STORIA- Pagina 58

“Ottocento”, la Collezione della GAM riaperta al pubblico

Dalla classicità a Giacomo Grosso, dalla Scapigliatura a Pellizza da Volpedo

 

“Le sempre più manifeste fragilità” della GAM avevano obbligato i responsabili, nel dicembre 2018, a chiudere la collezione del XIX secolo, ospitata al secondo piano. Una chiusura che si sperava breve, ma così non è stato. Nel frattempo, mentre si eseguivano i lavori di irrobustimento del solaio e di impermeabilizzazione totale dei tetti del museo, numerose arrivavano le richieste del pubblico affinché quella raccolta fosse restituita all’interesse e alle visite degli studiosi e degli appassionati. Dopo circa quattro anni ecco dunque “Ottocento”, la mostra curata da Riccardo Passoni e Virginia Bertone che, riaprendo gli archivi, attraverso un percorso critico che allinea circa una settantina di opere tra dipinti, sculture in marmo, a cere e gessi, a pastelli, riapre le porte di una grande collezione.

Cinque eleganti sezioni, “Nascita di una collezione”, “Nuove sensibilità e ricerche”, “La pittura di paesaggio al Museo Civico”, “Dalla Scapigliatura al Divisionismo” e “Ricerche simboliste tra pittura e scultura”, accompagnate da tre focus su Andrea Gastaldi, Antonio Fontanesi e Giacomo Grosso. Un valido quanto suggestivo percorso che Passoni ama definire altresì una “ricognizione del nostro patrimonio storico”, dove trovano posto anche opere mai esposte, restaurate grazie al contributo degli Amici della Fondazione Torino Musei, quali “Ecco Gerusalemme” di Enrico Gamba, acquistato nell’anno della sua esecuzione per il Museo nel 1862 dalla Società Promotrice delle Belle Arti, e “Nobili in viaggio” (ma ritrovandone il titolo originale con cui fu esposto nel 1867, “La Guida. Studio di castagni dal vero”) di Francesco Gonin, sempre presso la Società Promotrice torinese.

Ancora pienamente legato ai propositi della pittura accademica, il mondo di Gastaldi apre quel percorso con il celebre “Pietro Micca” nell’atto di dar fuoco alle polveri, in un atto di umiltà e sacrificio e in una postura che, ha indicato Enrica Pagella, ricorda il “San Gerolamo” leonardesco, con il ritratto dell’Innominato manzoniano del 1860 o con quello di Saffo, suicida sul litorale dell’isola. Poco più in là chi ancor più pare legato ai canoni classici, siamo nel 1864, immaginati qui a rappresentare “Gli ultimi giorni di Pompei” – grande era stato il successo dell’inglese Edward George Bulwer-Lytton trent’anni prima -, con il dipinto “Jone e Nidia”, “in un’ambientazione antichizzante, resa con precisione quasi antiquaria”, è il napoletano Federico Maldarelli, una classicità ricercata e studiata, osannata quasi e derivata da quelle campagne di scavi, nella città sepolta secoli prima dall’eruzione del Vesuvio, che avevano avuto inizio nel Settecento.

Da quel mondo si era già staccato il milanese Filippo Carcano con “Una lezione di ballo”, soltanto dell’anno successivo, una grande tela (133 x 168 cm) a “fotografare” un momento di modernità, una vasta sala piena di luce dove un maestro di danza è impegnato a condurre una giovane ballerina in abito blu, mentre le altre ragazze, alcune accompagnate da un cavaliere, attendono il loro turno sedute lungo le pareti. I suonatori di pianoforte e di violino non sono gli unici particolari su cui soffermarsi nell’ammirare oggi un’opera bocciata al suo apparire (“Il signor Carcano, colle eminenti qualità che possiede, cessi di far della fotografia e faccia della pittura, e sarà un vero artista”, scriveva Fulvio Accudi alla presentazione di “Una lezione di ballo” alla Promotrice torinese nel 1867, dopo averne definito il soggetto come “insignificante, infimo e volgare”), tanta è la preziosità con cui Carcano definisce la propria opera. Come è doveroso soffermarsi davanti a “La femme de Claude” (o “L’adultera”) di Francesco Mosso (un’esistenza brevissima, nacque a Torino nel 1848 e morì a Rivalta nel 1877), composto nell’ultimo anno di vita e derivato da un dramma di Alexandre Dumas figlio di quattro anni prima. Inutile dire che, pur riconoscendosi da molti l’attualità spregiudicata del quadro e Mosso “vero pittore del presente”, lo scandalo esplose tra il pubblico benpensante, affievolito appena dall’acquisto per le collezioni del Museo Civico (“la più vivace, ardita e significante” opera tra quelle esposte, la definì Marco Calderini), ma oggi riconosciuto autentico capolavoro, la giovane donna distesa sulla dormeuse, il corpo avvolto in una raffinata “robe d’intérieur”, il soffoco dell’ambiente in quei tendaggi fitti ed eguali, i particolari del cilindro e del revolver a terra a definire il compimento di una cruenta vendetta maschile.

Altri preziosi capolavori i paesaggi di Fontanesi e i vari studi che guardano alle acque e alle luci posate sugli stagni nelle diverse ore del giorno, il “Ritorno alla stalla” di Carlo Pittara, uno dei maggiori paesisti dell’Ottocento piemontese e l’esponente principale della Scuola di Rivara, capace di allargare i propri orizzonti e di guardare ai colleghi francesi dell’Ecole di Barbison, la palude di “Castelfusano” dipinta da de Andrade, il famosissimo “Lungo Po” di Enrico Reycend del 1883 dove lo spettatore di oggi individua ancora con curiosità le antiche costruzioni attorno alla Gran Madre. Come davanti a capolavori ci troviamo con “Nuda” e con il ritratto d “Virginia Reiter”, del 1896, di Giacomo Grosso, giocato quest’ultimo sull’uso “sfacciato” della gamma di gialli e proposto in un ambiente raffinatissimo, dove troneggia la figura della grande attrice, reduce dal successo ottenuto tra il gennaio e il febbraio di quell’anno con “La lupa” di Giovanni Verga, rappresentato per la prima volta al torinese teatro Gerbino.

Mentre le sculture di Bistolfi (“Crepuscolo”, “Le lagrime”) e di Rubino (“La danza” del 1902) punteggiano il percorso attraverso la ricchezza delle sale, il divisionismo di fine secolo vede nello “Specchio della vita” di Pellizza da Volpedo forse uno dei suoi punti più alti del Divisionismo come “L’edera” di Tranquillo Cremona viene considerato una delle immagini più affascinanti della scapigliatura di area milanese, un’immagine disperata e struggente, un successo che si è prolungato lungo i decenni, “una delle opere più note e riconoscibili dell’Ottocento italiano”, nelle parole di Enrico Thovez una “preziosissima opere che molte Gallerie invidieranno al nostro Civico museo”, una lunga gestazione fatta di riprese e ripensamenti, che attraverso le parole di Camillo Boito accompagnerà la sepoltura dell’artista scomparso troppo prematuramente nel 1878, all’età di quarantuno anni, una morte dovuta ad una intossicazione che lo colpì per l’abitudine di stemperare i colori direttamente sulla mano e sul braccio.

 

Elio Rabbione

 

 

DIDASCALIE

Nelle immagini (Ph. Perottino): Giacomo Grosso (Cambiano 1860 – Torino 1938), “Nuda”, 1896, olio su tela, 105 x 205 cm, dono di Eugenio Pollone, GAM Torino e “Ritratto dell’attrice Virginia Reiter”1896, olio su tela, 245 x 177 cm, acquisto presso la Società Promotrice delle Belle Arti, Prima Esposizione Triennale, Torino 1896, GAM Torino; Filippo Carcano (Milano 1840 – 1914), “Una lezione di ballo”, 1865, olio su tela 133 x 168 cm, lascito di Ada Olmo Serra Torino 1977, GAM Torino; Francesco Mosso (Torino 1848 – Rivalta 1877), “La femme de Claude (“L’adultera”), 1877, olio su tela, 201 x 154 cm, acquisto presso la Società Promotrice delle Belle Arti, Torino, 1877, GAM Torino; Tranquillo Cremona (Pavia 1837 – Milano 1878), “L’edera”, 1878 ca, olio su tela, 132 x 98 cm, Legato di Benedetto Junck, Torino 1920, GAM Torino; Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato 1859 – La Loggia 1933), “Crepuscolo” 1893, gesso, 52 x 60 x 45 cm, pervenuto dai depositi di Palazzo Madama Torino nel 1981, GAM Torino

Tra i due laghi sui binari del tram

Per più di tre decenni, dal 1910 al 1946, fu possibile raggiungere il lago d’Orta dal lago Maggiore viaggiando comodamente in tram.

Il collegamento venne garantito dalla tramvia Intra-Omegna, linea a scartamento normale che copriva il tragitto di venti chilometri con nove fermate, gestita dalla Savte, acronimo della Società Anonima Verbano per la Trazione Elettrica. Il materiale rotabile era stato ricavato dalle motrici usate per la ferrovia sopraelevata costruita per l’Esposizione milanese del 1906  che collegava, a sette metri d’altezza e per poco più di un chilometro e mezzo, il Parco Sempione e la Piazza d’Armi (l’attuale zona Fiera). Terminata l’Esposizione che in omaggio al traforo del Sempione,  inaugurato lo stesso anno, era stata dedicata ai trasporti, gran parte di quel  materiale venne acquisito dalla Savte che aveva in programma l’ambizioso progetto della tranvia tra i due principali centri del Cusio e del Verbano. Impresa di tutto rispetto che, divisa in vari tronchi, si concretizzò  in pochi anni. Il progetto iniziale prevedeva un collegamento tra la stazione ferroviaria di Fondotoce e la città svizzera di Locarno. Vari enti, tra cui la Banca Popolare di Intra, s’impegnarono dal punto di vista finanziario ma il progetto venne ripensato, realizzato solo parzialmente e con grande ritardo, tra Pallanza a Fondotoce. Il primo viaggio della tranvia avvenne il 16 Ottobre 1910. Ma si trattava , come scrissero i giornali dell’epoca, dell’attuazione “di una minima parte del grandioso programma che la Società Anonima Verbano ha tracciato e si ripromette di esaurire non oltre l’autunno prossimo“. In realtà il secondo tratto fino ad Omegna fu aperto nel gennaio del 1913 e , successivamente, furono posati i binari per il proseguimento da Pallanza all’imbarcadero di Intra. L’ipotizzato prolungamento fino a  Cannobio, a ridosso del confine con l’elvetico Canton Ticino, non fu mai realizzato. La giornata della tranvia era articolata con ventidue coppie di corse tra i due capolinea e poche altre limitate al segmento Gravellona – Omegna. Nel 1939 la Savte si rese conto della necessità di operare un restauro delle infrastrutture e dei tram, ma lo scoppio del secondo conflitto mondiale rese impossibile la fornitura dei materiali per la necessaria manutenzione. Terminato il conflitto i problemi legati al funzionamento della tranvia si palesarono in tutta evidenza e la Savte immaginò di abbandonarla per privilegiare il trasporto su strada. Fu ipotizzata la trasformazione in filobus, ma la linea venne definitivamente chiusa nei primi anni ’50, sostituendola “in via provvisoria” con il trasporto automobilistico. E, come tutte le cose provvisorie, la scelta della gomma a discapito del ferro diventò definitiva e segnò il tramonto della tranvia. Le uniche rotaie su cui sferragliarono ancora dei convogli fino ai primi anni ‘80, seguendo il vecchio tracciato per un breve tratto, collegarono la ferriera  omegnese della Pietra, ex Cobianchi, alla stazione ferroviaria di Crusinallo.

Marco Travaglini

Le donne del Risorgimento piemontese

I salotti erano i luoghi dell’incontro sociale, della cultura, della lettura e della conversazione a cui partecipava l’aristocrazia e la borghesia nascente, erano luoghi in cui c’erano tante idee.

A partire dal 1848, diventarono luoghi di attiva discussione politica fra le élites di potere e della borghesia che aspirava al cambiamento. Inoltre, i salotti erano i punti di ritrovo per eccellenza delle donne della media e alta società, le quali svolsero un ruolo importante sul piano civile e politico del Risorgimento Nazionale. Infatti, le donne avevano un ruolo di attiva partecipazione all’interno dei salotti. Durante la metà dell’Ottocento, i salotti torinesi erano dei centri di aggregazione e formazione dell’opinione pubblica, ma anche luogo in cui l’élite torinese, i diplomatici e politici, intellettuali e artisti si riunivano. Un ruolo molto importante lo svolgeva la politica, dato che si stava iniziando ad elaborare il processo di unità nazionale, e dopo la promulgazione dello Statuto albertino, Torino divento il posto per molti esuli italiani, i quali trovarono nei salotti lo spazio per la diffusione di idee patriottiche, ma anche antiliberali. Tra i salotti possiamo ricordare quello della
Contessa Balbo Bertone di Sambuy, antiliberale e legittimista; quello della Marchesa Giulia di Barolo; quello di Costanza d’Azeglio a Palazzo Tapparelli, salotto politico e diplomatico. Tra i più famosi vi era il salotto della Marchesa Alfieri, nipote di Cavour, il cui salotto veniva considerato il vero circolo politico di Torino, nel quale si incontravano anche gli ambasciatori dei Paesi amici; e quello della Baronessa Perrone, nel palazzo di Via XX Settembre, attualmente sede della Banca Unicredit.

Sofia Scodino

Il Circolo Madonna del Pilone, storica bocciofila torinese

È il 1922 l’anno in cui si costituisce, nella prima sede di Corso Casale, il circolo Madonna del Pilone che, nel 1946, si trasferisce nell’attuale sede di Viale Michelotti, al civico 102/A.

Rappresenta un patrimonio storico-sportivo della città assolutamente unico e uno dei suoi meriti primi è stato quello di essersi impegnata nel conservare una storica struttura sulla sponda destra del Po e essere diventata da subito luogo di aggregazione dopo il lavoro.
Un altro aspetto significativo della Bocciofila Madonna del Pilone è stato quello di promuovere i più nobili valori della socialità, dell’assistenza e della mutualità.
Posizionata in un contesto di un suggestivo paesaggio fluviale, ai piedi della collina torinese, la Madonna del Pilone ha contribuito alla crescita di sportivi che hanno scritto la storia sia nazionale sia internazionale del gioco delle bocce, quali Umberto Granaglia e Pinin Corno, campioni di imprese leggendarie.
La ASD Gruppo Boccofilo Madonna del Pilone è iscritta nell’Albo delle Associazioni Sportive Storiche del Piemonte, sulla base della legge regionale 32 del 2002 e fa ormai parte dell’archivio storico della Città di Torino, in quanto costituita da oltre settanta anni. Nell’attuale sede sono oltre cinquanta anni che è presente.
Negli anni tra il 2012 e il 2016 la ASD Madonna del Pilone è stata oggetto di lavori di ristrutturazione e bonifica dell’amianto, opere di risanamento e di restauro considerevoli e proprio dal 2017 ha ripreso le sue attività ricreativo sportive grazie a quattro Soci sostenitori che hanno dato nuova linfa e vigore alla vita associativa. Ne è nato un intenso programma di incontri e di iniziative sportive e culturali di alto livello.
La Soprintendenza delle Belle Arti e Paesaggio, nel maggio 2017, ha evidenziato, tra i luoghi più rappresentativi della cultura sportiva e associativa della Città, proprio la ASD Madonna del Pilone, conferendole un riconoscimento prestigioso, con il coinvolgimento delle autorità competenti.
Nel maggio 2022 il Circolo di viale Michelotti 102/A ha completato il suo restling, rinnovando l’offerta sportiva supportata da progetti culturali e sociali di grande interesse, tra cui un campo da Street Soccer, il calcio a tre, e uno di Pickeball, con spogliatoi attrezzati.
Il Circolo dispone di un accogliente ristorante, con una cucina casalinga di grande qualità. Nel giugno 2022 si sono svolte le celebrazioni dei primi cento anni dell’ASD Madonna del Pilone.

Mara Martellotta

Paolo Desana: la storia di due vite

Il Salone Marescalchi al castello del Monferrato era gremito lo scorso 7 dicembre in occasione della presentazione del libro 

“Paolo Desana: la storia di due vite”

scritto dal figlio Andrea che ha colloquiato con il Direttore del Monferrato Pierluigi Buscaiolo e l’editore Pier Augusto Mesturini. Andrea Desana ha ripercorso la vita del padre Paolo, meglio conosciuto come il “Padre delle Doc vinicole italiane” avendo fatto approvare la specifica legge nel 1963, ma soprattutto sono state approfondire nel libro le vicende della seconda Guerra Mondiale e dell’Internamento nei campi di concentramento nazisti dopo il nefasto armistizio dell’8 settembre del 1943.

Su questo tema importante è stata la recentissima realizzazione di un Famedio IMI, ovvero Internati Militari Italiani, di origine monferrina al cimitero di Casale Monferrato, unico caso a livello nazionale con il rimpatrio collettivo dei resti mortali di 7 giovani soldati italiani dai Cimiteri della Germania.

Al Museo per leggere l’antico Egitto

Nell’anno 2022 ricorre il bicentenario della decifrazione dei geroglifici da parte di Jean-François Champollion.

Questo evento storico segna la nascita dell’egittologia moderna e il Museo Egizio lo celebra con una mostra dedicata interamente alle scritture e alla lingua della civiltà egizia. Secondo il mito, fu il dio Thot a ideare l’arte della scrittura, divenendo patrono della conoscenza e degli scribi.

La scrittura è uno strumento fondamentale per l’amministrazione del paese e, allo stesso tempo, componente essenziale della visione del mondo e dell’immaginario egiziano, veicolo del pensiero religioso e del rito, della rappresentazione del potere regale e dell’identità sociale delle élite.

Il Dono di Thot: Leggere l’antico Egitto” ripercorre l’evoluzione delle scritture(ieratico, demotico, copto e geroglifico) e la varietà dei supporti su cui si scriveva, aprendo una finestra sull’ambiente, il pensiero e la società dell’antico Egitto.

Sono 170 i reperti in esposizione, tutti provenienti dalle Collezioni del Museo Egizio, ad eccezione delle tavolette cuneiformi provenienti dai Musei Reali di Torino. In mostra sono esposti papiri, capolavori della statuaria, oggetti in alabastro e statuine lignee, a testimonianza di quella cultura materiale attraverso cui egittologi e storici hanno ricostruito la biografia non solo degli oggetti, ma dell’intera civiltà nilotica.

Curata da Paolo Marini, Federico Poole e Susanne Töpfer, curatori del Museo Egizio, la mostra è frutto di un progetto scientifico ideato dal direttore del Museo, Christian Greco ed è sostenuta dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino.

Dal 7 novembre 2022 al 7 settembre 2023.

I “chiodini” intelligenti della Quercetti

Ovviamente i giochi si sono evoluti, ma quel che conta e che fa la differenza è che l’impronta è la stessa data dal fondatore 67 anni fa. Giochi tradizionali, manuali, intelligenti

 

Caro Alessandro, i “plonini” hanno compiuto sessantacinque anni. Sette in più del tuo papà, più del doppio dei tuoi. Ma sono sempre quelli, di plastica colorata, che infilavi nei buchi per disegnare figure”. Così scriverei a mio figlio, in una ipotetica lettera, ricordando il tempo in cui giocava con i chiodini della Quercetti. Sì, erano quelli i “plonini” ( i bimbi tendono a reinventarsi i nomi; anche Snoopy era diventato “Stuyng” e i Puffi si erano ritrovati come d’incanto ad essere dei “fuppi” ) che nel 1950 uscirono dalla fabbrica torinese di Corso Vigevano,25. Esattamente 67 anni fa, Alessandro Quercetti, diede vita a uno fra gli esempi più longevi dell’industria del giocattolo in Italia. E, nonostante il paese sia cambiato dall’inizio del secondo dopoguerra e almeno tre generazioni di italiani hanno giocato con quei chiodini di plastica, sembra che per la “Quercetti & C.” il tempo si sia fermato. Certo, la fabbrica è più grande, moderna e tecnologica, ma il nome sulla porta è sempre lo stesso ed a  guidarla è sempre la stessa famiglia: Andrea, Alberto e Stefano Quercetti, i figli di Alessandro. L’azienda torinese rappresenta uno degli esempi più longevi dell’industria del giocattolo in Italia, un comparto che, nella maggior parte dei casi, ha dovuto arrendersi allo strapotere dei produttori asiatici.

Ovviamente i giochi si sono evoluti, ma quel che conta e che fa la differenza è che l’impronta è la stessa data dal fondatore. Giochi tradizionali, manuali, intelligenti. E il “pezzo forte” dell’azienda è sempre lui, il mitico “Chiodino“, intuizione straordinaria che ha reso il marchio “Quercetti” e i suoi giochi riconoscibili in tutto il mondo. La gamma dei giochi nel tempo è decuplicata, e sono cambiati materiali e tecnologie produttive: ai chiodini, si sono aggiunti biglie, costruzioni, aerei, magneti. Ma ogni pezzo viene realizzato ancora oggi in Italia, nello stabilimento di Torino, dove la Quercetti  può vantare di essere una delle pochissime realtà con un controllo diretto dell’intera filiera produttiva. Tutto il lavoro, a partire dalla progettazione del giocattolo fino al confezionamento del prodotto finito è interamente realizzato in Corso Vigevano. L’intero ciclo di produzione, dall’idea al prototipo, dallo sviluppo del prodotto alla costruzione degli  stampi, dallo stampaggio al confezionamento fino alla spedizione è svolto in Italia, sviluppando un indotto sul territorio. Così, nel tempo, la Quercetti  ha mantenuto la sua identità e non è mai scesa a compromessi. Perché per fare giocattoli, per essere in grado di offrire ai bambini una ricca gamma di esperienze, per realizzare un prodotto che non si limiti ad attrarre ma che stimoli l’intelligenza dei bambini. Rispettandola e coltivandola nel tempo, chiodino dopo chiodino.

Marco Travaglini

Buddha10: al via i restauri in mostra

Tra il 5 e il 20 dicembre (esclusi i giorni festivi) il pubblico potrà eccezionalmente osservare e interagire con i restauratori del Centro di conservazione e restauro di Venaria Reale all’opera sulle statue buddhiste della mostra Buddha10

Dal 5 al 20 dicembre 2022

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

In occasione dell’esposizione Buddha10 il Centro per la conservazione e il restauro dei beni culturali La Venaria Reale ha realizzato un complesso e profondo restauro delle opere in mostra, ripristinandole e riportandole a uno stato di conservazione tale da consentirne l’esposizione al pubblico.

Adesso l’attività prosegue live in mostra e, dal 5 dicembre, il pubblico potrà assistere dal vivo al delicato processo di restauro di una delle opere presenti nel percorso espositivo.

Per questo intervento è stato scelto uno dei due bodhisattva già oggetto di trattamenti conservativi che hanno contribuito alla comprensione della tecnica esecutiva e della sua storia – procedimento che ha anche permesso di confermare la datazione tardo ottocentesca per la decorazione pittorica del manufatto di provenienza cinese – e, in mostra, proseguirà il lavoro di pulitura mirata alla rimozione delle velature pittoriche più recenti, applicate, nell’ottica di armonizzare una superficie fortemente compromessa e disomogenea, considerate eccessivamente rispondenti ad un gusto tipicamente occidentale.

Per due settimane il pubblico che visiterà Buddha10 potrà assistere allo svolgersi del processo e dialogare con il restauratore, rivolgendogli domande e curiosità, in uno scambio immediato e privo di filtri assolutamente inedito, in linea con l’essenza stessa del progetto espositivo, che si conferma un dispositivo aperto e soggetto a continui cambiamenti.

Una notte in Armeria Reale

Da nord a sud la galleria del Beaumont è un grande spettacolo. Si vede poco ma è tutto studiato, le luci soffuse la rendono ancora più affascinante.

Dodici cavalieri e dodici armature, sei da una parte e sei dall’altra, si guardano, si scrutano attraverso le fessure degli elmi, i cavalli scalpitano, pronti a dare battaglia o a sfidarsi in un torneo, eppure sono così immobili, impietriti.
Solo una notte, tutta particolare, potrebbe svegliarli e animare l’intera Reale Armeria di Torino. Una notte movimentata, frenetica, magica, con duelli tra cavalieri e principi, sovrani e califfi. Possiamo immaginare uno scenario simile al film “Una notte al museo” con Ben Stiller nei panni del guardiano notturno del museo di storia naturale a New York e Robin Williams che interpreta Teddy Roosevelt, solo per citare alcuni personaggi del film. Qualsiasi cosa all’interno del museo prende vita, gli animali impagliati, le statue, i manichini, tutto si rianima e fa festa. Un ambiente simile potrebbe replicarsi qui, sotto la volta affrescata nel Settecento da Claudio Francesco Beaumont, perché no? I personaggi storici ci sono, eccome se ci sono, armi e armature, scudi e spade, elmi, pistole, pugnali e medaglie completano il quadro e arricchiscono una delle collezioni d’armi più importanti al mondo insieme a quelle di Vienna e di Madrid. Pezzi unici che tutti ci invidiano. Anche qui, come a New York, però non tutte le giornate sono uguali. Quando in città scende la notte ecco che d’improvviso l’Armeria si anima con tutti i suoi pezzi più pregiati. Certamente una notte concitata, eccezionale, fino alle prime luci dell’alba.
Qui ci sono Emanuele Filiberto, Eugenio di Savoia, i cavalieri della Mezzaluna, le armi di Carlo V, un fantomatico scudo di Goffredo di Buglione alla Prima crociata, e tanto altro. E se il principe Eugenio inseguisse il cavaliere ottomano che sta immobile davanti a lui su e giù per la galleria o smontasse da cavallo per affrontarlo all’arma bianca? Non sarebbe facile per il custode notturno, magari il sottoscritto, tenerli tutti a bada, sono troppi, guerrieri ben armati, tutti desiderosi di portare a termine il loro lavoro prima di tornare impagliati in galleria. L’Armeria lascia senza fiato chi la visita. Conserva numerosi tipi di armi e armature, come le splendide armi medioevali.
Tra gli oggetti più importanti figurano la spada di San Maurizio, XIII secolo, preziosa reliquia appartenuta ai Savoia, conservata insieme alla sua custodia del Quattrocento, la terzetta lanciadardi di Carlo V, le armature di Emanuele Filiberto, la spada usata da Napoleone nella campagna d’Egitto e nella battaglia di Marengo, le armi dei re dei Sardegna e d’Italia. Tutto è sospeso nel tempo per sempre o così sembra..la festa è finita, domani l’Armeria sarà piena di turisti.

Filippo Re
nelle foto  l’Armeria Reale, statua di Eugenio di Savoia, armatura di Emanuele Filiberto, terzetta lanciadardi di Carlo V

I Musei Reali presentano la Guida alternativa a Palazzo Reale

In collaborazione con gli utenti del Laboratorio Zanzara

Un nuovo strumento, semplice e inclusivo, per illustrare il percorso che si snoda tra Palazzo Reale, Armeria e Cappella della Sindone, offrendo una chiave di lettura originale, per una diversa esperienza di visita nella residenza sabauda: è la Guida alternativa presentata dai Musei Reali e realizzata in collaborazione con il Laboratorio Zanzara e con il sostegno del Lions Club Torino Risorgimento.

 

Il Laboratorio Zanzara, impresa sociale torinese nata come progetto d’integrazione per persone con disagio mentale, offre un servizio educativo che opera anche come negozio di artigianato e agenzia di grafica e comunicazione.

 

La Guida nasce nell’ambito del progetto ZanzArTe, frutto dell’incontro tra i Musei Reali e il Laboratorio con l’obiettivo di coniugare il punto di vista della disabilità cognitiva con la realtà museale e migliorare l’offerta educativa partendo dall’accoglienza del pubblico per arrivare alla produzione di specifico merchandising.

 

Nella prima fase del progetto, gli utenti del Laboratorio Zanzara sono stati ospiti dei Musei Reali e, guidati dagli educatori e dal personale che cura l’accoglienza, hanno potuto fruire liberamente degli spazi di Palazzo Reale, muovendosi tra le antiche stanze e i preziosi oggetti che ne fanno parte, per produrre i primi bozzetti grafici, poi rielaborati in studio. Il risultato è un piccolo volume che offre una prospettiva diversa, non istituzionale, del percorso museale. Le illustrazioni riproducono ambienti, arredi e dettagli della residenza attraverso i disegni dei ragazzi e delle ragazze che frequentano il Laboratorio Zanzara. Il loro sguardo, unito all’immaginazione, rivela l’interesse per l’arte e l’emozione di fronte alla bellezza. Accanto alla parte grafica, i testi, scritti dai Servizi Educativi dei Musei Reali e stampati in font ad alta leggibilità, restituiscono le descrizioni degli ambienti attraverso un racconto scorrevole e coinvolgente. Sarà possibile acquistare La guida alternativa a Palazzo Reale nel book shop dei Musei Reali.

 

Con la pubblicazione della guida di Palazzo Reale si chiude la prima fase del progetto ZanzArTe. Nei mesi a venire gli utenti saranno impegnati nella produzione di analoghe guide sugli altri settori dei Musei Reali. Al termine del progetto, un evento ripercorrerà tutte le tappe del “viaggio”, presentando al pubblico le attività di inclusione svolte nelle diverse fasi e l’insieme completo delle singole pubblicazioni.