Di GIANLUIGI DE MARCHI
La corsa sfrenata alla ricchezza e ai suoi simboli non ha limiti, alimentata dai media che additano all’ammirazione dell’umanità personaggi che, in pochi anni, accumulano patrimoni smisurati che rivaleggiano con il PIL di interi Paesi.
In totale coloro che arrivano ad un patrimonio di almeno un miliardo di dollari posseggono l’imponente cifra di 13 mila miliardi di dollari,
Nomi come Mark Zuckerberg, Elon Musk, Jeff Bezos, Jack Ma, Bill Gates, Warren Buffet sono sulla bocca di tutti, tutti conoscono la loro ascesa nel ristretto gruppo dei nababbi mondiali e sognano di poter un giorno imitarne la carriera.
Eppure…
Eppure in questi ultimi anni sono emersi, anche se in maniera ancora insufficiente, alcuni valori che sembravano dimenticati, messi da parte dal rutilante scintillio delle monete d’oro dei Paperon de’ Paperoni.
Forse qualche ripensamento è stato stimolato dalla recente pandemia, che ha imposto a tutti di riflettere sulla propria fragilità e sull’importanza di far riferimento a valori solidi anziché effimeri.
Forse si è capito che non basta vivere bene, o addirittura benissimo, occorre anche con-vivere con gli altri, facendosi carico anche dei problemi e delle difficoltà della società che ci circonda. E una volta afferrato il senso del con-vivere, si può arrivare anche alla tappa successiva, quella del con-dividere, cioè far partecipare gli altri alle proprie fortune.
E qui può essere utile citare un’altra memorabile omelia, questa volta del 2021, quando il parroco di Cortina, commentando il brano evangelico dei pani e dei pesci, sottolineò con acume che il miracolo non consisteva nella “moltiplicazione” (termine mai citato dai testi sacri), ma nella “divisione”, anzi proprio nella “condivisione” dei pochi beni in possesso del previdente ragazzo che aveva portato un cesto con un po’ di cibo, messo a disposizione della “moltitudine” accalcata sul monte.
Un episodio che dovrebbe far riflettere tutti coloro che posseggono pani e pesci, brioches ed aragoste, castelli e aerei privati, banche e società informatiche.
Si badi bene: non si tratta di vivere seguendo la regola francescana della povertà assoluta, ma di vivere perseguendo le regole universali dell’etica che impongono, sotto tutte le latitudini e in tutti i tempi, di destinare a chi ha bisogno non solo una distratta occhiata di compassione allungando una misera elemosina, ma un concreto impegno di riscatto e di attribuzione di dignità!
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