Il trentesimo anniversario rappresenta una data particolarmente significativa per tante ragioni. Per la capacità evocativa che ha in sé e perché rammenta i problemi ancora non risolti che il nucleare si porta appresso

Il 25 aprile 1986 a Pryp’jat’ , in Ucraina, faceva caldo. E in molti, giunta ormai la sera, si godettero finalmente dalle terrazze il primo tepore primaverile,pensando ai preparativi per la festa del primo maggio e alle gite sul fiume che scorreva lì vicino. Nessuno immaginava che da lì a poche ore la vita di tutti sarebbe stata sconvolta dal più grave incidente nucleare civile di tutti i tempi. Pryp’jat’, era la città più vicina alla centrale di Černobyl’, ad una quincidina di chilometri a sud del confine con la Bielorussia. All’epoca vi abitavano circa 50 mila persone mentre nell’agglomerato che dava il nome alla centrale i residenti erano più o meno 12 mila. Nel resto della regione c’erano solo boschi e fattorie. I quattro reattori della centrale nucleare “ Vladimir Il’ič Lenin Černobyl’ ,progettati e costruiti tra gli anni ’70 e ’80, erano del tipo “RBMK-1000”, già allora oggetto di critiche e preoccupazioni, sospettati di essere imperfetti e quindi insicuri. Quel tipo di reattori usavano combustibile a uranio arricchito U – 235 per riscaldare l’acqua, creando il vapore necessario ad azionare i generatori di energia elettrica. Per l’accumulo dell’acqua, utilizzata come refrigerante e
regolatore della reattività del nocciolo nucleare, era stato costruito un enorme serbatoio artificiale di circa 22 chilometri quadrati, alimentato dal fiume Pryp’jat’. Proprio quel giorno i gestori degli impianti stavano preparando un arresto per eseguire la manutenzione ordinaria sul reattore numero quattro. Violando le norme di sicurezza, secondo quanto s’apprese in seguito,. vennero disabilitati anche i meccanismi automatici di spegnimento. Il disastro avvenne all’una e mezza del mattino del 26 aprile, quando un brusco e incontrollato aumento della temperatura del nocciolo innescò una tremenda esplosione fece saltare la piastra di tonnellate che copriva il “cuore” del reattore, rilasciando radiazioni nell’atmosfera e interrompendo il flusso del liquido di raffreddamento dello stesso. Alcuni secondi dopo, una seconda esplosione di maggiore potenza distrusse l’intero edificio del reattore, provocando incendi attorno al reattore danneggiato e a quello numero 3, che era ancora in funzione al momento delle esplosioni. Quelle esplosioni
generarono un fall-out radioattivo che interessò oltre 200.000 chilometri quadrati di territorio, coinvolgendo più di sei milioni di persone. La maggior parte di quelle radiazioni erano di iodio -131 , cesio -134 e cesio -137. Questi ultimi, in particolare, sono isotopi con tempi di dimezzamento lunghi (il cesio -137 ha una emivita di trent’ anni) e rappresentano tutt’oggi una fonte di preoccupazione e di inquinamento ambientale. Tornando a quei giorni, gli abitanti di Pryp’jat’ vennero evacuati circa 36 ore dopo l’incidente. Sulla bacheca di classe di un asilo della città, una mano anonima scrisse: “ Non ritorneremo.Addio, Pryp’jat’, 28 aprile 1986”. Molti già lamentavano vomito, mal di testa e altri sintomi da esposizione a radiazioni.Venne isolata una zona di trenta chilometri intorno alla centrale, assicurando i residenti che sarebbero tornati dopo qualche giorno, tanto che la maggior parte delle persone lasciò la maggior parte degli effetti personali e degli oggetti di valore nelle case. Al momento dell’incidente i venti soffiavano da sud e da est, così che la maggior parte delle nubi radioattive viaggiò in direzione nord-ovest, verso la Bielorussia. le autorità sovietiche, lentissime e riottose a rilasciare informazioni sulla gravità del disastro al resto del mondo, furono costrette a rivelare la reale portata della crisi quando l’allarme radiazioni raggiunse una centrale nucleare in Svezia. Ormai, mezza Europa era stata lambita e contaminata dalla nube tossica. Più di trenta lavoratori di Černobyl’ morirono nei primi mesi successivi l’incidente, secondo la US Nuclear Regulatory Commission (NRC), tra i quali alcuni di quegli eroici operai che si esposero consapevolmente a livelli mortali pur di evitare ulteriori perdite di radiazioni. Migliaia di casi di cancro alla tiroide sono stati collegati all’esposizione alle radiazioni in Ucraina, Bielorussia e Russia, anche se il numero preciso di casi direttamente causati dall’incidente è difficile (se non impossibile) da accertare. Basti
pensare che gli alberi dei boschi circostanti l’impianto morirono a causa degli alti livelli di radiazioni, tant’è che quella regione è nota oggi come la “foresta rossa”, per il loro colore bruno-rossastro. Il reattore danneggiato venne frettolosamente sigillato in un sarcofago di cemento destinato a contenere la radiazione residua. Quanto sia stata efficace questa soluzione e quanto continuerà ad esserlo nel futuro è un argomento di intenso dibattito scientifico. Nonostante la contaminazione del sito e dei rischi inerenti il funzionamento di un reattore con gravi difetti di progettazione, la centrale nucleare di Černobyl’ è restata in funzione per molti anni, fino a quando , nel dicembre del 2000, il suo ultimo reattore è stato spento. L’impianto, le città fantasma di Pryp’jat’ e Černobyl’, oltre ad una vasta area che circonda la centrale conosciuta come “zona di alienazione”, sono in gran parte off-limits per gli esseri umani. Vi sono, tuttavia, delle eccezioni. A poche centinaia di ex-residenti della zona è stato concesso di tornare alle loro case, nonostante i rischi di esposizione alle radiazioni. Gli scienziati, i funzionari governativi e altro personale sono ammessi sul sito per le ispezioni. Da qualche anno,incredibile ma vero, l’Ucraina ha aperto l’area ai turisti che vogliono vedere in prima persona le conseguenze del disastro. Così , con circa 150 dollari, è possibile visitare la centrale nucleare, arrivare fino a poche centinaia di metri dal reattore numero quattro, quello dell’incidente, e vagare per qualche ora fra rovine di cittadine abbandonate. L’esplosione ha rilasciato una ricaduta 400 volte più radioattiva della bomba di Hiroshima, contaminando quei 200.000 km quadrati d’Europa. Circa 600.000 persone sono state esposte a dosi elevate di radiazioni, e più di 350.000 persone hanno dovuto essere evacuate dalle zone contaminate. Anche dopo molti anni di ricerca scientifica e di indagine del governo, ci sono ancora molte domande senza risposta sull’incidente di Černobyl’: a distanza di anni restano ancora alcuni misteri legati al peggior disastro nucleare della storia dell’umanità. A trent’anni dal più grave incidente tecnologico del XX° secolo, la prova drammatica che la sicurezza, quando si parla di nucleare, è una mera illusione e che può essere sufficiente anche un solo, banale errore tecnico per innescare conseguenze tragiche come quelle verificatesi quel 26 aprile 1986. Trecentosessanta mesi ci separano da quei giorni ma gli effetti di quel disastro continuano a pesare sull’esistenza di milioni di persone che vivono, loro malgrado, nei territori più colpiti dal fall-out radioattivo, contaminati da livelli di radiazioni a volte difficilmente compatibili con la stessa sopravvivenza.

Questa è la condizione quotidiana di donne,uomini e bambini delle regioni di Gomel e di Brest in Bielorussia, e di coloro che sono tornati ad abitare nelle loro case in mezzo al deserto radioattivo di Černobyl’. In Italia, sull’onda di quel distrastro, venne indetto un referendum nel 1987 che chiuse definitivamente la pagina del nucleare nel nostro Paese. Il trentesimo anniversario rappresenta una data particolarmente significativa per tante ragioni. Per la capacità evocativa che ha in sé e perché rammenta i problemi ancora non risolti che il nucleare si porta appresso ( l’insicurezza intrinseca delle centrali, il problema dello smaltimento delle scorie e dello stoccaggio delle barre esauste , ecc). “Ricordare” Černobyl’, o meglio non dimenticare mai ciò che lì accadde, è tanto più importante in questo caso perché le “tracce” lasciate da quel giorno maledetto rimarranno per molte centinaia di anni. Non dobbiamo permettere che si dimentichi, perché il nocciolo del quarto reattore della centrale ucraina, esploso quella lontana notte di trent’anni fa, arde ancora sotto quel sarcofago di cemento armato.
Marco Travaglini
STORIE DI CITTA’ / di Patrizio Tosetto
Casa Gramsci. Una costola della Fondazione Gramsci gestirà le stanze dove Antonio Gramsci visse dal 1913 al 1922. La città di Torino si arricchisce. Nata da un’idea dell’allora presidente Atc Giorgio Ardito fatta propria dalla Giunta, con la riqualificazione dell’edificio di piazza Carlina, diventato albergo a cinque stelle. Anche nella nostra città i “miracoli” diventano realtà.
All’inizio del nuovo secolo l’edificio sgomberato rischiava di collassare ed era di proprietà pubblica.

Tra le novità più rilevanti del provvedimento, la previsione del Piano triennale integrato per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d’azzardo patologico che il Consiglio regionale dovrà approvare, su proposta della Giunta, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge. Il Piano dovrà – tra l’altro – promuovere interventi per aumentare la consapevolezza sulla dipendenza correlata al gioco per i giocatori e le loro famiglie
Il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità il disegno di legge proposto dalla Giunta regionale e il testo del disegno di legge presentato dal gruppo Forza Italia sulla prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico in Piemonte. Era stato istituito un gruppo di lavoro formato da componenti delle Commissioni Commercio e Sanità e la discussione in aula aveva preso il via nei giorni scorsi con l’illustrazione dei relatori di maggioranza, dei gruppi Pd e Sel, e di minoranza, appartenenti ai gruppi di FI e del M5S. Nella seduta di martedì gli esponenti del Movimento 5 Stelle hanno evidenziato l’importanza di provvedimenti contro il gioco d’azzardo, che impoveriscono la popolazione anche e soprattutto nei momenti di crisi, e la necessità d’incentivare iniziative “no slot”.
Tra le novità più rilevanti del provvedimento, la previsione del Piano triennale integrato per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d’azzardo patologico che il Consiglio regionale dovrà approvare, su proposta della Giunta, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge. Il Piano dovrà – tra l’altro – promuovere interventi per aumentare la consapevolezza sulla dipendenza correlata al gioco per i giocatori e le loro famiglie; favorire un approccio consapevole, critico e misurato al gioco; informare sull’esistenza di servizi di assistenza e cura svolti da soggetti pubblici e del terzo settore sul territorio regionale e sulle modalità d’accesso; informare i genitori e le famiglie sui programmi di filtraggio e blocco dei giochi on line; prevedere interventi di formazione e di aggiornamento, obbligatori ai fini della prosecuzione dell’attività, per i gestori e il personale delle sale da gioco e delle sale scommesse e pianificare campagne annuali d’informazione sui rischi e sui danni derivanti dalla dipendenza dal gioco.
semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-sanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile ed oratori, istituti di credito e sportelli bancomat, esercizi di compravendita di oggetti preziosi ed oro usati, movicentro e stazioni ferroviarie. Per esigenze di tutela della salute e della quiete pubblica – poi – entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge i Comuni dovranno disporre limitazioni temporali all’esercizio del gioco tramite slot machine per una durata non inferiore a tre ore nell’arco dell’orario di apertura previsto, all’interno delle sale da gioco, delle sale scommesse, degli esercizi pubblici e commerciali, dei circoli privati e di tutti i locali pubblici o aperti al pubblico.




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