Settembre 2017- Pagina 37

Arrestati i due aggressori del senatore Airola: sono entrambi domenicani.

Intanto continuano le accese polemiche sul degrado e sulla non-sicurezza di alcuni quartieri della città. I residenti continuano a sentirsi abbandonati.

Nella giornata di ieri, sono stati fermati ed arrestati i due uomini che, nella notte di domenica 3 settembre, hanno picchiato e derubato il senatore del Movimento 5 Stelle, Alberto Airola. I due uomini – entrambi di origine domenicana – sono stati individuati grazie ad alcune immagini fornite da una telecamera presente fuori da un locale in via Cremona che ha ripreso tutta la sequenza dell’aggressione ai danni di Airola. Le indagini, coordinate dal pm Manuela Pedrotta e portate avanti dalla Digos di Torino, si sono subito concentrate su un gruppo di frequentatori di un negozietto gestito da africani e grazie anche alla testimonianza di alcuni residenti della zona, è stato possibile riconoscere in poco tempo i due uomini. Da una prima ricostruzione era emerso che il parlamentare avesse tirato fuori il cellulare per filmare la scena di una iniziale aggressione verbale nei suoi confronti, fatta di insulti e minacce. Dalle immagini si evince che poco dopo i due domenicani si sarebbero avventati con violenza su Airola, buttandolo a terra con un pugno e rubandogli il cellulare. Proprio nella giornata di ieri il senatore è stato operato all’ospedale San Giovanni Bosco nel tentativo di ricomporre la frattura della mandibola. Un episodio che oltre ad attirare la solidarietà di tutta la classe politica, riapre inevitabilmente le eterne e giustificate polemiche sulla sicurezza e sul degrado di alcuni quartieri della città, definiti purtroppo dagli stessi residenti “terra di nessuno”.

Tornano gli European Master Games

Nel 2019 tornano sotto la Mole, dopo il successo dell’edizione 2013, gli European Master Games, le Olimpiadi degli over 35, dove  non si gareggia per la propria bandiera, ma solo per stessi. “Non era scontato riuscire a riportare in città questa bellissima manifestazione che nel 2013 portò 20.000 persone e un clima festoso e molto sportivo – commenta  la sindaca Chiara Appendino -. Ci siamo riusciti facendo sistema, risparmiando inoltre quasi la metà del budget richiesto dalla Master Games Association (Imga) che si aggirava sul milione e 200.000 euro”. Alla presentazione in Comune della manifestazione c’era anche Vincenzo Ilotte, presidente della Camera di Commercio di Torino che supporta i Master Games.

E’ la fine del Califfato? L’Isis si riorganizza

FOCUS di Filippo Re

L’agonia del Califfato nel Siraq e il fragile accordo raggiunto da Trump e Putin al G20 di Amburgo per fermare i combattimenti nella regione sud-occidentale della Siria fanno ben sperare ma il terrorismo jihadista resta ancora forte, pronto a colpire dal Vicino Oriente alle Filippine, dall’Europa agli Stati Uniti. Tre anni dopo, il territorio controllato dai combattenti del Califfo si è ridotto notevolmente ma la minaccia della galassia islamista si è estesa a tutti i Continenti. Cosa accadrà dopo la liberazione di Mosul e Raqqa? Olivier Roy, studioso del mondo islamico e docente all’Istituto universitario europeo di Firenze non ha dubbi: ” la scomparsa del Daesh non calmerà le acque ed è probabile che la sua caduta porti a un confronto fra le diverse forze regionali che si batteranno per riempire il vuoto e a un’escalation del conflitto tra Arabia Saudita e Iran. I combattenti arruolati nell’Isis torneranno nelle file di Al Qaeda o daranno vita a una nuova organizzazione jihadista che farà terrorismo globale, senza un territorio da difendere”. Con la riconquista totale di Mosul il 9 luglio non finisce la guerra in Iraq contro l’Isis che si sta già riorganizzando in alcune province irachene come quella di Salahuddin e quella di al-Anbar in cui è nato “Al Qaeda in Iraq” (Aqi) che è diventato in seguito l’Isis. Dal 2014 lo “Stato Islamico” ha perso oltre il 60% delle zone occupate e gran parte dei suoi finanziamenti ma l’Isis non è ancora sconfitto. Gli osservatori concordano sul fatto che, con la presa di Mosul, siamo soltanto nella fase della vittoria militare sul Daesh. Le fasi più difficili cominciano adesso. Per quanto riguarda la seconda città irachena c’è il problema degli sfollati che vogliono tornare e poi la ricostruzione ma per tutto ciò ci vorrà molto tempo poiché mancano i servizi, acqua e luce, le case e le scuole sono state distrutte. Un passo indietro è però necessario farlo. Ci si continua a domandare come sia stato possibile tre anni fa, nel giugno 2014, occupare facilmente una città di quasi due milioni di abitanti. Nato a Mosul e residente a Torino lo scrittore iracheno Younis Tawfik si chiede ancora oggi come è potuto accadere che l’Isis si sia impossessato della città senza difficoltà e senza incontrare resistenza. “Quando sentivo mia madre e i miei fratelli, via skype, nella città occupata dall’Isis, ascoltavo cose dell’altro mondo, cose che arrivavano dall’inferno. Una città di due milioni di abitanti sotto il controllo di poche migliaia di fanatici. Come era potuto accadere? È vero che avevano a Mosul cellule dormienti ma le colonne che avevano occupato la città arrivavano dalla Siria. Hanno percorso dieci ore di strada con colonne di mezzi armati. Nessuno li ha visti transitare? Quando arrivarono a Mosul, l’ex premier iracheno Al Maliki chiamò il comandante delle truppe e gli ordinò di ritirarsi senza combattere. Così l’esercito lasciò le armi e abbandonò la città. Mia madre mi raccontò che i soldati governativi bussavano alla porta e chiedevano abiti civili per fuggire. Chi ha opposto una certa resistenza furono i peshmerga curdi ma dopo aver perso in poche ore cento uomini si sono ritirati” (dalla rivista “Il Dialogo”, n 3/2017, del Centro Federico Peirone). Ci vorrà del tempo anche per riprendere Raqqa, roccaforte siriana dell’Isis. La città è accerchiata dalle truppe curde appoggiate da milizie arabe e dalle forze speciali americane protette dagli aerei della coalizione occidentale. Il cerchio si stringe e la “capitale” siriana del Califfato è sempre più isolata, in attesa dell’attacco finale. Gli americani vogliono entrare a Raqqa prima dei siriani e dei russi per impedire che si formi un lungo “corridoio sciita”, dal Libano all’Iran. Con il possesso di Raqqa si potrà infatti controllare uno “spazio strategico” compreso tra Siria, Iraq, Iran,Turchia, Giordania e Arabia Saudita. Forse proprio attorno a Raqqa verranno decisi i futuri assetti post bellici della Terra fra i due Fiumi e tra iracheni, iraniani, turchi e curdi si aprirà presto lo scontro per il controllo del territorio. Il Daesh, secondo gli analisti militari, avrebbe perso circa 80.000 kmq di territorio, liberando 4 milioni di persone dalla prigionia degli uomini neri del Califfo, ma controllerebbe ancora 35.000 kmq compresi tra Siria e Iraq. La cacciata del Califfato da Siria e Iraq non significa la fine dell’Isis che si rifugia in alcune zone di questi due Stati e rinasce nel resto del continente asiatico. L’entusiasmo per la caduta di Mosul ha fatto dimenticare che l’Isis è ancora in grado di controllare vaste zone sia in Siria che in Iraq. A Raqqa, dove all’inizio di giugno i curdi sono entrati per la prima volta nei sobborghi della città per avanzare verso il centro cittadino, non ci sono più i capi del Daesh, fuggiti a est, nel deserto siriano, lungo l’Eufrate, in un’area compresa tra Deir ez-Zour, dove da tre anni resiste un presidio militare siriano assediato dagli islamisti, al Mayadin e il confine iracheno, per tentare di riorganizzarsi e preparare una controffensiva difficilmente realizzabile. Ma il timore ora è che la piovra, sebbene mutilata, possa ricrescere in altri luoghi. I recenti attacchi in Gran Bretagna e in Francia dimostrano che l’Isis è sempre in grado di colpire in Europa ma i suoi obiettivi di conquista territoriale si spostano in Oriente e in Africa allungando i tentacoli in aree algerine e tunisine e in Somalia dove il gruppo terroristico Boko Haram nel 2015 ha giurato fedeltà all’Isis. In Libia è stato scacciato da Sirte ma è vivo e vegeto a sud, nel deserto, tra oasi e villaggi, nel Sinai spadroneggia nella parte settentrionale della penisola attaccando l’esercito egiziano (il 7 luglio uccisi 26 militari in un assalto presso il valico di Rafah), ammazza i turisti nei resort sul Mar Rosso, massacra i cristiani e incendia le chiese. Si infiltra nella Striscia di Gaza e nello Yemen, in piena guerra civile, dove controlla una piccola fetta di di territorio in aperta sfida ad Al Qaida. E poi ci sono il Caucaso, l’Iran, l’Afghanistan e le Filippine. In Cecenia e nel Daghestan i leader dell’ “Emirato del Caucaso” combattono nel nome del Daesh mentre l’attacco del 7 giugno contro il Parlamento di Teheran da parte di un commando di iraniani affiliati all’Isis ha qualcosa di clamoroso tanto che gli apparati di sicurezza degli ayatollah hanno dovuto ammettere di aver scoperto almeno quaranta cellule jihadiste negli ultimi dodici mesi pronte a insanguinare l’Iran. Altrettanto sensazionale è il caso delle Filippine. Gli strateghi dell’Isis sono penetrati nell’isola di Mindanao assorbendo i movimenti jihadisti locali, Abu Sayyaf e Maute e mettendo a ferro e fuoco la città di Marawi (200.000 abitanti) con centinaia di cristiani in ostaggio. E c’è l’Afghanistan, la nuova fortezza del Califfato, in cui l’Isis sta spostando i suoi miliziani dal Levante mediterraneo e dove arruola con denaro e armi i pashtun, l’etnia maggioritaria di un Paese senza pace nel quale il presidente Trump si appresta a inviare altri 4000 militari per combattere i jihadisti.

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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

Filippo Re

 

 

 

Dopo l’estate, a pieno ritmo, nasce il Polo degli Artigianelli di corso Palestro

“A bisogni nuovi, opere nuove!”, diceva san Leonardo Murialdo. Ed ecco che allora, con l’inevitabile mutamento dei tempi, con la crisi economica, con il mercato del lavoro che ha abbandonato, sotto gli occhi di tutti, certe floridezze del passato, la comunità dei Giuseppini, che all’operato del santo guardano, ha con intelligenza scelto per un vigoroso quanto concreto colpo di timone, convogliando dal 2012 tempo e denaro e impresa nel progetto Artigianelli 150, “tentativo di costruzione del bene comune e di positivo cambiamento sociale che mette al centro le persone, soprattutto i giovani, le comunità e il lavoro da queste generato”. Rinascimenti Culturali, progetto presentato alcuni giorni fa nella cornice ancora tutta lavorativa del bel cortile di quello che potremmo definire il Polo degli Artigianelli di corso Palestro, luogo dedicato alla cultura delle arti teatrali e visive e del cibo, un luogo di aggregazione (per cui qualcuno superando Jacques Maritain si sente di dover ripensare a un “umanesimo pieno”), nella riscoperta di un autentico senso di comunità, a quello spirito e a quell’idea di costruzione si riallacciano. “Un progetto da 2 milioni e 700mila euro”, illustra il responsabile don Danilo Magni, un progetto che oggi vede finalmente un dunque con il contributo della Compagnia di San Paolo e della Fondazione CRT e con un “piccolo supporto pubblico”, accresce l’assessora alla Cultura della Regione, Antonella Parigi.

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Un luogo inteso innanzitutto come raccoglitore di quella leggerezza che non ha nulla a che fare con la banalità. E la leggerezza nascerà dalla direzione artistica del Music-Hall (il calendario della stagione nel prossimo settembre), che nasce sulle centenarie forme (una splendida sala liberty del 1913) dell’antico teatro Juvarra, affidata a quel “mago” dello spettacolo che è Arturo Brachetti, affiancato da Massimo Betti Merlin del Teatro della Caduta, vivacissima realtà del panorama teatrale torinese. La rivisitazione di uno spazio culturale che in passato (pensiamo anche all’attiguo Café Procope) aveva visto le presenze tra gli altri di Paolo Conte, di Dario Fo e Franca Rame e che aveva avuto la propria anima, più che palpitante, nella passione del baffuto Sergio Martin, nel cui ricordo non è facile, per chi lo abbia frequentato tra il ’70 e l’80, dimenticare le serate, le iniziative, i nomi, le scommesse. “Si tratta del primo esperimento capace di coniugare – dicono i responsabili – modelli di produzione, programmazione e imprenditorialità sviluppati in ambiti diversi, che portano a un modello misto che unisce profit e no-profit, sia artistico sia sociale, attorno a cui crescere il pubblico del “Music-Hall”, una vera e propria comunità costruita intorno al progetto”.

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Accanto al teatro, trova posto nel Polo di fresca realizzazione – il tutto è dovuto all’architetto Alex Cepernich e al suo studio, nell’insieme armonico di tutti gli spazi interessati ai lavori – il MEF Outside che si ricollega al Museo Ettore Fico di via Cigna, contenitore artistico oggi in prima linea nello sviluppo di uno specifico programma e della realizzazione di mostre rivolte ad artisti di respiro internazionale che da tempo mancavano dalle nostre sale espositive: un successo, determinato in ultimo dagli oltre 20.000 visitatori accorsi per “l’evento Munari”. Contraddicendo il percorso che i responsabili sono soliti fare, il Mef andrà dalla periferia al centro, inaugurando il prossimo 4 ottobre (fino al 14 gennaio 2018) l’esposizione Niki de Saint Phalle. Antologica di opere dipinte, grafiche e piccole sculture, a cura di Andrea Busto. A conclusione di un cammino che spinge chi lo vorrà percorrere a pensare a molte e curiose sorprese, ecco la presenza (già egregiamente funzionante: è aperto in via Juvarra 13 dal lunedì al sabato dalle 7 alle 23, con servizio ristorazione a pranzo e cena, per informazioni e prenotazioni 011 0448864) di Etikø “diversamente bistrot”, un locale dove felicemente si coniugano eleganza e semplicità e dove trovano un’attività quei giovani che provengono dai percorsi formativi interni al mondo del Murialdo e dove sono salvaguardati e rispettati le materie prime e i prodotti scelti perché, ad onore del nome, abbiano un impatto “etico” sulla società e sulla natura: di qui la scelta di prodotti biologici, di materie prime derivate dai terreni confiscati alle mafie o carni provenienti da allevamenti non intensivi. Con una buona carta dei vini, il che non guasta affatto. Il tutto a efficace completamento di quella vetrina dell’entertainment comunitario ed effervescente che forse usiamo distrattamente o non conosciamo a fondo, come ricordava Antonella Parigi. E alla luce di queste iniziative, “la città sta camminando”.

 

Elio Rabbione

 

 Nelle immagini:

Ecco il nuovo Music-Hall, la nuova veste del teatro la si deve all’arch. Alex Cepernich

Un angolo del nuovo spazio espositivo MEF Outside

La raffinata eleganza di Etikø “diversamente bistrot”

Riflessione sull’attualità del pensiero di Alexander Langer

di Marco Travaglini

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LENTIUS, più lento; PROFUNDIS, più in profondità; SOAVIUS più dolcemente. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però si ha il fiato più lungo”

(Alex Langer)

 

Spesso accade che non abbiamo tempo. O non ne abbiamo abbastanza. E quando ci capita di averne tanto – o abbastanza – a disposizione,  spesso non si riesce ad “usarlo” bene. Viviamo in una società dove il concetto di tempo è declinato per negazione. Le persone conoscono solo la fretta, l’andar veloci. Viviamo in una società che, sempre più spesso, dimentica la nozione del tempo e la necessità di praticare dei limiti. Oggi c’è sempre più fretta. Anche a tavola. Una volta ci si riuniva, in famiglia o tra amici, attorno alla tavola, al “desco”. Oggi si corre, spesso ognuno per conto proprio. E’ il ritmo del Fast-food, del “mordi-e-fuggi”. Ingurgitare rapidi, quasi senza masticare, orologio alla mano e senso del tempo chiuso in un cassetto. I gusti, i sapori? Non transitano più sulle papille gustative. Scivolano giù, a precipizio, nell’esofago. Ed i succhi gastrici trasformano lo stomaco in una “miniera” dei primi dell’ottocento, dove regna il super lavoro, senza pause. E per fortuna che qualche inversione di passo s’intravvede, grazie a Carlin Petrini e alle sue “invenzioni”, da Slow-food a Terra Madre. L’uomo, da sempre, si è posto il problema della misura del tempo e dello spazio. Una misura legata al bisogno di evitare che il proprio spazio e il proprio tempo siano schiacciati dalla grande macina della fretta, della velocità, della contemporaneità portata all’eccesso e assunta come riferimento di quest’epoca. In una bella canzone, Giovanni Lindo Ferretti, cantante già leader dei CCCP/CSI/PGR , diceva che esistono uomini che adorano gli orologi ma non sanno riconoscere il tempo. Una semplice e grande verità. Un vecchio proverbio ci ricordava come “chi va piano va sano e va lontano”.

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E’ praticamente certo che sia nato in un mondo antico e agricolo, dove il tempo era dettato dal ciclo delle stagioni. Del resto, per i contadini, l’unico mezzo di trasporto era il “cavallo di San Francesco”, cioè l’ andare a piedi; e anche chi poteva disporre di un cavallo vero o di una carrozza andava poco lontano, rispetto a ciò che possiamo fare oggi, e ci metteva un’infinità di tempo. Il lavoro nei campi era pesante. L’orario era “dall’alba al tramonto”; sei giorni alla settimana (se poi davvero dedicavano la domenica al riposo…). Un po’ meno pesante nel freddo dell’inverno, quando anche le piante riposano; sfiancante, duro e soffocante d’estate. Possiamo o vogliamo tornare indietro a quel tempo? Ovviamente,no. Per tante ragioni, molte delle quali così ovvie da non valer la pena di essere esaminate. Ma questo non è un buon motivo per vivere ossessionati dalla fretta. E’ così sovversivo credere nella necessità di fermarsi – almeno per un po’ – e pensare ? Scrivere, esprimere un’opinione e rispondere di essa, è un stato giudicato da molti un po’ sovversivo. Nulla al confronto delle scelte che sarebbero necessarie, degli atti che attendono d’essere compiuti per invertire una marcia dello sviluppo che da troppo tempo s’annuncia rovinosa. Scriveva il professor  Remo Bodei, parlando di lentezza e velocità, che “ …il problema di ciascuno di noi è di governare i ritmi della propria vita, cioè di mantenersi in rapporto con i veloci cambiamenti del mondo esterno, senza perdere la propria vita interiore. Come la famosa massima di Ernesto “Che” Guevara: “Bisogna essere duri senza perdere la tenerezza”, ossia, bisogna essere veloci senza perdere la lentezza...”.Il problema è di tenere insieme le tre dimensioni del tempo, avere una vita, per così dire, “stereoscopica”, il che vuol dire che il passato ci deve servire, principalmente, come luogo della memoria e come il luogo che costituisce la nostra identità. Noi non possiamo nascere in ogni minuto, o essere sempre come un pulcino che viene fuori dall’uovo. Quindi il passato non può essere semplicemente visto come il luogo del rimpianto. Così come è pur restrittivo il presente che viene consumato nella frenesia, senza che ci si renda conto di quello che accade. D’altro lato noi non dobbiamo pensare al tempo come a una linea retta sulla quale si muove un punto, il presente, che separa, in maniera irreversibile, il passato dal futuro. Noi avanziamo nel tempo, lasciandoci alle spalle il passato e rosicando l’avvenire. Questa è un’immagine comune del tempo, anche comoda, però non necessariamente vera. Se ci pensate bene noi rischiamo di vivere soltanto nel presente. Il passato lo avvertiamo solo come ricordo. Il futuro lo interpretiamo sempre come attesa. Dunque è al presente che bisogna dare questa elasticità, questa espansione. In questo modo possiamo riuscire a dilatare il nostro presente verso il passato, assorbendone i ricordi, e, come dire, prolungandolo verso il futuro, mediante delle attese che ci mobilitano in direzione di uno scopo. C’è una frase di Alex Langer che non solo mi affascina ma rende bene l’idea di cosa sarebbe necessario fare per vivere in modo più armonico il proprio tempo. Il concetto espresso da quest’indimenticabile costruttore di ponti e di speranze, è  più esteso. Lo trascrivo. “..Il motto dei moderni Giochi olimpici è diventato legge suprema e universale di una civiltà illimitata: “citius, altius, fortius”, più veloci, più alti, più forti. Si deve produrre, spostarsi, istruirsi… competere, insomma. La corsa al più trionfa senza pudore, il modello della gara è diventato la matrice riconosciuta e enfatizzata di uno stile di vita che sembra irreversibile e incontenibile… Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare in “lentius, profundius, suavius”, più lento, più profondo, più dolce, e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso…Bisogna dunque riscoprire e praticare dei limiti: rallentare i ritmi di crescita e di sfruttamento, abbassare i tassi d’inquinamento, di produzione, di consumo, attenuare la nostra pressione verso la biosfera, attenuare ogni forma di violenza. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo“.

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Non trovo nulla di arcaico, di “passatista”, in questo pensiero di Alex Langer. C’è, viceversa, il cuore dell’idea – molto moderna e vitale – del senso del limite che va praticato nonostante sia difficile e, spesso, addirittura impronunciabile. C’è anche un filone di pensiero più radicale che non va ignorato. Serge Latouche,nel suo“Come sopravvivere allo sviluppo” esprime un forte richiamo alla “lentezza” e al senso del limite nell’idea di una società della decrescita conviviale, serena e sostenibile. Latouche esprime un’idea “ribelle”:”Rimettere radicalmente in questione il concetto di sviluppo significa fare della sovversione cognitiva, e la sovversione cognitiva è la premessa e la condizione di qualsiasi cambiamento politico, sociale e culturale. Il momento sembra favorevole per far uscire queste analisi dalla semiclandestinità in cui sono state relegate finora“. Esprimeva fiducia “ a tutte le iniziative che chiamo di dissidenza e che spingono a sperimentare modi di vita diversi, alternativi. Penso alla Banca etica, al commercio solidale, alla crescita del Terzo settore, alla protesta ecologica. Credo molto alla possibilità che da queste iniziative diffuse, dal “basso”, possano scaturire un modo di vivere diverso, un’altra civiltà». Non saprei se ciò che si teorizza trova poi noi stessi disponibili ad una interpretazione “pratica” e concreta,  alla modifica di stili di vita, alla ricerca di una nuova “sobrietà”. Mi viene alla mente quando Enrico Berlinguer propose una critica al modello di sviluppo, parlando dell’austerità. Venne deriso, soprattutto all’estrema sinistra (lo slogan era “Berlinguer cucù, i sacrifici falli tu”).  Eppure esprimeva una politica che guardava più in là, mossa da “pensieri lunghi”. Forse l’austerità di Berlinguer non era una parola d’ordine in grado di scaldare i cuori ma era un tentativo d’approccio che meritava rispetto. E maggior fortuna. Sono passati quarant’anni. Vediamo cosa disse nei due discorsi al teatro Eliseo di Roma (1977) ed al “Lirico” di Milano (1979). (…) Una trasformazione può essere avviata nelle condizioni attuali solo se sa affrontare i problemi nuovi posti all’Occidente dal moto di liberazione dei popoli del Terzo mondo. E ciò, secondo noi, comporta per l’Occidente, e soprattutto per il nostro paese, due conseguenze fondamentali: aprirsi ad una piena comprensione delle ragioni di sviluppo e di giustizia di questi paesi e instaurare con essi una politica di cooperazione su basi di uguaglianza; abbandonare l’illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario. Ecco perché una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile da parte di tutti ed è, al tempo stesso, la leva su cui premere per far avanzare la battaglia per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base.  Una politica di austerità non è una politica di tendenziale livellamento verso l’indigenza, né deve essere perseguita con lo scopo di garantire la semplice sopravvivenza di un sistema economico e sociale entrato in crisi. Una politica di austerità, invece, deve avere come scopo – ed è per questo che essa può, deve essere fatta propria dal movimento operaio – quello di Instaurare giustizia, efficienza, ordine, e, aggiungo, una moralità nuova. Concepita in questo modo, una politica di austerità, anche se comporta (e di necessità, per la sua stessa natura) certe rinunce e certi sacrifici, acquista al tempo stesso significato rinnovatore e diviene, in effetti, un atto liberatorio per grandi masse, soggette a vecchie sudditanze e a intollerabili emarginazioni, crea nuove solidarietà, e potendo così ricevere consensi crescenti diventa un ampio moto democratico, al servizio di un’opera di trasformazione sociale. Proprio perché pensiamo questo, occorre riconoscere, a me sembra, che finora la politica di austerità non è stata presentata al paese, e ancor meno attuata, dentro tale spirito non di rassegnazione, ma di consapevolezza e di fiducia. E se possiamo ammettere – dobbiamo ammettere, anzi – che vi sono state e vi sono a questo proposito manchevolezze e oscillazioni del movimento operaio e anche del nostro partito, tuttavia le deficienze principali sono da imputare alle forze che dirigono il governo del paese. (…) L’austerità è un imperativo a cui oggi non si può sfuggire. In sintesi, questi dati sono: innanzi tutto, il moto e l’avanzata dei popoli e paesi del Terzo mondo, che rifiutano e via, via eliminano quelle condizioni di sudditanza e d’inferiorità, cui sono stati costretti, che sono state una delle basi fondamentali della prosperità dei paesi capitalistici sviluppati; in secondo luogo l’acuita concorrenza, la lotta senza esclusione di colpi fra questi stessi paesi capitalistici, della quale fanno sempre più le spese i paesi meno forti e sviluppati, fra i quali l’Italia; infine, la manifesta e ogni giorno più evidente insostenibilità economica e insopportabilità sociale, in questo mutato quadro mondiale, delle distorsioni che hanno caratterizzato lo sviluppo della società italiana negli ultimi venti-venticinque anni. Tuttavia, ancora oggi molti non si sono resi conto che adesso l’Italia si trova oramai – ma io credo, prima o poi, anche altri paesi economicamente più forti del nostro si troveranno – davanti a un dilemma drammatico: o ci si lascia vivere portati dal corso delle cose così come stanno andando, ma in tal modo si scenderà di gradino in gradino la scala della decadenza, dell’imbarbarimento della vita e quindi anche, prima o poi, di una involuzione politica reazionaria; oppure si guarda in faccia la realtà (e la si guarda a tempo) per non rassegnarsi a essa, e si cerca di trasformare una traversia così densa di pericoli e di minacce in una occasione di cambiamento, in un ‘iniziativa che possa dar luogo anche a un balzo di civiltà, che sia dunque non una sconfitta ma una vittoria dell’uomo sulla storia e sulla natura. Ecco perché diciamo che l’austerità è, si, una necessità, ma può essere anche un’occasione per rinnovare, per trasformare l’Italia: un’occasione, certo, come ha detto qui un compagno operaio, tutta da conquistare, ma quindi da non lasciarci sfuggire. L’austerità per definizione comporta restrizioni di certe disponibilità a cui ci si è abituati, rinunce a certi vantaggi acquisiti: ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre, più rigorose e non sperperatrici, conduca a un peggioramento della qualità e della umanità della vita. Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana. (…).

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Le tumultuose trasformazioni degli anni ’70 e ’80, con l’esplodere dei consumi individuali, l’affermarsi neoliberista dell’edonismo “reaganiano” e la ricerca di nuove forme di identità, misero alla frusta i limiti teorici della “austerità” berlingueriana. Poi, con gli anni a venire, è capitato di  sentir citare quel richiamo con un sospiro nostalgico. Dove si mescola la nostalgia verso Enrico Berlinguer a quella per il messaggio in favore di uno stile di vita più modesto, meno spendaccione e di una vita più ardua, fatta anche di sacrificio, di rinuncia, persino di fatica. Quell’ “intuizione dell’austerità”, la si evoca con sottolineature morali, ma anche come riferimento ad un diverso tenore di vita, ricco di implicazioni economiche e persino ecologiche. Un giudizio, a mio modo di vedere, abbastanza equilibrato, venne proprio espresso – nei primi anni ’90 – da Alex Langer che scriveva : “..Se Berlinguer, a suo tempo, non è riuscito a sfondare con il suo discorso sull’austerità, ciò è dovuto ad una fondamentale ambiguità: era (e resta) difficile capire se l’allora segretario del Pci, pur così ricco di connotazioni etiche, intendesse sostanzialmente la stessa cosa che a quei tempi una larga parte del movimento sindacale proclamava, o se si riferisse ad una diversa accezione di austerità. Nel primo caso era un “tirare la cinghia oggi per rilanciare la crescita domani”, una politica dei due tempi che non metteva veramente in discussione l’obiettivo del “rilancio dell’economia”, e che quindi esigeva uno sforzo di accumulazione per ripartire da una base più solida: meno consumi e più investimenti, meno soddisfazioni immediate e più risparmi, meno cicale e più formiche. Difficilmente entusiasmante, allora come oggi. Una diversa e più profonda accezione di “austerità”, che probabilmente era presente in Berlinguer, ma non realmente esplicitata a quel tempo, avrebbe significato qualcosa di non così facilmente riducibile alle esigenze politico-economiche dominanti allora e oggi. Ci sono alcune verità assai semplici da considerare: nel mondo industrializzato si produce, si consuma e si inquina troppo, si spreca troppa energia non rinnovabile, si lasciano troppi rifiuti non riassorbili senza ferite dalla natura, ci si sposta, si costruisce e si distrugge troppo. Naturalmente sappiamo bene che la distruzione sociale di quei danni è inversamente proporzionale alla ricchezza: i ceti opulenti e benestanti esagerano più dei poveri, i quali hanno poco da sprecare perché mancano dei necessari presupposti economici. Ma essi non sono meno influenzati dalla cultura dominante, per cui aspirano – assai sovente a diventare al più presto esattamente come i più ricchi, e trovano spesso insopportabile l’idea che la felicità non esiga l’automobile, il video-recorder e le vacanze a Madagascar. Accettare oggi la positiva necessità di una contrazione di quel “troppo” e di una ragionevole e graduale de-crescita, e rilanciare, di fronte alla gravissima crisi, un’idea positiva di austerità come stile di vita compatibile con un benessere durevole e sostenibile, sarà possibile solo a patto che essa venga vissuta non come diminuzione, bensì come arricchimento di vitalità e di autodeterminazione”.

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Era evidente che ciò, secondo Langer,  dipendeva da tutto un intreccio di scelte personali e collettive, di condizioni culturali e sociali, di sinergie e intese. Ma qualcuno dovrà pur cominciare, e indicare un privilegio diverso da quello della ricchezza e dei consumi: il privilegio di non dipendere troppo dalla dotazione materiale e finanziaria, il privilegio di preferire nella vita tutte le cose che non si possono comperare o vendere, il privilegio di usare con saggezza e parsimonia l’eredità comune a tutti, senza recinti e privatizzazioni indebite. Prende corpo l’idea della “lentezza” come approccio all’austerità di una vita più frugale, meno riempita da merci usa-e-getta, più ricca di doni, di servizi mutui e reciproci, di condivisioni e co-usi a titolo gratuito, di recuperi e riciclaggi, di soddisfazioni senza prezzo. E, sempre Alex Langer, chiudeva così quel suo pensiero: “Ristabilire e rendere desiderabile questo genere di austerità come possibile stile di vita, liberamente scelto e coltivato come ricchezza, comporterà una notevole rivoluzione culturale ed una cospicua riscoperta della dimensione comunitaria. Perché con meno beni e meno denaro si può vivere bene solo se si può tornare a contare sull’aiuto gratuito degli altri, sull’uso in comune di tante opportunità, sulla fruizione della natura come bene comune, non riducibile a merce”. Un’occasione,una possibilità. Da sperimentare come miglioramento della qualità della vita, che ci faccia dipendere meno dai soldi, da beni e servizi acquistabili sul mercato, esigendo che ognuno ridiventi più interdipendente: sostenuto dagli altri, dalla qualità delle relazioni sociali e interpersonali, da conoscenze e abilità, dall’arte di adattarsi e arrangiarsi, da capacità non ottenibili con alcuna carta di credito, nè  disponibili “chiavi in mano”, pronte ad essere passivamente consumate. Il nostro tempo, dunque, non è “lento”.  E’ un tempo incerto e disorientato. Non a caso, intorno a noi e tra di noi,  c’è domanda di senso e di valori.

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Gli italiani hanno paura del futuro”, ricordava tempo fa il Censis. A questo paese stanco e sfiduciato, come si può dare, una speranza? Credo che una indicazione sia proprio nell’idea di uno sviluppo ad alta qualità ambientale e sociale. Una visione dello sviluppo che non guarda solo all’incremento della ricchezza nazionale e a una sua più equa distribuzione, ma anche alla qualità della vita, alla libertà delle persone, al cambiamento degli stili di vita e delle relazioni con la natura. La possibilità di vivere meglio, ricordandosi che ben-essere non è sinonimo di ben-avere. E’ una riflessione che da tempo mi avvince. L’ho sperimentata, in passato, occupandomi di turismo montano, dove lo sviluppo troppo spinto tende a mangiare la sua prima risorsa economica, non rinnovabile, essenziale:l’ambiente. Con il rischio di “suicidare” un intero sistema di reddito e di produzione economica, annegando le differenze e le particolarità, “livellando” la montagna alla pianura, le comunità alpine alle città.  Ma non sono in grado di avventurarmi sul terreno sdrucciolevole delle teorie che, come sempre, si prestano a più letture interpretative. Ne facevo cenno prima: lo” sviluppismo” senza limiti crea situazioni di forte criticità, ma siamo disponibili a sperimentare una serie di rinunce, di attenuazioni – anche consistenti – del nostro modo di vivere, produrre e consumare? Non lo so. Avverto, come molti, la necessità di porre dei limiti, di esercitare una più impegnativa morale pubblica su temi così decisivi per il presente e per il futuro. Ho anche molti dubbi e scarse certezze. Una di queste è però legata all’idea di una nuova sobrietà che non ci farebbe nessun male. La interpreto come un bisogno generale,una buona regola. Che implica un legame stretto e molto “intimo” con la lentezza, con l’idea di uno sviluppo più “slow”. Tema complicato e delicato, molto sdrucciolevole, quello della sobrietà.

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In uno dei suoi scritti più belli e più noti Alex Langer si chiedeva: come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? Come suscitare motivazioni, nella maggioranza delle persone, che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta, verso una concezione del benessere sensibilmente diversa? “Né singoli provvedimenti, né un miglior ministero dell’ambiente – si rispondeva Langer – per quanto necessari e sacrosanti potranno davvero produrre la correzione di rotta, ma solo una rifondazione culturale e sociale di ciò che in una società si consideri desiderabile.” Sobrietà non è uno stile di vita monacale. Non è una visione pauperistica. Non è tornare indietro. E’andare avanti, è vivere meglio. E’ ridurre lo spreco, spreco di risorse naturali e di energia prima di tutto. E’ consumo intelligente, per non consumare il pianeta e per non consumare tutta la nostra vita nella spirale nevrotica del consumismo. E’ un’idea più piena e umanamente ricca della vita. Una visione della vita più desiderabile, in definitiva.  Una correzione di rotta, auspicava Langer. La stessa espressione – correzione di rotta – era stata utilizzata da Joseph Conrad, nell’estate del 1912, in un articolo dal titolo “Alcune riflessioni sul naufragio del Titanic”. “A quanto pare – scriveva Conrad – esiste un punto in cui lo sviluppo smette di essere vero progresso. Un punto in cui il progresso, per essere un vero avanzamento, deve variare leggermente la sua linea di direzione..”. I problemi ambientali ci dicono come il modello di sviluppo finora sperimentato abbia smesso, per molti aspetti, di essere vero progresso. E il cambiamento di rotta vero, dall’illusione di una crescita illimitata alla rotta nuova che porta verso uno sviluppo sostenibile, ancora non c’è stato. Eppure non servono gli esperti per capire che sarà questa, probabilmente, la sfida più grande che abbiamo davanti a noi. Una rotta nuova, nell’oceano inesplorato della sostenibilità. Siamo disponibili, , nel nostro piccolo, ad affrontarla, questa navigazione incerta, affascinante e necessaria? Questo è il punto. Se penso alla Val di Susa, io non mi sono mai collocato tra i “no Tav”. Penso che alcune opere siano necessarie. Per alcuni versi indispensabili. Ma non ho mai rinunciato a discutere sul “come” farla. Ritengo indispensabile il coinvolgimento delle popolazioni e degli amministratori locali, in ogni scelta. Mi preme che venga seguita la strada del minor impatto e della maggior garanzia possibile per l’ambiente e le persone. Sono dell’idea che occorra condividere un percorso con le popolazioni locali sulla gestione dei cantieri, sugli “impatti”, sulle prospettive sociali ed economiche di opere importanti. Sono, in definitiva, dell’idea che la “lentezza” non si ponga in alternativa alla modernità. E’ una sua variante , più ricca di umanità e più rispettosa del bene comune.  Ma qui mi fermo. L’intenzione era di mettere, nero su bianco, alcune impressioni, scontando molte imprecisioni e tutta la necessaria confusione. Ognuno di noi, in qualche modo, ha una sua “bussola”, un punto cardinale al quale s’affida per non perdere il senso di marcia della propria vita. Il mio ha a che fare – seriamente e serenamente –  con le riflessioni e i desideri di Alex Langer.

 

Quale futuro per il Moto velodromo di corso Casale?

Nei giorni scorsi, durante i lavori  della Commissione Urbanistica, in seduta congiunta con la Commissione Cultura e Sport, è stato discusso il tema sul futuro del Motovelodromo di corso Casale

In merito alle prospettive di recupero e uso dell’edificio storico (il Motovelodromo è testimonianza viva di imprese sportive straordinarie e un manufatto architettonico di pregio, vincolato in gran parte dalla Soprintendenza) è stata approfondita l’interpellanza presentata lo scorso febbraio dal consigliere dei Moderati, Silvio Magliano, per conoscere le intenzioni e i progetti dell’esecutivo di Palazzo civico per l’impianto.  Per la struttura dedicata a Fausto Coppi, l’Amministrazione Comunale sta elaborando un bando che sarà pubblicato nei prossimi mesi, rivolto in via prioritaria ad associazioni o enti, che nel gestire attività aggregative sportive e culturali, siano in condizione di curarne la manutenzione integrale delle parti storiche e degli spazi circostanti, in concorso con il Comune.  A sottolineare l’azione di Palazzo Civico dedicata a preservare la struttura di Corso Casale 144 – insieme agli assessori allo Sport, Roberto Finardi, e al Patrimonio, Sergio Rolando (che a febbraio rispose in Aula a Magliano), – è stato il vice sindaco Guido Montanari, che ha sottolineato: “Siamo fermamente impegnati a fare tutto il possibile e al più presto, affinché il Motovelodromo recuperi il decoro necessario e continui a svolgere il compito di ospitare manifestazioni aggregative e polivalenti. Desideriamo procedere al restauro della struttura e delle pertinenze verdi circostanti – ha concluso il vice sindaco – restituendole a funzioni associative e sportive con punti di ristorazione e piccole attività commerciali”. Il consigliere Magliano ha manifestato perplessità sulla fattibilità economica del progetto della Giunta: “Mi auguro – ha detto al termine della Commissione – che tra due anni non ci si trovi nella stessa precaria situazione di oggi”. Il presidente della Commissione Urbanistica, Damiano Carretto, ha espresso soddisfazione per la predisposizione di un bando, in particolare per il mantenimento delle finalità sportive dell’impianto: “Fatto che smentisce – ha detto – coloro che pensavano a prospettive di uso commerciale della struttura”.

 

R.T. – Ufficio stampa del Consiglio comunale

MiTo per la città

Da nove anni MITO Settembre Musica ha tradotto la scelta di diffondere a tutta la città la propria offerta musicale in MITO per la Città, dove la preposizione “per” sta ad indicare ” la volontà di percorrere i quartieri con la buona musica

SI è svolta presso l’Aula Magna Dellepiane dell’Ospedale S.Anna, la conferenza stampa di presentazione di MITO per la Città alla presenza del Magnifico Rettore dell’Università di Torino Prof. Gianmaria Ajani, della Dott.ssa Angela La Rotella, dell’Assessora alla Cultura della Città di Torino Francesca Leon, della Sindaca Chiara Appendino e del Direttore artistico di Mito per la Città Nicola Campogrande. Da nove anni MITO Settembre Musica ha tradotto la scelta di diffondere a tutta la città la propria offerta musicale in MITO per la Città, dove la preposizione “per” sta ad indicare ” la volontà di percorrere i quartieri con la buona musica, classica, a ingresso gratuito e nello stesso tempo di indirizzare la proposta proprio a chi non frequenta abitualmente le sale da concerto”. Più di cento gli appuntamenti itineranti: ” Momenti musicali” che vedranno protagoniste quattro formazioni di allievi del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, saranno accolti nelle 8 Circoscrizioni e proposti in spazi inediti. Non solo più le chiese capienti e centralissime ma anche quelle più piccole delle estreme periferie, i teatri, le sale di lettura di biblioteche e librerie e luoghi inediti come quelli riservati ai servizi, alla salute, all’assistenza, alle strutture di accoglienza, fino alle “Passeggiate con le note”, che animeranno i cimiteri, quello di Sassi e quello Monumentale. Sono una ventina le strutture ospedaliere e ambulatoriali coinvolte, tra cui il Sant’Anna con le sue “Vitamine musicali” ,progetto giunto al suo secondo anno di vita. Quest’anno sono previsti due appuntamenti di musica dal vivo presso il reparto di chemioterapia e quello Maternità per un benvenuto ai nuovi nati.”Questo progetto – ha detto la Prof.ssa Chiara Benedetto , Primario della Divisione di Ostetricia e Ginecologia del Sant’Anna – testimonia l’alleanza tra cultura e salute, testimonia , anche secondo le teorie della Neuroscienza,che gli stimoli musicali condizionano i processi biologici , migliorandoli.” Nicola Campogrande ha poi sottolineato l’importanza del tema scelto per l’edizione di quest’anno , quello della Natura : “dedicarle un festival è un modo per ascoltare come sia stata protagonista nella produzione musicale del passato e in quella di oggi”. Del programma di Mito Settembre Musica 2017 fa parte integrante il Giorno dei Cori , che concentrerà coristi esperti e dilettanti nell’ Open Singing nella stessa piazza San Carlo che la sera successiva vedrà i giovani interpreti sul palco della Nona di Beethoven. Un altro evento eccezionale sarà la ” Notte degli Archivi”, il 10 settembre, con tre concerti : all’Archivio di Stato, in quello dell’Università e all’Archivio Storico.

Helen Alterio

La Giornata del panorama

Domenica 10 settembre 2017 dalle ore 10 alle 18

 Torna l’appuntamento con la bellezza  con la quarta edizione della “Giornata del Panorama”, organizzata dal FAI – Fondo Ambiente Italiano e da Fondazione Zegna in alcuni tra i più suggestivi paesaggi d’Italia. Podere Case Lovara a Punta Mesco, Levanto (SP), Castello e Parco di Masino a Caravino (TO) e Oasi Zegna a Trivero (BI) saranno teatro di una giornata alla scoperta di sorprendenti scorci e all’insegna della natura per comprenderne, con l’aiuto di guide locali, le trasformazioni succedutesi nel tempo per mano dell’uomo. L’iniziativa nasce dalla stretta collaborazione tra Fondazione Zegna e FAI che da sempre condividono il rispetto della natura, dell’arte, della storia e delle tradizioni, patrimonio fondamentale delle nostre radici e della nostra identità.

Per tutto il giorno, dalle ore 10 alle 18, si potrà partecipare agli speciali itinerari tra terra e cielo organizzati nel promontorio di Punta Mesco, nel cuore del Parco Nazionale delle Cinque Terre, dove il bene del FAI Podere Case Lovara rappresenta un modello di restauro paesaggistico sperimentale; al Castello e Parco di Masino, nel giardino della reggia dell’XI secolo da cui si domina l’Anfiteatro della Serra morenica d’Ivrea; all’Oasi Zegna, terrazza che si affaccia da una parte sulla Pianura Padana e dall’altra sull’incontaminata Valsessera.

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Tra gli itinerari piemontesi, il Castello e Parco di Masino, bene del FAI a Caravino (TO), regala la splendida vista sull’Anfiteatro morenico della Serra d’Ivrea, formazione geologica tra le più grandi in Europa e unica nel suo genere. In collaborazione con l’Ecomuseo AMI (Anfiteatro Morenico d’Ivrea), si potrà apprendere la ricca storia di questi luoghi dalle splendide terrazze del castello, conosciuto fin dall’antichità come “il belvedere del Canavese”, e attraverso un itinerario che si snoda dal borgo di Masino al giardino monumentale del maniero. Dalla balconata all’ingresso del castello, dopo una presentazione a cura degli esperti dell’Ecomuseo, si potrà intraprendere un percorso a tappe tra i vari punti di osservazione presenti nel parco. Anche i bambini saranno invitati a osservare il paesaggio in un percorso a loro dedicato con momenti didattici divertenti. Visite al castello e caccia al tesoro faranno da completamento a questa giornata.

Per informazioni: faimasino@fondoambiente.it; tel. 0125 778100

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Per l’occasione l’Oasi Zegna, bene patrocinato FAI a Trivero (Biella), ospiterà diverse iniziative per grandi e bambini, tutte incentrate su suggestivi panorami in dialogo con appuntamenti musicali. Il culmine della giornata è alle ore 15: sui tetti del Lanificio Zegna si libreranno le note del concerto dell’Orchestra d’Archi in collaborazione con la Filarmonica del Teatro Regio di Torino (prenotazione obbligatoria). Alle ore 10, dal ritrovo presso Casa Zegna, prenderà avvio un’escursione della durata di due ore adatta a tutti tra i suggestivi sentieri della brughiera e della Conca dei Rododendri, con un itinerario a piedi di Nordic Walking. I più piccoli potranno partecipare alle passeggiate sonore che si susseguiranno alle 10, alle 11, alle 12, alle 15 e alle 16, con laboratori dedicati alle famiglie a cura del Consorzio Sociale “Il filo da tessere”.

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Dalle 11 una passeggiata con accompagnamento musicale permetterà di scoprire, nella Conca dei Rododendri, il bosco dei ciliegi, il bosco dei faggi e l’opera d’arte di Dan Graham, realizzata in occasione del progetto “All’aperto”. Alle 12 sarà possibile rilassarsi su tovaglie a quadri e gustare un picnic dove i cesti verranno distribuiti grazie al contributo di Cynara Flair oppure pranzare presso i locali del Consorzio turistico Oasi Zegna. Da non perdere, a Casa Zegna, l’inaugurazione della mostra “Radici e Ali. Costruire il futuro, dal centro Zegna al mondo”.

Per tutte le attività si consiglia la prenotazione: tel. 015 7591460; info@oasizegna.com.

Per informazioni e prenotazioni: www.oasizegna.com o info@oasizegna.com; tel. 340 1989593.

 

Si raccomandano abbigliamento e scarpe comode

 

Il calendario “Eventi nei beni del FAI 2017”, è reso possibile grazie al significativo sostegno di Ferrarelle, partner degli eventi istituzionali e acqua ufficiale del FAI, e al prezioso contributo di PIRELLI che conferma per il quinto anno consecutivo la sua storica vicinanza alla Fondazione.

 

Biglietti:

 

Castello e Parco di Masino (con visita di 45 minuti al castello)

Intero 11; Ridotto (4-14 anni) 5; Iscritti FAI: gratuito; Biglietto Famiglia (2 adulti + 2 bambini): 27.

 

Oasi Zegna, Trivero (BI)

Ingresso a contributo libero; Iscritti FAI: gratuito. Possibilità di iscriversi in loco.

Per il concerto delle ore 15 sui tetti del Lanificio Ermenegildo Zegna: contributo a favore del FAI di 10 (ridotto 5 per i ragazzi con meno di 14 anni). Prenotazione obbligatoria: archivio.fondazione@zegna.com; 015 7591463

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Per informazioni: www.fondoambiente.it; www.oasizegna.com

 

Ufficio Stampa FAI

Simonetta Biagioni – stampa – tel. 02.467615219 s.biagioni@fondoambiente.it

Novella Mirri – radio e tv – tel. 06. 68308756 n.mirri@fondoambiente.it

 

Ufficio Stampa Fondazione Zegna

Federico Amato – tel. 02.89077394 federico.amato@efficere.it

 

 

ARTE IN LIBERTA’

Roberto De Wan, manager attento e raffinato, amministratore unico di De Wan Milano, nota per i suoi accessori femminili e maschili e per i complementi d’arredo, esplora ora i sentieri della pittura lo fa in modo vincenteesponendo in una personale dal titolo L’arte in libertà”, che inaugurerà giovedì 7 settembre, dalle 18,30, presso la Alson Gallery di via San Maurilio 11a Milano.

De Wan, utilizzando tecniche polimateriche, tessuti pregiati, olio, acrilico e pastelli combinatisi propone come pittore gentiluomo. Nei suoi dipinti le inclinazioni per il mondo del fashion e il suo gusto innato sono segni inconfondibili. Ne nascono figure stilizzate, floreali, astratte, dense di simbolismo, dove a emergere sono le sensazioni vissute nel mondo del fashion design  milanese. De Wan sviluppa il tema del doppio, tanto caro alla letteratura e all’arte ottocentesche, svelando al pubblico la sua grande capacità nell’uso di tele e pennelli. L’amore per la pittura risale a molti anni fa; sono diciotto anni, infatti, che dipinge con passione e questa mostra, patrocinata dalla Regione Lombardia, rappresenta la concretizzazione di un percorso artistico, attraverso una esposizione antologica che narra il suo passato e il suo presente.

“Lo scattante segnpittorico di Roberto De Wan – afferma il noto grafologo Piero Chinaglia – rivela un’intelligenza rapida e brillante, creatività,  passione e talento della sua azione professionale, volta aun costante lavoro di ricerca“. Lo stile informale delle sue opere, apparentemente in contrasto con l’immagine di designer, ne risulta,  invece, complementare, tanto che i suoi progetti per bijoux e gli accessori moda sono approdati anche negli studi della Rai. Roberto De Wan ha all’attivo  una collaborazione  anche con la Camera Nazionale della Moda.

La mostra sarà aperta fino al primo ottobre  e un secondo vernissage dal titolo “Roberto De Wan designer” è  previsto per mercoledì 20 settembre alle 18.30, sempre alla Galleria Alson, in occasione della Settimana della Moda. Nei mesi successivi le opere di Roberto De Wan saranno disponibili nel suo atelier dmoda, in via Manzoni, nel Quadrilatero dela Moda, a Milano.

Un augurio per una sua prossima mostra a Torino.

Info:0276003018.

Mara Martellotta

UNA NUOVA SPINTA ALLA RACCOLTA DIFFERENZIATA

Al via la campagna di attivazione del nuovo servizio di raccolta rifiuti in San Salvario

Torino, 5 settembre 2017 – È ufficialmente partita la campagna di Amiat Gruppo Iren per l’attivazione del servizio di raccolta differenziata domiciliare “porta a porta” in una parte del quartiere San Salvario di Torino.

Grazie anche al contributo economico della Città Metropolitana di Torino, il “porta a porta” infatti verrà esteso all’area tra corso Marconi e corso Bramante – Parco Valentino compreso – aggiungendo circa 26 mila torinesi agli oltre 435 mila già serviti da questo sistema di raccolta.

Più nel dettaglio, l’estensione del “porta a porta” in San Salvario interesserà circa 13.500 famiglie, 1.000 uffici e 1.250 utenze non domestiche, ma il progetto della “nuova spinta” non si fermerà qui. Nel 2018 infatti si prevede di estendere il “porta a porta” anche ai quartieri di Borgo Rossini-Vanchiglietta e Santa Rita per un totale di altri 42 mila abitanti coinvolti.

L’iniziativa è volta da un lato all’aumento della percentuale di raccolta differenziata nel quartiere, così da rafforzare ulteriormente i risultati complessivi della Città di Torino, dall’altro ad accrescere il grado di consapevolezza ambientale, in particolare sul tema rifiuti, di tutti i cittadini residenti nella zona.

“Siamo convinti di poter raggiungere l’ambizioso obiettivo di incrementare la raccolta differenziata fino a raggiungere la quota del 65% entro il 2020, obiettivo indicato dall’Unione europea – spiega l’assessore all’Ambiente della Città di Torino, Alberto Unia – Per far questo, è necessario investire sulla raccolta “porta a porta”: in questi giorni si parte da San Salvario, entro l’anno saranno coinvolti altri due quartieri, Santa Rita e Vanchiglietta-Borgo Rossini. E stiamo lavorando per estendere tale servizio in tutta la città entro il 2020. La raccolta differenziata è un obiettivo di civiltà, oltre che di natura economica. Permette di reimmettere nel ciclo produttivo materiali destinati altrimenti al macero, generando lavoro e nuove risorse, ma soprattutto genera e diffonde una cittadinanza consapevole, una modo di vivere la città in cui tutti si sentono elementi attivi e partecipi della cura del territorio e del benessere globale”.

L’attivazione del servizio viaggerà parallelamente e in stretta correlazione con le attività di comunicazione collegate. In questi giorni, quindi, tutte le utenze interessate – domestiche, commerciali o produttive – riceveranno nella cassetta postale, a cura degli incaricati Amiat, materiale informativo dedicato.

A seguire, dal 18 settembre a fine novembre, operatori autorizzati e muniti di apposito documento e pettorina di riconoscimento consegneranno casa per casa lo “starter kit”, composto da una biopattumiera, sacchetti compostabili per la raccolta dell’organico, sacchi per gli imballaggi in plastica, calendario dei passaggi settimanali e materiale informativo sul nuovo sistema di raccolta. Al fine di favorire la popolazione straniera residente nell’area, parte di questo materiale sarà inoltre disponibile in cinque lingue differenti.

Nel caso in cui l’utente non fosse presente durante il passaggio, troverà al suo rientro un avviso cartaceo con il quale potrà recarsi a ritirare personalmente il kit, dal 16 ottobre al 19 dicembre, tutti i giovedì e venerdì dalle 16.30 alle 20.30 e sabato dalle 9.00 alle 13.00, presso il punto info-distributivo allestito nella Sala Consiliare della Circoscrizione VIII, in via Campana 32/a.

Il 13 e 14 gennaio 2018, infine, per facilitare anche i residenti attigui a corso Bramante, verrà organizzato un altro punto info-distributivo presso la Casa del Quartiere “Barrito” di via Tepice 23/c.

In concomitanza con l’attività informativa verso utenti e attività non domestiche, a partire da ottobre, Amiat inizierà anche a consegnare i cassonetti previsti per la raccolta differenziata domiciliare, che verranno posizionati negli appositi spazi interni dei condomini, già individuati durante la precedente fase di progettazione.

Una volta sistemati, i contenitori potranno essere utilizzati dal giorno successivo alla consegna, seguendo le regole fornite dai materiali informativi e quanto indicato dal proprio amministratore di condominio. I cassonetti stradali potranno ancora essere utilizzati sino al momento della loro rimozione, che avverrà gradualmente e sarà comunque segnalata tramite apposita locandina.

La campagna di coinvolgimento prevede, inoltre, altre azioni di comunicazione/informazione fra le quali una piccola mostra itinerante sul tema “riciclo” che sarà ospitata presso i punti di maggior afflusso del territorio.

Ma non solo. Da oggi è attiva anche la pagina Facebook “Porta a Porta San Salvario”, dove saranno disponibili, per tutti i cittadini interessati, informazioni e aggiornamenti sulle diverse zone di attivazione del quartiere.

“Con l’attivazione di questa area di San Salvario – dice Gianluca Riu, Amministratore Delegato di Amiat – riprende l’estensione della raccolta porta a porta verso le zone centrali e semicentrali della città. Siamo fiduciosi che grazie anche alle future attivazioni di Borgo Rossini-Vanchiglietta e Santa Rita, previste per l’anno 2018, la percentuale di raccolta differenziata di Torino possa segnare un’interessante crescita che ci auguriamo sia accompagnata da un ulteriore miglioramento qualitativo di quanto raccolto nei quartieri dove è già presente il servizio porta a porta”.