Addio a Pansa, vecchio leone del giornalismo

Di Pier Franco Quaglieni

La morte di Gian Paolo Pansa priva il giornalismo italiano di una delle sue firme storiche più significative . Un giornalismo colto e libero  che non ha nulla a che vedere con i giornalistini di oggi

Grande inviato,  ha descritto la politica con onestà e indipendenza . Partito da posizioni nettamente di sinistra, aveva avuto il coraggio di prendere le distanze da Scalfari e dal suo scudiero Mauro, dall’“Esptesso “ e da  “Repubblica “ dei quali fu uno dei giornalisti più importanti .

Come me era stato allievo di Sandro  Galante Garrone  con cui discusse una tesi sulla Resistenza che venne pubblicata e suscitò grande interesse .  Fu alla “Stampa” e poi al “Corriere della Sera “ prima di dell’esperienza al gruppo radical -chic  Caracciolo –  De Benedetti Con il suo “Bestiario “ ha saputo raccontare la politica in modo nuovo e avvincente  come oggi nessuno sa fare . Da un certo momento in poi Pansa vide i limiti di una certa vulgata antifascista , riprendendo a livello non accademico il discorso avviato da Renzo De Felice. E seppe anche capire i limiti di un giornalismo di tipo scalfariano  fazioso, aggressivo , spesso scandalistico e mendace. Con il suo libro “Il sangue dei vinti “ ebbe il  coraggio di iniziare a  documentare gli eccessi della guerra civile.

Fu una scelta importante che provocò contro di lui un’aggressione violentissima dell’Anpi e dei soliti faziosi. Io gli conferii  il Premio Pannunzio e venni duramente attaccato. Ci fu un professorino torinese che non merita di essere citato e  che non ha mai visto  oltre la scolastica del Gramscismo, che lo accusò di non essere credibile perché non metteva le note in calce alle pagine dei suoi libri, dimenticando che tutti i fatti raccontati da Pansa non vennero mai smentiti  da nessuno. Il giorno  dopo del Premio partecipai ad un convegno su Piero Calamandrei  e sentii il gelo attorno a me: le vedove di Galante Garrone e di Agosti fecero finta di non conoscermi. La nipote di Calamandrei mi disse invece che avevo fatto bene a premiare Pansa  perché aveva contribuito ad eliminare la retorica che aveva imbalsamato la Resistenza.

Tra i tanti premiati del Premio Pannunzio fu l’unico, insieme  a Spadolini , che si pagò l’albergo. A cena al “Cambio”, quella sera, si stabilì’  tra noi un dialogo  che purtroppo non riuscimmo a continuare . Davanti al ristorante dove si teneva il Premio c’era la presenza della Polizia per evitare eventuali contestazioni violente di cui Pansa era stato vittima in altre città dove  tentarono di impedirgli di parlare. Mi parve un uomo mite e indipendente . Ha avuto un numero altissimo di lettori e di persone che lo stimavano . Era un piemontese di  Casale Monferrato che era andato oltre i limiti  di certo antifascismo  giellista e comunista . Lentamente Pansa aveva capito che certa storiografia resistenziale e certo giornalismo di sinistra erano tendenziosi  e non più accettabili . Seppe prenderne le distanze , affrontando le scomuniche e l’intolleranza.


La sua opera può aver avuto dei limiti perché Pansa era solo un giornalista  e non uno storico vero  perché non seppe contestualizzare le vicende terribili che raccontò in quanto il sangue dei vinti e’ anche conseguenza del sangue dei partigiani ammazzati da tedeschi e fascisti. Ma è fuor di dubbio che le cose raccontate da Pansa fossero totalmente corrispondenti al vero, checche’ ne scrivessero certi maestrini dalla penna rossa, dediti alla diffamazione  sistematica nei suoi confronti.


Poi c’è stato un periodo in cui Pansa, esacerbato  dagli insulti e dall’astio  manifestato con livore crescente verso di lui , finì di esagerare, scrivendo su testate volgari come “Libero” e addirittura  “La verità”. Cessai di leggerlo perché quei giornali io mi rifiuto di leggerli. Ripresi con i suoi articoli quando iniziò nuovamente a scrivere sul “Corriere della Sera”. Era  putroppo ormai un Pansa privo di mordente, vecchio e stanco. Mi spiacque doverlo constatare, ma il vecchio leone  ormai non era più sè stesso .

Ma va detto che  Pansa e’ stato un grande giornalista italiano che fece dell’onestà intellettuale la sua bandiera. Spero che la destra estrema di oggi, ignorante e semplicista, non voglia impossessarsi del suo nome che non gli appartiene . Insieme a Indro Montanelli e  Oriana Fallaci  Pansa è il meglio che il giornalismo italiano ha rappresentato negli ultimi cinquant’anni e per contrasto rivela la miseria del giornalismo settario di Scalfari  e di Feltri che su trincee opposte hanno contribuito a creare disinformazione e aggressioni politiche  indecenti.


Pansa aveva vissuto con disagio Tangentopoli e si convinse che la liquidazione di un’intera classe politica, comunisti e neo fascisti esclusi , fosse un golpe. Ne parlammo quella sera del Premio Pannunzio. Peccato che non sia stato più possibile continuare quel discorso. Da un rapporto con lui ne sarei stato arricchito, ma tutti i suoi libri non me li sono mai persi. Aveva una capacità straordinaria di scrittura che pochi hanno avuto. Una limpidezza di stile che corrispondeva all’integrità della sua mente libera. Giornalisti come lui mancano totalmente in questo disgraziato Paese in cui  il protagonismo televisivo di certi personaggi e’ inversamente proporzionale al loro profilo giornalistico. Se i giornali non si vendono più e’ colpa anche del fatto che di gente come Pansa si è persa traccia.

Ho letto i necrologi di Pansa scritti da Cazzullo, Veltroni e Battista ed ho colto l’abisso che divide la grandezza di Pansa rispetto a chi oggi  lo ricorda. Qualcuno ha voluto citare  in morte di Pansa, Giorgio Bocca che fu aspro e volgare nell’attaccarlo per “Il sangue dei vinti”. Bocca era stato partigiano, ma prima era stato fascista ed aveva scritto articoli antisemiti. Da vero giellista bilioso Bocca scomunicò Pansa con arroganza e fomentò l’odio contro di lui . Oggi il confronto tra i due fa si’ che risulti in modo nettissimo come  Pansa sia stato un gigante del giornalismo italiano del ‘900, mentre il cuneese appaia l’espressione piuttosto provinciale (lui stesso si autodefini’ un provinciale ) di un giornalismo di parte, incapace di informare in modo adeguato  perché incapace di mettere in discussione  le certezze ideologiche novecentesche di cui  quel giornalismo si era nutrito e di  cui  fu la grancassa mediatica.
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