Non puoi piacere a tutti

Quante volte ci siamo sentiti inadeguati ad un ambiente, ad un gruppo di persone, ad una partner sentimentale che stavamo cercando di conquistare?

E come abbiamo reagito per sentirci adatti? Qualcuno avrà cercato di assumere una postura diversa, altri avranno girato i tacchi abbandonando il campo, altri ancora avranno addirittura raccontato chissà quali storie per essere creduti diversi, migliori, importanti.
Normalmente sono gli adolescenti che, per sentirsi accettati in un gruppo, in un contesto, vestono come gli altri componenti, adottano lo stesso linguaggio, fumano e bevono alcolici per sentirsi adulti o accettano pericolosissime prove di coraggio per non essere considerati degli “sfigati”.
Terminata l’adolescenza, però, dovrebbe subentrare l’accettazione del proprio corpo e del proprio carattere, cercando eventualmente di modificare i difetti oggettivi (aggressività, pigrizia, ecc).
Quasi sempre, tuttavia, ciò che si pensa non piaccia agli altri è ciò che non piace a noi stessi ed allora ecco che, alla comparsa elle prime rughe (un tempo era una prerogativa femminile, ora non più) cominceremo con creme anti-age per poi passare agli interventi di chirurgia plastica nella vana speranza di sembrare più giovani; ovviamente con il cedimento dei tessuti dovuto all’età gli interventi di chirurgia plastica andranno ripetuti con risultati spesso osceni, che rendono chi se ne è sottoposto alle critiche più feroci.
Tra il sé reale (ciò che un individuo è realmente) ed il sé ideale (le sue aspettative su ciò che vorrebbe essere) quanto più queste coincidono, tanto maggiore sarà la sua autostima.
Personalmente non ho mai inseguito ideali dove la ricchezza venisse al primo posto, non ho mai dovuto indossare abiti griffati per sentirmi a mio agio e resto quello che sono tanto con gli amici, quanto con nuove conoscenze, sia nel Consiglio comunale in cui sono eletto sia quando sono stato ammesso ad entrare nel Palazzo presidenziale di Bratislava o quando sono stato Segretario Nazionale di un sindacato autonomo.
Certo, in parte è carattere ma occorre anche la consapevolezza che, se cerchi di indossare un abito che non è il tuo, rischi di fare una figura peggiore di quella che stai cercando di evitare.
Alcune persone si sono rivolte a me, non importa che fossero amici o persone appena viste, lamentandosi di essere poco colte, di non aver studiato, di non avere una professionalità o di svolgere lavori umili e, perciò, di sentirsi inferiori a chi li circonda.
La prima osservazione che pongo davanti a loro occhi è che noi vediamo ciò che gli altri ci fanno vedere, non ciò che è realmente: sapeste quante persone che hanno un’autovettura costosissima in realtà l’anno presa a rate e quando si accorgono di non riuscire più a pagarle (magari dopo soli sei mesi) la restituiscono, raccontando però che non funzionava bene, aveva n difetto strutturale e cose del genere; noi, però, sentiamo solo la loro versione.
Oppure persone che, nel tentativo di conseguire una laurea, cambiano almeno tre facoltà con motivazioni spesso incredibili non ammettendo di non essere fatti per studiare.
Finché giudicheremo le persone dal loro status sociale, anziché dalla loro natura, dal loro comportamento, dalla loro umanità, da ciò che fanno anziché da ciò che raccontano dovremo sempre mettere in conto che quella persona potrebbe mentire su se stessa.
Nella trilogia “Amici miei” il conte Mascetti (Ugo Tognazzi) raccontava: “Fino a 21 anni mi sono fatto vestire e spogliare dal cameriere; il Conte “Lello” Mascetti s’è fatto un viaggio di nozze di tre anni e mezzo con moglie e un orso di due metri al guinzaglio.”
Peccato che ora vivesse in un monolocale alla giapponese con il bagno coi piedoni (alla turca). Eppure gli amici delle zingarate lo accettavano per ciò che era, per ciò che poteva dare (compagnia e risate), non certo per essere stato un conte.
E questo si collega al discorso dell’amicizia, oggetto di un mio prossimo articolo. Se uno ti è amico lo è nei momenti belli ed in quei bui, per ciò che sei e non per ciò che gli dai.
Se devi diventare qualcun altro per piacere, significa che agli altri non piaci tu, ma ciò che fingi di essere; per cui gli altri fingono di esserti amici.

Sergio Motta

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