligazionari e certamente non ha aiutato il fatto che altre due banche, la Silvergate, specializzata in criptovalute, e Signature Bank, che investiva nelle valute virtuali, abbiano dichiarato bancarotta negli stessi giorni. 

E’ stato subito chiaro a tutti che il rischio “sistemico”, di un allargamento a macchia d’olio dei fallimenti, andava evitato a qualunque costo e lo schieramento compatto di governo americano, Federal Reserve e Fdic (la Federal Deposit Insurance Corporation, che assicura il rimborso dei clienti sino ai 250.000 dollari) ha garantito immediatamente che i clienti coinvolti non perderanno nessuno dei circa 300 miliardi di dollari depositati. 

Com’è noto, infatti, il maggior rischio per gli istituti finanziari è la fuga dei propri clienti che si affollano agli sportelli per richiedere la restituzione del loro denaro che le banche non hanno materialmente a disposizione (detenendone solo una piccola parte, in contanti, per i prelievi).

Nel caso della SVB durante la sola giornata del 9 marzo un quarto del totale dei depositi, pari a 43 miliardi di dollari su 173 totali, erano stati prelevati dai correntisti presi dal panico ed il rischio era quello di vedere ripetersi la scena per molte altre banche per il semplice (ingiustificato) timore di non essere in grado di tornare in possesso del proprio denaro. 

Vedremo nei prossimi giorni se le misure annunciate saranno sufficienti a fare tornare la calma.  

Per ora a prevalere è il nervosismo e a trascinare al ribasso i listini sono proprio le azioni delle banche e le scosse di questo terremoto si sentono con forza anche nelle piazze europee. 

E’ presto per dire se davvero si tratta di un cigno nero, segnale di allarme sugli effetti di un (troppo) repentino aumento dei tassi dopo molti anni di (troppo) bassi tassi d’interesse, o solo di episodi isolati di cattiva gestione (provocati da operazioni speculative e mancanza di adeguati controlli). 

ln quest’ultimo caso l’esito finale sarebbe quello di avere “ripulito” i mercati dall’eccesso di ottimismo con il quale avevano iniziato l’anno per poi tornare a brillare una volta chiaro che il rallentamento economico (già in atto, seppure ancora sottotraccia) ha definitivamente invertito la corsa dei prezzi. 

Per qualche tempo il bastone sarà probabilmente messo a riposo, così da consentire alla situazione di stabilizzarsi e di porre le basi per una ripartenza del ciclo economico nella seconda metà dell’anno. 

Nel frattempo, gli effetti della stretta creditizia sull’economia reale e sull’inflazione (ci vogliono normalmente almeno 18-24 mesi dall’inizio del ciclo di rialzo dei tassi) potrebbero dispiegarsi rimettendo così le cose a posto. 

Nella speranza che le bastonate ricevute possano diventare un utile insegnamento per il futuro, in grado di farci apprezzare meglio le gustosissime e salutari carote. 

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