L’appello dell’Associazione degli esuli ANVGD
Il 10 febbraio sarà il Giorno del ricordo delle foibe e dell’esodo Giuliano-Dalmata. L’Associazione degli esuli, l’ANVGD, ha lanciato il seguente appello che dovrebbe essere al centro del dibattito in ogni manifestazione del 10 febbraio in tutta Italia. Il tentativo di negare o di ridurre la portata dei crimini contro gli Italiani avvenuti al confine Orientale continua ed e’ quindi doveroso aderire alla sollecitazione che viene dall’ANVGD
(pfq)
Richiesta di istituzione di una Commissione parlamentare presso la Camera
dei Deputati per la Strage di Vergarolla e i crimini commessi nel Confine
Orientale
La Repubblica italiana è nata con un profondo vulnus al suo confine
orientale. Le tumultuose fasi conclusive della Seconda guerra mondiale nelle
province di Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara videro eclissarsi definitivamente la
statualità italiana, resasi qui effimera già all’indomani dell’8 settembre 1943, e
prendere il potere di fatto le forze partigiane jugoslave del Maresciallo Josip Broz
“Tito”, che avevano posto fine alla presenza nazista (Zona di Operazioni Litorale
Adriatico, formalmente facente parte della Repubblica Sociale Italiana, di fatto
annessa al Reich). Ancora prima che la zona di frontiera venisse separata in base agli accordi
di Belgrado tra una Zona A sotto amministrazione militare anglo-americana (le
città di Gorizia, Trieste e Pola) ed una Zona B sotto amministrazione militare
jugoslava (Fiume e l’entroterra delle altre tre province, laddove Zara si
considerava già assegnata alla rinascente Jugoslavia), l’occupazione “titina” segnò
pagine luttuose per la comunità italiana. La guerra di liberazione nazionale
jugoslava aveva assunto caratteristiche annessioniste e gli oppositori del progetto
andavano eliminati. Nei “Quaranta giorni” trascorsi dal primo maggio al 12
giugno 1945 centinaia di italiani risultarono infoibati (in continuità con le stragi
di settembre-ottobre 1943 in Istria e Dalmazia), deportati, eliminati
sbrigativamente o scomparsi senza far più ritorno. Non si trattava solamente di
fascisti o collaborazionisti, ma anche di antifascisti, democratici e patrioti che,
dopo aver combattuto nella Liberazione contro i fascisti e i nazisti per la
liberazione di quei territori, adesso si opponevano alle mire del regime comunista
di Belgrado: d’altro canto già durante la Resistenza ci furono episodi in cui
partigiani italiani furono eliminati o fatti oggetto di delazione da parte jugoslava
in quanto ribadivano l’italianità di queste terre.
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Anche nei mesi che precedettero la firma del Trattato di Parigi il 10 febbraio 1947
nelle zone sotto controllo jugoslavo, in violazione di ogni normativa internazionale
e in spregio ai diritti umani, le autorità “titine” procedettero ad un sostanziale
processo annessionistico, eliminando in primo luogo il Comitato di Liberazione
Nazionale dell’Istria, che si era riattivato al fine di fronteggiare questa nuova
dispotica presenza straniera. La longa manus dei servizi segreti jugoslavi e della
sua polizia politica (Ozna) operava con il chiaro intento di colpire la presenza
italiana in quelle regioni.
Ad oltre un anno dal 25 aprile, mentre l’Assemblea Costituente ormai
operava alacremente e in un clima di ritrovata serenità, il 18 agosto 1946 a Pola,
città ancora formalmente italiana, un attentato provocò una carneficina con un
numero di morti che, a seconda delle diverse fonti, oscilla tra le 70 e le 110 unità
(a riprova dell’esigenza di approfondire tali accadimenti), cui sommare un
centinaio di feriti, tra i bagnanti che in località Vergarolla assistevano ad una
manifestazione sportiva. Si trattò della prima strage della storia dell’Italia
repubblicana, con un numero di vittime impressionante e paragonabile alle ben
più note stragi degli Anni di Piombo. Recenti pubblicazioni scientifiche
hanno fornito più dubbi che soluzioni alla
ricostruzione dei fatti, mentre il Comune di Gorizia ha dato risalto alle ricerche
condotte presso l’Archivio Centrale di Stato e l’Archivio Diplomatico del Ministero
degli Affari Esteri da un gruppo di ricercatori della Lega Nazionale in merito alla
sorte dei deportati dal capoluogo isontino, di cui non si è saputo più nulla.
Fondamentale sarebbe poter ampliare lo spettro delle ricerche in merito alla sorte
dei nostri connazionali ed alle dinamiche che portarono all’eccidio di Vergarolla
accedendo a fonti archivistiche custodite negli Stati successori della Jugoslavia. Il
recente recupero delle salme degli infoibati di Castua vicino a Fiume, tra i quali il
Senatore del Regno Riccardo Gigante, ha dimostrato un’attitudine a collaborare
da parte delle autorità della Repubblica di Croazia, con cui sarà opportuno
cooperare per individuare altri siti in cui giacciono spoglie di nostri connazionali
in Istria, Carnaro, Dalmazia ovvero laddove sorgevano campi di concentramento
nell’entroterra croato.
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L’approfondimento di queste ricerche e l’impostazione di sinergie con
Lubiana, Zagabria e Belgrado (ove sono ancora conservati archivi della ex
Repubblica Socialista Federale Jugoslava) non possono essere affidate solamente
alla buona volontà ed alla determinazione degli storici e dei ricercatori che
afferiscono alle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, ma necessitano
di un adeguato sostegno istituzionale.
Il 2 giugno 1946 le popolazioni del confine orientale, ancora appartenenti in
punta di diritto allo Stato italiano, non poterono partecipare al Referendum
istituzionale, segnando un’altra grave tappa nella scissione delle tragedie vissute
al confine orientale italiano dal resto della storia patria.
Anche in considerazione delle recenti polemiche scaturite da dichiarazioni
di associazioni e centri culturali il cui unico scopo è quello di negare
l’esistenza delle foibe, una Commissione d’inchiesta parlamentare dedicata
a ricostruire le pagine ancora oscure di questo oscuro dopoguerra sanerebbe
parzialmente questa ferita e contribuirebbe a fare chiarezza su eventi che
ancora oggi risultano oggetto di polemiche, giustificazionismi,
interpretazioni fuorvianti e strumentali.