Quella volta in cui il mio cuore sputò sangue 

Domenica in poesia / di Alessia Savoini

 

Quella volta in cui il mio cuore sputò sangue 
Ho smarrito la soglia della mia ferita
dove ho riposto la sindone di umide parole,
strappate all’unghia del rimorso
acerbo
come il vizio che intercorre tra l’estasi e il domani,
dopo aver setacciato lo scisma di sette universi che abitano il corpo.
.
E tuttavia
anche prima di aver mendicato il valico di un altrove attiguo,
ancor prima di aver seviziato il ciglio di un artificio,
vidi [arrossire] i cieli abbracciare la notte.
.
Intimamente provai
qualcosa di simile all’aver espatriato il midollo dei mondi
al primo respiro della terra,
la genesi di un adulterio
che fece dell’uomo l’incontro con la sua stessa ferita.
.
La ferita che sanguina
quando gli anni cicatrizzano la carne al tempo di una smorfia,
quando l’ultimo uomo che circumnavigò l’anima delle sue ambizioni
estirpò dai suoi stessi sensi
l’agiografia dei continenti.
.
Gli occhi sudano il rammarico di un’assenza che non so digerire,
il ventre cola a picco il volto di un’Ermione
su cui la pioggia confondeva
la silvestre illusione del possesso
con il divino plagio del sussurro.
.
Grido selvaggia alla luna,
curva sulla gruccia dei mondi,
sensibile al sale di un’antica roccia
che sgorga dai fiumi delle mie palpebre.
.
Ricordi quando ti dissi
che
insieme
abbiamo saputo sradicare
l’aspetto androgino del fiore?
E concedemmo ai nostri corpi
il piacere supremo dell’unione,
avvinghiati a recitare l’amore,
nel morso di un fremito soffuso,
per il vuoto di una platea silente.
.
Com’è che solo quando ti temo
il mio cuore sputa sangue?
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