STORIA- Pagina 4

La Brigata ebraica e la liberazione. Il contributo degli ebrei nella Resistenza, ottant’anni dopo

/

A cura di: Fondazione di studi storici Gaetano Salvemini, Associazione ItaliaIsraele di Torino, Centro Studi Nazionale Brigata Ebraica. Con la collaborazione di: Associazione Camis de Fonseca, FNISM – Federazione Nazionale Insegnanti, Consolato Polacco di Torino, Comunità ebraica di Torino

In mostra: dal 15 aprile al 4 maggio | Associazione Camis De Fonseca (Via
Pietro Micca, 15 scala A – 1 piano – Torino), tutti i giorni dalle ore 17:00 alle ore
20:00, chiusura domenica 20 e lunedì 21 aprile

Aperture speciali per visite scuole professori e associazioni scrivere a: info@fondazionecdf.it e lorenzo.cabulliese@fondazionesalvemini.com

Il 25 aprile 2025 si celebreranno gli ottant’anni dalla Liberazione. In occasione di un
anniversario tra i più significativi della storia del nostro Paese, la Fondazione di studi
storici Gaetano Salvemini, Associazione Italia-Israele di Torino, Centro Studi Nazionale
Brigata Ebraica, con la collaborazione di Associazione Camis de Fonseca, FNISM –
Federazione Nazionale Insegnanti, Consolato Polacco di Torino, Comunità ebraica di
Torino intendono fornire uno sguardo di approfondimento a una delle pagine meno
conosciute e più ripudiate della storia della Resistenza: il contributo della popolazione
ebraica nella lotta al nazifascismo.

Gli ebrei sono stati soggetti nel periodo della Seconda guerra mondiale a una
persecuzione e a uno sterminio sistematico senza precedenti, universalmente
riconosciuto, studiato e approfondito, entrato nei libri di storia dalle scuole elementari
ai corsi universitari. Ciò che invece per anni è stato spesso omesso e dimenticato è il
ruolo della Brigata Ebraica nella lotta di Resistenza e il suo valore nella Liberazione
dell’Italia dal nazifascismo.

Nel novembre 1944 sbarcò a Taranto, fra le truppe destinate alla VIII armata inglese,
una brigata di volontari composta da circa 5.000 uomini con un sorprendente vessillo.
Il vessillo era sconosciuto, ma su di esso vi era un simbolo che tutti avevano già visto:
la stella gialla a sei punte del popolo ebraico. I soldati erano tutti ebrei.

Molti dei volontari della Brigata Ebraica provenivano infatti dalla Palestina del Mandato
Britannico, l’antica Terra di Israele, altri dall’Europa, altri ancora dal Canada, Sud Africa
e Australia. Gli ebrei arruolati nell’esercito britannico in Palestina erano assai più
numerosi: circa 30.000, tuttavia, la Brigata Ebraica fu l’unica a combattere il
nazifascismo sotto una bandiera propria.

Il progetto prevede l’esposizione della mostra “La Brigata Ebraica e la Liberazione”
dal Centro Studi della Brigata Ebraica di Milano e una serie di eventi ad essa correlati
nelle date di apertura dell’esposizione. Inoltre, è prevista una formazione docenti
accreditata sul ruolo delle minoranze religiose nel processo di Liberazione: nello
specifico sugli ebrei e sui valdesi, con l’invito a tutti gli istituti scolastici e i docenti a
portare in visita le proprie classi all’installazione.

Attività:
– Formazione docenti: “Le minoranze religiose nella lotta di Liberazione”
14 aprile 2025 h 16:00 | Liceo Einstein | “I valdesi nella Resistenza” con Bruna
Peyrot

28 aprile 2025 h 16:00 | Polo del ‘900 | “Gli ebrei nella Resistenza” con Stefano
Scaletta

Al fine di fornire uno strumento didattico a tutto tondo, sarà inoltre prevista una
formazione docenti accreditata attraverso la FNISM per la durata di due incontri
da due ore ciascuno sul ruolo delle minoranze religiose nella Resistenza. Nello
specifico verrà approfondito il ruolo dei valdesi grazie al contributo della storica
Bruna Peyrot e quello degli ebrei e della Brigata Ebraica grazie al contributo dello
studioso Stefano Scaletta.

– Proiezione del film “In our own hands” (Soli nelle nostre mani), martedì 15
aprile ore 18:00 Presso l’associazione Camis De Fonseca (Via Pietro Micca, 15
scala A – 1 piano – Torino), durata di 1 ora e 20 minuti con sottotitoli in italiano; a
cura del Museo della Comunità ebraica di Trieste Carlo e Vera Wagner. La
storia nascosta della Brigata Ebraica durante la Seconda Guerra Mondiale; regia
di Chuck Olin

– Presentazione libro “La Brigata ebraica tra guerra e salvataggio dei
sopravvissuti alla Shoah (1939-1947)” di Stefano Scaletta martedì 22 aprile ore
17:30 Presso l’associazione Camis De Fonseca (Via Pietro Micca, 15 scala A – 1
piano – Torino). Dialogheranno con l’autore: Davide Riccardo Romano, Silvio
Zamorani e Stefano Magni

– Proiezione del film “Freedom is not a gift from heaven” (La libertà non piove
dal cielo) venerdì 25 Aprile ore 18:00 Presso l’associazione Camis De Fonseca
(Via Pietro Micca, 15 scala A – 1 piano – Torino), durata 1 ora con sottotitoli in
italiano, con Simon Wiesenthal 1994; regia di Willy Lindwer

– Presentazione del libro di Ugo Rosenberg “Tutto iniziò da quel finestrino. La
storia di Kurt Rosenberg” (edizionicroce 2024), lunedì 28 Aprile ore 18:00
presso l’associazione Camis De Fonseca (Via Pietro Micca, 15 scala A – 1 piano –
Torino), dialoga con l’autore Ulrico Leiss de Leimburg, Console Onorario della
Repubblica di Polonia a Torino che mostrerà anche il breve documentario
storico “Dalla Polonia in Israele. I soldati ebrei dell’Armata di Anders”, prodotto
dal Consolato Polacco in Italia.

– Mostra “La Brigata Ebraica e la Liberazione”
La mostra prevede una serie di dodici pannelli esplicativi sul contributo degli
ebrei nella Seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra e sulla storia
della Brigata Ebraica. A completare l’esposizione, due teche con materiale
originale e due manichini con riproduzione di divise.

La mostra sarà inaugurata martedì 15 aprile alle ore 13:00 sino alle ore
20:00 presso gli spazi dell’Associazione Camis De Fonseca, con aperitivo. E’
prevista un’anticipazione dell’inaugurazione riservata ai giornalisti alle ore
11:00 del medesimo giorno.

Interverranno: Marco Brunazzi (presidente Fondazione Salvemini), Laura Camis
De Fonseca (presidente Associazione Camis De Fonseca), Dario Disegni
(presidente Comunità Ebraica di Torino), Davide Riccardo Romano (direttore
Centro studi Brigata Ebraica), Stefano Scaletta (curatore della mostra), Marco
Carlo Zanetti (presidente Associazione Italia Israele di Torino).
È prevista una conferenza stampa di presentazione della mostra riservata ai
giornalisti alle ore 12:00 del medesimo giorno, con la presenza del
curatore Stefano Scaletta.

Corno da Caccia: due giorni di musica e tradizione tra Stupinigi e Torino

Torna l’appuntamento con l’Arte Musicale dei Suonatori di Corno da Caccia dell’Accademia di Sant’Uberto

Palazzina di Caccia di Stupinigi: 12 aprile, dalle 15.15 alle 17.30

Concerto gratuito con biglietto d’ingresso

Piazza e Corte d’Onore di Palazzo Carignano: 13 aprile, dalle 10.15 alle 12.30

Concerto gratuito

 

 

L’arte musicale del corno da caccia torna protagonista con le Giornate Internazionali del Corno da Caccia 2025, in programma il 12 e 13 aprile. Un doppio appuntamento all’insegna della musica e della tradizione, che si svolgerà prima nella splendida cornice della Palazzina di Caccia di Stupinigi e poi nel prestigioso Palazzo Carignano.

L’evento è organizzato dall’Accademia di Sant’Uberto come parte della rassegna musicale Cerimoniale e Divertissement 2025, alla sua seconda edizione, che celebra il connubio tra il patrimonio culturale immateriale dell’umanità UNESCO (grazie alla convenzione del 2023) dell’arte del corno da caccia e un altro importante patrimonio UNESCO del Piemonte, le Residenze Reali Sabaude (convenzione del 1972).

Questa tradizione musicale, nata nelle corti europee della seconda metà del Seicento, vede oggi la partecipazione di ensemble provenienti da tutta Europa: LesTrompes de Bonne dall’Alta Savoia (Francia), i gruppi con Parforcehorn in Mib dell’Alto Adige e della Repubblica Ceca, e con la partecipazione dei corni delle Alpi con il gruppo “I Corni del Generus” di Bellinzona (Svizzera) e LesBriançonneurs (Francia). Si esibiranno in un programma che coinvolge circa 60 suonatori, rendendo omaggio ad uno strumento naturale, senza fori, valvole o pistoni, nato per comunicare tra foreste e montagne e trasportato nei secoli nella musica d’arte da compositori come Vivaldi, Haendel e Alessandro Scarlatti.

Il programma dei concerti

Le Giornate Internazionali del Corno da Caccia 2025 prevedono due appuntamenti:

  • Sabato 12 aprile – Palazzina di Caccia di Stupinigi, Nichelino: Concerto all’aperto con esibizioni dei gruppi internazionali di corno da caccia e dei corni delle Alpi. L’ingresso è gratuito ma con il biglietto d’ingresso alla Palazzina.
  • Domenica 13 aprile – Palazzo Carignano, Torino: Concerto conclusivo in cui si alterneranno i diversi gruppi, con esecuzioni sia collettive che singole, mettendo in risalto le differenti tecniche e strumenti legati a questa affascinante tradizione musicale. Il concerto è gratuito.

Le iniziative sono possibili grazie al supporto del Ministero della Cultura ai patrimoni Culturali Immateriali dell’Umanità UNESCO (Legge 77/2006) e della Fondazione CRT.

Per maggiori informazioni e aggiornamenti, è possibile consultare il sito ufficiale delle Residenze Reali Sabaude (www.residenzerealisabaude.com) e quello dell’Accademia di Sant’Uberto (www.accademiadisantuberto.org), dove trovare anche il link al canale YouTube degli eventi musicali.

Per informazioni: info@accademiadisantuberto.it

L’arte musicale del corno da caccia e il riconoscimento UNESCO: un po’ di storia

Il corno da caccia è stato inserito nel Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità UNESCO nel 2020, grazie a una candidatura internazionale che ha coinvolto Francia, Italia, Belgio e Lussemburgo. Per l’Italia, i partner ufficiali sono: Regione Piemonte, Città di Venaria Reale, Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, Città di Nichelino, Palazzina di Caccia di Stupinigi/Fondazione Ordine Mauriziano e Liceo Classico Musicale Cavour di Torino.

La promozione e il recupero di questa antica arte in Italia è opera dell’Accademia di Sant’Uberto – ETS, fondata nel 1996 da un gruppo di persone con diverse competenze, già attivo ai primi anni ’90 per il recupero e la promozione della Reggia di Venaria, all’epoca ancora in stato di degrado. Nell’ipotesi di un recupero, l’obiettivo era quello di salvaguardare l’identità storica della residenza, legata al loisir di corte, al tema ludico, per mettere a fuoco la civiltà delle corti d’Europa sotto diverse prospettive: musica, esercizi del corpo, feste, cerimonie. In questo quadro il corno da caccia era l’elemento rappresentativo del loisir di corte all’epoca più importante, la Venatio Regia – la caccia Reale, e certamente non come semplice svago o divertimento, ma per l’educazione del principe alla difesa del suo territorio, insieme ai giovani aristocratici che ne avrebbero seguito le sorti, in pace e in guerra, e per comunicare la magnificenza attraverso il complesso cerimoniale venatorio. Il corno da caccia divenne quindi per L’Accademia di Sant’Uberto emblematico del valore del tema ludico di corte in tutti suoi diversi aspetti. Da allora il tema è stato sviluppato in diversi modi: musica del corno da caccia e barocca, studi, ricerche, pubblicazioni e mostre sul tema ludico.

Nel corso dell’iter di candidatura UNESCO del corno da caccia la presa di coscienza del valore del patrimonio immateriale ha sviluppato un diverso modo di collaborare con i siti UNESCO, con le Residenze, beni “materiali”. Non può essere UNESCO un patrimonio immateriale che non sia vivente, ossia legato ad una comunità di praticanti che nel corso del tempo, spesso di secoli, ha creato la sua arte, l’ha modificata e sviluppata fino ai nostri giorni, diversa, ma sempre viva e aperta al futuro, con i giovani. Questo aspetto ha incoraggiato una proposta di valorizzazione del patrimonio in generale, rispettosa del passato, ma attenta alla pratica di oggi. Il patrimonio immateriale, vivente, ben si presta a rivitalizzare siti UNESCO, a mettere in luce pratiche esercitate da chi ci viveva, creando un ponte tra passato e presente, mantenendo vivo l’interesse e la curiosità di conoscere. Le antiche fanfare di caccia della corte di Luigi XV oggi si suonano sempre con un corno naturale, ma con tecniche diverse; l’antico gioco della pallacorda, gioco educativo per destrezza, tuttora praticato, è diverso dal suo erede, il tennis di oggi, ma la visione viva e d’insieme di una attività contribuisce a superare le barriere del tempo e a ritrovare l’emozione di un nuovo percorso di visita.

Questo impegno culturale e di comunicazione ha portato alla recente pubblicazione del volume Il corno da caccia. Musica a corte tra Piemonte ed Europa (Secc. XVI – XIX), a cura di Renato Meucci (edito da Olschki), che raccoglie i contributi di 15 esperti da 8 Paesi diversi. È stato peraltro ritrovato un prezioso corno da caccia sabaudo della seconda metà 700, che certamente avrà suonato a Stupinigi, e due copie sono state eseguite, anche per impiego nei concerti barocchi e formazione di giovani musicisti nei corsi tenuti dall’Accademia alla Reggia di Venaria. In Italia sono conservati solo 13 corni realizzati tra il Seicento e il Settecento, dopo le fusioni avvenute nel secondo conflitto mondiale.

A Moncalieri la rassegna cinematografica per l’80° della Liberazione

Proiezione di LIBERE il film – documentario di Rossella Schillaci dedicato alle donne italiane dell’epoca

 

Biblioteca Civica A. Arduino, Via Cavour 31, Moncalieri (TO)
Ingresso libero.

Mercoledì 16 aprile, nell’ambito del programma delle celebrazioni per l80°Anniversario della Liberazione promosso dal Comune di Moncalieri e dall’Associazione culturale Avvalorando, sarà proiettato il film-documentario LIBERE (2017).

 

L’opera è dedicata a ricordare l’impresa delle partigiane durante la Resistenza attraverso foto, filmati d’archivio e interviste dirette alle protagoniste e traccia un ritratto vivido di quell’esperienza così significativa per le sorti dell’Italia e delle donne nel nostro paese.

LIBERE pone l’attenzione sia sull’entusiasmo vissuto per quell’esperienza così dirompente nella vita di ogni singola partigiana e così determinante per le sorti del Paese, sia sulla delusione patita dopo, nell’Italia liberata, quando molte di quelle speranze vennero disattese e non si tradussero in un futuro diverso per molte donne italiane.

Alla proiezione, in programma alle 20.30 presso la Biblioteca Civica “A. Arduino” di Moncalieri, sarà presente la regista Rossella Schillaci che presenterà il film, dialogando col pubblico. Introdurrà la serata l’Assessora alla cultura del Comune di Moncalieri Antonella Parigi.

L’ingresso è gratuito. Per informazioni e prenotazioni: 011-6401600.

 

L’evento è promosso dal Comune di Moncalieri, dall’Associazione culturale Avvalorando e dalla Biblioteca Civica “A. Arduino” di Moncalieri.

Le torri del Re saranno salvate

Svettano ancora oggi, ben visibili, sul territorio villanovese, nell’astigiano, a una trentina di chilometri da Torino. Sono lì da cinque secoli, abbandonate, ma si reggono ancora in piedi. Rischiavano di essere abbattute ma adesso per loro comincia una nuova vita.
Sono le due torri di Villanova d’Asti, chiamate bissoche, innalzate dai francesi all’inizio del XVI secolo durante le guerre tra i due sovrani più potenti d’Europa, Francesco I, Re di Francia, e Carlo V Re di Spagna e imperatore. Le cinquecentesche torri non verranno demolite, anzi rinasceranno. Così ha voluto il Comune che sta per acquistare i simboli storici del paese dopo un faticoso braccio di ferro con il Demanio militare, a cui appartengono, e con la Soprintendenza. Le torri di avvistamento, di San Martino e di Supponito, che si innalzano in aperta campagna, tra fattorie, terreni e aziende agricole, verranno salvate con una serie di interventi di ristrutturazione. Almeno una delle due torri diventerà un’attrazione culturale e turistica per rivivere le vicende storiche dell’epoca in cui le torri venivano usate. L’amministrazione comunale sta cercando di ottenere un finanziamento dai fondi di coesione per procedere con i lavori. Manca ancora un passaggio importante per chiudere la vicenda ma c’è ottimismo tra i villanovesi. Ci vuole la firma dal notaio per l’acquisto e poi sarà possibile ricevere i soldi. C’è tempo fino a dicembre 2027 e a quel punto il Comune diventerà proprietario delle due strutture che potranno finalmente essere consolidate e messe in sicurezza. Per salvarle si era mosso anche il Fai, il Fondo Ambiente italiano, con una campagna di sensibilizzazione sull’importanza del recupero delle torri ed era stato addirittura chiesto al presidente francese Macron di finanziare almeno una parte del restauro. Il capo dell’Eliseo però non rispose: aveva affari più urgenti da sbrigare, Una pagina di grande storia piemontese e di respiro europeo sta per rivivere. Villanova era 500 anni fa una delle piazzaforti militari francesi più importanti del Piemonte insieme a Torino, Chieri, Chivasso e Pinerolo. Francesco I volle dotare il borgo di nuove fortificazioni per contrastare gli spagnoli che avevano basi militari in altre zone del Piemonte. I lavori iniziarono nel 1520 e terminarono nel 1548. Il nuovo sistema difensivo era completato da torri di avvistamento a nord e a sud della città. Le due torri sono ripiene di terra fino alle porte di ingresso collocate a dieci metri dal terreno circostante. I soldati di vedetta entravano da queste porte usando scale a corda che venivano poi ritirate mentre in cima salivano dall’interno con scalini di pietra sporgenti dal muro in mattoni. Di qui, con fuochi notturni e bandiere di giorno, comunicavano con la torre del Comune interna alla fortezza in modo da consentire, in caso di pericolo o di assedio, la chiusura in tempo delle porte della città. Nelle torri di avvistamento si trovavano i viveri e le riserve d’acqua e ai livelli superiori, la cucina, l’armeria, la camerata. Erano piccole fortezze, straordinarie sentinelle per i francesi.

Filippo Re

Il Toret: quando i simboli dissetano

 

Malinconica e borghese, Torino è una cartolina daltri tempi che non accetta di piegarsi allestetica della contemporaneità.
Il grattacielo San Paolo e quello sede della Regione sbirciano dallo skyline, eppure la loro altitudine viene zittita dalla moltitudine degli edifici barocchi e liberty che continuano a testimoniare la vera essenza della città, la metropolitana viaggia sommessa e non vista, mentre larancione dei tram storici continua a brillare ancorata ai cavi elettrici, mentre le abitudini dei cittadini, segnate dalla nostalgia di un passato non così lontano, non si conformano allirruente modernità.
Torino persiste nel suo essere retrò, si preserva dalla frenesia delle metropoli e si conferma un capoluogo a misura duomo, con tutti i pro e i controche tale scelta comporta.
Il tempo trascorre ma lantica città dei Savoia si conferma unica nel suo genere, con le sue particolarità e contraddizioni, con i suoi caffè storici e le catene commerciali dei brand internazionali, con il traffico della tangenziale che la sfiora ed i pullman brulicanti di passeggeri sudaticcima ben vestiti.
Numerosi sono gli aspetti che si possono approfondire della nostra bella Torino, molti vengono trattati spesso, altri invece rimangono argomenti meno noti, in questa serie di articoli ho deciso di soffermarmi sui primati che la città ha conquistato nel tempo, alcuni sono stati messi in dubbio, altri riconfermati ed altri ancora superati, eppure tutti hanno contribuito e lo fanno ancora- a rendere la remota Augusta Taurinorum così pregevole e singolare.

 

1. Torino capitale… anche del cinema!

2.La Mole e la sua altezza: quando Torino sfiorava il cielo

3.Torinesi golosi: le prelibatezze da gustare sotto i portici

4. Torino e le sue mummie: il Museo egizio

5.Torino sotto terra: come muoversi anche senza il conducente

6. Chi ce lha la piazza più grande dEuropa? Piazza Vittorio sotto accusa

7. Torino policulturale: Portapalazzo

8.Torino, la città più magica

9. Il Turet: quando i simboli dissetano

10. Liberty torinese: quando leleganza si fa ferro

 

9. Il Turet: quando i simboli dissetano

Eccoci quasi arrivati alla fine del ciclo di articoli sui primati torinesi, e come in tutti gli elenchi ho voluto lasciare “il meglio” per ultimo.
Lo sapete da dove deriva la parola “rubinetto”? Questa la definizione dal dizionario: “Dal fr. robinet, der. di robin, nome dato pop. ai montoni, perché le chiavette, in passato, avevano spesso la forma di una testa di montone •sec. XVI.” Si, l’etimologia fa riferimento ai “montoni”, forse proprio per questo motivo le fontane costruite tra il Quattrocento e il Cinquecento hanno spesso forma di testa di animale, tale tradizione svanisce tuttavia nel corso dei secoli, per lasciare spazio a costruzioni più semplici e lineari. Questo accade quasi dappertutto, tranne che in una città, indovinate quale?
Il record di cui vorrei raccontarvi oggi è assai peculiare, nonché decisamente riconducibile alla nostra urbe, mi riferisco ai famosi “torèt”.
Credo che per noi abitanti del luogo, tale dettaglio urbano, sia qualcosa di “abituale”, una presenza quasi scontata e banale, perché come tutti siamo anestetizzati e distaccati nei confronti dei beni che già possediamo, mentre tutto il nostro desiderio si rivolge costantemente alle meraviglie che si trovano dall’altra parte del mondo.
Quando re-impareremo a guardare, ci accorgeremo del minuzioso incanto delle fontanelle che pullulano tra le nostre piazze e le nostre vie, mi riferisco a quelle strutture a forma di “torèt” che i turisti si fermano a fotografare, spesso divertiti e stupiti, giacché non capita in molte altre metropoli di imbattersi in simili fonti d’acqua.


Anche il numero di tali impianti è sbalorditivo: sono 800 i “piccoli tori” che si occupano senza sosta di dissetare gratuitamente la cittadinanza e i visitatori.
È bene ricordare che la comunità pedemontana continua a costruire le proprie sorgenti cittadine, sempre con tali sembianze, da più di centosessant’anni, rifacendosi all’antica tradizione che associa per assonanza – e altre motivazioni relative alla mitologia- l’effige del toro e la denominazione “Torino”.
Si sa, l’acqua corrente non è sempre stata disponibile presso le abitazioni del popolo. Nell’Ottocento le persone prelevavano l’acqua dai pozzi dislocati nei vari cortili o in quelli artesiani, dove le acque sotterranee emergevano naturalmente, senza bisogno di specifici strumenti di estrazione. Tale abitudine comportava però problemi igienico-sanitari, annessi ad esempio all’inquinamento delle fonti o alle eventuali contamizioni delle falde.
La città sabauda allora – che ci piaccia o meno- si ispira ad un progetto diffusosi nelle capitali della Francia, ossia
un sistema idrico costituito da fontanelle che forniscono acqua 24 ore su 24. Per differenziarsi dai nemici-amici gallici i torinesi ideano una specifica forma, tutta nostrana, per sorgenti urbane: ecco la nascita del “torèt”.


Grazie a tali invenzioni, anche nel capoluogo piemontese, diventa possibile ovviare alle numerose difficoltà quotidiane incontrate dalla popolazione. Intorno al 1859, viene progettato il primo acquedotto che irrori svariate fontanelle pubbliche, inoltre, nel 1861 – dopo un mese dall’unità d’Italia- la Giunta Comunale individua ben 81 zone da predisporre proprio come “punti d’acqua” potabile.
Un anno dopo vengono presentati i famigerati progetti delle “fontanelle”, tali e quali a quelli che tutt’ora possiamo visionare passeggiando per le strade. Da subito vengono redatte delle mappe per rendere più facilmente trovabili queste costruzioni, all’inizio si contano ben 45 “torèt”, poi nel tempo, il numero delle fontane aumenta sempre più, fino a raggiungere la moltitudine da record odierna.
Il primo esemplare viene edificato all’angolo tra via San Donato e via Balbis, nei pressi di Piazza Statuto; oggi però la struttura appare piuttosto nuova, questo perchè dopo più di cent’anni di onorato servizio il piccolo toro originale è stato sostituito, la collocazione però è rimasta la medesima.
Il “torèt” si presenta sempre uguale in ciascuna delle sue copie: forma parallelepipeda di circa un metro d’altezza, l’estremità superiore è arcuata, con una griglia di scolo in basso, spesso dotata di una conca centrale da cui possono bere anche gli amici a quattro zampe. Il materiale utilizzato è la ghisa, il colore che ricopre la lega ferrosa è un particolare tono di verde, facilmente definibile “verde bottiglia”. E poi c’è ovviamente l’elemento distintivo:
il rubinetto a forma di testa di toro.


Fin dal principio tali gorghi mostrano un’estetica inconfondibile, divengono subito un caratteristico arredo urbano, tant’è che oggi sono addirittura acquistabili in formato di gadget-portachiavi, piccoli souvenir ideati dal Comune di Torino per promuovere l’immagine dell’antica città dei Savoia.
Dietro all’apparente frivolezza dell’oggetto si cela un’attenzione rivolta all’ambiente e alla salute, la manutenzione delle fontane è affidata alla SMAT (la Società Metropolitana Acque Torino), che si occupa di erogare agli avventori assetati acqua gratuita, di buona qualità e regolarmente controllata, il ricambio costante del flusso impedisce così la formazione di ristagni che potrebbero generare la proliferazione di batteri. È bene sottolineare inoltre che non vi è alcuno spreco idrico: l’acqua “non bevuta” ritorna infatti nelle falde sotterranee –
oltretutto in qualità ancora migliore rispetto a prima-.
Esistono anche dei “torèt” versione “ingrandita”, si tratta delle ironiche e bizzarre sculture realizzate da Nicola Russo a partire dal 2021. Il lavoro dell’artista nasce dall’idea che i piccoli tori possano rompere la fontanella che li tiene soggiogati, mostrandosi in tutta la propria possanza di mammifero artiodattilo. Le sculture possono apparire panciute e goffe, ma si sa, “noi del nord” non siamo noti per ilarità e autoironia, Nicola Russo ha così dovuto spiegare le proprie creazioni poste sul territorio cittadino: “il toret vede la sua amata città vivere un momento di difficoltà a causa del Covid e allora decide di uscire dal suo guscio in ghisa, per dare un segno di cambiamento e per spingere tutta la città a una rinascita.

 

Non importa se è panciuto e goffo, lui si mostra così com’è fatto per portare il suo messaggio di speranza. Il suo è quindi “un gesto di coraggio, perché senza coraggio non c’è futuro”.
È bene dunque superare lo scetticismo del primo sguardo, anche perchè l’iniziativa dello scultore ha un duplice intento virtuoso: da una parte egli si appoggia solo ad aziende piemontesi, in modo da incentivare una ricaduta economica sul territorio, dall’altra lo scultore ha deciso di devolvere parte dei ricavati alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro Onlus di Candiolo.
Anche stavolta mi viene da terminare con un “ Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι ” (“la favola insegna che”). Mai fermarsi alle apparenze, perché dietro la semplicità si cela sempre la preziosità di un grande insegnamento e nella goffaggine di un sorriso si può trovare la forza per proseguire ciascuno nel proprio percorso.

Alessia Cagnotto

Tonino Micciché, ‘il sindaco senza palazzo’

A Torino si celebra il cinquantenario dell’uccisione di Tonino Micciché con tante iniziative di ricordo del suo impegno

1975/2025  si celebra il cinquantenario della morte di Tonino Micciché,  ‘il sindaco senza palazzo’. Tonino Micciché è parte della storia di Torino degli anni Sessanta e Settanta.

Emigrato dalla Sicilia, vi giunge nel 1968 ove, assunto alla Fiat Mirafiori, inizia la sua lotta sia in fabbrica sia per la casa.

Le sue grandi doti umane e il suo profondo impegno lo portano ad essere il “sindaco senza palazzo” della Falchera. Fu, infatti, il coordinatore delle occupazioni alla Falchera, iniziate nell’autunno del 1974 e parte di un periodo extra-ordinario e fortemente emergenziale che si inserisce nel contesto di una città assolutamente impreparata ad accogliere l’afflusso immigratorio richiesto dalla caotica crescita economica, un periodo anche molto violento da ambo le parti, dalla battaglia di corso Traiano alle requisizioni di case private e che ha visto le assegnazioni talora asservite ai poteri forti cittadini.

Per contro, quelle alla Falchera furono occupazioni  che, grazie al gran lavoro fatto  da Micciché,  si svolsero senza scontri e portarono a un accordo con le Istituzioni,  Comune e IACP, l’allora ATC, per garantire una casa a tutti, in base alle necessità delle famiglie. 

Micciché è stato davvero il sindaco senza palazzo di Falchera perché ha operato fuori dell’interesse personale, non essendo né un occupante né un assegnatario, nonché con proposte e azioni al di sopra delle parti e volte unicamente al bene del quartiere.

Ciononostante, il 17 aprile 1975 Micciché venne ucciso a sangue freddo, con un colpo di pistola alla testa. Alla Falchera e alla città di Torino rimane il suo lascito. La macchina da lui avviata e guidata finché era in vita ha poi portato ad attuare l’accordo e a dare una casa sia agli assegnatari sia agli occupanti.

In occasione del cinquantenario dell’uccisione di Micciché,  per iniziativa del Comitato per Tonino Micciché,  in collaborazione con il Centro Studi Piero Gobetti, che conserva la documentazione originale sull’attività di Tonino Micciché all’interno del Fondo Marcello Vitale sui movimenti politici e sociali degli anni Settanta, vengono organizzate le commemorazioni sia con la raccolta di firme per chiedere al Comune il riconoscimento ufficiale della targa dedicata a Tonino Micciché e ubicata in via degli Ulivi 29, sia con un ricco calendario di cinque appuntamenti, alla Falchera e in giro per la città, suddiviso in una rassegna cinematografica, classi sociali attraverso l’obiettivo- visioni di conflitti urbani e di vita borghese- e a conclusione il tributo a Tonino.

10 aprile ore 19 Cinema Cascina Roccafranca, via Rubino 45.

Ore 19 Alla Fiat era così  ( M. Calopresti)

Ore 20.15 Il medico della Mutua ( L. Zampa)

A seguire il dibattito con Giacomo Ferrante, modera Marco Revelli

MARA MARTELLOTTA

Foto archivio Polo ‘900

Torino policulturale: Porta Palazzo

 

Torino sul podio: primati e particolarità del capoluogo pedemontano

Malinconica e borghese, Torino è una cartolina daltri tempi che non accetta di piegarsi allestetica della contemporaneità.
Il grattacielo San Paolo e quello sede della Regione sbirciano dallo skyline, eppure la loro altitudine viene zittita dalla moltitudine degli edifici barocchi e liberty che continuano a testimoniare la vera essenza della città, la metropolitana viaggia sommessa e non vista, mentre larancione dei tram storici continua a brillare ancorata ai cavi elettrici, mentre le abitudini dei cittadini, segnate dalla nostalgia di un passato non così lontano, non si conformano allirruente modernità.
Torino persiste nel suo essere retrò, si preserva dalla frenesia delle metropoli e si conferma un capoluogo a misura duomo, con tutti i pro e i controche tale scelta comporta.
Il tempo trascorre ma lantica città dei Savoia si conferma unica nel suo genere, con le sue particolarità e contraddizioni, con i suoi caffè storici e le catene commerciali dei brand internazionali, con il traffico della tangenziale che la sfiora ed i pullman brulicanti di passeggeri sudaticcima ben vestiti.
Numerosi sono gli aspetti che si possono approfondire della nostra bella Torino, molti vengono trattati spesso, altri invece rimangono argomenti meno noti, in questa serie di articoli ho deciso di soffermarmi sui primati che la città ha conquistato nel tempo, alcuni sono stati messi in dubbio, altri riconfermati ed altri ancora superati, eppure tutti hanno contribuito e lo fanno ancora- a rendere la remota Augusta Taurinorum così pregevole e singolare.

 

1. Torino capitale… anche del cinema!

2.La Mole e la sua altezza: quando Torino sfiorava il cielo

3.Torinesi golosi: le prelibatezze da gustare sotto i portici

4. Torino e le sue mummie: il Museo egizio

5.Torino sotto terra: come muoversi anche senza il conducente

6. Chi ce lha la piazza più grande dEuropa? Piazza Vittorio sotto accusa

7. Torino policulturale: Porta Palazzo

8.Torino, la città più magica

9. Il Turet: quando i simboli dissetano

10. Liberty torinese: quando leleganza si fa ferro

 

7. Torino policulturale: Porta Palazzo

 

Quanto mi piaceva andare al mercato di Porta Palazzo.
Ci andavo con mio padre, all’inizio, quando abitavo in precollina: si prendeva il tram 3 e si sbarcava direttamente in quel caos olente e chiassoso, un conglomerato multietnico di signore anziane con buste troppo piene e signori eccessivi dietro i banchi che si sgolavano per ottenere l’attenzione dei passanti.
Adoravo la vista di tutte quelle “cose” in simultanea, abiti colorati, formaggi appesi, collanine luccicanti, CD-ROM, videocassette, MP3,
walkman, salumi giganteschi, interi e sezionati, verdure di ogni tipo, spezie, ortaggi e poi d’improvviso quel mefitico odore di pesce.
Un pezzo di città che percepivo come un mondo a parte, un mini-universo intricato e confuso, un bailame da cui si andava e si veniva attraverso le navicelle spaziali che erano pullman e tram.
Ho continuato a fare delle “scappate” con le amiche in seguito, soprattutto in occasione del “Gran Balon”, che ancora oggi si svolge ogni seconda domenica del mese, all’interno del Cortile del Maglio, ad opera
dall’Associazione Commercianti Balon.


Torino è tante realtà, c’è la periferia e c’è il centro, c’è la “movida” e c’è il silezio dei parchi e c’è poi un cuore cosmopolita e indaffarato che pulsa brulicante tra lingue differenti e dialetti “impestati”.
Ed è proprio a “Pòrta Pila” -o anche “Pòrta Palass”- per dirla in piemontese, che si cela un altro record torinese: il mercato di Porta Palazzo è infatti il mercato all’aperto più grande d’Europa.
Inoltre, mi pare opportuno menzionare un altro primato del capoluogo, che si trova proprio lì, nei pressi del noto “bazar” locale, ossia la Porta Palatina di Torino, considerata una delle testimonianze di “porta romana” meglio conservate al mondo.
Si sta parlando di una zona dalla forte identità, tant’è che essa viene ritenuta un quartiere a sé stante -anche se non lo è a livello amministrativo-.
La denominazione deriva da una delle porte dell’antica Augusta Taurinorum, mentre l’inizio dei lavori, voluti dal Re Vittorio Amedeo II, avviene nel 1701, nell’ambito di un progetto più complesso il cui scopo era dare un nuovo assetto alla città.
È tuttavia solo dal 1835 che qui si stabiliscono i mercati, a seguito
di un’epidemia di colera che comporta il divieto – almeno in centro città- della macellazione degli animali e della manipolazione dei pesci. Vengono allora edificati due palazzi in stile neoclassico -appositamente per le attività di macello- dei locali sotterranei adibiti a ghiacciaie, a cui si aggiungerà più tardi – molto più tardi in effetti, nel 1916- il padiglione dell’orologio, la più grande costruzione in ferro e vetro di tutta Torino.
Nucleo centrale della zona è senza dubbio “il quadrato” all’imbocco di via Milano, dove, fino al Settecento, si trovava la “posterla” di San Michele, una piccola porta secondaria utilizzata per accedere all’ingresso nord della città, in sostituzione della romana e vetusta Porta Palatina. Tale passaggio scompare a seguito dei progetti di Juvarra, il quale propone la realizzazione di una struttura ad arco trionfale, portici e paraste. L’abbattimento delle mura avviene però nell’Ottocento, per volere di Napoleone, solo a quel punto la piazza assume l’ampiezza attuale, con il prolungamento della piazzetta verso nord e l’aggiunta del grande spiazzo ottagonale che caratterizza l’odierna piazza della Repubblica.
Non cambia nel tempo il segno distintivo del luogo: “l’incontro”. Così infatti ne parla Fiorenzo Oliva ne “Il mondo in una piazza. Diario di un anno tra 55 etnie” (edito nel 2009): “Porta Palazzo è profumo di frutta e verdura, colori vivaci,vociare straniero mescolato agli svariati dialetti italiani, contatto con popoli lontani. A Porta Palazzo vivono, si incontrano e si scontrano l’Europa, l’Africa e l’Asia”.
Non basta tuttavia passeggiare tra le bancarelle, vi sono anche altri punti d’interesse da tenere in considerazione. I Padiglioni IV, II e V ad esempio: il primo è considerato simbolo per eccellenza del grande mercato, edificato nei primi del Novecento, è conosciuto dai torinesi come “l mercà dij busiard” (il mercato dei bugiardi), nonostante il soprannome poco cortese, la struttura è sempre stata zona di grandi affari; gli altri due edifici invece vengono eretti nel 1836, su progetto dell’ingegner Barone, uno dedicato al mercato del pesce e l’altro invece agli altri generi alimentari.
Da non dimenticare assolutamente poi il PalaFuksas, progetto realizzato da Doriana e Massimiliano Fuksas tra il 1998 e il 2005, dopo la demolizione del preesistente “Mercato dell’Abbigliamento” del 1963.
L’edificio, noto anche come “Centro Palatino”, viene inaugurato il 25 marzo 2011, ospita al suo interno
due delle più antiche ghiacciaie sotterranee della piazza, rinvenute durante gli scavi per i lavori.
La struttura presenta una forte estetica contemporanea, caratterizzata dall’utilizzo del vetro e del metallo brunato, a sottolineare l’unione tra il moderno e le architetture eterogeee sviluppatisi nell’area negli ultimi tre secoli.

Nel 2019 partono importanti lavori di riqualificazione, dopo la chiusura di diversi punti vendita, viene così inaugurato il Mercato Centrale, che offre numerosi angoli gastronomici e ristoranti tipici in rappresentanza dei vari territori italiani.
Altro riferimento della zona è senz’altro il SERMIG, cruciale per quel che riguarda un concreto aiuto per alleviare le problematiche migratorie e sociali dovute a povertà e degrado.
Dal contemporaneo all’epoca romana, mi pare doveroso citare ancora l’antica Porta Principalis Dextera, “Pòrta Palatin-a o Tor Roman-e” in piemontese, l’originario accesso da settentrione per il capoluogo piemontese. Si tratta della principale testimonianza archeologica dell’epoca romana della città, nonché di una delle porte urbiche del I secolo a.C. meglio conservate al mondo; la struttura è compresa nell’area del Parco Archeologico, inaugurato nel 2006, insieme a Palazzo Reale e al Teatro Romano.
Un tempo nota come “Porta Doranea”, a causa della vicinanza con la Dora Riparia, oggi meglio conosciuta come Porta Palatina, dicitura derivante probabilmente dal latino “Porta Palatii.” I resti dell’architettura sono imponenti ed è più che visibile la somiglianaza strutturale con la Porta Decumana, inclusa nella successiva struttura medievale dell’attuale Palazzo Madama, entrambi gli ingressi rappresentano dunque un tipico esempio di “porta ad cavædium”, ovvero una struttura a doppia porta con “statio”,
un cortile quadrangolare sul lato interno. Vicino è ancora presente parte del basolato, sempre di epoca romana, su cui è ancora possibile visionare i solchi sulle pietre provocati dal transito del carri. È opportuno specificare che le statue bronzee raffiguranti Cesare Augusto e Giulio Cesare non sono originali ma copie risalenti al restauro del 1934.
La struttura si è di recente ritrovata sotto i riflettori, grazie all’opera dello street artist francese Saype, il quale nell’ottobre 2020 ha realizzato un murale lungo il prato del parco. L’opera,
raffigurante una catena di mani e braccia che si stringono tra di loro e che attraversano idealmente la Porta, può essere visualizzata esclusivamente dall’alto e non per sempre, infatti l’utilizzo di vernici biodegradabili la rende sì rispettosa dell’ambiente ma anche destinata a scomparire.
A Torino nulla è banale, nemmeno fare la spesa, ce lo insegna Gozzano: “Passiamo tra banco e banco, tra le cataste di stoffa, tra il gaio sventolare dei nastri e dei pizzi sospesi alle travi, ecco l’odore acre delle stoffe, mitigato, sostituito dall’aroma dei fiori; passiamo oltre, tra le chincaglierie, le terraglie, i vetri; veniamo alla nota vera, predominante di Porta Palazzo: quella gastronomica”.

Alessia Cagnotto

 

 

Il segreto dei Templari alle porte di Torino

Un alone di mistero circonda il castello tra storie, leggende e fantasmi. Lo stato piuttosto fatiscente in cui giace fa pensare che il tempo si sia fermato ma quel che resta del maniero ci rimanda alla storia dei Templari e poi a quella dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme.

Intriso di leggende e storia il mistero templare sopravvive a pochi passi da Torino, attorno e dentro il castello medioevale della Rotta a Moncalieri. Una residenza frequentata nel Medioevo, e anche successivamente, da vari Ordini cavallereschi. Leggende sui fantasmi di cavalieri morti in battaglia e giovani donne suicide che si lanciano dalla torre della rocca circolano numerose ancora oggi.

Non solo, ma sotto il castello, sarebbe rimasta una galleria attraverso la quale si poteva raggiungere Moncalieri da una parte e il piccolo borgo Gorra dall’altra. Siamo davanti a uno scenario templare di tutto rispetto in cui affiorano una lapide murale con racconti presumibilmente legati all’epoca delle Crociate e leggende misteriose come quella di una giovane fanciulla giunta dalla Francia per sposare il proprietario del maniero. Un signore ricco e facoltoso ma troppo brutto e deforme per sposarlo. Ma le nozze erano obbligate. Un tal giorno la giovane vola, forse spinta, da una finestra e si sfracella sul ponte levatoio. Leggende che rivivono avvicinandosi alla dimora che, pur decadente e attaccata dalla vegetazione, non ha perso nulla del suo fascino antico. Si trova in aperta campagna, a pochi chilometri da Moncalieri, nella frazione La Rotta, tra la statale e l’autostrada ed è raggiungibile percorrendo un sentiero sterrato e polveroso nelle cui vicinanze scorrono il Po, il Banna e lo Stellone. L’antico edificio aveva una funzione strategica: difendere il ponte sul torrente Banna sul quale passava la strada romana proveniente da Pollenzo. Passò in seguito ai cavalieri Gerosolimitani di Moncalieri che possedevano altri terreni nella zona e che nel Quattrocento ristrutturarono ampiamente l’edificio. I Cavalieri dell’Ordine del Tempio, fondato nel 1118-19, furono presenti in Piemonte e a Torino, secondo gli storici, già nella prima metà del dodicesimo secolo. Con la torre di vedetta, un grande cortile interno, l’ospizio per i pellegrini, la cappella, le stalle, il pozzo, magazzini e sotterranei, il castello presentava le caratteristiche di una “domus” templare e, secondo la studiosa Bianca Capone Ferrari, la Rotta assumeva le sembianze di una casa-forte templare dipendente dalla domus templare di Sant’Egidio di Testona vicino al ponte sul torrente Banna. La Capone scrive che il nome del castello deriverebbe dalla rotta, dalla sconfitta subita dal duca Tommaso di Savoia nella guerra contro i francesi nel 1639 ma già nel Quattrocento veniva indicato come Grancia Rupta dai gerosolimitami di Moncalieri. O forse ancora il nome deriverebbe da una rotta militare antica oppure da rotha (roggia) per la presenza di molti corsi d’acqua che scorrono nella zona. Non si sa quando i templari lasciarono la fortezza ma un documento conservato nell’archivio della città attesta che, verso la fine del Duecento, alla Rotta erano già presenti i Gerosolimitani. Negli anni Ottanta il fortilizio fu restaurato e riportato all’antico splendore. Come detto, le leggende sul castello  sono talmente numerose che hanno suscitato l’interesse di curiosi ed esperti secondo i quali il momento più propizio per “osservare” i fantasmi sarebbe la notte tra il 12 e il 13 giugno.

Filippo Re

Valdengo, un baritono alla corte di Toscanini 

 

Nato a Torino nel 1914, Giuseppe Valdengo iniziò gli studi da privatista al Conservatorio Giuseppe Verdi, prima come strumentista di oboe ed in seguito come cantante. La prima apparizione avvenne nel 1936 a Parma nel Barbiere di Siviglia e l’anno successivo fu scritturato per 180 lire nel teatro sperimentale di Alessandria per interpretare Germont nella Traviata. Le eccellenti doti canore gli consentirono di replicare l’opera verdiana debuttando nel 1938 alla Scala di Milano. La sua ascesa fu interrotta per tre anni dal servizio militare dove fu direttore della banda musicale.
Dopo il congedo riprese l’attività concertistica alla Scala con seconde parti accanto alla mezzosoprano Giulietta Simionato. Nel 1942 si esibì ancora a Parma nella Bohème e nel 1946 alla Fenice di Venezia nel Faust. Nello stesso anno avvenne la svolta della carriera esibendosi alla Opera House di New York nella Madama Butterfly e nel ruolo di Marcello nella Bohème. Il grande baritono fu richiesto dal Metropolitan per interpretare Tonio nei Pagliacci e la vertiginosa conferma internazionale ebbe inizio quando il direttore Arturo Toscanini lo scelse per Otello nel 1947, Aida nel 1949 e Falstaff nel 1950, interpretazione che lo rese famoso nel mondo avviando la collaborazione decennale con il famoso teatro di New York.
La cura dei particolari, la sensibilità e la memoria incredibile permisero a Toscanini di dirigere senza partitura, caratteristiche che lo inserirono tra i migliori direttori d’orchestra del mondo con Bernstein e Von Karajan. Forse Valdengo non possedeva il timbro come altri suoi colleghi ma l’intonazione, la precisione negli attacchi vocali sicuri, audaci e scrupolosamente musicali, il volume, il colore di cantante moderno, l’estensione della voce, l’articolazione e la pronuncia perfetta garantivano la capacità di rilevare i contorni umani dei personaggi dove l’interpretazione è indispensabile.
Le prove e le concertazioni delle opere avvenivano al pianoforte con due cantanti per volta per poi riunire tutti i solisti, trascinati dalla forza d’insegnamento di Toscanini senza varianti o tagli alla scrittura originale per non tralasciare l’attività affettiva dell’anima del compositore. Il direttore d’orchestra non amava ripetizioni pericolose al termine delle opere e regie esagerate per non interrompere il dialogo teatrale. Il successo ormai mondiale di Valdengo lo portò ad esibirsi a San Francisco, Parigi, New Orleans, Bilbao, Mexico City, Philadelphia, Napoli, Venezia e Bologna specializzandosi nel repertorio verdiano, ottenendo la medaglia del cavalierato di Verdi e collaborando con i grandi del momento, Giuseppe Di Stefano e Mario Del Monaco.

Partecipò con la Cetra e la Columbia-Philips alle incisioni in studio, con la RCA dal vivo e la NBC per la radio con Toscanini, al film della MGM sul grande Caruso del 1951 interpretato da Mario Lanza e nel 1962 scrisse il volume autobiografico “Ho cantato con Toscanini”. Nel 1966 abbandonò le scene per dedicarsi all’insegnamento del canto. Il 5 maggio 2011 la città di Casale, dove trascorse gli ultimi anni, dedicò alla gloria dell’artista scomparso nel 2007 una lapide nel ridotto del Teatro Municipale, grazie all’interessamento dell’allora assessore alla cultura Giuliana Romano Bussola.
Armano Luigi Gozzano

Il 650° della nascita del pittore Giacomo Jaquerio

Sabato 5 e domenica 6 aprile, i Comuni di Buttigliera Alta, Rosta ed Avigliana e la Fondazione Ordine Mauriziano celebreranno il 650° anniversario della nascita del pittore Giacomo Jaqueriomassimo rappresentante in Piemonte dell’arte tardo-gotica, attivo tra Torino, Ginevra e la Savoia, noto soprattutto per gli affreschi che realizzò a partire dal 1410 per decorare gli interni della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso.

 

I BUS NAVETTA PER RAGGIUNGERE SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Le persone che non intendono o non possono raggiungere la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso con mezzi propri, potranno usufruire gratuitamente dei bus navetta in partenza da Avigliana e da Rivoli per iniziativa della Città metropolitana di Torino e della Città di Rivoli. In entrambe le giornate il bus navetta da Avigliana, programmato dalla Città metropolitana di Torino nell’ambito del PUMS-Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile, partirà dalle 14 in avanti da piazza De Andrè alla volta del Santuario della Madonna dei Laghi, per consentire la visita ai dipinti di Jaquerio. Il bus raggiungerà poi la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso. È prevista una corsa ogni ora e mezza circa. La navetta Rivoli-Sant’Antonio di Ranverso partirà invece da piazzale Mafalda di Savoia dalle 14 in avanti, per iniziativa della Città di Rivoli, che dal punto di vista organizzativo si appoggia al Consorzio Turismovest. L’ultima corsa è prevista per le 19.

 

LA RIQUALIFICAZIONE DEL COMPLESSO E IL PROGRAMMA DEGLI EVENTI

 

Gli eventi del 5 e 6 aprile si inseriscono in un progetto di riqualificazione del polo artistico e culturale di Sant’Antonio di Ranverso, oggetto di importanti investimenti e restauri curati dalla Fondazione Ordine Mauriziano, che comprendono anche l’Ospedaletto e la Cascina Bassa.

Sabato 5 aprile si terrà la conferenza celebrativa, che si aprirà alle 9,30 con il saluto delle autorità, seguito dagli interventi delle storiche e critiche dell’arte Cristina Scalon e Arabella Cifani, che si soffermeranno sul polo di Ranverso nelle carte dell’Archivio della Fondazione Ordine Mauriziano e sulla rivalutazione della figura di Giacomo Jaquerio. Seguirà l’intervento dell’architetto Luigi Valdemarin sui restauri del complesso monumentale. Alle 15 è in programma un momento dedicato alle scuole, curato da Serena Fumero. Alle 17 si terrà un concerto del coro degli Alpini di Rosta e della corale “Il bramito” di Bussoleno.

Domenica 6 aprile si terranno le rievocazioni storiche e, alle 9,30, inizierà una camminata culturale ad anello di 3,5 km, con partenza e arrivo alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso e tappa alla cappella di Madonna dei Boschi per visitare gli affreschi della scuola jaqueriana. Chi è più allenato potrà seguire il percorso di 8 km, che prosegue lungo la pista ciclo pedonale “Just the Woman I Am” sino alle scuole secondarie Giacomo Jaquerio e alla Villa San Tommaso nel parco Rosa Luxemburg, sempre con arrivo a Sant’Antonio di Ranverso. Nel pomeriggio alle 16,30 è in programma la sfilata dei gruppi storici “Conte Verde” di Rivoli, “Conte Rosso” di Avigliana, “Il filo della memoria” e “Marchesi Carron di San Tommaso” di Buttigliera. Alle 17 il programma degli eventi si chiuderà con il concerto della Filarmonica San Marco.

 

A giudizio di Marta Fusi, direttrice della Fondazione Ordine Mauriziano, “l’evento organizzato per il 650° anniversario della nascita di Giacomo Jaquerio sottolinea l’importanza della collaborazione e della sinergia tra gli enti, al fine di promuovere e valorizzare un importante bene artistico. La Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, infatti, custodisce un capolavoro che è una delle poche opere firmate da un pittore che è considerato uno dei maggiori esponenti del gotico internazionale in Piemonte”.

“Abbiamo fortemente voluto promuovere un evento dall’ampio respiro culturale, per porre l’accento sul cuore del patrimonio artistico del nostro territorio, celebrando e contribuendo alla riscoperta di un artista del calibro di Giacomo Jaquerio. – commenta il Sindaco di Buttigliera Alta, Alfredo Cimarella – Da molti anni, le nostre amministrazioni lavorano, in collaborazione con la Regione e la Fondazione Ordine Mauriziano, in direzione della riqualificazione e del rilancio turistico di questo eccezionale complesso monumentale, cerniera tra la cintura metropolitana di Torino e la valle di Susa, punto importante lungo la via Francigena”.

Per il primo cittadino di RostaDomenico Morabito, “le iniziative programmate il 5 e 6 aprile sono un’occasione straordonaria per far conoscere il nostro territorio. Parliamo della meravigliosa cornice della Collina Morenica di Rivoli. È un territorio raggiungibile in treno da Torino e, scendendo alla stazione di Rosta, si può inforcare una bicicletta e scoprire un ambiente meraviglioso. In vista del 5 e 6 aprile, le nostre scuole e le nostre associazioni collaborano con gli uffici comunali, per dimostrare che, oltre ad un territorio bellissimo, da noi c’è una comunità che saprà dare il meglio di sé”.

“Avigliana ha un legame storico con la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, voluta dal conte Umberto III di Savoia, nato proprio ad Avigliana. Dietro l’altare del nostro santuario della Madonna dei Laghi vi è un pilone dedicato alla Madonna del Latte, che Umberto III volle far ridipingere in stile jaquariano. – sottolinea il Sindaco Andrea Archinà – La Precettoria fa parte di un nucleo di arte e architettura medioevale di assoluta eccellenza. Da questo punto di vista è importante la sperimentazione da parte della Città metropolitana di un bus navetta che collega i luoghi storici del nostro territorio in modo sostenibile”.

“Le iniziative del primo fine settimana di aprile a Buttigliera Alta, Avigliana e Rosta sono il frutto di un importante lavoro per mettere in rete le eccellenze della Bassa Valle di Susa, al fine di promuovere il turismo lento e sostenibile, su cui il territorio può puntare carte importanti. – sottolineano il Vicesindaco metropolitano Jacopo Suppo e la Consigliera metropolitana delegata allo sviluppo economico e al turismoSonia Cambursano – La Città metropolitana apprezza e sostiene questa impostazione e i bus navetta gratuiti sono il riconoscimento tangibile della validità dei progetti in corso di elaborazione e realizzazione”.

 

VITA E OPERE DI GIACOMO JAQUERIO

 

Giacomo Jaquerio è considerato uno dei maggiori esponenti della pittura tardogotica in Piemonte, attivo nella prima metà del Quattrocento. Nato nel 1375 circa a Torino da una famiglia con una lunga tradizione nella pratica della pittura, visse la prima parte della sua vita tra continui spostamenti fra Torino, Ginevra, Thonon-les-Bains ed altre località d’oltralpe, lavorando come pittore di corte al servizio di Amedeo VIII di Savoia e del principe Ludovico di Acaja e ricevendo commesse da istituzioni religiose e da importanti casate nobiliari. Dal 1429 in poi abitò stabilmente a Torino, dove ricoprì anche le cariche pubbliche di consigliere del Comune e tesoriere. Della sua vasta produzione solo pochissime opere sono documentate e il primo documento certo è proprio la sua firma, scoperta nel 1914 sugli affreschi della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, databili intorno al 1410, epoca in cui l’artista doveva già essere a capo di una fiorente bottega. La “Salita al Calvario” è il suo capolavoro caratterizzato da toni marcatamente realistici di crudeltà e dolore. Jaquerio morì tra il 1445 e il 1453, quando i documenti riportano i nomi della moglie vedova e degli eredi. La sua bottega fu ancora attiva nella seconda metà del XV secolo: al suo entourage e ai suoi modelli, costituiti da cartoni e matrici per la realizzazione di motivi decorativi in serie, sono riconducibili numerose opere presenti nei territori del ducato sabaudo e di diretta discendenza dalle pitture della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso.

 

VISITARE SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

La Precettoria è visitabile dal mercoledì alla domenica dalle 9,30 alle 13 (ultimo ingresso alle 12,30) e dalle 14 alle 17.30 (ultimo ingresso alle 17). Il biglietto d’ingresso intero costa 5 euro, ridotti a 4 euro per i minorenni, gli over 65 e i gruppi di almeno 15 persone. I bambini fino a 6 anni e i possessori dell’Abbonamento Musei hanno l’ingresso gratuito. Per informazioni e prenotazioni si può chiamare dal mercoledì alla domenica il numero telefonico 011-6200603 o scrivere a ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it e maggiori informazioni sono reperibili nel sito Internet www.ordinemauriziano.it