POESIA / Scrivere è un tempo che gioca a essere immortale
Credo,- nel tentativo di riesumare lo spettro di una genesi -, di dover ricordare -[a proposito di me], – il giglio primitivo dell’anelito, il mantra aulico della voce [madre] e-, nel suo ascolto, la prima testimonianza di altrove,- storpiarne il cimelio anatomico, riecovando il sollazzo nei meandri intrinsechi delle acque uterine, sotto la cripta costolare del palpito materno; l’esodo dalla forma subito dopo, una deposizione dalla culla amniotica della discendenza.
Nutrire il proprio atto di presenza con la ricerca della sua necessità – [principio metafisico secondo il quale la dinamica della materia in ogni suo aspetto è governata da un nesso diretto causa/effetto, sicché si nega la realtà del caso]-, una condizione di resilienza e fascino al manifesto, che debba esser così e non altrimenti -(Parmenide)-, cogliendo il frattale cosmico che mi rende, (forse), impercettibile nel cuore rappresentativo delle prima istanze.
Mi colgo, allora, nell’inerzia evolutiva di un frattale, -il segno primordiale delle cose che, (si crede), abbiano avuto inizio- nella migrazione cosmica della conoscenza, nell’occasione -[unica e irripetibile]- del gesto.
Un contagio irreversibile di vita che invade la ratio e ne abbatte i confini di difesa al sentimento, [:e l’irreversibile trascende il possibile], la necessità, -dunque-, che si fa poesia in una condizione che, (sempre permane), orizzonte di senso.
Scrivere è un tempo che gioca a essere immortale.
Alessia Savoini
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“Ch’ogni cosa esiste più d’una volta, infinite volte.”
(J.L. Borges, “La casa di Asterione”)
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