Torna la questione sociale. E dov’è la “sinistra sociale”?

Dunque, l’Istat ci consegna un quadro molto allarmante. A livello sociale e a livello politico, di conseguenza.

Era del tutto prevedibile, del resto, dopo la drammatica emergenza sanitaria che ci ha colpito e che continua a sfregiare il nostro tessuto economico e produttivo. E proprio i numeri sono alquanto eloquenti: 5,6 milioni di cittadini italiani sono in seria difficoltà; l’indice di povertà è passato dal 7,7% del 2019 al 9,4% di oggi; il 47% di questa “popolazione povera” risiede al Nord, in particolare nel ricco Nord-Ovest e il 38,6% nel Mezzogiorno; e proprio il Nord registra un incremento della povertà che passa dal 6,8% al 9,3%. E, in ultimo, l’incidenza della povertà assoluta raggiunge l’11,3% fra i 18 e i 34 anni mentre per gli over ‘65 si ferma al 5,4%
Insomma, siamo di fronte ad una nuova, diversa ma altrettanto drammatica “questione sociale”. E, proprio di fronte a questo quadro, peraltro solo sommario, viene persin scontato chiedersi se esiste ancora nel nostro paese una politica in grado di farsi interprete seriamente e convintamente di una situazione che potrebbe, prima o poi, esplodere. E, per entrare ancor più nello specifico, esiste ancora la possibilità di avere una “sinistra sociale” di ispirazione cristiana che si faccia anche carico di questa nuova ed inedita “questione sociale” divampata dopo la pandemia?
Una “sinistra sociale” di ispirazione cristiana che ha caratterizzato ed attraversato per molti anni il cammino della politica italiana. Certo, se per molto tempo questa presenza è stata politicamente visibile o attraverso una corrente definita in un partito o con leader nazionali altrettanto qualificati e carismatici, oggi questa presenza e questa cultura languono nel deserto della politica contemporanea. Solo per fare due esempi concreti, è appena sufficiente ricordare il lungo magistero politico, sociale, culturale ed istituzionale di Carlo Donat-Cattin nella Democrazia Cristiana e di Franco Marini prima nel sindacato e poi nel Ppi, nella Margherita e infine nel Partito democratico – seppur non più in prima linea per l’impegno politico – per rendersene conto. Una presenza politica rilevante che ha contribuito, attraverso la sua sensibilità e la sua progettualità concreta, a segnare la stessa qualità del ruolo politico dei cattolici democratici e popolari nella società italiana.
Certo, le stagioni politiche scorrono rapidamente e nell’epoca del populismo dove dominano incontrastati il trasformismo e l’opportunismo politico e parlamentare, è difficile rideclinare un patrimonio culturale, sociale e politico che non può essere ridotto a slogan quotidiano e a promesse qualunquistiche e demagogiche. E purtroppo, e soprattutto, mancano anche quella classe dirigente e quei leader, carismatici e rappresentativi, che hanno saputo essere interpreti attivi di un fecondo patrimonio ideale nella concreta dinamica politica italiana.
Ecco perchè, allora, diventa quantomai importante sapere come oggi quella “sinistra sociale” di ispirazione cristiana può ritrovare cittadinanza attiva nella dialettica politica del nostro paese. E su questo fronte almeno due riflessioni si impongono.
Innanzitutto non c’è più un solo partito che possa interpretare in modo diretto ed esclusivo quella cultura e quel giacimento di valori, di iniziative e di progettualità politica. Anche su questo versante il pieno riconoscimento del pluralismo delle opzioni politiche è un dato di fatto. Nè sul versante della sinistra, soprattutto dopo l’alleanza con il populismo dei 5 stelle, nè sul fronte della destra sovranista questa componente può trovare una compiutezza definitiva ed organica. Troppe sono le contraddizioni politiche, almeno stando agli attuali equilibri, che impediscono a questa cultura di riconoscersi sino in fondo in queste due coalizioni o in alcuni partiti che vi fanno parte.
In secondo luogo, come ricordavo poc’anzi, l’assenza di un personale politico che sia realmente espressione diretta di quei mondi vitali e di quella cultura sociale, politica ed economica. Nessuno pretende, come ovvio, che ci sia oggi una classe dirigente seppur lontanamente paragonabile a quella di un tempo che ha, comunque sia, contributo a segnare in profondità l’evoluzione e la crescita della nostra democrazia e, al contempo, la stabilità delle nostre istituzioni democratiche. Del resto, dopo aver teorizzato e praticato per molti anni l’ideologia dell’”uno vale uno” e, soprattutto, dopo aver demolito a colpi di insulti e di ogni contumelia le classi dirigenti del passato con l’arma implacabile della delegittimazione morale e politica di marca grillina e populista, è addirittura scontato che i potenziali “eredi” di quelle classi dirigenti hanno coltivato altri obiettivi e praticato altri lidi. Una presenza, comunque sia, che si è progressivamente indebolita anche per altre ragioni. A cominciare dalla colpevole assenza di formazione e di

preparazione di nuovi quadri sul versante dell’associazionismo cattolico popolare e cattolico sociale.
Ma, al di là di queste annotazioni, peraltro oggettive, non c’è dubbio che la rinnovata presenza di una “sinistra sociale di ispirazione cristiana” oggi si impone. E i numeri dell’Istat quasi lo impongono. A prescindere anche dagli attuali schieramenti politici e dalla natura delle forze in campo. Perchè per continuare ad essere interpreti fedeli e coerenti di un mondo “popolare” che pone concretamente alla politica le sue ansie, le sue domande, le sue esigenze e le sue difficoltà significa anche dare un senso ad una ispirazione, quella cristiana appunto, che altrimenti corre il rischio di ridursi ad una bella ma impotente predicazione o, peggio ancora, ad una azione di testimonianza disancorata dai problemi veri che scuotono e attraversano le persone. Soprattutto dopo questa terribile e perdurante emergenza sanitaria, sociale ed economica.
Una “sinistra sociale” di ispirazione cristiana che, sull’onda del magistero concreto di uomini come Carlo Donat-Cattin e Franco Marini, possa ancora oggi portare un contributo significativo e di qualità per un obiettivo tanto nobile quanto contemporaneo. Ovvero, per dirla proprio con Donat-Cattin, per “la difesa, la promozione e la tutela dei ceti popolari nel nostro Pese”. Un impegno a cui non ci si può più sottrarre. Al di là delle parole d’ordine del populismo grillino e della demagogia e del qualunquismo antipolitico.

Giorgio Merlo 

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