Popolari, adesso basta con i “partiti plurali”

Di Giorgio Merlo

Il tramonto dei partiti plurali – nello specifico il tramonto del modello originario e del profilo politico del Partito democratico – ci pone di rivedere lo stesso modello di partecipazione politica nel nostro paese. Se la prima repubblica era caratterizzata dai cosiddetti “partiti identitari”, cioè da soggetti politici, popolari e di massa con una definita cultura politica, e’ pur vero che da tempo ormai assistiamo ad un confronto politico dove le categorie culturali del passato sono state definitivamente archiviate. E i “partiti plurali”, almeno nella loro intenzione originaria, dovevano essere funzionali a ridefinire la dialettica democratica superando le vecchie impostazioni. Ora, dopo la sconfitta storica del Partito democratico, dopo il fallimento politico ed elettorale del partito di Grasso – cioè della sinistra nel nostro paese – e il conseguente affermarsi dei 5 stelle e della Lega, noi abbiamo la conferma che si è chiusa una fase politica e se ne è aperta una nuova, ancora inedita e difficile da decifrare. Tranne su un punto: e cioè, se quasi il 33% degli italiani votano un partito che si definisce “oltre la sinistra e oltre la destra”, e se il partito plurale per eccellenza, Il Pd, subisce una debacle di dimensione epocale, forse è arrivato anche il momento per riscoprire, seppur aggiornandole, le culture politiche del passato. Intendo quelle culture politiche costituzionali che hanno contribuito alla costruzione e al consolidamento della nostra democrazia. E questo non per un richiamo del passato o, peggio ancora, per una tentazione nostalgica. Ma per la semplice ragione che solo attraverso la riscoperta delle nostre radici culturali sarà possibile ridare dignità e qualità alla stessa politica. Uscendo dagli slogan, dalla pura demagogia e dal becero qualunquismo in cui siamo precipitati. A cominciare, appunto, dalla riscoperta della cultura “popolare di ispirazione cristiana”. Tocca ai cattolici democratici, ai cattolici popolari e ai cattolici sociali contemporanei il compito di non contribuire, seppur inconsapevolmente, ad archiviare un pezzo significativo della storia democratica del nostro paese. E questo non attraverso la riproposizione di un ennesimo partitino ma, al contrario, dando vita ad un movimento culturale che abbia come “ragione sociale” la riattualizzazione di un “pensiero” andato smarrito in questi anni di qualunquismo politico, di spietata personalizzazione della politica e di cancellazione radicale di tutto ciò che si richiamava al passato. Certo, poi verrà, e quasi sicuramente, il tempo della presenza politica organizzata. Del resto, le mode politiche nel nostro paese non durano a lungo. La stella renziana, per fermarsi al solo Pd, sembrava inarrestabile e destinata a durare per almeno 20 anni. Dominava incontrastato il partito di riferimento e il paese. Nell’arco di un biennio questo dominio si è trasformato in un disastro elettorale prima e in una sconfitta storica e politica poi. Al punto che oggi in quel partito si parla già apertamente di “derenzizzazione”. E, come sempre capita in politica quando domina il contingente e il solo potere, i più scatenati in questa rimozione politica e personale sono proprio coloro che per 2/3 anni si spellavano le mani con un tifo da stadio in ogni pubblica occasione in cui appariva e parlava il “capo”. Ecco perché, forse, si tratta adesso di voltare pagina. Almeno da parte di coloro che non si sono mai rassegnati ad una semplice politica spettacolo e al partito del “capo” e, soprattutto, da parte di quelle persone che continuano a pensare che non esiste la politica senza un “pensiero”. Cioè senza una cultura politica di riferimento. Il tutto anche in un contesto dominato dal qualunquismo e dalla più squallida demagogia . Tocca, quindi, ai cattolici popolari e ai cattolici democratici adesso battere un colpo. E sono convinto che nelle prossime settimane partirà un segnale forse, coraggioso e determinato in questa direzione.

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