Nel mio libro Il Libro Cuore di Valentina a un certo punto ho riportato le parole con le quali Edmondo De Amicis fa una vera e propria dichiarazione d’amore alla città di Torino, che lo accolse quando aveva all’incirca quindici anni
Scrive De Amicis: In nessun’altra città si vede tanto verde, tanto azzurro, tanta bianchezza; in nessun’altra ha un riso così fresco e così splendido la primavera, che qui pare un ricominciamento del mondo. E poi, essendosi in tanti anni trasformata la città sotto i miei occhi, vedo ed amo sempre negli aspetti nuovi gli aspetti scomparsi, m’avvolge un nuvolo di memorie a ogni passo, sento mille voci di persone e di cose passate che mi chiamano, ribevo sorsi d’aria della gioventù della patria e della mia… Per questo io son legato alla città anche dalla gratitudine; legato da tanti vincoli del cuore, del pensiero e del sangue, che non potrei più vivere altrove a nessun patto, neppure a quello di diventar ricco se fossi povero, sano se fossi infermo, e di trovar cento nuovi amici se qui non mi restasse un amico (E. De Amicis, La carrozza di tutti, Aracne, 2011).
Anch’io arrivai a Torino cinquantaquattro anni fa ed ho nei confronti di questa città la stessa gratitudine. A Torino frequentai per alcuni anni l’Istituto Casale per Chimici Industriali. E fu da questa scuola che cominciarono gli incontri torinesi che mi hanno poi profondamente cambiato. Il mio professore di lettere, Mario Passera, insegnava con uguale passione letteratura e storia e le sue lezioni avevano la meglio, per me, su quelle di analisi chimica e di chimica organica. Fu lui che un giorno mi mise tra le mani Politica e cultura di Norberto Bobbio, quasi un biglietto di benvenuto a chi era approdato in una città sconosciuta ricca di storia e di cultura, aperta al mondo più di quanto potevo immaginare. Fu lui che, mentre prestavo servizio militare a Roma, mi aiutò da lontano a preparare gli esami per conseguire il diploma magistrale che mi avrebbe consentito di iscrivermi alla facoltà di Magistero a Palazzo Nuovo. Correggeva i miei temi, mi regalava libri con la generosità che tendiamo a mostrare verso chi si accinge a ricevere il testimone di una cultura nella quale siamo cresciuti e che abbiamo amato.
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Come dimenticare i lunghi pomeriggi trascorsi a sfogliare e leggere libri alla Biblioteca Civica, un luogo meraviglioso dove entrare in contatto affettuoso con testi e autori cercati o scoperti per caso? Accoglievo tra le mani con rispetto e amore libri dal profumo antico, storie che raccontavano il passato, interpretavano il presente e lanciavano uno sguardo fiducioso sul futuro. Ma mi aspettavano altri incontri. All’università conobbi professori di grande levatura morale e intellettuale. Uno per tutti: Vincenzo Ciaffi, grande latinista, già comandante partigiano di Giustizia e Libertà. Assistere alle sue lezioni su Catullo e Petronio era un’avventura dell’anima. L’uomo di cultura, lo storico, l’appassionato ricercatore che nella letteratura antica trovava le tracce di problemi ancora attuali, trascinava chi l’ascoltava verso orizzonti imprevedibili. Non eravamo in tanti a seguire i suoi corsi. Il latino era scelto da pochi, a Magistero la pedagogia prevaleva sul resto. Ma io non persi mai una sua lezione. Ascoltandolo, mi resi conto di una verità che poi feci mia quando cominciai ad insegnare ai bambini. Un insegnante non è un semplice trasmettitore di nozioni. È qualcuno che ha a cuore non solo la materia che insegna, ma soprattutto il dialogo con gli interlocutori ai quali si rivolge. Le sue lezioni diventano perciò anche confronti di vite, scambi di punti di vista, ricerca comune per fare un passo avanti verso verità condivise. Questo era il professor Vincenzo Ciaffi. Un uomo che amava la scuola e che esortava gli studenti contestatori a non distruggerla ma a sentirla come istituzione propria da cambiare e da migliorare. Perciò nelle assemblee rumorose e confuse di quei primi anni Settanta era sempre presente con la sua memoria di partigiano che aveva lottato per la libertà e la democrazia: un patrimonio prezioso da preservare soprattutto per i meno fortunati e i meno garantiti. Poi cominciai ad insegnare alla periferia nord della città. Entrai in una scuola in rapido mutamento, in una città in grande trasformazione. Dal Sud arrivavano tanti bambini insieme ai loro padri futuri operai Fiat. Bambini che avevano vissuto la loro prima infanzia in contesti più aperti e che era difficile ingabbiare per molte ore tra le pareti di un’aula scolastica. Bisognava perciò inventarsi una pedagogia nuova. E in quegli anni Torino fu all’avanguardia. Il Movimento di Cooperazione Educativa, che promuoveva una scuola moderna, che incoraggiava relazioni educative più avanzate, strategie di insegnamento nuove, si diffuse nella città e cambiò la vita di tanti insegnanti, oltre a quella dei bambini arrivati da lontano. Nei confronti di questi bambini Torino fu molto generosa. Gli insegnanti ebbero a disposizione mezzi, sussidi, risorse. Una intera città si mobilitò per dare alla scuola una dignità di cui non godette più in seguito. I bambini poterono attraversare Torino per partecipare a laboratori d’ogni tipo, visitare luoghi storici da scoprire, frequentare teatri. Era tutto un pullulare di iniziative che faceva della scuola il cuore pulsante della Torino di allora. Naturalmente anch’io fui parte attiva di quel fermento culturale che conferiva agli insegnanti una centralità che si sarebbe poi persa nel corso degli anni in tutto il Paese.
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Come, dunque, non amare questa città? Come non ripagarla nel modo più degno con i mezzi a mia disposizione? Questi mezzi, qualche anno dopo, diventarono i miei libri per l’infanzia. Perciò quando, nel 1995, creai il personaggio di Valentina, decisi senza esitazione di collocare la protagonista in un contesto torinese preciso e circostanziato. Valentina è nata in barriera di Milano, comincia a muoversi presto nella città che ama, ad esplorarla prima con il maestro, poi con i genitori, infine da sola. Con lei, Torino diventa lo sfondo di decine e decine di avventure, che si snodano tra vie, piazze, parchi, centro e periferia. Nacque così, per esempio, Difendi la natura con Valentina, un giallo ambientato nel parco della Confluenza dove per anni ho portato a giocare i miei alunni arrivando da via Botticelli ed entrando da Piazza Sofia. Conosco bene la storia di quel parco e nel libro ho voluto raccontarla, perché mi ero reso conto che molti torinesi la ignoravano. Ma anche Valentina è sparita è la storia di un rapimento che prende avvio nella farmacia Centrale di via Roma e si conclude a Mirafiori. Buon Natale, Valentina è una storia dai molti sviluppi che nasce a Porta Palazzo, mentre Grandi novità in arrivo si snoda nei luoghi del centro, quelli percorsi dalla futura sorella adottiva di Valentina quando da sola vagabondava senza meta nella città. E potrei continuare citando decine di libri che hanno come sfondo questo o quel luogo di Torino che ho conosciuto bene: dal Valentino ai Murazzi, da Borgo San Paolo a Piazza Statuto, dall’ospedale Regina Margherita a Piazza Carlina, ossia Piazza Carlo Emanuele II, della quale ho parlato in Una mamma per Irene.
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Con i miei libri e la mia Valentina ho contribuito a far conoscere Torino a migliaia di bambini italiani per i quali la città era solo un nome geografico tra gli altri. Tanti di loro, durante le visite in città con le rispettive classi, chiedono agli insegnanti di mostrar loro i luoghi che Valentina cita nei suoi libri: da Via Garibaldi a via Po, da Piazza San Carlo a Piazza Vittorio. Me lo dicono, me lo scrivono, vogliono condividere con me le emozioni provate nel passeggiare dove ha passeggiato e la loro eroina. Infine Il libro Cuore di Valentina, il mio più recente omaggio alla città. Un libro nel quale si sono depositati memorie giovanili e ricordi più vicini, come le panchine dei Giardini Lamarmora, dove ho sostato a leggere, riflettere, scrivere. Ma anche le bancarelle di libri usati di Corso Siccardi, che ormai sono soltanto un ricordo e che costituiscono una triste perdita per Torino. Quando avevo pochi soldi, su quelle bancarelle trovavo i libri che non potevo acquistare. Quando ne ho avuti di più sono andato a cercare delle rarità che illuminano gli occhi dei bibliofili e riscaldano loro il cuore. E penso ancora al Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia, allogato nel Palazzo Barolo, tra Piazza Savoia e via Corte d’Appello. Il libro è dedicato proprio al suo fondatore, Pompeo Vagliani, che cura con amore e passione di storico e di studioso le memorie della scuola torinese di fine Ottocento, quella immortalata nelle pagine del Cuore di De Amicis e negli altri scritti di questo autore spesso a torto bistrattato. Continuo a seguire con attenzione i cambiamenti di Torino, le sue aspirazioni ad essere sempre più una città che sa preservare il passato senza però negarsi al futuro, del quale ha fame. Una città che ha sempre saputo accogliere con generosità, equilibrio, intelligenza. Una città di uomini e di donne che hanno saputo dare molto al nostro Paese. E a me tra gli altri.