Un torinese ai vertici della vela mondiale, Marco Carpinello

Torinese, classe 1981, sport praticato la vela, ruolo prodiere, Circolo Nautico al Mare di Alassio

Segni particolari: Medaglia d’oro CONI nel 2015 per la vittoria al mondiale ORC con Enfant Terrible, due Mondiali d’altura ORC con il TP 52 Enfant Terrible, due  Mondiali nella classe Farr 40 con Nerone. Nome: Marco Carpinello, per gli amici Carpy.

Carpy ha una vasta esperienza di regate tra le boe e offshore, è stato membro dell’equipaggio di Cookson 50 Mascalzone Latino e anche di RC44, Melges 40, del Farr 40 Enfant Terrible, del Melges 40 Inga, e attivo nei principali circuiti velici internazionali.

Nel 2018 ha vinto a bordo di Alive la classifica overall della leggendaria Rolex Sydney Hobart, considerata una tra le regate più dure al mondo con le sue 600 miglia di distanza, che prende il via ogni anno il giorno di Santo Stefano e temuta per le sue tempeste che, nell’edizione 1998, hanno causato ben sei morti.

Per i non addetti ai lavori la Rolex Sydney Hobart sta alla vela come la Parigi Dakar sta all’automobilismo e la discesa di Kitzbuhel sta allo sci alpino.

Carpy è stato il secondo italiano a vincere la Parigi Dakar del mare dopo Francesco Mongelli, che aveva fatto il navigatore sul Volvo 70 Giacomo nell’edizione 2016.

Sempre nel 2018 è stato a bordo del Melges 40 Inga con il quale ha chiuso al terzo posto il circuito stagionale, mentre ad inizio di quest’anno è stato vicino a guadagnare il titolo “Velista dell’Anno TAG Heuer”, il premio più prestigioso della vela italiana.

Carpy è una di quelle poche persone tanto di coraggio quanto di valore che, attraverso la vela e il mare, hanno dato una svolta alla propria vita.

Noi riusciamo ad incontrarlo in esclusiva nella sua città, Torino, insieme ad un ristrettissimo numero di amici. Siamo a metà novembre e nella sua bacheca personale ha da poco aggiunto la vittoria, sul Maxi 72 Cannonball, della 38esima edizione della Coppa del Re a Palma de Mallorca e la 30esima edizione della Maxi Yacth Rolex Cup, che si è svolta a settembre a Porto Cervo.

 

 

Bentrovato Carpy e complimenti per queste tue due ultime vittorie. In passato abbiamo già parlato di vela mare e, più volte, ti ho chiesto di raccontarmi dei tuoi successi. Una domanda, però, che non ti ho mai fatto: Quando hai capito che la vela sarebbe potuta diventare da semplice passione sportiva giovanile a qualcosa di più?

“Le idee le avevo ben chiare fin da bambino. Già alle elementari sapevo che il mio destino sarebbe stato sulle barche. Non ci crederai, e lo posso anche capire, ma in quinta elementare ho scritto sul diario di scuola che da grande avrei voluto fare il prodiere. Il maestro ha sorriso quando lo ha letto. Il tempo poi ha confermato i miei sogni.

Nello specifico tutto è iniziato nel 1992 con il boom del Moro di Venezia, ho incominciato a guardare le regate, come la maggior parte degli italiani all’epoca, in televisione con mio papà e ho subito ritrovato nel prodiere del Moro, Alberto Fantini, il ruolo che avrei voluto ricoprire su una barca a vela. Cominciai, quindi, il percorso classico che tutti i ragazzi intraprendono con un corso di Optimist, poi il Fireball con mio papà, da lì il passaggio a scafi maggiori con il primo imbarco importante sul Mumm 30 Joe Fly. Dopo Joe Fly mi chiamarono su Farr 40 Nerone per il campionato europeo senza che me lo aspettassi. Veramente. L’indecisione su cosa rispondere a quella convocazione è stata enorme, ma alla fine ho ragionato e mi sono detto: “Vado e se vinco porto avanti quello che è stato il mio sogno fin da bambino. Fu vittoria e da li’ ho iniziato, è stato un segno del destino.”

 

Dopo averti fatto ricordare gli inizi della tua carriera adesso, invece, ti chiedo: dopo tutti questi anni qual è stato il momento più bello finora del tuo percorso e quello che, al contrario, farai sempre fatica a ricordare?

“Il piu bello, anche se scontato, lo so, è stato tagliare il traguardo della Sidney Hobart; non è stato solo tagliare una linea di arrivo, ma vincere la Gara, quella con la G maiuscola, quella competizione che pochi velisti hanno vinto al mondo e a cui tutti sognano di poter partecipare, anche solo presentandosi sulla linea di partenza. E’ stata una delle emozioni più forti della mia vita, ancora piu di vincere il mio primo mondiale. Quando mi ha chiamato mio padre al telefono non sono riuscito a trattenere le lacrime e sono scoppiato a piangere dalla gioia.

Il piu difficile da ricordare, invece, non è rappresentato da un momento preciso, ma da una serie di situazioni che sfociano in emozioni che ho già vissuto, come ad esempio le volte in cui siamo arrivati prossimi alla vittoria ma ci è sfuggita dalle mani proprio….. per un soffio di vento. Non so se per te valga lo stesso, ma io tendo a ricordarmi sempre di piùdegli errori perchè sono sempre levemozioni piùforti, più intense, più traumatiche rispetto alla vittoria di per sè.”

 

Condivido con te pienamente il concetto, anche io tendo a ricordare più gli eventi traumatici di quelli positivi. Passiamo adesso ad una domanda squisitamente tecnica: Paul Cayard nel 2017 ha dichiarato che in Coppa America avrebbe desiderato “barche più veloci e plananti, senza foil, come i Maxi 72, così da esaltare maggiormente le abilità dell’equipaggio”. Arrivi da una vittoria al Maxi 72  lobal Championship  u “Cannonball”. Qual è la tua opinione in qualità di membro di equipaggio di un Maxi 72?

“Bisogna partire da due premesse: la prima consiste nel fatto che le barche impegnate in Coppa America sono delle imbarcazioni che hanno alle spalle una Ricerca e Sviluppo che è paragonabile a quella utilizzata per andare sulla luna, quindi sono uno spettacolo! La seconda premessa è che Paul Cayard parla di una specifica tipologia di competizione velica, il match race, in cui sono due scafi solamente che si sfidano, ben diversa dalla formula classica di regata, in cui gli equipaggi sono ben più di due contemporaneamente.

Facendo riferimento al match race, quindi, questa formula di competizione tra equipaggi necessita di barche lente per vedere la reale bravura dell’equipaggio. La loro bravura viene esaltata nella fase di ingaggio, che rappresenta l’essenza pura del match race.

Durante un match race è meglio essere dietro senza penalità che davanti con penalità, chi è dietro vede sempre quello davanti; questi, invece, non vede l’inseguitore e si deve girare per rendersi conto delle manovre dell’avversario, ed è in quel momento che l’inseguitore ingaggia chi lo precede ed inizia la manovra per il sorpasso. Questo è il motivo per cui è fondamentale che il timoniere non si giri e si fidi di ciò che gli viene comunicato dall’equipaggio.

Gli equipaggi impegnati nei match race a cui si riferiva Paul Cayard sanno fare tutti le manovre, il valore aggiunto l’equipaggio lo ottiene trovando il feeling e capendosi reciprocamente.”

Dopo la vittoria della Rolex Sydney Hobart è difficile pensare di vincere qualcosa di ancora più importante e più prestigioso; quali saranno le motivazioni che ti spingeranno a continuare?

“Se adesso avessi tra le mani lo stesso diario che avevo in quinta elementare non scriverei più di voler fare il prodiere. Il desiderio che scriverei sarebbe di vincere la line honor alla Sidney Hobart con record, così da poter vincere e portare a casa il “triplete australiano”. Lo scorso anno, quando ho chiamato mio padre, mi sono messo a piangere, nel caso del “triplete” non so proprio cosa potrebbe succedere!”

 

Per quest’anno il lavoro in mare è terminato, cosa prevede il lavoro a terra fino all’inizio della prossima stagione?

“In verità non è ancora del tutto finita! Torniamo in australiana per difendere il titolo. Siamo più pronti e carichi dello scorso anno, il ricordo di quelle scariche di adrenalina nelle vene non lo dimenticherò mai. Ci rendiamo conto, però, che sarà più dura del solito, le variabili sono sempre troppe e troppo imprevedibili e il peso di essere defending champion si fa sentire.

La percezione di come potrebbe andare la gara arriva a pochi giorni dalla partenza, quando le condizioni meteo sono più chiare e ci rendiamo conto che potrebbe essere l’anno giusto.”

 

Tornando al “triplete”, termine principalmente calcistico, e smettiamo di parlare di vela: Juventus o Toro??

“So già che, su questo punto, non ci troveremo d’accordo ma sei seduto quindi non mi preoccupo più di tanto. Premetto che non sono mai stato un grande appassionato di calcio ma…. Toro tutta la vita! mio padre mi ha trasmesso la fede granata, quella vera e profonda. Conosco tutti gli inni.

Diverso discorso per la Nazionale in quanto credo nella mia bandiera, la stessa che vedo ballare con il vento sulle barche.

E poi dai, vuoi mettere il piacere dello sfotto a voi gobbi, certe emozioni non hanno prezzo!.”

 

Per fortuna sono seduto come hai detto tu, le tue risposte mi regalano sempre grandi emozioni! Cambiando discorso, da qualche tempo condividi il percorso della vita con una persona, come riesci a coniugare il tempo insieme a lei e le trasferte che abitualmente ti vedono impegnato in giro per il mondo, anche per dei lunghi periodi?

“E’ difficile per entrambe le parti, la persona a cui voglio bene mi manca, questo è fuori discussione, anche se a migliaia di km di distanza ci si pensa sempre. La parte più difficile per me non è tanto la distanza di per sè, quella oramai è relativa, quanto i fusi orari. Quando ad esempio sono in Australia per la Sidney Hobart o mi trovo sulla Costa pacifica degli Stati Uniti, i fusi orari iniziano ad essere importanti. Anche tu lo puoi testimoniare da grande viaggiatore, e non turista, quale sei. Le videochiamate e la tecnologia in generale hanno aiutato molto le coppie come le nostre! Ho avuto la fortuna di incontrare una persona che, fin da subito, è riuscita a capire e comprende, cosa rara, ciò che faccio e con cui condiviamo molti valori di coppia.

Quello che sicuramente pesa maggiormente è quando vengo chiamato magari per un mese e mezzo di seguito di trasferta.”

Grazie per il complimento Carpy, adesso però direi di cambiare completamente argomento e parlerei di vacanze, dove le preferisci passare: mare montagna o viaggiando?

“Montagna, tutta la vita. Non si discute, lo sai benissimo!

Sono nato sugli sci, la barca è stata successiva, io non ho mai avuto la passione per il mare inteso come luogo dove passare le vacanze. A me piace fare le regate, ovvio, e questo negli anni si è ancora piùenfatizzato. Essere al mare, però, non mi fa sentire in vacanza.

Per quanto riguarda il viaggiare, invece, io vivo in giro per il mondo tutto l’anno tra aeroporti, aerei, treni e taxi. Quando torno da lunghe trasferte il mio unico desiderio è solo vivere la casa, leggere un libro, vedere qualche amico, ma in generale uscire poco. Ti svelo un segreto: adoro fare le lavatrici!.”

 

Con tutte queste miglia percorse durante l’anno planando a pelo d’acqua, con o senza foil, qualche giorno libero per coltivare una tua grande passione, lo sci, insieme ai tuoi amici rimane?

“Certo che sì, sono una persona molto fortunata. Svolgo un’attività che mi lascia molto più tempo libero nella stagione invernale e mi dà la possibilità, quindi, di non rimanere solo per il fine settimana tra le nostre amate montagne, ma anche di prendere le pelli in settimana e salire fino a passo San Giacomo con in miei amici più cari.

Per me la montagna rappresenta uno di quei luoghi del cuore che ognuno di noi ha e alla quale non potrei mai fare a meno.

Ci vediamo alle 9 al Citroc, come sempre!”

 

Se desiderate farvi raccontare delle sensazioni, emozioni e delle paure che ha provato la prima volta che ha iniziato a navigare lungo lo stretto di Bass, che separa l’Australia meridionale dalla Tasmania, quando l’equipaggio ha ricevuto l’autorizzazione dal Race Control per passare, pur sapendo che in quella parte di mare i soccorsi rischiano di non arrivare a seconda delle condizioni meteo,  non vi resta che mettere gli sci ai piedi e sperare di fare una salita in seggiovia quest’inverno insieme a lui tra Sestriere e dintorni.

 

 

Emanuele Farina Sansone

 

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