I Carabinieri della Provincia di Asti – coadiuvati da personale dell’Arma proveniente dall’intero Piemonte – sono stati impegnati nell’esecuzione di 15 provvedimenti restrittivi e altrettante perquisizioni domiciliari a carico di un gruppo di soggetti italiani, albanesi e marocchini ritenuti, a vario titolo, gravemente indiziati di gestire una rilevantissima piazza di spaccio ad Asti, dall’interno degli stabili occupati di Corso Casale e Corso Volta. Oltre 100 i militari coinvolti nell’operazione. L’articolata attività d’indagine – coordinata dal Procuratore della Repubblica di Asti Alberto Perduca e dal Sostituto Gabriele Fiz – ha permesso di documentare – dall’ottobre del 2018 al maggio 2019 – oltre 2000 cessioni di cocaina e acquisire gravi indizi di colpevolezza in particolare su 15 indagati, tutti sottoposti a misura detentiva dal G.I.P. di Asti Dott. Giorgio Morando. Le attività investigative nei confronti di uno dei soggetti destinatari di misura cautelare sono state svolte anche dalla Guardia di Finanza di Asti. All’operazione hanno preso parte anche le unità cinofile dei Carabinieri di Volpiano e della Polizia Penitenziaria di Asti. Nel corso delle investigazioni sono stati identificati 300 astigiani che si rifornivano di cocaina dagli indagati. Nei prossimi giorni verranno segnalati alla Direzione Provinciale della Motorizzazione Civile di Asti per la revisione della patente.
Furti di rame, interviene la polizia
Arrestato grazie alle indagini condotte dalla Squadra Mobile della Questura di Vercelli uno dei componenti della “batteria” del fotovoltaico. Avevano rubato in cinque imprese agricole situate tra le province di Vercelli, Verona, Rovigo e Padova ingenti quantità di rame, per un valore di centinaia di migliaia di euro, individuando aziende ben precise alimentate da pannelli fotovoltaici. Il loro modus operandi era quello di partire nel tardo pomeriggio dalla propria “base operativa”, sita in un campo nomadi torinese, con un furgone ed un’autovettura, per effettuare dei sopralluoghi nell’orario di chiusura di alcune ditte situate in zone di campagna. Una volta riusciti a “studiare” le difese delle aziende (sistemi di allarme, impianti di videosorveglianza) decidevano di “colpire” in tarda notte, causando notevoli danni e rubando materiale ferroso dall’ingente valore economico. A causa dei danni procurati, le aziende colpite sono state costrette a bloccare la propria produzione per settimane. Successivamente i criminali, senza fare ritorno alla base, si recavano direttamente dai “ricettatori”, due coniugi titolari di un esercizio commerciale dedito allo smaltimento di materiale ferroso nella periferia di Torino, per scaricare e vendere quanto rubato. Le attività investigative, coordinate dalla Procura della Repubblica di Vercelli, hanno permesso, grazie alla minuziosa analisi dei transiti autostradali, delle immagini di videosorveglianza, delle celle telefoniche ed attraverso pedinamenti ed appostamenti di individuare tutti i componenti della banda. Per tre di loro è scattato il provvedimento di cattura, mentre altre cinque persone, tra cui i ricettatori, sono state indagate in stato di libertà. Il “blitz” delle Squadre Mobili delle Questure di Vercelli e di Torino, in collaborazione con la Polizia Municipale, ha permesso di arrestare uno dei catturandi, mentre altri due soggetti potrebbero essere fuggiti all’estero. Per quest’ultimi sono stati già avviati i contatti con le Autorità Giudiziarie estere per l’emissione di un mandato di arresto europeo. Tutti i componenti della banda, ad esclusione dei ricettatori, sono di nazionalità rumena e risultano specializzati nella commissione di tale tipo di furti.
Al MEF di Torino mostra di beneficenza
Arte e solidarietà. Un binomio non nuovo, che diventa gesto ancor più straordinario e lodevole quando il cuore dell’arte si apre per dare aiuto al mondo dell’infanzia. E’ quanto capita, ancora una volta, con “SolidArte”, evento giunto quest’anno alla sua sesta edizione, promosso da OAF-I (Organizzazione di Aiuto Fraterno – Italia), in collaborazione con il torinese Museo Ettore Fico, il patrocinio del Consiglio Regionale del Piemonte e della Città di Torino, e finalizzato a sostenere “Vita ai bambini”, un progetto del Sermig di Ernesto Olivero teso ad offrire un’accoglienza residenziale, presso l’Eremo di Pecetto, a bambini stranieri (e alle loro famiglie) affetti da gravi patologie, che vivono nei Paesi più poveri dell’Europa dell’Est, dell’Asia Centrale e del Sud America, in zone dove non esistono strutture ospedaliere in grado di curare la loro malattia. A questi bambini – seguiti da associazioni internazionali che lavorano nell’ambito della tutela dei loro diritti e dai Servizi Sociali degli Ospedali, in particolare del “Regina Margherita” di Torino – si è pensato, organizzando presso il MEF – Museo Ettore Fico di via Cigna una mostra d’arte di beneficenza, che vede esposte le opere di 25 importanti artisti, fra i più rappresentativi dell’arte contemporanea italiana e internazionale, a partire da sabato 25 fino a giovedì 30 maggio, giorno in cui, a partire dalle ore 18, si svolgerà la vendita al pubblico dei lavori esposti. Curata da Michela Frittola, la rassegna ospita opere di grande interesse, sotto l’aspetto artistico e storico, a firma di nomi assolutamente prestigiosi che vanno da Arnaldo Pomodoro (fratello maggiore di Giò Pomodoro e fra i grandi della scultura contemporanea internazionale), ad Alessandro Mendini, recentemente scomparso e nella cerchia dei rinnovatori a partire dagli anni Settanta del design italiano, via via fino ad Ettore Fico con un’opera donata dallo stesso Museo a lui dedicato e a due protagonisti (entrambi torinesi) della ricerca pittorica d’avanguardia degli anni Sessanta come Piero Gilardi (con i suoi iperrealistici “tappeti natura” in poliuretano espanso) e Giorgio Griffa (con i suoi astratti fantasiosi “segni primari”). A seguire opere di Riccardo Guarneri, maestro della “pittura analitica”, di Mario Airò, Marco Bagnoli e Massimo Bartolini, accanto alla surrealistica icona dell’effimero come la “Colazione” in ceramica policroma del duo romagnolo Bertozzi & Casoni e al “visionario concettualismo” dell’accoppiata irpina Perino & Vele. Tutti artisti presenti nelle collezioni di importanti musei pubblici e privati; cui s’aggiungono altri (e il tasso di valore è sempre assolutamente alto) che vanno da Franco Guerzoni, a Ugo La Pietra, a Nino Longobardi, a Eva Marisaldi e ad Alfredo Pirri. In parete troviamo anche un’opera di Nunzio (al secolo, Nunzio Di Stefano, aquilano operante a Torino), che racconta la rigorosa geometria di immagini forti, matematiche tracce di un nero assoluto, contrapposto alla “scultura luminosa” – giocosa installazione fra arte figurativa e design – di Marco Lodola. A chiudere la rassegna, sono infine alcuni dei protagonisti dell’attuale scena artistica subalpina, come il segusino Francesco Barocco ( con la sua innovativa “indefinita” ritrattistica ), Enrico T. De Paris e il fumettista Massimiliano Frezzato, insieme alle nuove generazioni che portano i nomi di Paolo Bini, Rebecca Moccia, Serena Vestrucci ( vincitrice a Milano del “XVIII Premio Cairo”) e l’albese Eugenio Tibaldi, già presente due anni fa al MEF con una suggestiva installazione dal titolo “Seconda Chance”, frutto di una lunga e attenta permanenza dell’artista nella periferica Barriera di Milano, esplorata e raccontata nelle sue molteplici sfaccettature, in un percorso creativo dove il cambiamento porta i segni di “tutti i passati e tutte le culture”.
Gianni Milani
“SolidArte 2019”
MEF – Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/853065 o www.museofico.it
Da sabato 25 maggio a giovedì 30 maggio
Orari: dal merc. alla dom. 11/19
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Nelle foto, opere di: Arnaldo Pomodoro, Piero Gilardi, Bertozzi & Casoni, Nunzio, Marco Lodola e Francesco Barocco
Studenti piemontesi a Praga e Terezìn
Venticinque studentesse e studenti piemontesi, accompagnati da cinque docenti e da uno degli esperti degli Istituti storici della Resistenza del Piemonte parteciperanno dal 30 maggio al 2 giugno al viaggio studio a Praga, capitale della Repubblica Ceca, e al lager di Terezìn. Il viaggio in questi luoghi della memoria è riservato agli studenti vincitori della 38° edizione del progetto di Storia Contemporanea, promosso dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico regionale.
Praga, una città mai uguale a se stessa
Praga si specchia, da più di dieci secoli, nelle acque della Moldava, dominata dal Castello (Pražský hrad), la più grande fortezza medievale esistente, oltre che simbolo emblematico del grande passato storico, culturale e sociale della capitale. Il centro storico della città è formato da sei quartieri che, in passato, erano città indipendenti e che vennero unificate nel Settecento: Staré Mesto, cioè la Città Vecchia, Josefov, il quartiere ebraico che, attualmente, fa parte della Città Vecchia, Nové Mesto, cioè la Città Nuova, Malá Strana, cioè la Parte Piccola, Hradcany, ossia il quartiere Novy Svet, e Vysehrad. La capitale boema esercita un fascino del tutto particolare, ed è facile rimanere colpiti dalla sua atmosfera, dalle vie strette e dai ponti, da palazzi e chiese, dalle statue. Dal Ponte Carlo, vecchio ormai di quasi sette secoli e lungo mezzo chilometro tra la città vecchia e Malà Strana, con i suoi “protettori di pietra”, fino alla Torre dell’Orologio, all’isola di Kampa, alla via dell’Oro (Zlatá ulička), dove vivevano, all’epoca di Rodolfo II, gli alchimisti, segregati nelle piccole casette (Puppenhaus). La leggenda più nota è quella del Rabbino Loew e del suo Golem. Si racconta che Rabbi Jehuda ben Bezalel, nel ‘500, creò un gigante di argilla destinato a difendere gli ebrei dalle persecuzioni. Praga è così: mai uguale a se stesse, sfuggendo a qualsiasi etichetta e definizione, si presenta immobile, vorticosa e originale.
Le tombe all’ombra dei sambuchi
Il vecchio cimitero ebraico di Praga (in ceco Starý Židovský Hřbitov), fondato nel 1439, è uno dei più celebri in Europa. Per oltre tre secoli, a partire dal Quattrocento, a fianco della vecchia sinagoga è stato l’unico luogo dove gli ebrei di Praga potevano seppellire i loro morti. Le dimensioni sono rimaste all’incirca quelle medievali e, nel tempo, si è sopperito alla mancanza di spazio sovrapponendo le tombe, perché il cimitero non poteva espandersi fuori dal perimetro esistente. In alcuni punti sono stati creati fino a nove strati di sepolture diverse. L’affastellarsi delle lapidi, l’una contro l’altra, il silenzio assoluto del luogo, la penombra creata dalle fronde degli alti sambuchi che crescono nel cimitero, danno a questo luogo un’aura spettrale. Le tombe consistono in lapidi di arenaria o di marmo, piantate nella terra. Solo dai disegni simbolici si può intuire la professione o le qualità del defunto: forbici per sarti, pinzette per i medici, mani che benedicono per i sacerdoti e così via. Si contano circa dodicimila lapidi, ma si ritiene che vi siano sepolti oltre centomila ebrei. La tomba più antica è quella di Avigdor Kara e risale al 1439, mentre l’ultima è quella di Moses Beck del 1787. Durante l’occupazione tedesca, il cimitero fu risparmiato: le autorità occupanti del Terzo Reich decisero che sarebbe rimasto “a testimonianza di un popolo estinto”.
La persecuzione nazista
Nel quartiere ebraico di Praga, Josefov, ci sono sette sinagoghe. Nella sinagoga Pinkas è collocato ilMonumento agli Ebrei Boemi e Moravi, vittime delle persecuzioni naziste. Furono 80 mila quelli trucidati nei campi di sterminio i cui nomi sono stati scritti tutti a mano lungo le pareti del museo. La Pinkasova è la seconda più antica del ghetto e, oggi, è un luogo aperto al pubblico dedicato ai 77.297 ebrei di Boemia e Moravia, vittime dell’Olocausto. Al primo piano della sinagoga si può visitare l’esposizione dei Disegni dei bambini di Terezín 1942–44, una delle testimonianze più toccanti e agghiaccianti della vita dei piccoli all’interno del lager di Terezìn.
Terezìn, la “città di Teresa“
Terezìn si trova ad una sessantina di chilometri a nordovest di Praga. Nell’arco di un decennio, tra il 1780 ed il 1790, l’imperatore d’Austria Giuseppe II fece edificare questa “città di guerra” proprio al centro della Boemia. La città prese il nome di Theresienstadt (in ceco, appunto, Terezìn), ovvero la “città di Teresa“, in onore della madre, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Il profilo era quello di una città militare, divisa in due parti ( la “piccola” e la “grande” fortezza), progettata allo scopo di difendere Praga da attacchi provenienti da nord, edificata alla confluenza dell’Ohře (Eger in tedesco) con l’Elba, uno dei fiumi più lunghi dell’Europa centrale. Il punto prescelto era all’altezza della divisione in due rami dell’ Ohře.
Le due fortezze
Lungo il ramo più a occidente venne costruita la fortezza più grande e più munita. Lungo il ramo orientale, quella più piccola. La distanza tra le due è di circa un chilometro. Questo sistema difensivo poteva ospitare una popolazione di sei-settemila persone, compresa la guarnigione. Il ruolo militare di Terezìn era in funzione antiprussiana. Le lotte tra l’Austria e la Prussia di Federico II avevano insegnato che era cosa saggia, oltre che prudente, proteggere adeguatamente la capitale della Boemia. Però, nonostante la minaccia prussiana, rimase una città militare per meno di un secolo e non fu mai al centro di combattimenti. Così, nel 1882, fu abbandonata come sede di guarnigione e la piccola fortezza a oriente venne adibita a carcere per prigionieri particolarmente pericolosi, come Gavrilo Princip, che uccise l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e sua moglie il 28 giugno 1914 a Sarajevo, accendendo la scintilla che portò allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.Sul muro della cella numero 1 della “piccola fortezza” di Terezìn, tracciati sull’intonaco, vennero trovati gli ultimi versi di Gavrilo Princip: “Emigreranno a Vienna i nostri spettri e là si aggireranno nel Palazzo a incutere sgomento nei sovrani”.
Tra una guerra e l’altra
La regione di Theresienstadt/Terezìn, quella dei Sudeti, era da molti secoli abitata, prevalentemente, da popolazioni di etnia e lingua tedesca, pur trovandosi in territorio boemo. Dopo l’anschluss dell’Austria nel marzo del ’38, Hitler annesse anche la regione dei Sudeti nell’ottobre dello stesso anno, dopo aver ottenuto il consenso dei governi inglese e francese (ma non di quello cecoslovacco) alla Conferenza di Monaco. Così, nel 1940, la Gestapo iniziò la costruzione di un enorme ghetto nella fortezza, facendone un campo di lavoro forzato.
Da Terezìn alle camere a gas di Auschwitz
Nel periodo in cui durò il ghetto – dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione avvenuta l’8 maggio 1945 – passarono di qui 140 mila prigionieri. Proprio a Terezìn perirono circa 35 mila detenuti. Degli 87 mila prigionieri deportati a Est, dopo la guerra fecero ritorno solo 3.097 persone. Fra i prigionieri del ghetto di Terezìn ci furono all’incirca 15 mila bambini, compresi i neonati. Erano, in prevalenza, bambini degli ebrei cechi, deportati a Terezìn insieme ai genitori. La maggior parte di loro morì nel corso del 1944 nelle camere a gas di Auschwitz. Dopo la guerra non ne ritornò nemmeno un centinaio e di questi nessuno aveva meno di quattordici anni. I bambini sopportarono il destino del campo di concentramento insieme agli altri prigionieri di Terezìn.
Fame, miseria e sofferenza
Dapprima i ragazzi e le ragazze che avevano meno di dodici anni abitavano nei baraccamenti insieme alle donne; i ragazzi più grandi stavano con gli uomini. Tutti i bambini soffrirono con gli altri le misere condizioni igieniche e abitative e la fame. Soffrirono anche per il distacco dalle famiglie e per il fatto di non poter vivere e divertirsi come avrebbe richiesto la loro età. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita dei ragazzi facendo sì che venissero concentrati nelle case per i bambini. La permanenza nel collettivo infantile alleviò in pare, specialmente sotto l’aspetto psichico, l’amara sorte dei piccoli prigionieri.
La scuola del ghetto
Nelle case operarono educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono, nonostante le infinite difficoltà e nel quadro di limitate possibilità, a organizzare per i bambini una vita giornaliera e perfino l’insegnamento clandestino. Sotto la guida degli educatori i bambini frequentavano le lezioni e partecipavano a molte iniziative culturali preparate dai detenuti. E non furono solo auditori: molti di essi divennero attivi partecipanti a questi avvenimenti, fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per i bambini. I bambini di Terezìn scrivevano soprattutto poesie. Una parte di questa eredità letteraria si è conservata.
L’Olocausto con gli occhi dell’innocenza
L’educazione figurativa veniva organizzata nelle case dei bambini secondo un piano preciso. Le ore di disegno erano dirette dall’artista Friedl Dicker Brandejsovà. Il complesso dei disegni che si è riusciti a salvare e che fanno parte delle collezioni del Museo statale ebraico di Praga, comprende circa 4.000 disegni. I loro autori sono in gran parte bambini dai 10 ai 14 anni che utilizzavano le più svariati tipologie della pessima carta di guerra, quello che riuscivano a trovare, spesso utilizzando i formulari già stampati di Terezìn, le carte assorbenti. Per il lavoro figurativo i sussidi a disposizione non bastavano e i bambini dovevano prestarseli a vicenda.
Dalle farfalle alle esecuzioni
I disegni si possono suddividere in due gruppi: da una parte i disegni sul passato, sui ricordi dell’infanzia perduta. In questa categoria si collocano le raffigurazioni di giocattoli, di piatti pieni di cose da mangiare e della casa perduta, i disegni e i dipinti di prati pieni di fiori e farfalle, motivi fiabeschi e giochi per bambini. La collezione comprende, in prevalenza, questa tipologia di disegni. Il secondo gruppo, invece, è formato da disegni sul ghetto di Terezìn. Raffigurano la cruda realtà nella quale i piccoli erano costretti a vivere. Si vedono raffigurate le caserme di Terezìn, i blocchi e le strade, i baraccamenti con i letti a tre piani, i guardiani. Ma i bambini disegnavano anche i malati, l’ospedale, il trasporto, il funerale o un’esecuzione.
Credevano in un domani migliore
Nonostante tutto, però, i piccoli di Terezìn credevano in un domani migliore. Espressero questa loro speranza in alcuni disegni nei quali hanno raffigurato il ritorno a casa. In questi fogli c’è di solito la firma del bambino, talvolta la data di nascita e di deportazione a Terezìn e da Terezìn. La data di deportazione da Terezìn è anche, in genere, l’ultima notizia rimasta del bambino. Questo è tutto quello che sappiano sugli autori dei disegni, ex prigionieri bambini del ghetto nazista di Terezìn. La maggioranza dei bambini di Terezìn morì. Ma è rimasto il loro lascito letterario e figurativo che a noi parla delle sofferenze e delle speranze perdute.
Piazza San Venceslao, simbolo dell’indipendenza
A Praga è d’obbligo una visita alla piazza di San Venceslao. La Vaclavské, come la chiamano i praghesi, è un luogo alquanto anomalo. Più che una piazza vera e propria è un largo viale lungo 750 metri nel cuore di Nové Město, la città nuova. Piazza San Venceslao, i Piccoli Champs-Élysées, rappresenta il simbolo dell’identità praghese e ceca da quando, nel 1848, durante i moti rivoluzionari, venne chiamata così. Nel 1918 fu da qui che partirono le rivolte antiasburgiche a favore dell’indipendenza nazionale, dichiarata il 28 ottobre dello stesso anno. E fu lì che, nell’agosto del 1968 i praghesi protestarono contro l’invasione dei carri armati sovietici venuti a stroncare la Primavera di Praga, l’esperimento di “socialismo dal volto umano” (in pratica una vera e propria liberalizzazione e democratizzazione della vita politica) portata avanti dai dirigenti comunisti di quel paese guidati da Alexander Dubček. Alla mente ritorna una delle più belle canzoni di Francesco Guccini: “Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita: come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita, quando la fiamma violenta ed atroce, spezzò gridando ogni suono di voce”. La fiamma è quella che, la sera del 16 gennaio 1969, trasformò in una torcia umana il corpo di un giovane studente di filosofia praghese, il ventenne Jan Palach. Il suo sacrificio fu un gesto di libertà, un grido contro tutte le tirannie.
Il “testamento” di Jan Palach
Jan Palach scrisse suo quaderno quello che può essere definito, a tutti gli effetti, il suo testamento politico. Vi si può leggere: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zparvy (il giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà“. Il gesto di Jan Palach non rimase isolato: almeno altri sette studenti, tra i quali il suo amico Jan Zajíc (la “torcia numero due”), seguirono il suo esempio.
“..la città intera che lo accompagnava”
Il funerale di Jan Palach (che venne poi sepolto nel cimitero di Olšany) fu programmato per domenica 25 gennaio 1969. L’organizzazione fu curata dall’Unione degli studenti di Boemia e Moravia. Vi parteciparono circa seicentomila persone, arrivate da tutto il paese, in silenzio, proprio come racconta la già citata canzone di Guccini (“dimmi chi era che il corpo portava, la città intera che lo accompagnava: la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga”). Quel giorno, in una Praga plumbea, scrisse Enzo Bettiza sul Corriere della Sera “il suono delle sirene a mezzogiorno e il rintocco delle campane trasformano l’intera città in un «paesaggio pietrificato», dove tutti rimangono fermi e silenziosi per cinque minuti”. Il monumento in sua memoria (e di Jan Zajíc ) è poco visibile. Si trova a pochi metri dalla fontana davanti all’edificio del Museo Nazionale ed è stato realizzato in forma orizzontale. Dal lastricato del marciapiede emergono due bassi tumuli circolari collegati da una croce di bronzo (che simboleggia allo stesso tempo un corpo e una torcia umana). La posizione della croce indica la direzione in cui Jan Palach cadde a terra. Sul braccio sinistro della croce si leggono i nomi di Jan Palach e Jan Zajíc con le rispettive date di nascita e morte. Entrambi, e prima di loro, gli insorti di Budapest nel 1956, furono i primi caduti per la nuova Europa. Ci vollero vent’anni prima che il Paese riconquistasse, pienamente, indipendenza e libertà, fino al novembre del 1989, quando si avviò la “rivoluzione di velluto” che, in breve, rovesciò il regime cecoslovacco e filosovietico di Gustáv Husák ed elesse presidente della Repubblica lo scrittore e drammaturgo Václav Havel, mentre Dubček fu acclamato, riabilitato ed eletto presidente del Parlamento.
Marco Travaglini
Il Giro d'Italia arriva in quattro tappe
Quattro tappe del Giro d’Italia 2019 arrivano e partono in Piemonte. Un viaggio nella storia e nelle tradizioni ciclistiche piemontesi che inizia mercoledì 22 maggio con la tappa 11 Carpi (Mo) – Novi Ligure(Al): 221 km con arrivo nell’Alessandrino e nella città natale di Costante Girardendo.
Sulle strade dei due Campionissimi, anche l’omaggio a Fausto Coppi nel centenario della sua nascita. Il 23 maggio la tappa 12 Cuneo – Pinerolo (To), 158 km su un percorso intenso dove si affronta la prima salita a Montoso, nel Cuneese a 1.276 m. Venerdì 24 maggio il Giro riparte da Pinerolo (To) con la tappa 13 Pinerolo – Ceresole Reale (To): i ciclisti valicheranno il Col del Lys e attraversando le Valli di Lanzo giungeranno in Valle Orco, per poi salire a oltre 2200 metri di quota fino all’inedito arrivo al Lago Serrù, sopra il Comune di Ceresole Reale (To). 196 km con tre GPM – Gran Premio della Montagna. Dopo la tappa n.14 in Valle d’Aosta, il Giro torna in Piemonte domenica 26 maggio con la tappa 15 Ivrea (To) – Como: 232 km che attraversano Biellese, Vercellese e Novarese da dove i ciclisti lasceranno il Piemonte Orientale per dirigersi in Lombardia. Ad ogni edizione il grande appuntamento ciclistico diventa occasione di promozione turistica del territorio piemontese e rientra nei progetti strategici di valorizzazione sportiva, turistica e culturale che la Regione Piemonte sostiene insieme alle realtà locali. Inoltre la Regione ha organizzato un anno di eventi dedicati alla leggenda del ciclismo “Storia di un Campione. 100 anni di Fausto Coppi“
Le tappe in Piemonte:
22 maggio Tappa 11 Carpi – Novi Ligure
23 maggio Tappa 12 Cuneo-Pinerolo
24 maggio Tappa 13 Pinerolo-Ceresole Reale Lago Serrù
26 maggio Tappa 15 Ivrea-Como
www.regione.piemonte.it
Il pasto monastico del Baru-gongyang
Durante la Korea Week di Torino la monaca buddista, Jeong Kwan, star di Netflix, ha realizzato Il pasto monastico del Baru-gongyang, uno dei modi più ecologici e sostenibili di mangiare in cui non si produce alcun tipo di rifiuto.
Nooteboom racconta, prima di tutto, la storia di una comunità, mettendo in fila 83 omaggi a altrettanti autori, 83 pensieri raccolti di fronte alla loro ultima dimora. Lo scrittore ha così visitato le tombe dei grandi scrittori e filosofi che lo hanno segnato, raccogliendo quello che, dietro una lapide di marmo, un monumento bizzarro, un’epigrafe toccante o l’incanto di un’atmosfera, hanno ancora da raccontare
“La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare“. Per questo Cees Nooteboom, scrittore e giornalista olandese, nel corso di trent’anni di viaggi per il mondo “raccontando” fatti e vicende (come cronista, ha seguito come testimone tre momenti cruciali del secondo Novecento: l’invasione di Budapest nel 1956, la contestazione del Maggio francese nel 1968 e la caduta del muro di Berlino nel 1989), ha raccolto le storie contenute in un libro anomalo, intitolato “Tumbas. Tombe di poeti e pensatori “, edito da Iperborea. Nooteboom racconta, prima di tutto, la storia di una comunità, mettendo in fila 83 omaggi a altrettanti autori, 83 pensieri raccolti di fronte alla loro ultima dimora. Lo scrittore ha così visitato le tombe dei grandi scrittori e filosofi che lo hanno segnato, raccogliendo quello che, dietro una lapide di marmo, un monumento bizzarro, un’epigrafe toccante o l’incanto di un’atmosfera, hanno ancora da raccontare. Perché, come scrive “ comunicano a ognuno qualcosa di personale e accompagnano diversi momenti della nostra vita, innescando con noi un dialogo intimo al di sopra dello spazio e del tempo”.
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Dal cimitero parigino del Père-Lachaise dove “dimorano” Marcel Proust e Oscar Wilde alla pittoresca collina napoletana di Piedigrotta che ospita Leopardi, dalla cima del monte Vaea, nelle isole Samoa, dove è sepolto Robert Louis Stevenson, a Joyce ed Elias Canetti al camposanto zurighese di Fluntern in Svizzera. Sempre nella patria di Gugliemo Tell cìè la “dimora eterna” di Vladimir Nabokov, al Clarens di Montreux, sulla “riviera Svizzera” del lago di Ginevra mentre quella di Calvino si trova a Castiglione della Pescaia, Melville in un angolo sperduto del Bronx, e Kawabata nel suo Giappone; Keats e Shelley accanto a Gregory Corso nel romantico cimitero Acattolico di Roma; Brecht a due passi da Hegel a Berlino est; Brodskij insieme a Ezra Pound nell’immobile incanto dell’isola veneziana di San Michele, e il Montparnasse di Baudelaire, Beckett e Sartre, a cui ha scelto di unirsi anche Susan Sontag. Un libro bello, dalla copertina stupenda ( la più bella del 2015, secondo Tuttolibri) che riporta una foto scattata da Simone Sassen, compagna delo scrittore olandese: una bottiglia d’assenzio sulla tomba di Cortàzar. Ogni tomba è un lampo sul mondo dello scrittore che la occupa, rievocando una poesia, un frammento di vita o di libro, ispirando folgoranti riflessioni e inattesi collegamenti, in un appassionante pellegrinaggio indietro e avanti nella storia della letteratura e del pensiero, che con Nooteboom diventa una meditazione poetica sull’uomo, il tempo e l’arte. Mentre a ogni pagina cresce il desiderio di andare a leggere e rileggere le opere dei suoi cari immortali. Magari sorseggiando un goccio di “fata verde”, quell’assenzio che è stato cantato come il liquore dei poeti maledetti.
Marco Travaglini
Sarà con lo spettacolo di cabaret “Tacatevi al Treno” dei comici piemontesi Marco & Mauro che l’Usd Salsasio festeggerà i suoi 30 anni di fondazione. L’evento si svolgerà SABATO 25 MAGGIO alle ore 21 e si terrà presso la struttura coperta del PalaConcordia del Circolo La Concordia di Salsasio con ingresso da Largo Beppe Canalis
L’associazione sportiva “Unione Sportiva Dilettantistica Salsasio” è stata fondata nel 1986, ma fu nell’89 quando iniziarono le attività ufficiali nel nuovo centro sportivo “Giorgio Demichelis” del Complesso “I Salici” di Salsasio. Quell’anno iniziò anche a militare nel campionato la nuova squadra rossonera. Un nuovo statuto venne inoltre scritto nel 1989 e fu quella la data di inizio dei rossoneri.A distanza di 30 anni il Salsasio ha tra le sue attività il calcio ed il tennis: una prima squadra militante nel campionato di seconda categoria, il settore giovanile con il centro calcistico di base, una squadra di calcio di ragazzi autistici adulti unica in Piemonte e seconda in Italia per esistenza e il campo da tennis con i suoi corsi per bambini, adulti e corsi individuali. Il centro sportivo di Salsasio attualmente dispone di tre campi da calcio e uno di tennis, ma sono molte le attività ed i progetti che vuole portare avanti l’Usd Salsasio capitanata dal presidente Giuseppe Quattrocchio. Nei prossimi comunicati stampa verrà riproposta la storia della società rossonera e del centro sportivo “Giorgio Demichelis” di Borgo Salsasio. L’invito rimane quindi per sabato 25 maggio alle 21 presso il Circolo La Concordia per lo spettacolo di Marco & Mauro “Tacatevi al Treno”. I due comici piemontesi, conosciuti per le sue partecipazioni nei programmi televisivi di tv locali e nazionali, da anni animano le piazze ed i teatri dei vari paesi della Regione con i loro spettacoli di cabaret. A Salsasio il 25 maggio Marco & Mauro metteranno in scena il suo spettacolo “Tacatevi al Treno”, uno spettacolo nuovo e divertente che animerà la serata. Si tratterà di una prima assoluta per il territorio carmagnolese, in quanto lo spettacolo non è ancora stato proposto nel territorio di Carmagnola fino ad ora. Tutto il Consiglio di Amministrazione dell’Usd Salsasio intende invitare la popolazione a partecipare a questo evento di festa. Per informazioni: 347 6952219 – 345 67147782.
Ivan Quattrocchio
In vista del voto di domenica, con il quale si eleggerà anche il Presidente della Regione, La Stampa ha organizzato un confronto fra i quattro candidati
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di Romana Allegra Monti
Sotto le righe. Questo il primo commento che sorge spontaneo al termine del confronto tra candidati presidente organizzato da La Stampa e svoltosi ieri nel tardo pomeriggio al Piccolo Regio. Alberto Cirio (coalizione centro-destra), Sergio Chiamparino (coalizione centro-sinistra), Valter Boero (Popolo della Famiglia) e Giorgio Bertola (Movimento 5 Stelle) in un confronto all’americana, come quello che si fece al teatro Carignano nelle amministrative 2016. Domande differenti per i quattro candidati, senza possibilità di replica: accanto a loro un grande orologio sul palco a dettare il tempo, uguale per ciascun esponente, nel quale rispondere ai quesiti posti dal moderatore, il direttore Molinari. Vietati commenti e applausi da parte del pubblico. La prima tornata di domande elaborate dai lettori per i singoli candidati, vertevano su lavoro giovanile e investimenti, liste d’attesa in sanità, Tav; la seconda, invece, predisposta dalla redazione, con quesiti anche di carattere nazionale.Boero che dà del nonno a Chiamparino e quest’ultimo che risponde a Cirio con una stoccata:” avere un piede in un governo che tiene bloccata la Tav per ragioni che ben si sono viste in questo dibattito tra Bertola e Cirio, per equilibrismi di potere, serve esattamente a zero”. E mentre Boero si dice aperto a collaborare con un eventuale Presidente che si faccia carico del reddito di maternità, le frecciatine continuano a esser di poco conto: “farei fatica a dare fiducia a un Presidente che prima dice che non si sarebbe ricandidato e il giorno dopo si ricandida – asserisce secco Bertola – volevo proprio precisarlo”. Questa forse la più pungente, tanto per rendere l’idea. Un Bertola più vigoroso del solito, un Boero più ironico e un Chiamparino prudente, che punta tutto sulla sua autonomia decisionale presente e passata. A nostro avviso, chi esce rafforzato da questo confronto, è Alberto Cirio. Dal punto di vista della comunicazione politica la sua immagine performativa nel complesso risulta convincente, anche se a tratti si è avvicinata allo stucchevole, egli sceglie la strategia opposta a Bertola: non attacca mai i suoi avversari o i “governi precedenti”, insomma si allontana dal modello Salvini, anche dichiarando apertamente il suo essere “geneticamente antifascista”.Alla domanda “come sono stati i candidati a confronto?” si può tranquillamente rispondere che sono stati composti e fin troppo cauti nelle risposte, ma anche nelle boutades: forse un bene per i gusti di una sabauda platea dall’età anagrafica piuttosto elevata.
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Leggi le nostre interviste ai candidati:
GIORGIO BERTOLA http://www.iltorinese.it/bertola-cosi-il-piemonte-cambia-passo/
ALBERTO CIRIO http://www.iltorinese.it/intervista-cirio-le-mie-proposte-per-un-nuovo-piemonte/
VALTER BOERO http://www.iltorinese.it/boero-lunica-scommessa-in-cui-si-e-sicuri-di-vincere-e-quella-della-famiglia/
SERGIO CHIAMPARINO http://www.iltorinese.it/chiamparino-abbiamo-credibilita-per-le-sfide-che-il-piemonte-ha-davanti/
Torino-Lazio, i precedenti
Torino-Lazio di domenica pomeriggio (ore 15) sarà il confronto numero 64 in Serie A nella città piemontese tra il Toro e i bianco-celesti capitolini. Nei precedenti 63 incontri si contano 27 affermazioni granata e 13 laziali, con il “contorno” di 23 pareggi (e i torinesi avanti per 95-70 nel computo delle reti)
Il primo confronto in assoluto risale al 12 gennaio 1930 (tredicesima giornata della Serie A 1929-’30, cioè la prima a girone unico): successo granata per 1-0, grazie a una prodezza di Julio Libonatti al 41′. L’ultima affermazione torinista risale, invece, alla stagione 2013-’14 (quella della qualificazione in Europa League, per intenderci), quando l’8 dicembre 2013, alla tredicesima giornata, i capitolini s’inchinano a un acuto di Kamil Glik al 19′: 1-0. Per quanto riguarda la Lazio, la prima vittoria della “squadra che ha portato il calcio a Roma” è il 2-0 della decima giornata della stagione 1935-’36 (8 dicembre 1935), mentre la più recente è l’1-0 della scorsa stagione (trentacinquesima giornata, 29 aprile 2018). La più netta affermazione del Toro è il 5-1 col quale il Grande Torino schianta gli “aquilotti” il 23 febbraio 1947 (ventunesima giornata della stagione 1946-’47), mentre il più corposo successo capitolino è il 4-0 con cui la Lazio espugna Torino il 30 settembre 2006 (quinta giornata del 2006-2007). L’ultimo pareggio, infine, risale alla stagione 2016-’17: 2-2 alla nona giornata (23 ottobre 2016). Oltre alla Serie A a girone unico, le due compagini si sono incontrate anche nel girone eliminatorio della Divisione Nazionale 1927-’28 (penultima edizione prima del girone unico): netto successo 3-0 di un Toro destinato a vincere il suo primo scudetto (in teoria il secondo, se si prende in considerazione anche quello della stagione precedente, revocato per motivi mai del tutto chiariti e finora rimasto non assegnato). Granata e bianco-celesti si sono, inoltre, incontrati nella città sabauda anche in Coppa Italia: quattro volte, nelle edizioni 1979-’80, 1991-’92, 1992-’93 e 2014-’15. La prima occasione vede il Toro bloccato sullo 0-0 nell’andata dei quarti di finale, ma poi in grado di passare il turno vincendo per 4-3 ai rigori la gara di ritorno, anch’essa terminata sul nulla di fatto: è un Torino che può ancora contare sui “gemelli del goal” Paolino Pulici e Francesco “Ciccio” Graziani, un Toro destinato a battere ai rigori la Juventus in semifinale, perdendo però la finale con la Roma, sempre nella “lotteria” dei penalty. Granata e “aquilotti” si ritrovano nella Coppa nazionale per due edizioni di fila all’inizio degli Anni Novanta, con il pimpante Toro di Emiliano Mondonico che ha la meglio in entrambi i casi: 2-0 nell’andata degli ottavi di finale nella prima occasione (e passaggio del turno grazie al successivo 0-0 al ritorno nell’Urbe) e sofferto 3-2 nel ritorno dei quarti dell’edizione successiva (dopo il 2-2 dell’andata nella Capitale), cioè quella vinta dai granata nell’indimenticabile doppia finale con la Roma. L’ultimo confronto è, infine, quello degli ottavi di finale dell’annata 2014-’15, conclusosi col successo laziale per 3-1. Il bilancio in Coppa Italia vede, quindi, 4 confronti, con 2 vittorie granata, una laziale e un pareggio, con il Torino avanti per 6-5 nel computo delle reti. In totale, tra i vari campionati e la Coppa Italia, il Torino ha ospitato la Lazio 68 volte: si contano 30 vittorie granata, 14 laziali e 24 pareggi, col Toro avanti per 104-75 nel conteggio delle realizzazioni.
Giuseppe Livraghi