STORIA- Pagina 69

Willy Jervis, partigiano dell’Olivetti

Ivrea gli ha dedicato la via sulla quale si affaccia il cuore del sogno industriale degli Olivetti, con la “fabbrica di mattoni rossi” di Camillo e la “fabbrica di vetro” di Adriano con le finestre che riflettono i profili delle montagne che circondano la città dalle “rosse torri”.

La stessa arteria che il grande architetto e urbanista Le Corbusier non esitò a definire “la strada più bella del mondo”. William Jervis, più noto come Guglielmo o come Willy, ingegnere olivettiano e antifascista, alpinista e partigiano era nato a Napoli l’ultimo giorno del 1901. Venne al mondo nella città dal golfo dominato dal Vesusio per puro caso. Come ricorda un bell’articolo che gli dedicò L’Ora del Pellice  “il padre Thomas, un milanese di origini inglesi, ingegnere e dirigente aziendale” si trovava a Napoli per ragioni di lavoro e si ruppe una gamba. “La moglie Bianca Quattrini lo raggiunge per sostenerlo, ma il travaglio la sorprende nella città partenopea, dove il 31 dicembre 1901 dà alla luce il piccolo Willy. I legami della famiglia Jervis con la Val Pellice sono stretti. Il nonno di Willy, un importante geologo britannico che come lui si chiamava William Paget Jervis, aveva sposato una donna valdese di Torre Pellice, Susanna Laura Monastier. Anche Thomas Jervis, il padre di Willy, pur vivendo abitualmente a Milano, era frequentemente in visita alle Valli valdesi”. Guglielmo Jervis studiò a Torino, Firenze e al Politecnico di Milano dove si laureò in ingegneria nel 1925. Terminato il servizio militare fu assunto alla Frigidaire, azienda milanese di frigoriferi dove lavorò per sei anni. Attivo nel movimento giovanile valdese, Jervis collaborò alla redazione della rivista Gioventù Cristiana e nel 1932 sposò una ragazza fiorentina conosciuta a Torre Pellice, anch’essa valdese: Lucilla Rochat. Nel 1934 il giovane ingegnere passò alle dipendenze della Olivetti. Dopo un breve incarico come direttore della filiale di Bologna, Adriano Olivetti lo chiamò nella sede di Ivrea, affidandogli il compito di pianificare e coordinare la formazione professionale degli operai meccanici della prestigiosa fabbrica di macchine per scrivere. Intelligente, schivo, riservato e, al tempo stesso, estremamente concreto e dinamico, l’ingegner Jervis nutriva una grande passione per l’alpinismo. Amava le montagne, le ascensioni in roccia e fece parte del Club Alpino Accademico Italiano, la sezione d’eccellenza del sodalizio, il fiore all’occhiello del CAI formato da alpinisti che si erano distinti per le loro imprese sportive. Deciso oppositore del fascismo dopo l’armistizio dell’ 8 settembre fu tra i primi a organizzare la resistenza armata nella zona di Ivrea. Mettendo a frutto la sua abilità alpinistica e la conoscenza delle lingue, accompagnò più volte gruppi di profughi ebrei e di sbandati in Svizzera, dove entrò in contatto con esponenti dell’esercito e dei servizi segreti militari inglesi dell’OSS che gli affidarono importanti missioni di collegamento con i partigiani italiani. Ricercato da fascisti e nazisti, Jervis raggiunse Torre Pellice e le valli valdesi dove proseguì l’attività partigiana assumendo il nome di battaglia di “Willy”. Commissario politico delle formazioni piemontesi di Giustizia e Libertà, l’ingegnere olivettiano si distinse per coraggio e altruismo, organizzando anche il primo lancio di armi ai partigiani nel gennaio del ’44, un episodio importante che Giorgio Agosti ricordò così: “In quell’alta Val d’Angrogna che aveva visto accendersi i fuochi dei valdesi che difendevano la loro libertà contro le truppe francesi e piemontesi, Jervis ebbe la gioia di accendere i fuochi che accolsero il primo lancio di armi effettuato dagli alleati nelle alpi occidentali”. Un paio di mesi dopo, la mattina dell’11 marzo, Jervis fu fermato da una pattuglia delle SS sul ponte di Bibiana perché sprovvisto dei documenti di circolazione della sua motocicletta. Portato in caserma, prima di essere interrogato, tentò inutilmente di disfarsi del materiale compromettente e venne trasferito e rinchiuso per cinque mesi nelle Carceri Nuove di Torino in attesa della condanna a morte. Torturato a lungo, non rivelò alcuna informazione che potesse nuocere al movimento partigiano. Nonostante le dure restrizioni della vita carceraria riuscì clandestinamente a scrivere delle lettere alla moglie. Nella notte tra i 4 e il 5 agosto 1944, insieme ad altri quattro compagni, venne portato a Villar Pellice e fucilato sulla piazza del paese che oggi, in memoria del suo sacrificio, ne porta il nome. Il corpo di Willy Jervis, a spregio e monito, fu poi impiccato a un albero. Il giorno dopo, sul luogo dell’esecuzione, fu ritrovata la Bibbia tascabile che portava sempre con sé sulla quale aveva inciso con uno spillo l’ultimo suo pensiero: “Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea”. Dopo la sua morte, considerando il suo ingegnere un “caduto sul lavoro”, Adriano Olivetti si offrì di mantenere la famiglia di Jervis, chiedendo alla vedova Lucilla Rochat “l’onore di provvedere” a lei e ai figli. Nel 1950 Jervis venne decorato alla memoria con la medaglia d’oro al valor militare. A lui sono dedicati  due rifugi alpini (uno a Ceresole Reale, in Valle Orco sulle Alpi Graie; l’altro a Bobbio Pellice, in val Pellice nelle Alpi Cozie). Un testo fondamentale per approfondire la sua storia è “Un filo tenace. Lettere e memorie 1944–1969”, che raccoglie la corrispondenza con la moglie Lucilla e Giorgio Agosti, pubblicata da Bollati Boringhieri a cura di Luciano Boccalatte, con l’introduzione di Giovanni De Luna e la postfazione del figlio di  Jervis, Giovanni, importante psichiatra e collaboratore di Franco Basaglia, scomparso nel 2009. Un altro libro importante è “Willy Jervis. Una vita per la libertà”, scritto da Lorenzo Tibaldo per i tipi della Claudiana.

Marco Travaglini

Fiorentini, Via Rasella e Montezemolo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

L’amica Mirella Serri, su “La Stampa”, ha rievocato  il partigiano Mario Fiorentini, morto  a 103 anni, e scritto “Senza il mitico Mario non ci sarebbe stata la resistenza romana che, oltre a lui, ebbe fra i personaggi di maggior spicco Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Antonello Trombadori, Franco Calamandrei, Gioacchino Gesmundo e donne come Carla Capponi, Maria Teresa Regard e Marina Musu. Sì Grazie a questi gappisti gli uomini di Hitler e di Mussolini subirono attacchi e sconfitte clamorosi”.

Non dò giudizi su Fiorentini  di cui so poco anche perché il ricorso al terrorismo durante la Resistenza non l’ho mai condiviso. Ma non si può sottovalutare che il mitico Mario insieme a Giorgio Amendola  fu ideatore  dell’attentato in via  Rasella che provocò la  strage delle Fosse Ardeatine  con oltre trecento italiani mandati al macello. Quell’episodio di terrorismo,  che non fu un atto di guerra, organizzato dai Gappisti comunisti,  fu condannato da tutta la Resistenza non comunista. anche perché venne fatto poco tempo prima della liberazione di Roma  e si rivelò di fatto inutile.

Vorrei ricordare che, se i comunisti furono una parte  importante della Resistenza romana, il principale promotore della Resistenza a Roma fu il colonnello Giuseppe  Cordero  Lanza di Montezemolo che si oppose al terrorismo  dei comunisti e finì prima a Regina Coeli e poi alle Fosse Ardeatine. Montezemolo fu il capo del fronte clandestino romano. Rispettiamo Fiorentini che avrà agito sicuramente in buona fede e fu un partigiano pluridecorato , ma non  possiamo dimenticare la Medaglia d’oro al Valor Militare Montezemolo che fu la vera anima della resistenza armata già dall’8 settembre 1943. Ricordo che anche Marco Pannella condannò l’episodio di via Rasella  così come condannò il terrorismo rosso delle Br.

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I Walser e la conquista delle “infames frigoribus alpes”

Inospitali, misteriose. Luoghi paurosi da evitare. In passato le montagne non furono ritenute abitabili oltre certi limiti.

Lo storico romano Tacito le definì “Infames frigoribus Alpes”, considerando le Alpi un ostacolo al commercio e al passaggio degli eserciti. Ne passò del tempo fino ad arrivare a poco prima dell’anno Mille quando, nell’Alto Vallese, nel territorio dell’attuale Svizzera, iniziò la colonizzazione delle alte quote, la conquista della montagna da parte del contadino medioevale nel periodo in cui tutti aspettavano la fine del mondo.

Protagonisti principali furono i Walser ( il nome deriva da una contrazione di Walliser, vallesano ) discendenti di un popolo alemanno penetrato nell’alto medioevo a ridosso delle Alpi centrali. Acclimatati alle grandi altitudini dell’alto Vallese, a partire dalla seconda metà del XIII secolo i Walser colonizzarono le zone più elevate delle Alpi e in particolare le valli intorno al Monte Rosa, dando vita alle comunità di Alagna, Gressoney, Issime, Rimella, Rima, Macugnaga e Ornavasso. Un’altra spinta migratoria portò, attraverso il passo del Gries, alla conquista della Val Formazza, dalla quale dove fu poi raggiunto Bosco Gurin, nell’elvetico Canton Ticino. Questi coloni, arroccati e isolati nell’ambiente aspro e poco ospitale dell’alta montagna, programmarono e realizzarono una vasta opera di bonifica di quelle zone a quei tempi perlopiù disabitate, creando villaggi autosufficienti in grado di sopravvivere ai rigori di lunghi inverni. Le esperienze precedenti nell’alta valle del Rodano furono senz’altro d’aiuto ai nuovi colonizzatori che dovettero affrontare nuovi problemi d’adattamento, il clima rigido, le frequenti valanghe e la necessità di realizzare un’autosufficienza agricola. L’allevamento del bestiame, unica risorsa possibile, richiese opere di disboscamento, la costruzione di baite, strade, trasformando i boschi in pascoli; tutto ciò richiese l’invenzione di tecniche e strumenti di lavoro da adattare a quell’ambiente.

Il risultato ottenuto permise una forma d’agricoltura e di sopravvivenza dell’uomo ad alte quote. I prodotti del loro lavoro erano soprattutto di tipo caseario: latte, burro e formaggio, provenienti dagli allevamenti bovini degli alpeggi. Il clima ebbe un’importanza decisiva. Negli insediamenti Walser più elevati si registrava un clima secco, con brevi piogge annuali nella stagione estiva. Con l’eccezione della val Formazza dove le precipitazioni sono sempre state più abbondanti ma ben ripartite. In ragione dell’umidità e dell’altitudine i coloni stabilivano se e cosa coltivare. Gli alpeggi della Val Formazza, costruiti quasi tutti tra il XIII e il XV secolo, nacquero per il bisogno, avvertito in tutta Europa, di ampliare i raccolti e i terreni coltivabili. Venne così realizzata  la alpwirtschaft, un’economia che traeva la sua forza dall’unione tra agricoltura e allevamento. Era un modello sbilanciato, poiché le coltivazioni si riducevano allo sfalcio e a tre tipi di colture: patata (introdotta a partire dal XVII secolo), segale e canapa. Infatti, era l’allevamento la risorsa primaria del piccolo popolo delle Alpi. Il ritmo delle stagioni regolava l’attività. Nella stagione fredda, la stabulazione invernale avveniva nelle stalle dei villaggi di fondovalle, dove le bestie erano alimentate con il fieno accumulato durante l’estate (fino a ottocento metri d’altitudine). In primavera, allo spuntare delle prime erbe, e in autunno il bestiame veniva fatto salire  sui corti maggengali, ricoveri tra gli ottocento e i duemila metri. Infine, gli alpeggi: il bestiame vi pascolava senza doversi nutrire di fieno, tra il 24 giugno (festa di S.Giovanni) e l’8 settembre (natività di Maria), a circa duemila metri.

I giorni della benedizione dell’alpe e della pesatura del latte erano considerati momenti di grande festa, alla quale partecipavano tutti i proprietari del bestiame. La discesa dagli alpeggi era accompagnata da una grande festa popolare: S. Michele, momento di fiera del bestiame e commercio dei prodotti caseari. La casata (raccolta e conduzione del bestiame all’alpeggio) era organizzata in modo comunitario; la pesatura del latte avveniva una o due volte, in prevalenza il giorno di S. Giacomo, il 25 luglio. Latte e formaggio erano beni importantissimi, a volte necessari per pagare le rate d’affitto. All’inizio dell’autunno i montanari riprendevano le loro abituali occupazioni dopo le necessarie interruzioni imposte dalla fienagione estiva e dall’alpeggio; tutti tornavano alle mansioni della vita contadina con campi da arare e bestiame da accudire nelle stalle. Si dividevano il formaggio prodotto in montagna oppure approfittavano di una precoce nevicata per salire ai maggenghi a recuperare il fieno raccolto in estate; andavano nei boschi a procurarsi la legna per l’inverno o da usare come materiale da costruzione. Quando il fiato gelido dell’inverno bussava alle loro porte avevano ormai accumulato abbastanza provviste; quindi, ci si poteva dedicare alla raccolta delle foglie secche, per l’imbottitura dei paglierini, o delle pigne, un altro ottimo combustibile. Ma la grande risorsa dei Walser era il formaggio d’alpe che, oltre al consumo interno, trasportato attraverso i valichi, era venduto nelle fiere, soprattutto dopo il ‘500.

L’antica tecnica di produrre formaggio grasso insieme al burro smisero di usarla e cominciarono a mettere in pratica una fabbricazione del formaggio con il latte intero, ottenendo così un impasto più pregiato. La qualità del formaggio d’alpe diventava ancor più pregiata quanto più la formazione erbosa era nutriente e densa per il bestiame. La vegetazione degli alti pascoli gode di una luce fortissima e della concimazione effettuata dalla neve disciolta, fiorendo all’inizio dell’estate e conservando aromi e sapori molto pronunciati; le specie vegetali più frequenti in quei pascoli sono ancor oggi la genziana, l’aglio alpino, la rosa alpina, il troglio, l’erba del cervo, l’erba mottolina ( o mutellina). E’, infatti, dall’unione di tutte queste specie che nascono formaggi straordinari come il Bettelmatt, prodotto proprio in Formazza. Un formaggio a pasta semicotta o cotta davvero eccellente quanto raro, dal gusto davvero unico e prezioso. La  sua consistenza è compatta, morbida in gioventù, dura se stagionato e il suo sapore , che gli esperti definiscono “dolce e untuoso, con note erbacee e vegetali evidenti”, l’ha fatto e lo fa apprezzare ai palati più esigenti. E anche questa è una delle eredità del piccolo popolo, degli straordinari montanari Walser.

 

Marco Travaglini

Forte di Exilles, al via la rassegna estiva

Festa a Exilles per la riapertura della fortezza dopo due anni di chiusura per il Covid e per l’avvio della rassegna estiva di spettacoli, mostre e visite guidate fino a domenica 11 settembre.
Ad inaugurare la stagione, organizzata dall’Associazione Revejo, mercoledì 3 agosto alle 21.00, lo spettacolo di Marco Paolini. Il calendario di eventi prosegue il 6 agosto alle 21.00 con il cantante australiano Nick Cester, il 17 agosto con il giovane violinista Federico Mecozzi, il 20 agosto con Tangram Teatro e il 4 settembre, sempre alle 21.00, con la pianista Frida Bollani Magoni.
A livello museale, l’Associazione Amici del Forte di Exilles propone tre visite giornaliere, una al mattino e due al pomeriggio con prenotazioni al 327-6262304.
Sul loggiato è allestita la mostra relativa alla vita nel forte dalla fine dell’Ottocento al 1943 mentre nelle cannoniere si può vedere l’esposizione sulle memorie militari in Alta Valle di Susa. Nell’ala sud del cortile del Cavaliere si trova invece la rassegna sugli itinerari Quattro-Cinquecenteschi tra pinerolese, Valle di Susa e Briançonnaise.
Inoltre il forte ospita l’installazione “La via francigena tra passato, presente e futuro”.              f.r.

Sul trenino nelle miniere di Prali

Felpa, giacca a vento, caschetto, scarpe da ginnastica e via sul trenino alla scoperta della miniera di talco più grande d’Europa, quella di Prali, in Val Germanasca, vallata alpina a una settantina di chilometri da Torino.

Il talco, quel prezioso minerale che viene impiegato in vari settori, dal cosmetico al chimico, dall’alimentare al farmaceutico, abbondava in queste valli e in parte c’è ancora, e per evitare che la chiusura delle miniere ne cancellasse per sempre la memoria è stato realizzato un grande progetto museale. L’obiettivo è quello di valorizzare il lavoro in miniera e di accendere i riflettori sulla cultura e sulla storia di un’intera valle, dalla religione alla cultura valdese, dalla lingua occitana all’economia familiare. Tutto ciò è diventato realtà nell’Ecomuseo delle miniere e della Valle Germanasca. Per andare all’avventura sotto terra e per scoprire segreti e curiosità legati alla vita dei minatori e all’estrazione del talco più puro d’Europa bisogna andare a Prali ed esplorare due miniere, la miniera Gianna e la miniera Paola percorrendo, su un trenino e in parte a piedi, quasi due chilometri di gallerie e cunicoli, senza naturalmente correre alcun pericolo. Tutto è organizzato alla perfezione e la prenotazione è obbligatoria. Il trenino sferraglia nelle gallerie di Prali in assoluta sicurezza. È lo stesso trenino che un tempo portava il “Bianco delle Alpi”, una varietà di talco assai pregiata, e oggi trasporta i visitatori.
All’uscita delle gallerie, al termine del tour, è interessante dare un’occhiata al museo che mette in vetrina gli strumenti utilizzati dai minatori e descrive le condizioni di vita degli stessi lavoratori. Il lavoro minerario ha in passato trasformato radicalmente il modo di vivere degli abitanti e l’ambiente della Val Germanasca. Nelle gallerie venivano impiegati centinaia di minatori, oltre 350, e la miniera di Prali era la più grande d’Europa. Per oltre un secolo e mezzo la coltivazione del talco ha dato un lavoro ai valligiani, un’occupazione stabile e ben pagata, anche se dura e pericolosa, ma pur sempre una valida alternativa all’emigrazione in cerca di fortuna e lavoro. Molti minatori ci lasciavano le penne, non tanto per incidenti in galleria o vittime di esplosioni ma a causa della respirazione della polvere di talco che invadeva i polmoni. Ci si ammalava di silicosi polmonare e molti minatori morivano prima dei settanta anni. Le miniere di Prali sono chiuse dal 1995 ma il talco resiste in valle. Con poche decine di minatori al lavoro e con sistemi più moderni e più sicuri, la vicina miniera di Rodoretto continua a produrre talco pregiato, ogni anno almeno 30.000 tonnellate. La visita nelle gallerie di Prali dura quasi due ore. Le miniere sono visitabili da marzo a novembre, solo su prenotazione. Per informazioni contattare l’Ecomuseo Miniere di Prali, telefono 0121-806987 – info@ecomuseominiere.it. È aperto tutti i giorni tranne il martedì con orario 9,30 -12,30 / 13,30-17,00. E’ obbligatoria la mascherina FFP2. Il biglietto costa 16 euro, ridotto 13,50, scuole 11 euro, gratis 3-5 anni e Abbonamento Torino Musei.      Filippo Re

Tanti appuntamenti per l’agosto dei Musei Reali

Continua l’offerta culturale dei Musei Reali con tanti appuntamenti che terranno compagnia ai torinesi che passeranno il mese di agosto in città e ai turisti che sceglieranno Torino per trascorrere le proprie vacanze. Tra questi anche l’iniziativa Domenica al Museo e l’apertura straordinaria di lunedì 15 agosto.

 

Giovedì 4 e giovedì 11 agosto alle ore 17, appuntamento con il ciclo di conferenze “Chiamata alle ArtiVite parallele. Storie di uomini e animali”. 

Tema dell’incontro di giovedì 4 agostoAnimati Animali. Spunti sull’immagine e il ruolo degli animali nel film d’animazioneChiara Magri, del Centro Sperimentale di Cinematografia dialogherà con Stefano Benedetto.

Tema dell’incontro di giovedì 11 agosto: I cavalli dell’Armeria RealePietro Passerin d’Entrèves, Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi, dialogherà con Giorgio Careddu.

Per informazioni: Chiamata alle Arti – Vite parallele. Storie di uomini e animali – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Venerdì 5 agosto, dalle 19.30 alle 23.30, apertura del percorso ordinario di Palazzo Reale con l’Armeria (ultimo ingresso ore 22.45). Tariffa di ingresso speciale a 5 Euro. Le opere della mostra Animali a Corte allestite nelle sale di Palazzo Reale saranno illustrate alle ore 19.30 da una guida di CoopCulture (info: Visite serali in occasione di “Torino Crocevia di sonorità” | CoopCulture). Per la rassegna Torino. Crocevia di sonorità, alle ore 21, al Salone delle Guardie Svizzere di Palazzo Reale, Omaggio alla mostra “Animali a Corte”Suoneranno gli allievi del Conservatorio di Torino, scuole di Composizione (Giorgio Colombo Taccani e Giuseppe Elos), Musica da Camera (Michele Nurchis), Violoncello (Dario Destefano), Violino (Sergio Lamberto). Al pianoforte, la professoressa Valeria De Bernardi. Ingresso riservato ai visitatori dei Musei Reali, fino a esaurimento dei posti disponibili.

Per informazioni: Aperture serali e concerti estivi ai Musei Reali. Torino Crocevia di Sonorità – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Domenica 7 agosto torna l’iniziativa del Ministero della Cultura Domenica al museo, che offre l’ingresso gratuito ai luoghi della cultura statali ogni prima domenica del mese. L’ingresso gratuito ai Musei Reali è concesso esclusivamente con prenotazione online al link Biglietto Musei Reali di Torino | CoopCulture a partire da mercoledì 3 agosto.

 

Lunedì 15 agosto i Musei Reali saranno aperti al pubblico e il giorno di chiusura sarà mercoledì 17.

 

Le attività con CoopCulture

Per il mese di agosto un nuovo calendario di appuntamenti con Benvenuto a Palazzo. Le guide e gli storici dell’arte CoopCulture vi aspettano per condurvi in una visita guidata alla scoperta delle sale di rappresentanza del primo piano di Palazzo Reale e dell’Armeria, un itinerario per scoprire o riscoprire la storia e la magnificenza della prima reggia d’Italia:

sabato 6 agosto alle ore 11 e alle 15.30;

martedì 9, mercoledì 10 e giovedì 11 agosto alle ore 11;

venerdì 12 agosto alle ore 10, 12, 14, 15.30 e 17;

sabato 13 agosto alle ore 10, 12, 14, 15.30 e 17; 

domenica 14 agosto alle ore 10, 12, 14, 15.30, 17;

lunedì 15 agosto alle ore 10, 12, 14, 15.30 e 17;

martedì 16 agosto alle ore 11.

Costo dell’attività: 7 Euro oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali (13 Euro ordinario, 2 Euro da 18 a 25 anni, gratuito under 18). Biglietti online su Musei Reali di Torino | CoopCulture – e-mail info.torino@coopculture.it

 

È possibile prenotare una visita ai percorsi speciali dei Musei Reali:

– sabato 13 e domenica 14 agosto alle 17.30: visita alle Cucine di Palazzo Reale, impreziosita dalla lettura a due voci di menù e ricette del tempo, per far rivivere un passato lontano.

Costo delle visite speciali: 10 Euro oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali (13 Euro ordinario, 2 Euro da 18 a 25 anni, gratuito under 18). Biglietti online su Musei Reali di Torino | CoopCulture – e-mail info.torino@coopculture.it

 

I Giardini della Cavallerizza Reale sono nuovamente aperti al pubblico. Il patrimonio verde del museo ritorna completamente accessibile grazie a iniziative e attività gratuite, rivolte a bambini e famiglie, realizzate in collaborazione con Xké? ZeroTredici, società consortile vincitrice della manifestazione d’interesse per l’assegnazione del servizio di valorizzazione dei Giardini della Cavallerizza.  Per le famiglie che ad agosto restano in città, due appuntamenti liberi e gratuiti il 7 e 14 agosto alle ore 16.30. Le modalità di accesso e il programma degli appuntamenti sono pubblicati sul sito dei Musei Reali al link Racconti Reali. Un’estate per giocare con la cultura nei Giardini della Cavallerizza – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Le mostre in corso ai Musei Reali

 

Fantasmi e altri misteri – Fumetti in mostra. Fino a domenica 11 settembre, nello Spazio Scoperte al secondo piano della Galleria Sabauda, è visitabile la mostra Fantasmi e altri misteri – Fumetti in mostra. L’iniziativa del Ministero della cultura Fumetti nei Musei, in collaborazione con Coconino Press-Fandango, è stata realizzata per avvicinare i ragazzi al patrimonio artistico italiano. Le tavole originali della graphic novel “Io più fanciullo non sono” della fumettista e vignettista Lorena Canottiere, ispirata alla figura del Principe Eugenio di Savoia-Soissons, sono presentate con alcune opere dei Musei Reali legate al condottiero collezionista, con una selezione di lavori dei fumettisti che hanno partecipato al progetto e si sono confrontati con il tema del mistero e dei fantasmi. L’ingresso alla mostra è compreso nel biglietto dei Musei Reali. 

Informazioni: Fantasmi e altri misteri. Fumetti in mostra – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Animali a Corte. Vite mai viste nei Giardini Reali, curata da Stefania Dassi e Carla Testore, è la proposta con cui fino al 16 ottobre i Musei Reali intendono creare un percorso di visita innovativo nel quale le tecniche e i linguaggi dell’arte contemporanea dialogano con la cornice dell’antica residenza. Il percorso si snoda in parte nei Giardini Reali, elemento fondante dell’identità del museo, nonché prezioso luogo d’incontro e di socialità per cittadini e turisti. Le opere popolano non solo l’esterno, ma anche alcune sale di Palazzo Reale, Armeria e Galleria Sabauda per stabilire rimandi e connessioni tra le sculture e gli animali raffigurati nelle opere che costituiscono il patrimonio dei musei. Gli artisti in mostra sono Paolo Albertelli e Mariagrazia Abbaldo, Maura Banfo, Nazareno Biondo, Nicola Bolla, Stefano Bombardieri. Jessica Carroll, Fabrizio Corneli, Cracking Art, Diego Dutto, Ezio Gribaudo, Michele Guaschino, Luigi Mainolfi, Gino Marotta, Mario Merz, Pino Pascali e Velasco Vitali.

L’ingresso alla sezione della mostra nelle sale dei Musei Reali è compreso nel biglietto ordinario. Accesso gratuito per la sezione ospitata nei Giardini Reali. Informazioni: Animali a Corte. Vite mai viste nei Giardini Reali – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Le novità digitali

Tra le novità che accompagnano la visita ai Musei Reali, l’inedita applicazione di gamification MRT Play è disponibile gratuitamente sui principali store. Ideata dai Musei Reali in collaborazione con Visivalab SL e il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, nell’ambito del bando SWITCH_Strategie e strumenti per la digital transformation nella cultura, l’applicazione di realtà aumentata offre una nuova esperienza di fruizione innovativa e accattivante, per approfondire la conoscenza delle opere della Galleria Sabauda attraverso giochi e indovinelli, in compagnia di personaggi storici e professionisti della cultura.

 

Per visitare Palazzo Reale, la Galleria Sabauda e il Museo di Antichità con curiosi personaggi pronti a raccontare le loro coinvolgenti storie è disponibile l’Audioguida Kidsrealizzata dai Servizi Educativi dei Musei Reali in collaborazione con CoopCulture. Lungo il percorso sono presenti dei QR-code da scansionare per ascoltare gratuitamente le tracce audio pensate per i giovanissimi visitatori, per un’esperienza di visita coinvolgente e divertente (età consigliata: 5/12 anni).

 

La Biblioteca Reale

Dal lunedì 8 a venerdì 12 agosto 2022, la Biblioteca Reale sarà aperta in orario 9 – 13,30. Dal 13 al 20 agosto, la Biblioteca Reale resterà chiusa. Servizio di informazione attivo dalle 10 alle 12 scrivendo a mrt-to.bibliotecareale@cultura.gov.it.

Per conoscere le modalità di accesso e registrazione, consultare la pagina Orari e modalità di apertura della Biblioteca Reale – Musei Reali Torino (beniculturali.it).

 

Caffè Reale

Nella suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale è possibile rigenerarsi con una pausa al Caffè Reale Torino, ospitato in una ambientazione unica ed elegante, impreziosita da suppellettili in porcellana e argento provenienti dalle collezioni sabaude. Informazioni e prenotazioni al numero 335 8140537 o via e-mail all’indirizzo segreteria@ilcatering.net.

Ogni venerdì di agosto, il Caffè Reale resterà aperto anche dalle 19.30 alle 23 in occasione della rassegna Torino. Crocevia di sonorità.

 

Museum Shop

Per rimanere sempre aggiornati sulle pubblicazioni dei Musei Reali e per dedicarvi un pensiero, il Museum Shop è aperto.

È disponibile anche online Musei Reali (shopculture.it).

 

La strage di Bologna e la ricerca della verità

Sono passati quarantadue anni dal 2 agosto 1980.

Quel giorno, alle  10.25 di un caldo mattino di sabato, avvenne uno degli atti terroristici più
gravi del secondo dopoguerra, il più sanguinoso e criminale degli anni
della strategia della tensione. Nella sala d’aspetto di seconda classe
della stazione ferroviaria di Bologna Centrale esplose un ordigno a
tempo, nascosto in una valigia abbandonata. Ottantacinque persone
persero la vita e oltre duecento riportarono ferite molto serie. La
violenta esplosione venne avvertita nel raggio di parecchi chilometri.
Un’intera ala della stazione crollò come un castello di carta,
investendo il treno Ancona-Chiasso che sostava sul primo binario e il
parcheggio dei taxi antistante l’edificio. Tra le ottantacinque vite
innocenti che furono spezzate quel giorno quattro erano piemontesi.
Mauro Alganon, 22 anni, era di Asti e viveva in casa con i genitori
pensionati. Ultimo di tre figli lavorava come commesso in una libreria
ed era appassionato di fotografia. Era partito molto presto quella
mattina con un amico per andare a Venezia. A Bologna dovevano cambiare
treno, ma, a causa di un ritardo, persero la coincidenza. Faceva caldo
e
cercarono ristoro nella sala d’aspetto, uscendo a turno a prendere un
poco d’aria. L’esplosione lo uccise mentre stava leggendo un giornale.
L’amico che era uscito dalla stazione riuscì a salvarsi. Rossella
Marceddu aveva 19 anni e viveva con i genitori e la sorella a Prarolo,
piccolo comune a sud di Vercelli. Studiava per diventare assistente
sociale e aveva appena trascorso alcuni giorni di vacanza con il padre
e
la sorella al Lido degli Estensi. Stava rientrando a casa per
raggiungere il fidanzato. Inizialmente, con l’amica che l’accompagnava,
avevano pensato di fare il viaggio in moto, poi scelsero il treno
ritenendolo più sicuro. Quella mattina si trovavano sul marciapiede del
quarto binario in attesa del treno diretto a Milano. L’aria era afosa e
così decise di andare a prendere qualcosa da bere. La bomba scoppiò
mentre la ragazza stava andando al bar e la uccise. L’amica rimasta sul
quarto binario si salvò. Il cinquantaquattrenne Amorveno Marzagalli
viveva ad Omegna sul lago d’Orta, con la moglie Maria e il figlio
Marco.
Lavorava come dirigente in una ditta produttrice di macchine da caffè.
In quell’estate dell’ottanta aveva accompagnato la famiglia al Lido
degli Estensi, in provincia di Ravenna e, poi, avrebbe dovuto
raggiungere il fratello a Cremona con il quale aveva programmato una
gita sul Po. Erano dieci anni che il fratello lo invitava, ma solo
quella volta Amorveno acconsentì, anche per non lasciarlo solo dopo la
morte della madre avvenuta in giugno. La mattina del 2 agosto si fece
accompagnare alla stazione di Ravenna e di lì, dopo vent’anni che non
saliva su un treno, si mise in viaggio alla volta di Bologna dove lo
attendeva una coincidenza in partenza alle 11.05 che però non riuscì
mai a prendere. La quarta vittima aveva 33 anni, si chiamava Mirco
Castellaro ed era nato a Frossasco in provincia di Torino. Nel paese a
due passi da Pinerolo, dove il padre Ilario era stato sindaco, aveva
vissuto a lungo per poi trasferirsi a Ferrara dove risiedeva con la
moglie e il figlio di sei anni. Capoufficio presso la ditta Vortex
Hidra
a Fossalta di Copparo, nel ferrarese, aveva da poco acquistato
un’imbarcazione in società con un amico, accarezzando il progetto di
avviare una attività rivolta ai turisti. In quell’estate del 1980
l’obiettivo era di sistemare il natante ormeggiato in Sicilia e di fare
alcuni piccoli viaggi di rodaggio. Una serie di imprevisti costrinse
Mirco a ritardare la partenza. E l’appuntamento con il destino lo colse
quel maledetto sabato di agosto alla stazione di Bologna.
L’individuazione delle responsabilità della strage di Bologna
rappresenta una delle vicende giudiziarie più complicate, lente e
discusse della storia contemporanea del nostro Paese. Una vicenda che
ha
conosciuto tentativi di depistaggio e che, viceversa, nella ricerca
della verità, ha visto l’impegno dell’associazione tra i familiari
delle vittime della strage, costituitasi il 1° giugno dell’81. Dopo
vari gradi di giudizio si giunse a una sentenza definitiva di
Cassazione
solo quindici anni dopo la strage, il 23 novembre 1995: vennero
condannati all’ergastolo come esecutori dell’attentato i neofascisti
dei
NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (che si sono sempre
dichiarati innocenti, pur avendo apertamente rivendicato vari altri
omicidi di quegli anni). Per i depistaggi delle indagini furono
condannati l’ex capo della P2 Licio Gelli, l’ex agente del Sismi
Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro
Musumeci e Giuseppe Belmonte. Il 9 giugno del 2000 la Corte d’Assise di
Bologna emise nuove condanne per depistaggio e sette anni più tardi
venne condannato a trent’anni per l’esecuzione della strage anche Luigi
Ciavardini (minorenne all’epoca dei fatti). Altri due imputati,
Massimiliano Fachini (anch’esso legato agli ambienti dell’estrema
destra
ed esperto di timer e inneschi) e Sergio Picciafuoco (criminale comune,
presente quel giorno alla stazione di Bologna, per sua stessa
ammissione), vennero condannati in primo grado, ma poi assolti in via
definitiva, rispettivamente nel 1994 e nel 1996. Nel 2017 venne
rinviato
a giudizio per concorso nella strage di Bologna l’ex terrorista dei Nar
Gilberto Cavallini. Nell’ambito di questo procedimento venne richiesta
una nuova perizia sui reperti della stazione ancora conservati. La
perizia segnalò il ritrovamento di quello che poteva essere
l’interruttore che fece esplodere l’ordigno. Nuovi e recenti scenari si
aprirono due anni fa: il 9 gennaio del 2020 Cavallini, sulle cui spalle
pesavano già otto ergastoli, fu condannato con sentenza di primo grado,
per concorso nella strage. A maggio la Procura generale del capoluogo
emiliano chiese il rinvio a giudizio dell’ex militante di Avanguardia
nazionale Paolo Bellini, in quanto esecutore dell’attentato alla
stazione mettendo in rilievo che avrebbe agito in concorso con Licio
Gelli, con l’ex capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale
Federico
Umberto D’Amato, con l’imprenditore e finanziere piduista Umberto
Ortolani e col giornalista Mario Tedeschi, tutti morti nel frattempo e
tutti coinvolti come possibili mandanti o finanziatori dell’eccidio.
“_La giustizia non ha fine_”, disse un giorno Paolo Bolognesi,
presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime del 2 Agosto.
Ma in questo 2022, esattamente nell’aprile scorso, una parola fine
almeno per quanto riguarda il nuovo processo della strage alla stazione
è arrivata, 42 anni dopo: ergastolo per Paolo Bellini, ex di
Avanguardia Nazionale accusato di concorso nella strage, con un anno di
isolamento diurno. Quello che venne definito come ‘”_l’uomo nero_”, è
stato riconosciuto da questa sentenza come il quinto attentatore, in
concorso con i Nar condannati in definitiva, Giusva Fioravanti,
Francesca Mambro e Luigi Ciavardini e, in primo grado, Gilberto
Cavallini. Si è giunti finalmente a gettare luce sui mandanti? E’ stata
messa la parola fine a questa interminabile vicenda? E’ augurabile che
sia così per dare finalmente dei volti e dei nomi a chi decise di
colpire al cuore la nazione, stroncando la vita e i sogni di tanti
innocenti e delle loro famiglie.

Marco Travaglini

La Palazzina di Caccia di Stupinigi apre le porte dei suoi spazi segreti chiusi al pubblico

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Sabato 3 settembre 2022

Le stanze chiuse del re

 

“Le stanze chiuse del re” è il nome della visita guidata straordinaria, in programma sabato 3 settembre, all’appartamento di Ponente di Carlo Felice con le sue particolari decorazioni a tema marino. Opposto allo speculare appartamento di Levante, l’appartamento in attesa di restauro è l’insieme delle stanze appartenute al Re Carlo Felice e alla duchessa Cristina di Borbone.

Gli spazi vennero ampliati sotto la direzione di Benedetto Alfieri nel XVIII secolo per accogliere le stanze di Vittorio Emanuele, duca d’Aosta e figlio di re Vittorio Amedeo III. L’appartamento si apre all’ingresso con un atrio contraddistinto da due statue in marmo dei fratelli Collino rappresentanti rispettivamente Meleagro e Atalanta. Le due anticamere successive sono contraddistinte da una decorazione della seconda metà del XVIII secolo ascrivibili alla scuola del Cignaroli con scene di caccia e di vita agreste. Tutte le sovraporte degli ambienti raffiguranti Marine, datate 1755, sono riconducibili alla maniera di Francesco Antoniani. Nelle camere da letto i lampadari in vetro di Murano con bracci a cornucopie, risalgono alla fine del XVIII secolo così come i letti intagliati e laccati. I camini di tutto l’appartamento sono in marmo di Valdieri, il pavimento in seminato alla veneziana.

La visita rientra nel programma di Passepartout, le visite guidate straordinarie alla (ri)scoperta degli spazi segreti, normalmente chiusi al pubblico, della Palazzina di Caccia di Stupinigi. L’appartamento di Ponente, gli ambienti della servitù e la cupola juvarriana sono gli spazi della corte, in alcuni casi aperti per la prima volta ai visitatori, che raccontano la storia della Palazzina nelle sue diverse fasi abitative e il progetto architettonico alla base della sua costruzione.

 

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Le stanze chiuse del re – Visita all’appartamento di Ponente

Sabato 3 settembre, ore 10.30, 12, 14.30 e 16

Durata: un’ora circa.

Prossimi appuntamenti: 1 ottobre, 5 novembre, 6 novembre, 12 novembre

Costo del biglietto: 17 euro.

Per partecipare alle visite guidate è obbligatoria la prenotazione.

Prenotazione obbligatoria al numero: 011 6200633, dal martedì al venerdì 10-17,30, entro il venerdì precedente la visita.

www.ordinemauriziano.it

Ne è valsa la pena?

Faceva freddo in quella stalla abbandonata. Dai muri tirati su a secco entrava un’aria gelida, sibilata dal vento che quella notte di fine inverno del 1944 turbinava neve. Attorno a quel tavolo di fortuna, combinato da due vecchie assi poggiate su malfermi cavalletti di legno ci trovammo a parlare del futuro, di ciò che ci attendeva. Eravamo in tre: io, Giorgio e Renato.

La cera liquefatta della candela si era rappresa in pallide lacrime e le parole scorrevano veloci. Quando sarebbe finito l’incubo della guerra, dell’occupazione dei tedeschi, dell’arroganza dei fascisti della repubblica sociale con quei ghigni e i simboli delle teste da morto? L’Italia sarebbe tornata come prima del fascismo o sarebbe cambiata davvero? Certo, volevamo la libertà ma non si combatteva solo per questa ragione. “Il nostro obiettivo è tenere insieme, come una cosa sola, libertà e democrazia”, diceva Giorgio. “ Non è possibile che le cose rimangano come ai tempi dello Statuto Albertino. Non basta che ci sia un sovrano che conceda di sua iniziativa, che bontà, i diritti al popolo. Anzi. Non va nemmeno bene che ci sia un Re, la monarchia, i Savoia a decidere e comandare. Quelli sono scappati all’8 settembre lasciandosi alle spalle un paese dilaniato, distrutto, occupato. Prima hanno aperto le porte al Duce, poi all’avventura della guerra, lasciando l’esercito in rotta, e ora dovremmo accoglierli ancora, perdonando tutto? Nemmeno per idea!”. Picchiò un pugno sul tavolaccio, facendo tremare la candela che prontamente presi al volo. Su quel punto eravamo tutti d’accordo: non avevamo preso le armi per cacciare fascisti e tedeschi e poi tornare ad essere sudditi. C’erano giornate in quel duro inverno dove si aggiravano gli occupanti armati fino ai denti, e non era il caso di uscire allo scoperto; altri ancora dove si preparava o si effettuava un agguato o un’azione particolare.

Nei lunghi periodi di inattività eravamo impegnati anche in grandi discussioni dove si parlava del futuro, di come lo si immaginava. L’idea su cosa avrebbe dovuto essere il domani, anche per istinto, non era certo riflessa dalle immagini del passato, di prima del fascismo, ma autorizzava ad immaginare l’avvento di qualche cosa di completamente diverso che chiamavamo genericamente democrazia, cioè un Paese senza dittatura, senza imposizioni, senza violenza. A volte penso a quella sera e alle altre passate a discutere, quando l’inattività era obbligata dal bisogno di attendere o dalle pessime condizioni del tempo, e  vedendo quest’Italia piatta, meschina, ignorante mi scopro a pensare chi ce l’avesse fatto fare. Poi, superato lo scoramento, mi vengono in mente le parole di Renato quando diceva che non bisognava illudersi, che le cose sarebbero sì cambiate ma che non c’era conquista che sarebbe stata ottenuta una volta per tutte, che per noi che volevamo cambiare la società, che aspiravamo a cambiare il mondo non ci sarebbe mai stato congedo.  Quante volte ci siamo ritrovarti da anziani in tutti questi anni. Noi, i sopravvissuti, con i capelli bianchi e le ossa stanche. Noi che avevamo fatto saltare i ponti; con queste mani tremanti che un giorno avevano lanciato bombe a mano. Condividendo paure, ansie e speranze con quelle ragazze dallo sguardo deciso che da signore, madri, nonne e bisnonne è diventato più dolce e mite, capaci  in quei tempi da lupi di nascondere pistole, portare messaggi, ospitare e nutrire partigiani, prendere parte ai combattimenti con coraggio. Oggi facciamo fatica a camminare, sorretti da un bastone o una stampella. Attraversiamo lentamente le vie che un tempo ci videro muoverci con rapidità, colpendo e fuggendo. Vecchi, un po’ malandati. Faremo anche tenerezza ma a quel tempo sbaragliammo interi battaglioni,  rischiammo la vita, ci battemmo per garantire quella libertà della quale oggi tanti fanno cattivo uso, abusandone, senza immaginare quanto ci sia costata perché non ne sono mai stati privati e non hanno dovuto battersi per riconquistarla. Non c’è retorica in questi pensieri. Abbiamo imparato a nostre spese che non serve indulgere in nostalgie. C’è piuttosto la consapevolezza di aver fatto ciò che era giusto e che tutto quanto è accaduto non deve essere dimenticato perché quei semi di giustizia e libertà non inaridiscano mai. E a quella domanda c’è una sola risposta possibile: sì, ne è valsa la pena.

Marco Travaglini