Francesco e i cristiani iracheni

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Cresce l’attesa tra i cristiani iracheni per l’arrivo del Papa nel 2020, la prima visita di un Pontefice nella terra dei due Fiumi

Il viaggio apostolico del capo della Chiesa cattolica è un segno di grande attenzione per i cristiani d’Iraq che rischiano di essere dimenticati sia nel proprio Paese sia dalla comunità internazionale ed è una gioia particolare per i cristiani della Piana di Ninive che vivono ancora oggi una situazione difficile in un territorio distrutto dall’odio e dalle devastazioni della furia islamica jihadista. Una terra che ha bisogno di essere ricostruita come a Mosul e ad Aleppo. Tra i fedeli si attende ora di sapere la data ufficiale per preparare nei minimi dettagli la visita di Papa Francesco definita “storica” dal nuovo presidente iracheno Barham Salih. Dimenticati, uccisi, deportati e costretti a fuggire durante il dominio del sedicente Califfato. Oggi quasi il 50% delle famiglie che risiedevano nei villaggi della Piana di Ninive, nel nord del Paese, è tornato alle proprie case, in cifre si tratta di circa 42.000 cristiani. Le abitazioni ricostruite sono oltre 6000 su un totale di 15.000 alloggi danneggiati o distrutti ma tra i cristiani restano timori e insidie. Ci sono infatti progetti governativi tesi a modificare la demografia della zona confiscando terre cristiane per darle agli arabi e ai curdi. Ancora oggi i cristiani sono discriminati ed emarginati e sono sottoposti alle leggi delle Corti islamiche nonostante abbiano svolto un ruolo di primo piano nel processo di crescita economica e culturale dell’Iraq fornendo importanti contributi nel settore dell’istruzione, nei servizi sociali e nella pubblica amministrazione. A causa dell’arrivo dei miliziani dell’Isis e dei massacri contro le minoranze la popolazione cristiana si è ridotta al 2%. Con i flussi migratori verso altri Paesi della regione e all’estero circa un milione di cristiani hanno abbandonato l’Iraq negli ultimi anni. Il cardinale Louis Raphael Sako, Patriarca di Babilonia dei caldei, assicura che la vera festa si farà quando verrà comunicata la data esatta della visita perchè tutti i cristiani iracheni vogliono vedere il Papa nella loro terra. “Abbiamo bisogno di aiuto e collaborazione per affrontare e vincere le tante sfide che ci attendono e che vanno dalla protezione dell’identità alla preservazione di un patrimonio antico e di un radicamento a questa terra”. Incontrando il primate caldeo Sako, il presidente iracheno Salih ha parlato di viaggio “storico” e ha ricordato i numerosi interventi in passato del Pontefice a favore della pace e della stabilità in Iraq sottolineando il valore dei cristiani e il loro ruolo nella costruzione del Paese. Oltre alla capitale Baghdad, il pontefice dovrebbe recarsi a Ur dei Caldei per ricordare la comune discendenza da Abramo di cristiani e musulmani per poi dirigersi a nord per incontrare i profughi di Mosul e di Ninive ancora oggi rifugiati a Erbil e nelle altre aree del Kurdistan irakeno. “Il nostro futuro resta ancora oscuro anche se c’è voglia di ricominciare. La visita di papa Francesco in Iraq, aggiunge il Patriarca di Baghdad, è fonte di gioia e di emozione per tutto il Paese, un evento che unisce cristiani e musulmani”. Già in passato si era parlato di una possibile visita del Pontefice nel Paese mediorientale ma non vi erano ancora le condizioni di sicurezza per un viaggio così impegnativo e delicato. Adesso invece c’è più fiducia e tutti vogliono incontrare un Papa che si è appena recato negli Emirati Arabi e in Marocco. Mancano ancora molti mesi all’arrivo del Santo padre ma la gente ha già iniziato a fare festa, da Erbil a Mosul. C’è molta attesa anche nel Kurdistan irakeno dove hanno trovato rifugio centinaia di migliaia di profughi in fuga dall’Isis nell’estate 2014, sia musulmani che cristiani. Anche i musulmani, sunniti e sciiti, sono felici di questa visita perché papa Francesco gode del profondo rispetto dei capi religiosi. Si prega intanto affinché l’Iraq non ricada in tensioni che vengono dai “mai sopiti conflitti delle potenze regionali”. Si teme, spiega il cardinale Sako, che la tensione crescente fra l’Iran e gli Stati Uniti porti ad una guerra con ricadute regionali, nuovi lutti e sofferenze.

 

 

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