Architetti, Architettura, Città, Coronavirus

Seduti al tavolo del soggiorno di casa oppure nello studio deserto senza colleghi o collaboratori: è la vita degli architetti e penso dei professionisti in genere in questo tempo di emergenza sanitaria.

Siamo circondati da una città inesorabilmente silenziosa che a volte avremmo voluto vedere così ma che oggi invece inquieta, così cerchiamo di lavorare ai nostri progetti con la calma e la riflessione che spesso rivendichiamo ma è quel silenzio stesso oggi a distrarci dal lavoro quasi fosse un chiasso assordante e in effetti lo è. La nostra non è una professione che in casi come questo possa essere in prima linea, non siamo medici anche se potremmo essere così considerati per la città, per il territorio e indirettamente per chi ci vive: un buon progetto rende migliore la vita di tutti.

Non siamo in prima linea ma vorremmo per il sistema Paese e per noi stessi, per le persone che con noi collaborano, guardare avanti per preparare il terreno di una ripresa delle attività in una normalità che non potrà più essere quella che conosciamo.L’attuale situazione rappresenta, io penso, una “discontinuità storica” che stravolgerà sia il nostro modo di lavorare sia il modo in cui si intrattengono rapporti sociali che inevitabilmente modificherà il disegno degli spazi che siamo abituati a vivere e, chi fa il mio mestiere, dovrà imparare a interpretarli.Una rivoluzione che forse intaccherà anche il modello delle grandi megalopoli, già molto fragili ed al centro della discussione negli ultimi anni per il loro costo sempre più elevato per il controllo e confinamento dei conflitti sociali, le diseguaglianze, l’inquinamento, che ora si devono cimentare con un pericolo invisibile quale quello di un contagio esponenziale che le mette in ginocchio, anche se oggi, io credo, non riusciamo ancora ad avere la visibilità complessiva di quello che sta accadendo.

Dunque è ragionevole pensare che si dovrà andare verso un modello di comunità cittadina più ristretta numericamente benchè aperta al sistema globale, luoghi che potrebbero essere rivalutati anche attraverso la constatazione, palese in questi giorni, che molte delle nostre attività si possono realizzare anche senza flussi importanti di persone, anche senza una presenza fisica. Gli spostamenti si possono ridurre senza intaccare i rapporti diretti e il tempo, il denaro “risparmiati” nei trasferimenti essere impiegato per migliorare la vita. Forse eravamo già a questo punto di svolta, ma nessuno lo considerava realmente possibile. Ora, guardando alla struttura del territorio italiano ma vorrei dire della maggior parte del territorio europeo, possiamo constatare come sia fatta prevalentemente di un tessuto di piccole e medie città in cui la qualità della vita è già oggi migliore e che a questo nuovo progetto sociale ed economico potrebbero ben rispondere. Si tratta dunque di riprendere in mano le fila di un disegno esistente al quale dare nuova vitalità.

Oggi tuttavia la limitazione non è una scelta e dunque si vive l’isolamento come privazione che rende difficile immaginare in positivo un futuro differente. Lo constatiamo giornalmente in questo periodo con i nostri progetti, molte cose potrebbero andare avanti anche in queste condizioni, ma restano in sospeso per mancanza di decisioni. I nostri committenti, privati che abbiano in animo di trasformare la propria abitazione oppure aziende e imprese che immaginino progetti per le proprie necessità produttive o di investimento, oppure ancora amministrazioni con l’intento di realizzare un migliore servizio ai cittadini con una pianificazione urbana, sono fermi, in un tempo sospeso, in attesa, per capire, per decidere ma senza avere l’ardire di farlo.È una grande preoccupazione per noi che viviamo giornalmente della nostra professione. Per noi, un ritardo, una indecisione, un rinvio determinano l’interruzione di un flusso di elaborazione intellettuale propedeutica ad una produzione materiale, con il conseguente spostamento nel tempo o peggio la perdita di un compenso nostro e di tutta la filiera che segue un progetto. Il tema oggi è superare questa china e anche premere affinchè per ripartire, si sgombri il campo dal peggiore dei virus che conosciamo: l’intreccio autoreferenziale e contagioso del sistema burocratico.

Giorgio Giani

architetto – Segretario IN/Arch Piemonte – Istituto Nazionale di Architettura

 

Photo by Jack Kolpitcke on Unsplash

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