La periferia, gli allievi del Bodoni-Paravia e l’umanità di chi cerca di costruirsi un futuro nonostante le difficoltà

LA MATURITA’ AL “SERALE”: STORIE DI RISCATTO SOCIALE AL BODONI-PARAVIA DI TORINO

 

Finito l’esame, mentre l’adrenalina allenta la sua morsa, restano ancora lì seduti qualche minuto. Per assaporare l’attimo, l’occasione tante volte sfuggita e rincorsa.

È l’esame di maturità in una scuola speciale, quella delle seconde possibilità: il serale del Bodoni-Paravia, di via Ponchielli, periferia nord di Torino.

 

Un diploma in Grafica e Fotografia con un percorso di istruzione per adulti, che ha i volti della dispersione scolastica e la determinazione della riscossa.

M. ha fatto una promessa solenne suo padre, che avrebbe preso in diploma, e oggi è qui per onorare l’impegno, anche se suo padre non c’è più, anzi soprattutto per quello.

 

R. lotta da tempo con se stessa, il nemico è dentro di lei, nella sua mente. Senza la legge Basaglia io sarei rimasta rinchiusa in una struttura tutta la vita, afferma consapevole, e invece oggi è qui, seria, precisa, preparata, ad assaporare questo momento, “che aspetto da quando avevo vent’anni”, confida tra un sospiro e un luccichio di felicità negli occhi.

 

T. il prossimo anno andrà in pensione, è la mascotte del corso, è qui perché lo deve a se stesso e alla sua vita di lavoro, perché vuole poter finalmente dire ai suoi figli che anche lui ha un diploma. Molte storie vengono da lontano, hanno superato il mare o le montagne, sono ripartite da zero, lavorando come si può durante il giorno, e frequentando le lezioni alla sera.

 

Dal cantiere al computer, dalla bici da rider alla letteratura, dalla fabbrica alla macchina fotografica. Molti hanno lasciato il lavoro negli ultimi mesi per prepararsi al meglio per l’esame, perché dopo la seconda possibilità non è detto che ce ne sia una terza.

 

Sono i ragazzi che perdiamo di vista da adolescenti, bocciati, ritirati, inseriti precocemente nel modo del lavoro. Facile scrivere “non un* di meno” più complicato fare i conti con le famiglie, la fragilità sociale ed economica, la malattia. Però ritrovarli qui, curati e composti dietro la cattedra, consapevoli di affrontare quello che resta un “rito di passaggio” importante, non riesco a non domandarmi cosa avremmo potuto fare per loro prima.

 

Dietro i banchi, che qui non sono una trincea, ci sono i prof, che traghettano verso riva questo bagaglio di umanità. Pazienti, competenti, autorevoli, anche se a volte spunta un luccichio dietro le lenti degli occhiali. Ogni passo è un sassolino che segna il sentiero per uscire dal bosco, e loro lo sanno.

 

Presiedere questa commissione d’esame è diventato un dono inaspettato anche per me in questa maturità ai tempi della pandemia.

 

​​​​​​​​Nadia Conticelli

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