Quasi quotidianamente leggiamo sui giornali o ascoltiamo al TG notizie di stalking, di qualcuno seguito o minacciato nella propria privacy da un ex, da un innamorato respinto o da chi, comunque, impone la propria presenza non gradita in modo assillante.
Nell’ordinamento italiano, lo stalking è stato introdotto come reato dalla legge 23 aprile 2009, n. 38 che ha introdotto sostanziali novità in tema di sicurezza, in particolare aggiungendo al nostro codice penale l’articolo 612-bis dal quale si evince come lo stalking non sia, come spesso si intende, l’appostarsi sotto casa della vittima, tempestarla di messaggi e telefonate o controllare chi frequenti, ma molto più in generale “[..] chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
E’ evidente, quindi, come si possa parlare di stalking ogni qualvolta un soggetto sia costretto a modificare la propria vita, le proprie abitudini per effetto del comportamento altrui.
Possiamo parlare, quindi, di una vera e propria violenza psicologica, se non addirittura fisica, commessa da parte degli uomini sulle donne e, da parte delle donne, quasi sempre nei confronti di altre donne.
Lo stalking, al pari del mobbing e del bossing, rientra fra le forme di violenza psicologica, forma che è la più difficile da riconoscere, gestire e denunciare.
I giornali riportano, purtroppo, spesso notizie di vittime di stalking lesionate o uccise dal partner o dall’ex, perché la mania di controllo sfocia talvolta in atti violenti per punire la vittima anche quando non vi è un motivo reale (gelosia patologica, ad esempio); negli ultimi anni anche in Europa si assiste al vetriolage, cioè la deturpazione del viso commessa usando acidi, per distruggere l’identità della persona, l’immagine e la bellezza.
Complice una legislazione che spesso ha buchi, alcune vittime pur avendo presentato numerose querele non vedono assicurato alla giustizia lo (o la) stalker.
Al di là delle motivazioni psicologiche, secondo le quali almeno metà degli stalkers sono stati a loro volta vittime di abbandono o hanno vissuto un lutto, non dobbiamo pensare allo stalking unicamente tra ex partners o tra vicini di casa: a fronte di un 50 % circa di casi legati alla coppia, almeno un quarto si verifica nel condominio, un 15% sul luogo di lavoro o di studio ed un 5% in famiglia (fratelli, cognati, genitori, figli).
La vittima sperimenta una situazione costante di ansia, paura, rabbia, sensi di colpa insieme ad una sensazione di impotenza e perdita di fiducia sia nelle proprie capacità di far fronte e risolvere situazioni critiche sia nei confronti dei rapporti sociali in genere.
Quando lo stalker appartiene alla cerchia famigliare o delle amicizie, chi subisce questo genere di violenza tende a colpevolizzarsi e a cercare in sé stesso le cause del comportamento dell’aggressore e tende a ritardare contromosse difensive.
I molestatori sono spesso ex partner della vittima che non riescono ad accettare la fine della relazione, corteggiatori con difficoltà di interazione e comunicazione incapaci di avviare rapporti interpersonali in modo convenzionale o anche pazienti psichiatrici che travisano la relazione terapeutica interpretando l’aiuto fornito come una dimostrazione di interesse affettivo.
Lo stalker che può rivelarsi particolarmente pericoloso è il cosiddetto “predatore” il cui scopo è quello di riuscire ad avere rapporti sessuali con la vittima che viene quindi pedinata,inseguita, spaventata così da sentirsi costantemente in situazione di pericolo, mentre il persecutore si sente esaltato ed eccitato dal potere che esercita sull’altro. Si tratta in genere di presone affette da disturbi psicopatologici che riguardano la sfera sessuale (erotomani, pedofili, feticisti).
Per la vittima di azioni di stalking è essenziale dare il giusto peso a comportamenti assillanti o fuori luogo e non sottovalutare il rischio, così da mettere in atto immediatamente strategie difensive. E’ buona norma essere sempre estremamente chiari rispetto ai propri sentimenti nei confronti del potenziale stalker poiché qualsiasi tentennamento viene percepito non come “semplice comportamento dettato dall’educazione” bensì come interesse nei suoi confronti e quindi come incentivo ad intensificare i tentativi di avvicinamento. Importante anche reagire con indifferenza ai comportamenti messi in atto per spaventare o suscitare collera, così da scoraggiare la reiterazione di questi comportamenti poiché, se non genera sentimenti sgradevoli lo stalker non raggiunge il suo scopo.
Ovviamente, se ci si sente minacciati ci si deve rivolgere alle autorità competenti e in questo caso è consigliabile avere preventivamente preso nota/registrato comportamenti, mail, telefonate ecc. da esibire al momento della querela.
C’è da dire però che non sempre i comportamenti difensivi sono sufficienti a disincentivare lo stalker che può arrivare ad agire in maniera molto aggressiva anche ignorando i provvedimenti emessi dalle Autorità.
Per questo è utile riflettere sul fatto che siamo abituati a dare indicazioni alle vittime perché imparino a difendersi, quando sarebbe probabilmente più efficace, anche se più complesso, agire a livello dell’educazione di base e impiegare risorse economiche, tempo e competenze professionali nella formazione e nel sostegno degli educatori (genitori ed insegnanti) e delle nuove generazioni, così da promuovere una crescita equilibrata nel rispetto di ciascun individuo.
Sergio Motta
Cristiana Francesia
Sergio Motta nel suo libro “Ventiquattro sfumature di vita” invita proprio le persone, donne in primis, a non sottovalutare i primi cenni di violenza psicologica, le prime richieste immotivate (“perché vai sempre da tua madre?”, “che bisogno hai di vedere le amiche?”) ed adottare le opportune strategie difensive.
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE