Torino sul podio: primati e particolarità del capoluogo pedemontano
Malinconica e borghese, Torino è una cartolina d’altri tempi che non accetta di piegarsi all’estetica della contemporaneità.
Il grattacielo San Paolo e quello sede della Regione sbirciano dallo skyline, eppure la loro altitudine viene zittita dalla moltitudine degli edifici barocchi e liberty che continuano a testimoniare la vera essenza della città, la metropolitana viaggia sommessa e non vista, mentre l’arancione dei tram storici continua a brillare ancorata ai cavi elettrici, mentre le abitudini dei cittadini, segnate dalla nostalgia di un passato non così lontano, non si conformano all’irruente modernità.
Torino persiste nel suo essere retrò, si preserva dalla frenesia delle metropoli e si conferma un capoluogo “a misura d’uomo”, con tutti i “pro e i contro” che tale scelta comporta.
Il tempo trascorre ma l’antica città dei Savoia si conferma unica nel suo genere, con le sue particolarità e contraddizioni, con i suoi caffè storici e le catene commerciali dei brand internazionali, con il traffico della tangenziale che la sfiora ed i pullman brulicanti di passeggeri “sudaticci” ma ben vestiti.
Numerosi sono gli aspetti che si possono approfondire della nostra bella Torino, molti vengono trattati spesso, altri invece rimangono argomenti meno noti, in questa serie di articoli ho deciso di soffermarmi sui primati che la città ha conquistato nel tempo, alcuni sono stati messi in dubbio, altri riconfermati ed altri ancora superati, eppure tutti hanno contribuito – e lo fanno ancora- a rendere la remota Augusta Taurinorum così pregevole e singolare.
1. Torino capitale… anche del cinema!
2.La Mole e la sua altezza: quando Torino sfiorava il cielo
3.Torinesi golosi: le prelibatezze da gustare sotto i portici
4. Torino e le sue mummie: il Museo egizio
5.Torino sotto terra: come muoversi anche senza il conducente
6. Chi ce l’ha la piazza più grande d’Europa? Piazza Vittorio sotto accusa
7. Torino policulturale: Portapalazzo
8.Torino, la città più magica
9. Il Turet: quando i simboli dissetano
10. Liberty torinese: quando l’eleganza si fa ferro
6. Chi ce l’ha la piazza più grande d’Europa? Piazza Vittorio sotto accusa
Progettata nel 1817 e terminata nel 1825, Piazza Vittorio Veneto, è uno dei luoghi più conosciuti e suggestivi di Torino.
Passeggiando per l’immenso spiazzo o camminando distratti sotto i portici mentre si osservano le vetrine, quasi non ci si accorge che l’atmosfera muta seguendo il sole: di giorno pare d’essere su un’immensa terrazza che si affaccia sul Po e sul verde della collina, di sera ci si ritrova in un salotto borghese, aggraziatamente illuminato dai “lampioni impero con braccio a cornucopia”, edificati negli anni Sessanta, e ridondande di risate e chiacchiericcio.
Chissà se anche i ragazzi e le ragazze che indossavano velette o redingote si rivolgevano alla zona con l’appellativo familiare di “Piazza Vitto”, ma quel che di sicuro non è cambiato da allora, sia che si tratti degli adolescenti del primo Novecento, o della giovanissima Gen Z, è che in questo enorme spiazzo porticato si veniva – e si continua a venire- per gozzovigliare e spettegolare.
Lo dimostrano i numerosi locali oggi presenti sul territorio, quali La Drogheria, Soho o il Tr3nd, perennemente strabordanti di ragazzi chiassosi e comitive spensierate, ma lo testimoniano anche i bar storici, molti dei quali non sono più presenti sul territorio, ma hanno accolto i grandi personaggi torinesi prima che il loro nome fosse impresso nella Storia, e chissà se Gioberti avrà mai pianto d’amore al Gran Corso o da Biffi, oppure se un serioso Gobetti avrà mai alzato troppo il gomito presso il Caffè del Gas, pioniere dell’illuminazione a idrogeno.
I tempi cambiano, le città si modernizzano, ma per fortuna certe cose non possono cambiare. Ce lo ricorda l’immortale Caffè Elena, aperto da circa 130 anni – dal 1889- interamente decorato in stile liberty, il famigerato bar in cui Giuseppe Carpano ha messo a punto la ricetta del suo Vermouth – motivo per cui sulla porta d’ingresso campeggia la storica insegna originale in vetro del Vermut Carpano dell’Ottocento-.
Tuttavia oggi non vi parlo, cari lettori, di Piazza Vittorio come luogo “più chiacchierato” di Torino, la nomino in questa lista di articoli perché tale località sfoggia un suo particolare primato, anche se non è quello che ogni ogni torinese ha sentito dire almeno una volta nella sua vita, ossia che Piazza Vittorio è la piazza più grande d’Europa.
Mi spiace deludervi, gentili compatrioti, ma non temete, c’è la soluzione anche per questa spinosa disputa.
La verità è che i primati sono questione di dettagli, come continua ad insegnarci questa società sempre più volta alla competizione ed al primeggiare ad ogni costo.
La nostra “Piazza Vitto” -benché ampia 39.960 mq (360 metri di lunghezza e 111 metri di larghezza massimi)- non è né la più estesa d’Europa, né tantomeno la più vasta di Torino – il record appartiene a Piazza della Repubblica- il suo primato è più specifico: si tratta dello “slargo dotato di portici” più grande del Vecchio Continente.
Quindi, amici Torinesi, se qualcuno osasse mai contraddirci in tal senso, inneggiando alle mastodontiche dimensioni di altri luoghi, come ad esempio Piazza della Parata di Varsavia, Piazza Carlo di Borbone a Caserta, Place de la Concorde a Parigi o ancora Karlovo náměstí, la piazza più grande di Praga, siate pronti a replicare con puntualità.
Al di là dei record, ed evitando le ovvie quanto scontate battute sul sempiterno desiderio di gareggiare in dimensioni – aspetto tenuto in gran considerazione già dalle torri dei comuni medievali fino ai SUV oggi parcheggiati in seconda fila- è opportuno sottolineare il grande valore storico-artistico, ambientale e architettonico del luogo.
Piazza Vittorio Veneto, così nominata dal 1919, volendo onorare la località legata alla vittoria nella prima guerra mondiale -in origine intitolata a Vittorio Emanuele I- è un perfetto esempio di soluzione edilizia neoclassica, stile più che presente nell’estetica del capoluogo, oltre al Liberty e al Barocco.
La piazza rappresenta inoltre un brillante accomodamento progettuale atto a risolvere il problema del raccordo con l’esedra barocca di Via Po e il forte dislivello tra i due capi del medesimo spiazzo. È l’architetto Giuseppe Frizzi, a partire dagli anni Venti dell’Ottocento, a redigere un disegno ben strutturato, basato su cortili in comune tra più proprietà, ospitanti originariamente rimesse, scuderie, laboratori artigiani, progetto a cui dobbiamo l’attuale aspetto del luogo. Detto in modo più semplice, l’arguto architetto riesce a nascondere visivamente il fatto che, da via Po al ponte, esiste un dislivello di sette metri.
Quello che attualmente si presenta come uno dei cuori pulsanti della “movida” della città, nonché esempio di eleganza e sciccheria, sia a livello edilizio che di avventori, un tempo era un territorio poco salubre, destinato a barcaioli e lavandaie. Ma si sa “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascon i fior”.
Tutto ha inizio nel lontano 1663, con la costruzione della Contrada di Po, progetto che però non conduce a grandi miglioramenti; è necessario attendere i numerosi interventi che si succedono dai primi decenni dell’Ottocento, che interessano personalità come Claude-Yves Joseph La Ramée Pertinchamp, Ernesto Melano (1792-1867), per arrivare poi all’assetto definitivo, ideato appunto da Giuseppe Frizzi.
Altra peculiarità del luogo è il suo collegamento, tramite il ponte Vittorio Emanuele I, alla Gran Madre di Dio, uno dei principali luoghi di culto della città, costruito su esempio del Pantheon romano, anch’esso, come la dirimpettaia piazza, in stile neoclassico.
Per la gran parte del XIX secolo tuttavia la zona viene utilizzata principalmente per scopi prettamente militari, soprattutto in epoca fascista, quando l’ampio spazio è considerato più che opportuno per le adunanze dell’esercito.
Purtroppo è necessario ricordare anche i momenti meno gloriosi della storia: nonostante la bellezza del territorio e la valenza aggregativa per la cittadinanza, sappiamo che la violenza della guerra non ha scrupoli per niente e nessuno, così tra il 1942 e il 1943 i bombardamenti distruggono la maggior parte degli edifici, sia quelli abitatiti sia le strutture commerciali, che tuttavia verranno poi ricostruiti in epoca più recente.
Oltre alla gloria apportata dal suo primato indiscusso, la piazza si arricchisce di dettagli e aneddoti storici, che ne esaltano ulteriormente l’insito valore, come comprova il pilastro presente al numero civico 12, su cui è annotato il ricordo dell’astronomo Giovanni Plana, qui deceduto nel 1864, oppure la lapide situata al numero civico 23, posta in alto tra due finestre e dedicata alla rimembranza del soggiorno torinese del poeta romantico-risorgimentale Giovanni Prati.
Per diversi anni, prima che anche festeggiare divenisse qualcosa di così complicato, la piazza è stata sede centrale dei grandi Carnevali del capoluogo, capeggiati da Gianduja, la maschera torinese per eccellenza. Particolarmente noto resta l’anno 1886, quando si svolge il Terzo Congresso delle Maschere italiane, evento caratterizzato da giostre, padiglioni, cortei mascherati. La gran macchina delle feste resiste in piazza Vittorio fino agli anni Ottanta del Novecento, quando si inizia a decidere che la felicità può essere dannosa per l’arredo urbano, le grandi processioni dapprima vengono spostate, per valorizzare l’architettura del luogo, in seguito vengono quasi del tutto soppresse per altre motivazioni che non è il caso di approfondire.
Anche lo stesso “Farò” – o Falò– della Festa Patronale di San Giovanni un tempo si svolgeva qui, invece che nella sede attuale – altrettanto spettacolare- di Piazza Castello.
Restano lì in piazza –per ora- i fuochi artificiali accesi sempre durante la festa del Patrono, lungo il tratto del fiume Po, essi illuminano rombanti il Monte dei Cappuccini, il ponte, l’immensa Piazza Vittorio, accendono gli sguardi di chi ancora si vuole stupire dei colori che fluttuano nel cielo notturno, ravvivano una città unica nel suo genere, che, come tutte le dame, talvolta si fa impaurire dagli anni che passano, e si dimentica di difendere la sua sempiterna bellezza.
Non è stato costruito come centro difensivo ma piuttosto per essere una residenza sfarzosa e ben protetta: così volle la nobile famiglia Challant che visse per tanti anni al suo interno. Avvicinandosi al castello colpisce il fatto che, contrariamente a tanti altri castelli eretti per scopi difensivi, quello di Fénis non si trova su un monte o su un’alta collina ma su una lieve altura circondata da prati e vigneti. È un gran bel castello medievale, uno dei più belli d’Italia, che ogni anno viene visitato da oltre 80.000 persone. Lasciarselo sfuggire transitando per la Valle d’Aosta sarebbe un vero peccato. Più che ad arcieri e soldati dobbiamo immaginare un via vai di cavalieri, dame e principesse nelle sale del castello fino al cortile affrescato con San Giorgio che uccide il drago, tra preziosi affreschi, enormi camini, scaloni e simboli del potere.
Tra feste e tradizioni locali il piccolo comune di Fénis,1700 abitanti, offre ai turisti un calendario ricco di eventi anche dopo l’estate. A fine settembre “Castello in fiera” con mercatini, musica e intrattenimenti all’esterno e all’interno del maniero e a ottobre sarà la volta della rassegna dedicata alla castagna. Gli Challant conducono le danze anche al castello di Aymavilles, a dieci chilometri da Aosta, su una collina circondata da vigneti in Valle Cogne. Imponente, elegante e torreggiante, domina dalla sommità di un’altura la valle centrale e da lassù si ammirano il castello reale di Sarre, residenza di caccia dei Savoia, e il fiabesco castello di Saint-Pierre che aprirà al pubblico il prossimo anno. In origine Aymavilles era circondato da una cinta muraria, oggi scomparsa e sostituita da giardini e aiuole fiorite. Assoluta novità di quest’estate, il maniero è stato aperto al pubblico a maggio dopo oltre dieci anni di restauri. Il primo riferimento storico del castello risale al 1207 e dal Trecento, con il passaggio dai Savoia agli Challant, nobile famiglia della Valle d’Aosta, l’edificio subisce, tra medioevo e barocco, grandi trasformazioni. Il nuovo maniero, realizzato all’inizio del Quattrocento, fu sopraelevato, ai quattro angoli furono costruite delle torri semicircolari e fu scavato un fossato ma è nel Settecento che il castello venne trasformato in una residenza. Tutto fu ristrutturato e rinnovato, sia all’esterno che all’interno. Del vecchio castello rimase ben poco e l’edificio perse il suo antico aspetto difensivo medievale. Oggi ci troviamo davanti a una moderna residenza signorile immersa nel verde che negli ultimi due secoli ha avuto diversi nuovi proprietari, liguri e piemontesi, che hanno più volte modificato gli interni, utilizzando il castello come museo e poi come luogo di villeggiatura estiva. Nelle sue sale, oltre alla storia del castello, si può ammirare la raccolta d’arte e archeologia dell’Académie Saint-Anselme. Nel 1970 il castello di Aymavilles è stato acquisito dalla Regione autonoma Valle d’Aosta. Per contatti e informazioni telefonare al castello di Fénis 0165-764263. Per il castello di Aymavilles telefono 0165-906040. E’ consigliabile la prenotazione online. Filippo Re






Incastonato tra Cit Turin, San Donato e Parrella, il borgo Campidoglio e’ un luogo d’altri tempi, impreziosito da contaminazioni moderne, dove il sapore di un’altra anima della citta’ e’ vivo e ben conservato.
unico, sono caratteristiche per il loro selciato che le contrassegna come una (quasi) isola pedonale mentre le costruzioni sono le tracce piu’ significative di un luogo che si sviluppa come un paese dentro la citta’, come effettivamente era prima del 1900 quando un decreto regio lo inseri’ in un nuovo piano regolatore come quartiere di Torino all’interno, quindi, della cintura. Il borgo, con la sua struttura a scacchiera romana, negli ultimi 15 anni e’ stato riqualificato con l’obiettivo di ricostituirlo rispettando e conservando, tuttavia, le sue caratteristiche originarie: la struttura e le case basse, con bei cortili interni, che sanciscono il suo fascino e la sua unicita’.
Questo quartiere, inoltre, e’ un meraviglioso museo a cielo aperto, con opere murarie che raffigurano diversi soggetti e panchine dedicate alle donne, che vengono illuminate dal sole e omaggiate dalla luna; ad oggi ce ne sono circa 200 dipinte sulle palazzine della parte vecchia del quartiere e costituiscono il cuore del Mau, Museo d’Arte Urbana, che e’ stato il primo progetto di arte pubblica in Italia, un meraviglioso concentrato di street art che si e’ trasformato in una associazione autonoma. Dal 2001 il Mau collabora con il Centro Commerciale Artigianale Naturale che gestisce 35 opere in teca della Galleria Campidoglio, con il Museo Diffuso della Resistenza che coordina le visite al Rifugio antiaereo, sito a piazza Risorgimento, ed e’ riconosciuto dalla Citta’ di Torino, convenzionato con l’Accademia Albertina e inserito nell’Abbonamento ai Musei della citta’ e del Piemonte.
Bongioanni, allievo di don