IL PUNTASPILLI di Luca Martina
Nell’estate del 2007 il leggendario investitore britannico Jeremy Grantham si diceva fortemente preoccupato per quanto stava avvenendo sui mercati: le nubi nere che avrebbero condotto alla crisi finanziaria dei mutui “sub-prime” si stavano addensando e i mercati finanziari venivano da lui paragonati a dei brontosauri.
Il gigantesco sauropode del Giurassico Superiore una volta subito un morso alla punta della sua smisurata coda sarebbe stato in grado di reagire solo con estrema lentezza, il tempo necessario per fare arrivare l’impulso, dopo avere percorso tutta l’estremità, il robusto corpo e il lunghissimo collo, al suo piccolissimo cranio.
Così quindici anni fa i mercati avevano impiegato parecchi mesi prima di iniziare ad indebolirsi, incorporando quanto già era conosciuto (o conoscibile) da parecchi mesi.
La stessa immagine viene evocata oggi. Dopo molti mesi di inflazione salita ad un livello molto più elevato di quello considerato fisiologico (il 2%) dai banchieri centrali, da qualche tempo il messaggio di allarme è penetrato con forza anche nelle menti degli investitori.
L’immagine è suggestiva, non manca certo di arguzia e non è probabilmente troppo distante dalla realtà, ma, ad onor del vero, occorre ammettere come il “morso” iniziale (una inattesa pandemia di portata globale) sembrava potesse essere curabile e non causare così un dolore/inflazione duraturo.
Quello che ha cambiato le carte in tavola è stata una forte ripresa economica frenata (ma non ancora abbastanza) dalle conseguenze di una guerra che non può essere, come tante altre in giro per il mondo negli ultimi anni, ignorata perché coinvolge pesantemente il funzionamento delle economie occidentali.
Il peso specifico rappresentato dalla Russia e, in misura inferiore, dall’Ucraina, sui mercati delle materie prime ha scatenato una corsa al loro accumulo (nel fondato timore che presto il conflitto avrebbe creato dei problemi al loro approvvigionamento) ed il loro prezzo ha trascinato rapidamente l’inflazione a livelli mai visti negli ultimi quarant’anni.
Il brontosauro ha finalmente ricevuto il segnale e ora si agita, in modo nervoso e scomposto, per il dolore.
La parola proibita, R*********, esorcizzata dagli analisti economici e politici, incomincia a comparire nei commenti ufficiali. Negli scorsi giorni il governatore della Bank of England, Andrew Bailey, ha detto senza peli sulla lingua che la ineludibile missione di sconfiggere l’inflazione potrebbe presto condurre l’economia britannica ad una Recessione (ah, la parola…!).
Le recessioni (così come le, più durature e gradite, espansioni) rappresentano una delle “normali” fasi di un ciclo economico ma la sofferenza (economica e sociale) che portano con loro le rende assai indigeste (inaccettabili) per gli investitori (ed i politici).
L’azione dei “protettori della moneta” (le banche centrali) ha come obiettivo primario quello di uccidere l’idra inflazionistica e spetterà ai governi trovare un faticoso equilibrio che consenta di evitare le conseguenze peggiori (innanzitutto un aumento della disoccupazione) della caccia grossa.
Il cervello del brontosauro, così come quello degli investitori, sta ancora cercando di metabolizzare quanto sta avvenendo.
Il gigantesco rettile non a caso è andato incontro, da moltissimi anni, alla sua estinzione.
Gli investitori, se avranno pazienza, potranno sopravvivere…anche se con dolore.
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