“Provate a immaginare cosa voglia dire veder arrivare amici come quelli di cui si parla in questo libro, amici che ti aiutano a guarire, che t’istruiscono su come proteggerti. Se anche con questo progetto avessimo salvato una sola vita, il suo scopo sarebbe stato già soddisfacente. Invece parliamo di centinaia e centinaia di donne curate e salvate, oltre a quelle che, grazie a un sistema integrato di osservazione, cura e trattamento, saranno salvate in futuro”. Così scrive, a commento di “Tra il bene e il male” (Infinito edizioni,2017) , Azra Nuhefendić, giornalista di origine bosniaca che da più di vent’anni vive e lavora a Trieste. Una storia di quelle che contano, straordinariamente importante, sulla dura e quotidiana battaglia contro tumori e inquinamento a Zenica, nel lungo e difficile dopoguerra della Bosnia. A raccontarla è RE.TE , una Ong italiana da trent’anni impegnata in un percorso che accompagna i processi di miglioramento della qualità della vita delle comunità in Africa, America Latina, Balcani ed Europa, per restituire dignità a quella parte di popolazione che vede negati ipropri diritti al cibo, all’istruzione, all’infanzia, alla salute, a un lavoro degno, alla terra. Il libro che raccoglie questa vicenda e che – come si vedrà – lega la comunità piemontese a quella del Cantone bosniaco-erzegovese di Zenica-Doboj, è curato da Alessia Canzian con la prefazione di Lidia Menapace e l’introduzione di Maria Cinzia Messineo.
Sono molti i protagonisti di questa storia “corale”, iniziata subito dopo la fine della guerra in Bosnia Erzegovina (1992-1995) e ancora non del tutto conclusa. Una storia d’impegno e solidarietà concreta che ha visto protagonisti donne e di uomini che hanno investito una parte della loro vita per realizzare un desiderio di sviluppo equo. Una realtà che ho potuto conoscere da vicino. Anni fa sono stato a Zenica, la quarta città più grande della Bosnia, capoluogo del cantone di Zenica-Doboj. Si trova circa 70 km a nord di Sarajevo ed è circondata da colline e montagne, mentre la Bosna, il fiume che dà il nome alla nazione, l’ attraversa per intero. Lì era stato avviato un piano sanitario, partendo da una piccola località – Breza – per estenderlo a tutto il territorio del cantone, che prevedeva un programma di screening dei tumori femminili al collo dell’utero e l’istituzione di un Polo Oncologico presso l’ospedale del capoluogo, grazie all’aiuto e alle competenze della Regione Piemonte e della Rete Oncologica che ha sede alle Molinette, in corso Bramante a Torino. Un progetto importante perché a Zenica (circa centoquindicimila abitanti) e nel suo cantone (oltre settecento mila) non esistevano nessuna indagine epidemiologica, nessun intervento preventivo per i tumori, nessuna struttura ospedaliera che potesse offrire una cura di contrasto alle neoplasie in regime di day hospital. Per curarsi ( chi poteva economicamente permetterselo, ovviamente) occorreva andare a Sarajevo o a Zagabria, in Croazia. Così, con un lungo e paziente lavoro, nel maggio del 2008, è stato inaugurato il Polo oncologico dell’ospedale cantonale di Zenica, come logica continuazione dell’esperienza pilota di screening oncologico avviata anni prima nel Comune di Breza e nel Cantone. Un progetto che ha permesso la totale ristrutturazione di un ala dell’edificio della casa di cura per ospitare il reparto di oncologia e lo svolgimento delle attività di formazione in Serbia, a Belgrado, e in Italia, aTorino, per i medici e per gli infermieri. Oggi l’ospedale cantonale di Zenica, grazie a questo lavoro, alle verifiche ed alla progettazione di percorsi diagnostico-terapeutici svoltisi in questi anni, può disporre di un servizio di oncologia provvisto di posti letto di ricovero ordinario, di day hospital e di spazi dedicati all’attività ambulatoriale. E siccome da cosa nasce cosa, è stata avviata la nuova anatomia patologica, rinnovata nei locali e nelle attrezzature, ed è entrata in funzione la radioterapia. Un’importante e insperata opportunità di avere una possibilità di cura contro i tumori per i cittadini di una delle città più inquinate e a rischio sociale dell’intero Paese. Anni di cooperazione decentrata vengono narrati in un racconto che dimostra come nascono, prendono avvio, si evolvono e giungono a felice compimento i buoni progetti di cooperazione internazionale. Un esempio positivo di contrasto al problema di fondo, all’eredità “nera” della guerra nei Balcani che ha prodotto un “buco nell’anima”: il disagio e le depressioni, i suicidi, il diabete e il “male oscuro” del cancro, originato dalla pessima alimentazione, dall’uranio impoverito dei proiettili che anche in Bosnia sono stati sparati. Un pessimo lascito che pesa come un macigno.
Marco Travaglini
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