STORIA- Pagina 4

Le case floreali di Gribodo: l’edilizia gentile a Torino

Torino è la città del Liberty, si sa. Passeggiando per le belle ed eleganti vie della citta’, soprattutto nei quartieri di Cit Turin e di San Donato, e’ facile innamorarsi dei palazzi che rappresentano questo stile raffinato che, tra fine ‘800 e i primi del 1900, diede un tocco di gusto ai progetti urbani. Conosciamo bene i capolavori di Pietro Fenoglio come Villa Scott, Casa Lafleur, il Villaggio Leuman, ma anche le case popolari di Via Marco Polo e di Via Ravello. La citta’ della prima Esposizione di Arte Decorativa Moderna del 1902 ci regala scenari affascinanti e particolari unici e di pregio presenti non solo negli edifici residenziali ed industriali, ma anche nelle insegne, nelle vetrine dei negozi e dei caffe’.

Tra coloro che contribuirono alla realizzazione di queste palazzine e villini romantici e floreali, ornati da graziose minuzie, troviamo Giovanni Gribodo che visse a cavallo del 1800 e 1900. Ingegnere e architetto, laureato presso la Scuola di Applicazione di Torino, particolare che lo accomunava a Fenoglio, era anche un entomologo; un uomo dalle diverse passioni e interessi, dunque, dallo studio degli insetti, a cui si dedico’ di piu’ a fine vita, alla progettazione di residenze dal volto gentile.

I giri turistici della citta’ pianificano sempre piu’ percorsi dove queste belle opere edilizie del Liberty sono le protagoniste, ma passeggiare fuori dal centro ed ammirare questi veri e propri capolavori attira anche i cittadini che non si stancano di visitare le meraviglie affascinanti della loro Torino.

Tra gli edifici piu’ importanti realizzati da Giovanni Gribodo ne troviamo cinque solo a via Piffetti:

Cominciamo con il civico 3, la Palazzina Mazzetta con i suoi balconi in ferro dai disegni intrecciati su un fondo grigio che le da’ un tono austero; al numero 5, invece, c’e’ Casa Masino, un edificio in mattoni rossi caratterizzato dal balcone centrale che ospita due volti femminili in pietra. Le finestre sono decorate da fregi floreali come il bel portone d’ entrata. Al 7 scopriamo, con il suo stile un po’ fiabesco, una palazzina a due piani chiamata Pola-Majola come il suo committente, edificata nel 1907 che non ebbe speciali decorazioni come le altre, ma possiede un fascino particolare che ci riporta allo stile gotico. Le Palazzine, che si trovano al civico 10 e 12, sono probabilmente le piu’ famose opere di Gribodo, due villini magnifici decorati con un centrino di motivi naturalistici in pietra bianca, inferriate in ferro battuto, balconi e vetrate con particolari preziosi.

In via Belfiore 66, in zona San Salvario, si trova un altro edificio realizzato dall’ architetto Gribodo che fu un po’ dimenticato rispetto agli altri suoi colleghi che divennero piu’ noti. Si tratta di Casa Audiberti Mottura, una bella palazzina con balconi decorati e una scala interna con particolari vivaci e colorati. Nella zona della Crimea, sull’altra sponda del Po, lo stesso architetto ha studiato e costruito il Villino Giuliano, in via Luigi Gatti 17. Composto da tre piani, questa casa dai colori caldi, e’ caratterizzata da molti dettagli tipici all’Art Nouveau: immagini di fiori, pietra scolpita e disegni geometrici morbidi classici del periodo. Nel quartiere Cenisia, in via Perosa 56, c’e’ un piccolo edificio che rappresenta un esempio in miniatura del periodo Liberty: una piccola palazzina, con un portone davvero insolito, incastonata tra edifici piu’ moderni e dai toni delicati, chiamata Casa Bosco Tachis. Tornando al quartiere di San Donato non si puo’ rimanere indifferenti davanti ad edificio piu’ corposo e perfino possente dal nome Casa Cooperativa, un palazzo in mattoni rossi ornato con rose, foglie e con dei balconi caratterizzati da disegni che si ispirano ad un floreale piu’ moderno e tondeggiante. All’interno troviamo un meraviglioso scalone bianco e nero dalla forma ovoidale davvero suggestivo

A un’ora circa da Torino e precisamente a Coazze e’ si trova un’altra opera di questo fantasioso architetto: Villa Martini, divenuta poi Antonietta, dove il Liberty viene esaltato sia all’esterno, ma anche all’interno con i suoi mobili in stile. Questa casa, edificata al centro un bellissimo giardino, ebbe ospiti illustri come `Luigi Pirandello, il Conte Cavour e Vittorio Emanuele II.

MARIA LA BARBERA

Il Pci, una storia italiana

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Nel gennaio del 1921, centotre anni fa, veniva fondato a Livorno il Partito Comunista Italiano. Una storia politica che terminò trentatré anni fa, il 3 febbraio 1991 quando, durante il suo XX° Congresso, la maggioranza dei delegati approvò la svolta della Bolognina voluta da Achille Occhetto e diede vita al Partito Democratico della Sinistra mentre la minoranza dissenziente scelse di costituire il partito della Rifondazione Comunista. Da tempo, ben oltre il centenario celebrato nel 2021, si sono svolte e si svolgono moltissime iniziative legate all’evento con convegni, celebrazioni, giornate di studio mentre moltissimi libri sono stati pubblicati e altri certamente arriveranno nelle librerie. L’originale vicenda dei comunisti italiani verrà analizzata, studiata e riproposta sotto varie angolature perché, in fondo, si tratta di una storia collettiva che per sette decenni nell’arco del ‘900 ha coinciso e si è sovrapposta a quella della nazione.

La lotta antifascista, la Resistenza, la Costituzione repubblicana, la costruzione della democrazia, le tante battaglie sociali e civili, una fitta rete di “buon governo cittadino” in tantissime amministrazioni comunali e regionali restano  a testimonianza di quanto i comunisti siano stati “dentro” la storia di questo Paese e l’abbiano influenzata. Tra i tanti libri e le varie testimonianze una è particolarmente originale e s’intitola Voi personaggi austeri, militanti severi.., parafrasando il testo dell’Avvelenata, una delle più note canzoni di Francesco Guccini. L’autore del libro, edito qualche tempo fa dalla torinese Impremix Visual Grafika, è Marco Travaglini, un ex dirigente della sinistra piemontese. Nei ventisei racconti che riempiono le 128 pagine del libro ( l’ex ministro Livia Turco ne ha curato la prefazione) lo scrittore-giornalista – torinese d’adozione, nato a Baveno sulle rive del lago Maggiore –  racconta le “storie di compagni che sapevano ridere anche di se stessi”. Dare conto di questa straordinaria e articolata vicenda umana, fatta di gesti generosi e impegno civile, così come di ipocrisie e di errori storici, momenti drammatici e un enorme sforzo pedagogico di massa non era un compito facile, soprattutto facendo la scelta di raccontare episodi  che si propongono di strappare un sorriso. Storie, tra l’altro, che hanno come sfondo fatti reali.

In alcuni casi vissuti in prima persona dall’autore che è stato l’ultimo segretario provinciale del PCI della Federazione di Verbania (realtà della quale è stato praticamente coetaneo avendo entrambi visto la luce nell’autunno del 1957, quando si separò dalla realtà novarese) e, come tale, ha potuto viverne da protagonista una fase importante della storia e le successive evoluzioni. Quasi tutti i racconti si svolgono in Piemonte, tra l’Ossola, le terre delle risaie e il biellese, le terre dei laghi Maggiore e d’Orta, con qualche puntata nella lomellina pavese e sulla sponda magra del Verbano, in Lombardia. Dalle lotte operaie dell’acciaieria Cobianchi alle cene elettorali a base di polenta e coniglio in Valle Strona, dalle avventure di un comunista omegnese tra le risaie vercellesi a caccia dei voti dei monarchici al tempo della “legge truffa”  alla strana bandiera che sventolò sulle Settimane musicali di Stresa, queste storie – ricche di situazioni grottesche generate perlopiù da malintesi- strappano sorrisi nel dar conto di una importante e per certi versi non comune vicenda umana. “Nei racconti cito vicende più o meno note, utilizzando solo una parte di una vasta casistica immagazzinata dalla memoria”, afferma l’autore. “Naturalmente, come insegnava Piero Chiara,  quel che mancava a raggiungere l’effetto narrativo l’ho aggiunto. Del resto, nessuna realtà è buona per sé”. Apparentemente fatti “tutti d’un pezzo”, i protagonisti di questi racconti  dimostrano – il più delle volte loro malgrado, inconsapevolmente – di non esser privi d’ironia. Sorridono, ammiccando a malintesi e disavventure di questo o quell’altro loro “compagno”.

Sono vicende, in gran parte tramandatesi oralmente e arricchitesi con il trascorrere del tempo fino a diventare sempre più grottesche e ironiche, modificandosi e ingigantendosi un poco come i pesci nei racconti dei  pescatori. Storie romanzate  ma sempre con un fondo di verità (con le opportune modifiche a nomi e cognomi) a riprova dell’umanità di quelle donne e quegli  uomini che all’ombra della stessa bandiera hanno contribuito a fare la storia di un partito che è stato tanta parte della realtà politica e della società italiana. Livia Turco, già ministro e autorevole esponente di quello che un tempo fu il Pci di Berlinguer, oggi Presidente della fondazione Nilde Iotti, nella sua prefazione ha scritto: “il bel  libro di Marco Travaglini ci consente di fare un tuffo in una storia bellissima, di incontrare la comunità dei comunisti italiani. Per raccontarla sceglie il modo più autentico ed efficace. Racconta le persone in carne ed ossa, i loro contesti di vita, la loro quotidiana normalità. Questa umanità generosa avrebbe dovuto molto di più entrare nella narrazione e nella rappresentazione dell’Italia. Sono convinta che l’idea e la pratica della politica raccontata in queste pagine sia non solo moderna, ma necessaria. In questa nostra società,  in questo nostro tempo, ciò che alimenta le  passioni  tristi è la solitudine, la fragilità delle relazioni umane.

C’è bisogno di comunità e di compagnia”. Tutti i principali protagonisti di quelle vicende, ambientate negli anni dal primo dopoguerra agli anni ’80, hanno fatto parte di quel PCI voluto da Togliatti nel 1944 come un “partito nuovo” con l’obiettivo di trasformare l’ossatura clandestina e resistenziale dell’organizzazione comunista in  un partito di governo, progressista e democratico. Una lunga storia testimoniata da documenti, congressi, atti parlamentari, campagne elettorali, libri – a partire dagli straordinari Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci –  fino a quaderni della propaganda con i quali il partito organizzava la sua presenza nei territori e tra la gente. Travaglini sorride e ricorda la “Guida al segretario di cellula”, uno dei manuali per la propaganda capillare che riportavano, in copertina, le citazioni di Togliatti per definire la linea. Ne legge un brano: “..il Partito si sviluppa e si rafforza quando sa lavorare non soltanto per chiusi interessi di organizzazione e di gruppo, ma per gli interessi di tutto il popolo e di tutta la nazione”. I suoi anni sono stati però gli anni di Berlinguer, del colpo di stato in Cile e del  compromesso storico, del rinnovamento culturale e politico del Pci a partire dalla “questione morale” (l’eccesso di occupazione dello spazio pubblico da parte dei partiti), della capacità de gli ultimi tempi della segreteria berlingueriana di immaginare una strategia fondata su una nuova lettura della società italiana.

Si coglie, tra le righe dei racconti, una lieve nota malinconica e qualche rimpianto non solo per gli anni più belli della gioventù. “ E’ vero. Per certi versi mi manca quel partito”, dice il giornalista e scrittore, ormai lontano dalla politica attiva. “Non era per nulla esente da difetti, anche seri; era certamente imperfetto ma al tempo stesso autentico, popolare, molto più vicino alle necessità delle persone di quanto non sia la politica oggi. Continuerà a mancarmi e  sono certo che questo sentimento è comune a molti pur avendo coscienza che ciò che è stato fa parte della storia e va considerato con rispetto, senza indulgere in nostalgie”.

B.C.

“La meraviglia della seta e il peltro a Torino”

In Palazzo Madama … andar “per mirabilia” fra la “Sala tessuti” ed il “Gabinetto Cinese”

Dal 22 febbraio 2024 al 28 gennaio 2025

“Palazzo Madama”: è un viaggio di estrema suggestione nell’arte tessile dal XIV al XX secolo, quello proposto dal “Museo Civico d’Arte Antica”, in virtù della rotazione dei manufatti esposti nella “Sala tessuti”, sotto l’attenta curatela di Maria Paola Ruffino e attraverso una nuova scelta di tessuti e abiti “che corre sul filo conduttore della seta”. Di meraviglia in meraviglia, il percorso ci porta dallo splendore delle stoffe tardomedievali e rinascimentali – spesso intessute d’oro, lavorate in Italia e richieste dall’aristocrazia europea, ma non solo – fino al Sette – Novecento, con diversi manufatti (alcuni oggetto di recente restauro e presentati al pubblico per la prima volta) che “aprono la visuale sulla storia della moda e su come la seta ne sia da sempre assoluta protagonista”.

Primo assoluto protagonista, fino all’epoca rinascimentale, il “più ricco e magniloquente dei tessuti”, sua maestà il “velluto”. E fiorentino è il telo dall’iconico motivo a melagrane e fiori di cardo, in oro e cremisi, come fiorentino è anche il più raffinato velluto “ad arabeschi” verdi e argento, di ispirazione orientale, molto vicino a quello prodotto per la sposa di Cosimo de Medici, Eleonora di Toledo, che lo indossa nel celebre ritratto eseguito dal Bronzino intorno al 1545 e conservato agli “Uffizi” di Firenze. Attraverso i modelli a struttura geometrica che caratterizzano le composizioni decorative della seconda metà del XVI secolo, il percorso ci presenta i fiori e le volute del “gusto barocco” per arrivare ai disegni fantasiosi elaborati a Lione per l’abbigliamento nel XVIII secolo. “Grazia e leggerezza dominano il disegno, che unisce elementi del mondo naturale, resi in modo quanto mai naturalistico, ad architetture, cineserie ed esotismi, in composizioni di grande varietà ed effetto”. Altra storia quella che, dalla metà del Settecento, ci si propone attraverso la progressiva semplificazione del “decorato” che accompagna l’affermarsi del “gusto neoclassico”: ecco allora  stoffe in cui i fiori si “miniaturizzano” e si sovrappongono a “sfondi rigati”, lasciando poi le sole righe quali protagoniste. Fra Otto e Novecento, l’iter espositivo ci racconta di richiami e di un ritorno molto evidente di modelli decorativi elaborati nei secoli precedenti e rivisitati dalle manifatture tessili prendendo ispirazione dai manufatti antichi raccolti a livello museale. Questo lungo percorso nella storia del tessuto è illustrato a “Palazzo Madama” non soltanto da teli bidimensionali, ma anche da un gruppo di vesti maschili e femminili, dal Settecento al Novecento, che vanno dalle “marsine” e dai “gilet” ricamati, a una “robe” femminile e a un “caracò” (corpetto) a grandi fiori, fino agli abiti in raso e “taffetas” dai colori accesi e cangianti, concreto preludio a nuove futuristiche visioni del “fashion”e alla riconferma di come “la seta ne sia da sempre assoluta protagonista”.

Ma il viaggio all’interno di “Palazzo Madama” non finisce qui. Dopo la “seta” è meraviglia per occhi e cuore anche l’esposizione, curata da Clelia Arnaldi di Balme, all’interno del “Gabinetto Cinese”, al primo piano del Palazzo, dei 128 oggetti “in peltro” (pezzi piemontesi del Settecento e dell’Ottocento)donati dagli eredi di Attilio Bonci (Lanzo Torinese 1942 – 2022), grande collezionista e studioso della storia del peltro piemontese, attraverso ricerche durate tutta la vita e confluite in un volume del 2005 edito dal “Centro Studi Piemontesi”. Raccolti in bella mostra, troviamo soprattutto oggetti di uso quotidiano (utilizzati nelle case contadine come nelle dimore signorili), dai piatti ai candelieri, dalle teiere ai calamai, fino agli strumenti utilizzati per scopi attinenti alla medicina come le grandi siringhe e gli accessori per i clisteri.

Praticata fin dall’epoca degli antichi Romani, l’arte del peltro (lega composta principalmente di stagno, con l’aggiunta di una piccola percentuale di altri metalli come il rame, il bismuto e l’antimonio) si sviluppa particolarmente a partire dalla fine del Cinquecento, raggiungendo livelli artistici molto alti in Germania, in Inghilterra e in Francia.

In Italia la produzione di peltri si concentra soprattutto in Veneto ed in Piemonte, dove i peltrai sono riuniti in “Corporazione” a partire dal 1634, in seguito alle disposizioni di Cristina di Francia e poi di Carlo Emanuele II (1652). Peltrai – artigiani – fantasiosi artisti. Vedere per  credere!

Gianni Milani

“La meraviglia della seta e il peltro a Torino”

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it

Dal 22 febbraio 2024 al 28 gennaio 2025

Orari: lun. e da merc. a dom. 10/18; mart. chiuso

Nelle foto: particolari allestimento “Sala Tessuti” e Peltri “Gabinetto Cinese” (Ph Perottino); “Abito da sera”, Taffetas cangiante, 1932 –’35, dono Giovanna Dal Vesco, 2019

Un video al giorno per celebrare la Resistenza

Dal 5 aprile saranno pubblicati online, sui canali social di Torinogiovani e dell’associazione Plurale, venti video sulla Resistenza per ricordare i luoghi e le vicende principali dei venti mesi di lotta di Liberazione.

L’idea è di celebrare la Resistenza per venti giorni, a partire da una data simbolica come il 5 aprile, la ricorrenza della fucilazione al Martinetto dei vertici del Comitato di Liberazione Nazionale Regionale Piemontese, fino al 25 aprile, il giorno della Festa della Liberazione.

I video sono stati realizzati dal regista torinese Stefano Di Polito in venti luoghi simbolici per la Resistenza a Torino e sono pubblicati sulla app Tellingstones in un itinerario alla scoperta dei posti in cui sono avvenuti i principali episodi della Liberazione.

Tra i venti luoghi la Casa Gobetti, Palazzo Campana, l’Albergo Nazionale, la Caserma Alessandro La Marmora, le Carceri Nuove, la Casa di Dante Di Nanni, il Poligono di tiro del Martinetto, il Cimitero Monumentale, le Officine FIAT Grandi Motori, il Museo Diffuso della Resistenza.

Ogni video contiene una descrizione degli eventi da parte di un giovane divulgatore Luca Zanotta, un ricercatore storico molto abile ad appassionare il pubblico in un minuto e mezzo sulla storia della Resistenza.

I video saranno pubblicati in ordine cronologico ripercorrendo gli avvenimenti della Resistenza, l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando in Torino entrarono i Tedeschi, le torture e le repressioni ai danni dei partigiani,  gli scioperi operai, le deportazioni e la Liberazione della città, rendendo così omaggio a figure celebri come Ada e Piero Gobetti, Emanuele Artom, Dante Di Nanni, Antonio Banfo.

Il progetto Itinerari digitali sulla Resistenza è stato realizzato con il sostegno del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte.

Commenta Daniele Valle, Vicepresidente del Consiglio Regionale e Presidente del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte: «Il progetto degli Itinerari Digitali sulla Resistenza corrisponde pienamente con la mission del Comitato, ovvero portare avanti un impegno non solo istituzionale ma culturale ed educativo, sui temi della Memoria e sui valori della Resistenza, che sono alla base della nostra Costituzione. Per questo in occasione delle date fondamentali del calendario civile, affianchiamo alle tradizionali commemorazioni istituzionali e ai momenti di approfondimento storico, eventi e iniziative che auspichiamo servano a coinvolgere le generazioni più giovani. La Festa della Liberazione è la festa di tutti gli italiani, è la celebrazione di tutti coloro che si sacrificarono per riscattare il nostro Paese e consentire a tutti noi di vivere in una democrazia».

«La Resistenza dovrebbe essere festeggiata ogni giorno – dichiara il regista Stefano Di Polito – sarebbe bello se molte persone condividessero tali video per venti giorni sui loro profili social e se i media decidessero di diffonderli  per far conoscere a più persone possibile i valori e gli episodi della Resistenza. Inoltre sull’applicazione Tellingstones abbiamo pubblicato delle schede con riferimenti bibliografici che gli insegnanti potranno utlizzare liberamente per spiegare in modo coinvolgente la storia contemporanea nelle scuole elementari, medie e superiori».

Per informazioni sul progetto: associazioneplurale@gmail.com

Quattro secoli di vita: Palazzo Lascaris e i suoi abitanti

Quattro secoli di vita: dai fasti barocchi di fine ‘600, fino alle ultime leggi regionali approvate nell’aula sotterranea. Questo racconta la mostra “Palazzo Lascaris e i suoi abitanti”, allestita in occasione della fine della XI legislatura regionale e per presentare gli importanti lavori di restauro in corso.  

“Abbiamo scelto di riportare il palazzo all’antico splendore – ha dichiarato il presidente Stefano Allasia – Un investimento importante del Consiglio regionale che ha recuperato le facciate, sostituito infissi, sta adeguando impianti elettrici e eliminando barriere architettoniche. Opere necessarie per salvaguardare un complesso aulico straordinario e renderlo funzionale all’attività legislativa dell’ente ed aperto ai cittadini che vorranno visitarlo”.

Marco Boglione, fondatore e presidente del Gruppo BasicNet, qui nel suo ruolo di presidente della Fondazione Cavour, ha detto: “Sono molto felice come cittadino, come imprenditore e come presidente della Fondazione di questa collaborazione con il Consiglio regionale per la mostra dedicata a Palazzo Lascaris. Nei 42 anni dell’Ottocento in cui la famiglia Benso di Cavour fu proprietaria dell’edificio, lo statista piemontese artefice dell’Unità d’Italia affinò, anche tra queste stanze, il suo ambizioso progetto politico italiano ed europeo”.

L’esposizione è aperta da una grande Linea del tempo che racconta la storia del palazzo barocco di via Alfieri. La costruzione architettonica è narrata attraverso documenti originali, fotografie e video, fino agli attuali imponenti restauri – che si concluderanno nel 2025 – che hanno svelato affreschi ottocenteschi e decori finora sconosciuti.

Gli abitanti del palazzo in quattro secoli di vita sono rappresentati nella seconda sala da una serie di ritratti, originali o riprodotti, degli uomini e delle donne che hanno fatto la storia di questo edificio, assieme ad alcuni memoriabilia, come un abito da ballo di metà Ottocento e alcuni importanti documenti d’epoca. Qui vissero famiglie aristocratiche, ma anche inquilini borghesi che abitavano gli ammezzati e le soffitte, poi vennero le banche e le istituzioni pubbliche, fino alla Snia di Riccardo Gualino e alla Camera di Commercio, che a Palazzo Lascaris ebbe la sua sede dal 1948 al 1974.

La terza sala della mostra è interamente dedicata al Consiglio regionale che “abita” Palazzo Lascaris dal 20 settembre 1979. I ritratti dei 17 presidenti che si sono succeduti, le foto dei principali avvenimenti accaduti in più di 40 anni e alcuni documenti originali della nostra storia compongono l’allestimento. Tra gli altri vediamo: il primo Statuto della Regione Piemonte del 1970 e quello del 2005, la macchina a tasti Michela usata fino a poco tempo fa per rendicontare le sedute d’Aula, i documenti scritti a mano delle prime sedute consiliari.

Una grande bandiera del Piemonte domina la sala, sopra una gigantografia dell’aula consiliare com’è oggi: essa rappresenta il cuore di tutte le attività che si svolgono attualmente a Palazzo Lascaris, dove nascono tutte le leggi della Regione Piemonte.

La mostra ha la curatela di Marco Fasano, direttore della Fondazione Camillo Cavour di Santena (presieduta da Marco Boglione), e la consulenza della storica dell’arte Arabella Cifani. Oltre ai materiali provenienti dall’archivio storico e fotografico del Consiglio regionale, hanno collaborato tra gli altri: la Camera di Commercio di Torino, l’Archivio storico della Città di Torino, la Soprintendenza per i beni architettonici, la Fondazione Franco Albini di Milano, la Galleria d’Arte Moderna, la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.

La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 30 settembre 2024, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17, con ingresso gratuito.

IMPORTANTE: l’ingresso – dato il cantiere tutt’ora presente nell’intero palazzo – è aperto da via Lascaris 9, sul lato opposto rispetto a quello ufficiale di via Alfieri 15.

Da Alfieri a Pellico: porte aperte per undici case piemontesi illustri

Appuntamento il 6 e 7 aprile per le Giornate nazionali delle Case dei personaggi 

In arrivo l’iniziativa promossa dall’Associazione Nazionale Case della Memoria

che quest’anno, per la sua terza edizione, vede coinvolte 129 strutture in tutta Italia

 

 Anche undici realtà piemontesi prenderanno parte alla terza edizione delle Giornate nazionali delle Case dei personaggi illustri. Promosse in tutta Italia nel fine settimana del 6 e 7 aprile dall’Associazione Nazionale Case della Memoria, quest’anno sono dedicate al tema “Memorie in viaggio“. Due giorni in cui le case museo di tutta Italia apriranno le porte per consentire al pubblico di scoprire le case dei Grandi che sono nati o hanno vissuto nel nostro Paese.

In Italia sono quasi 130 le case museo che apriranno le porte: tra queste, in Piemonte, anche il Museo Alfieriano/Casa natale di Vittorio Alfieri di Asti, la Fondazione Museo Francesco Borgogna a Vercelli e, nel vercellese, il Museo Civico Ferraris a Livorno Ferraris. A Torino e provincia, la Casa Museo Antonio Carena di Rivoli, il Museo Casa Don Bosco a Valdocco, il Museo Francesco Faà di Bruno e la Casa Museo Carol Rama (entrambi a Torino). A Cuneo il Museo Casa Galimberti e, in provincia Casa Cavassa e Casa Pellico a Saluzzo e il Museo Civico Luigi Mallé di Dronero.

L’iniziativa organizzata dall’Associazione Nazionale Case della Memoria, anche quest’anno ha ricevuto il patrocinio di Icom Italia e del Ministero della Cultura. Hanno potuto aderire tutte le case dei personaggi illustri italiani, non solo quelle facenti parte dell’Associazione. È possibile prenotare le visite fino al 5 aprile, collegandosi al sito www.casedellamemoria.it, dove è presente l’elenco delle case partecipanti con le indicazioni per prenotarsi.

«Oltre a promuovere i due giorni di aperture congiunte – spiega Adriano Rigoli presidente dell’Associazione Nazionale Case della Memoria – abbiamo invitato ogni casa a dedicare un itinerario, un approfondimento o un incontro al tema delle ‘Memorie in viaggio’. Sarà un’occasione, nell’anno del VII centenario della morte di Marco Polo, grande viaggiatore in Cina nel Medioevo e narratore della sua esperienza nel Milione scritto da Rustichello da Pisa, per focalizzare tutti insieme l’attenzione su un argomento di grande fascino che accumuna molti grandi del passato che, proprio per i loro ruoli, hanno spesso attraversato varie parti del mondo».

«Molte case proporranno anche visite guidate e/o strumenti di accoglienza – aggiunge Marco Capaccioli vicepresidente dell’Associazione Nazionale Case della Memoria – secondo una formula che ha riscosso già lo scorso anno, dove sperimentata, grande successo. La terza edizione delle Giornate ha la partecipazione di quasi 130 case, distribuite in 17 regioni. Un patrimonio importante che, con tenacia, la nostra Associazione mette in evidenza per offrire nuove occasioni al turista del terzo millennio, sempre in cerca di nuove emozioni, lontane dai grandi circuiti. I visitatori della nostra rete, come è stato osservato, non sono gli stessi che frequentano le pinacoteche: chi visita le Case della Memoria si sente un ospite chiamato a “riabitare”, perché è come se si trovasse a casa propria. È dunque importante, anche da parte delle istituzioni, porre attenzione a questo patrimonio, fatto da ambienti di vita di “quotidiana”, che conservano intatto il fascino di chi li ha abitati e con un valore aggiunto: la partecipazione attiva».

A seguire l’elenco delle case aderenti per la regione Piemonte:

Palazzo Alfieri – Casa Natale di Vittorio Alfieri – Asti

Telefono: 0141530403

Email: prenotazioni@fondazioneastimusei.it

– Attività proposte: sabato 6 aprile dalle ore 16.30: Presentazione del libro di Venanzio Guerci: “Per una storia delle donne nell’Italia del Settecento”. Incontro con la curatrice ELISA STRUMIA e VINCENZO FERRONE (Università di Torino).

– Ingresso gratuito: No

– Ingresso ridotto: No – l’ingresso al Museo è di 5 euro
– Omaggi e attività specifiche: Si – presentazione del libro, letture e musica
– Visita gratuita: No – euro 5,00

 

Fondazione Museo Francesco Borgogna – Vercelli

Telefono: 3892116858
Email:  biglietteria@museoborgogna.it

– Attività proposte: Visita libera al Museo. La domenica 7 aprile si terrà il laboratorio “” a cura dell’illustratore Gabriele Pino, su prenotazione obbligatoria al 389.2116858.

– Ingresso gratuito: No
– Ingresso ridotto: No
– Omaggi e attività specifiche: No
– Visita gratuita: No

 

Casa Museo Antonio Carena – Rivoli (TO)

Telefono: 3470393276

Email: casamuseocarena@gmail.com

– Attività proposte: Concert art , durante la visita sarete allietati dalla musica dal vivo suonata all’interno della Casa Museo

– Ingresso gratuito: No
– Ingresso ridotto: Sì

– Omaggi e attività specifiche: No
– Visita gratuita: Sì

 

Casa Cavassa – Saluzzo (CN)

Telefono: 329 394 0334
Email: musa@itur.it

– Ingresso gratuito: No
– Ingresso ridotto: Sì
– Omaggi e attività specifiche: No
– Visita gratuita: No

 

Museo Casa Don Bosco – Torino

Telefono: 01152241
Email: info@museocasadonbosco.it

– Attività proposte: La visita con audioguida mediante codice QR in autonomia o guidata (prenotata a info@museocasadonbosco.it) è gratuita. Una offerta é sempre gradita.

– Ingresso gratuito: Sì
– Ingresso ridotto: No
– Omaggi e attività specifiche: No
– Visita gratuita: Sì

 

Museo Francesco Faà di Bruno – Torino

Telefono: 3403461409
Email: info@museofaadibruno.it

– Attività proposte: Visita della casa museo, visita della chiesa fatta costruire da F. Faà di Bruno, salita sul Campanile – circa 300 scalini.

– Ingresso gratuito: Sì
– Ingresso ridotto: No
– Omaggi e attività specifiche: No
– Visita gratuita: No

Museo Civico Ferraris – Livorno Ferraris (VC)

Telefono: 0161477295 interno 1
Email: biblioteca@comune.livornoferraris.vc.it

– Ingresso gratuito: Sì
– Ingresso ridotto: No
– Omaggi e attività specifiche: No
– Visita gratuita: Sì

Museo Casa Galimberti – Cuneo

Telefono: 0171/444801
Email: prenotazioni.galimberti@comune.cuneo.it

– Attività proposte: Visite tematiche incentrate sulla figura di Duccio Galimberti, eroe Nazionale della Resistenza Antifascista e medaglia d’oro al valor militare, e sulla sua famiglia. I Galimberti hanno contribuito, in modo indelebile, allo sviluppo della Città di Cuneo, nel senso della libertà di scelta e di espressione. Due le visite guidate gratuite proposte con ingressi alle ore 15.30 e 17. Prenotazione obbligatoria.
– Ingresso gratuito: Sì
– Ingresso ridotto: No
– Omaggi e attività specifiche: No
– Visita gratuita: Sì

Museo Civico Luigi Mallé – Dronero (CN)

Telefono: 3478878051 / 0171908704
Email: museo.malle@comune.dronero.cn.it

– Attività proposte: Visite guidate con videonarrazioni delle opere

– Ingresso gratuito: Sì
– Ingresso ridotto: No
– Omaggi e attività specifiche: Sì
– Visita gratuita: Sì

Casa Pellico – Saluzzo (CN)

Telefono: 329 394 0334
Email: musa@itur.it

– Attività proposte:
– Ingresso gratuito: No
– Ingresso ridotto: Sì
– Omaggi e attività specifiche: No
– Visita gratuita: Sì

Casa Museo Carol Rama – Torino

Telefono: 3516136011
Email: casa@archiviocarolrama.org

– Attività proposte: La Casa Museo sarà accessibile con visite guidate, solo su prenotazione tramite sito web.

– Ingresso gratuito: No
– Ingresso ridotto: No
– Omaggi e attività specifiche: No
– Visita gratuita: No

“K2”. Settant’anni fa, a luglio, la conquista italiana

E a Torino il “Museo Nazionale della Montagna” dedica alla spedizione italiana una sezione espositiva permanente

E’ il 31 luglio del 1954. E’ un sabato. Mancano pochi minuti alle 18. Un ultimo sforzo e il valtellinese, da Santa Caterina Valfurva, Achille Compagnoni (1914 – 2009) insieme al bellunese, da Cortina d’Ampezzo, Lino Lacedelli (1925 – 2009) arrivano sulla vetta del “K2” (abbreviazione di “Karakorum 2”, al confine fra Cina e Pakistan, conosciuto anche come “Monte Godwin-Austen”, o, in lingua “balti”, come “ChogoRi” o “Dapsang”): sono loro i primi italiani a toccare la cima di un “Ottomila”.  In occasione del 70° anniversario dell’impresa, il “Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi” di Torino ha annunciato nei giorni scorsi l’apertura di una nuova sezione permanente dedicata proprio alla spedizione del “Club Alpino Italiano”L’iniziativa, promossa anche in concomitanza con il 150° anniversario della fondazione del “Museo”, nato nel 1874 da un’idea dei primi soci del “CAI”, propone una narrazione dell’impresa attraverso una vasta ed eterogenea esposizione di attrezzature, documenti, fotografie e iconografie che rappresentano, nel loro insieme, la “più ricca documentazione esistente sul tema”.

Concretizzatasi con il sostegno della “Regione Piemonte” , della “Città di Torino”, della torinese “Camera di Commercio” (e con il contributo di “Vibram”, tra le aziende che hanno supportato la spedizione del 1954, e la partnership tecnica di “Leroy Merlin”), la nuova sezione permanente – frutto del riallestimento di una parte dell’area dedicata all’alpinismo extraeuropeo del “Museo” – spalanca una finestra sul passato e propone il racconto di un’impresa ancora oggi ritenuta mitica, che costituisce il fondamento dell’himalaysmo italiano moderno”, ovvero di quell’approccio alla montagna in gruppi numerosi, mediante l’utilizzo di portatori e con l’uso di mezzi pesanti.

Inutile ricordare quante e quali emozioni e reazioni (ma anche polemiche!) ebbe a suscitare in Italia, e non solo, la scalata alla cima del “K2” da parte di Compagnoni e Lacedelli. Scalata immortalata in sequenze catturate dalla cinepresa (le prime mai realizzate sulla cima di un 8.000), segnando un episodio sportivo e di coraggio umano degno di passare alla storia per i due alpinisti arrivati in vetta, ma anche per i membri della spedizione (compresi i “portatori” del Baltistan) che, guidati da Ardito Desio, resero possibile l’impresa finale. Il successo della spedizione è un “trionfo” per il “Club Alpino Italiano” e per quanti l’hanno sostenuta e il ritorno degli alpinisti in Italia è accolto con un forte interesse mediatico. Ad occuparsene fu anche il cinema, con il docufilm “Italia K2” (1955) del regista Mario Baldi, che portò l’epopea dell’alpinismo Anni ’50 sul grande schermo, mentre la “sigla K2” diventò subito un “motivo di vanto” per numerosi esercizi commerciali e per le aziende che fornirono i loro prodotti alla spedizione.

Sviluppata con il supporto scientifico del giornalista e storico dell’alpinismo, Roberto Mantovani, l’esposizione al Monte dei Cappuccini offre l’opportunità di conoscere l’“equipaggiamento” utilizzato dagli alpinisti e di comprendere le sfide affrontate nell’ascensione del mastodonte del “Karakorum” che, con i suoi 8.611 metri, è la seconda cima più alta della Terra, dopo l’“Everest” (8,848,85 metrie una delle più difficili. La spedizione, forte di un’organizzazione di stampo militare, disponeva di “prodotti d’avanguardia” capaci di resistere alle condizioni estreme delle altissime quote, in un periodo che solo da pochi anni vantava la presenza di attrezzature in nylon e di tessuti sintetici.

Senza trascurare il racconto delle fasi salienti della scalata e la sua tempistica, l’iter espositivo include anche la descrizione della via di salita lungo lo “Sperone Abruzzi” (la cresta Sud-Est), l’improvvisa morte del valdostano Mario Puchoz, il drammatico bivacco all’addiaccio di Walter Bonatti e del portatore “hunza” Amir Mahdi, e infine l’arrivo in vetta.

Per quanto riguarda le “attrezzature” usate nella spedizione, in parte erano già giunte al “Museo” nel 1956, per poi essere integrate nel 1981 dal “CAI” con la donazione del “Fondo Spedizione Italiana al Karakorum – 1954”. A queste si sono aggiunti, negli anni Ottanta, i fondi fotografici e filmici di Mario Fantin, alpinista e operatore ufficiale della spedizione, e nel 2016 l’“Archivio Walter Bonatti”, in cui si trova ampia documentazione sulla salita. La selezione è, infine, arricchita con alcuni beni di recente acquisizione, tra cui le attrezzature di Pino Gallotti e le diapositive di Ugo Angelino (entrambi alpinisti della squadra), insieme alle fotografie di Umberto Balestreri della precedente spedizione del 1929.

Per info: “Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi”, piazzale Monte dei Cappuccini 7, Torino; tel. 011/6604104 o www.museomontagna.org

Gianni Milani

Nelle foto: I componenti della spedizione sul ghiacciaio Baltoro, Fondo “Mario Fantin”; Lino Lacedelli sulla cima del K2, ph. Achille Compagnoni; Al campo base sono giunte 230 bombole di ossigeno a 200 atmosfere, ph. Ugo Angelino

Il mausoleo della Bela Rosin, il Pantheon torinese

Un piccolo gioiello neoclassico alle porte della citta’.

Situato a Mirafiori sud a Torino, al confine con il comune di Nichelino, il Mausoleo della Bela Rosin, dedicato dai figli alla madre Rosa Vercellana, amante e poi moglie di Vittorio Emanuele II di Savoia, e’ un mini pantheon situato al centro di un bel parco di trentamila metri quadrati.

Progettato dall’ architetto Angello Demezzo tra il 1886 e il 1888, consiste in una pianta circolare, con un diametro di 16 metri, e un frontone che riporta il motto “Dio, Patria e famiglia”; questa struttura possiede 16 colonne, 8 nella parte esterna (il proneo) e 8 che delimitano le nicchie dove una volta erano contenute le salme di Rosa e dei suoi figli che ora riposano altrove, l’ingresso e’ in ferro battuto ed e’ caratterizzato dalle insegne dei Conti Mirafiori.

Il mausoleo, purtroppo, negli anni e’ stato teatro di episodi spiacevoli fino al suo recente restauro che gli ha restituito il suo valore e il suo pregio. Nel 1970 dopo essere stato acquistato dal Comune di Torino e aperto al pubblico e’ stato profanato dalle attivita’ illecite di tombaroli in cerca di gioielli e oggetti preziosi, motivo per cui le salme della Rosin e dei suoi figli sono state trasferite al Cimitero Monumentale di Torino; dopo qualche anno fu ancora deturpato e utilizzato, o almeno cosi’ si dice, per riti satanici. Diverse furono le proposte perche’ questo luogo storico potesse essere riqualificato: realizzare una moschea o il planetario, nessuna di queste fu realizzata soprattutto a causa dei costi diristrutturazione necessari per una  nuova destinazione d’uso. Nei primi anni del 2000 finalmente si attuo’ l’ambito restauro che ha mantenuto le prerogative originarie, come lo stile neoclassico, con qualche rifacimento strutturale indispensabile come la ricostruzione del tetto e la realizzazione di un trompe-l’oeil sul soffitto a cassettoni; all’esterno invece fu effettuato il taglio degli alberi del viale d’ingresso.

Dal 2005, data della inaugurazione del nuovo corso, il Mausoleo della Bela Rosin e’ gestito dalle Biblioteche Civiche Torinesi ed e’diventato un punto di servizio bibliotecario, durante l’estate, poi, il parco diventa un giardino di lettura, attrezzato con gazebo e panchine per permettere ai visitatori di leggere sul posto libri disposti su carretti colorati o  prenderli con il prestito gratuito.Inoltre si  organizzano eventi, mostre, concerti e spettacoli come “Pazze Regine” ispirato alla storia d’amore tra Rosa e Vittorio Emanuele II.

La sua posizione non centrale e il non essere inserito, molto spesso,  nei circuiti turistici penalizza un po’ questo ulteriore gioiello di Torino che si sta cercando gia’ da  anni di rimettere al centro dell’attenzione attraverso varie iniziative e avvenimenti interessanti. Il Mausoleo della Bela Rosin rimane, comunque,  un monumento di  importanza  sia storica che architettonica, un altro tesoro della preziosa dote di questa citta’.

MARIA LA BARBERA

 

Per informazioni

https://bct.comune.torino.it/sedi-orari/mausoleo-della-bela-rosin

mausoleo.belarosin@comune.torino.it

La passione secondo Jaquerio

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Domenica 31 marzo, ore 15

Visita guidata agli affreschi del più grande esponente torinese del gotico internazionale

 

La Salita di Cristo al Calvario è il capolavoro del pittore torinese Giacomo Jaquerio, maggior esponente del gotico internazionale, realizzata nella cappella adibita a sacrestia della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso nel primo quarto del XV secolo.

Ciò che contraddistingue questa raffigurazione rispetto agli altri affreschi della cappella è la resa dei personaggi che appare più realistica all’interno di una scena drammatica. Per accrescere nei devoti la meditazione e la partecipazione alla sofferenza della Passione di Cristo, Jaquerio ha infatti accentuato i caratteri patetici e drammatici della scena. Lo spazio non è reso con una visione prospettica corretta, ma il senso di profondità è ottenuto disponendo i personaggi ad arco e collocando il volto dei soggetti più arretrati in una posizione più elevata rispetto a quella dei personaggi che sono in primo piano.

Nella folla è evidente la contrapposizione tra il Bene il Male nella scelta di colori e in un certo tipo di gestualità. I personaggi che trattengono la croce o quello che tira Gesù con una corda presentano lineamenti talmente alterati e deformati che sembra abbiano quasi connotazioni non umane. Tra la folla, si riconoscono il fabbro, a cui i giudei si rivolgono per fabbricare i chiodi della croce di Cristo, nell’uomo che tiene in mano tre chiodi e un martello (la sua partecipazione agli eventi della Passione si trova in alcune rappresentazione teatrali popolari diffuse in Francia e Inghilterra) e Giuda con la barba e i capelli rossi (colore che richiama la violenza e le fiamme dell’inferno) e il vestito giallo per evocare il tradimento.

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

Domenica 31 marzo, ore 15

La passione secondo Jaquerio

Costo attività: 5 euro, oltre il prezzo del biglietto

Biglietto di ingresso: intero 5 euro, ridotto 4 euro

Hanno diritto alla riduzione: minori di 18 anni, over 65, gruppi min. 15 persone

Fino a 6 anni e possessori di Abbonamento Musei: biglietto ingresso gratuito

Prenotazione obbligatoria

Info e prenotazioni (dal mercoledì alla domenica):

011 6200603ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it