Debito pubblico: Italia sotto la spada di Damocle

Damocle era un cortigiano che viveva alla corte di Dionigi I, tiranno di Siracusa. Un giorno affermò che Dionigi era fortunato, disponendo di un grande potere, e allora il tiranno gli propose di prendere il suo posto

Detto, fatto. Durante il banchetto, Damocle gustò cibi raffinati e si intrattenne con bellissime fanciulle, finché notò che, sopra la sua testa, era appesa una spada legata solo ad un esile crine di cavallo. Dionigi l’aveva fatta sospendere sul suo capo perché capisse che la sua posizione di tiranno lo esponeva continuamente a grandi pericoli . Immediatamente Damocle chiese al tiranno di poter terminare lo scambio.

Situazione scomoda, che oggi si adatta perfettamente alla crisi finanziaria che stiamo vivendo.

Dopo quasi un anno dall’esplosione della pandemia, l’economia annaspa, le imprese rischiano di chiudere, i lavoratori rischiano di perdere il posto, il debito rischia di soffocare le prossime generazioni.

Ecco la “spada di Damocle” appesa sopra la nostra testa: il debito pubblico!

Dall’inizio della pandemia lo Stato ha emesso oltre 140 miliardi di BTP di vario tipo (da quelli ordinari a quelli indicizzati all’inflazione fino alle serie “BTP Futura” con premio di fedeltà), in una fase di forte contrazione dell’economia (il PIL scenderà alla fine dell’anno del 10% circa…) e di contemporanea riduzione delle entrate fiscali (calate a causa della riduzione del PIL, ma anche per effetto dei provvedimenti di rinvio della riscossione delle imposte per agevolare le imprese in crisi di liquidità).

A fine settembre il debito pubblico italiano era arrivato all’astronomica cifra di 2.583 miliardi di euro (record storico assoluto!), contro i 2.410 di inizio anno, con un incremento di oltre il 7%, in un anno in cui l’inflazione è stata nulla. Nel frattempo il PIL è diminuito a poco più di 1.600 miliardi di euro, portando così il rapporto debito/PIL (uno dei più importanti nella valutazione della solidità di uno Stato) al 160%!

Le previsioni al momento non sono certo rosee: per quanto il governo si sforzi di delineare un 2021 in forte ripresa (con la crescita del PIL oltre il 5%) il gap rimarrà enorme e non basterà certo un anno per tornare ai livelli pre-pandemia. Se si pensa poi che in venti anni l’Italia è rimasta praticamente ferma in un mondo in cui anche gli zoppi corrono, si capisce immediatamente che bisogna fare qualcosa.

Il “qualcosa” deve necessariamente consistere in provvedimenti che non siano semplicemente un tampone (bonus a pioggia, ristori, rinvii di imposte e rate dei muti, ecc.), ma un concreto intervento in investimenti che ricreino le condizioni per avviare un circolo virtuoso dell’economia.

Finanziare gli investimenti (infrastrutture, istruzione, sanità, digitalizzazione, ecc.) necessita di centinaia di miliardi di euro che non possono continuare a provenire da debiti, ma devono provenire da “risorse proprie” o, usando un termine aziendalistico, patrimonio.

E allora le strade sono solo due, che cerchiamo di sintetizzare.

La prima è l’introduzione di un’imposta patrimoniale (vera e propria spada di Damocle” che pende sulla testa di tutti noi…), applicata con varie modalità secondo chi la propone e la sostiene. Potrebbe trattarsi di un’imposta a raffica su tutte le ricchezze dei risparmiatori italiani (titoli, case, aziende), oppure di un’imposta “a macchia di leopardo” su certe categorie di attività (solo i titoli, solo i depositi bancari, solo gli immobili). Potrebbe trattarsi di un’imposta “a strascico” (aliquota unica per tutti, fatta salva una franchigia minima per i patrimoni minori; si parla ad esempio di 500.000 euro) oppure di un’imposta “progressiva” all’insegna del motto che “Chi più ha più deve dare.

Beneficio palese per lo Stato: raccogliere cifre imponenti in un attimo (si pensi alla tosatura fatta dal governo Amato un venerdì notte, sottraendo il 6 per mille dalle giacenze sui conti correnti). Sacrificio palese per i cittadini: vedersi sottrarre parte dei risparmi accumulati nel tempo, per coprire il buco di bilancio. Una soluzione forzosa che sicuramente scatenerebbe tensioni di vario tipo e molto probabilmente, colpendo anche interessi stranieri investiti in Italia, genererebbe reazioni negative sui mercati con il possibile allontanamento degli investitori istituzionali (che attualmente assicurano il 70% della sottoscrizione dei BTP).

La seconda soluzione è il lancio di titoli irredimibili, cioè titoli privi di scadenza, che pagano ai sottoscrittori solo un interesseannuo per l’eternità. Chi lo acquista cede il proprio capitale in via definitiva allo Sato in cambio di una rendita per sé e per la sua discendenza. Per converso, lo Stato, in cambio dell’impegno a pagare la rendita, non assume alcun obbligo di rimborsare il capitale. Non essendoci un rimborso, il capitale raccolto èacquisito definitivamente dallo Stato e non costituisce debito.

Da notare che i risparmiatori possono comunque recuperare in ogni momento l’investimento vendendo i titoli in Borsa, che assicura la liquidità di ogni titolo quotato nel termine di soli due giorni.

I titoli irredimibili non sono certo una novità (sono stati emessi fin dal XVIII secolo da Stati Uniti, Inghilterra, società private e anche dall’Italia, con due serie denominate Rendita 3,5% e Rendita5%): la novità potrebbe essere costituita dall’utilizzo di diversi sistemi di calcolo della rendita. Oltre a quello tradizionale (tasso fisso), che espone il detentore al rischio d’inflazione nel tempo, sipotrebbero ipotizzare tranche a tasso variabile o anche a tasso indicizzato sul PIL (una modalità nuova, denominata TRILL, di cui ha recentemente parlato l’ex ministro Tria).

Beneficio palese per lo Stato: raccogliere cifre consistenti nel tempo (almeno 10 miliardi il mese) da destinare al sostegno a fondo perduto alle imprese o alla realizzazione di infrastrutture.

Beneficio palese per i risparmiatori: percepire una rendita infinitad’importo superiore a quello dei BTP ordinari (la durata infinita va “pagata” con un tasso un po’ superiore a quello corrente) e facoltà di ricuperare in ogni momento i soldi vendendo i titoli.

Insomma, volendo usare termini raffrontabili, la patrimoniale è un contributo forzoso, i titoli irredimibili sono un contributo volontario, una sorta di “patrimoniale temporanea” (dura finchénon si vende il titolo) e di “patrimoniale remunerata” (incasso delle cedole annuali).

Qualcuno teme che non ci saranno sottoscrizioni? Rifletta sul fatto che in piene ferie nell’agosto 2020, Intesa San Paolo ha offerto 1,5 miliardi di titoli irredimibili ricevendo richieste per 6,5 miliardi!

Speriamo che alla fine la soluzione ”volontaria” prevalga su quella “forzosa”; ne va della credibilità dell’Italia.

 

GIANLUIGI DE MARCHI

Consulente finanziario, giornalista e scrittore

demarketing2008@libero.it

 

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