STORIA- Pagina 31

“La cultura del dono” alla Biblioteca Nazionale Universitaria per i trecento anni della fondazione

A conclusione delle celebrazioni per i trecento anni dalla sua fondazione, la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino presenta la mostra “La Cultura del Dono”, dedicata al tema del dono in ambito culturale, risultato di tre anni di lavori su alcuni fondi librari conservati presso l’Istituto. La mostra è stata inaugurata mercoledì 20 dicembre alle ore 18 presso l’Auditorium della Biblioteca Nazionale, in piazza Carlo Alberto 5, con i saluti istituzionali, la presentazione del progetto espositivo e una visita alla mostra con i curatori.

Nell’agosto del 2020 la Biblioteca Nazionale ha deciso di valorizzare un corpus di libri custoditi nei suoi magazzini, recuperando circa 17 mila volumi e 11 mila opuscoli, per un totale di 556 metri lineari di opere provenienti da tutto il mondo, di cui la maggior parte antiche e di interesse culturale rilevante. Il nucleo principale di questo patrimonio è costituito da doni giunti in seguito al grande incendio della biblioteca di via Po, che innescò un’immediata gara di solidarietà.

Tra agosto e dicembre del 2020 è stata ritrovata anche documentazione inedita afferente all’archivio storico della biblioteca. Si ricostruì l’arrivo dei doni, la loro consistenza e gli scambi epistolari con i loro donatori, prima fondamentale traccia per una sistemazione fisica dei volumi.

Nasce così l’idea di un progetto integrato che, nell’ambito di un piano di conservazione, tutela e valorizzazione, ha portato alla ricognizione completa dei beni attraverso il riordino, l’inventariazione, la catalogazione dei volumi e dell’archivio storico. È anche stato realizzato un portale 3D ove è possibile sfogliare alcuni dei libri virtualmente.

La mostra si articola in un duplice livello di narrazione, di cui uno sistematico, che affronta il difficile percorso dell’acquisizione del materiale, esplicitato attraverso tre personaggi guida, una linea cronologica e i testi a corredo, e l’altro tematico, in cui a narrare ricchezza e varietà dei doni saranno i volumi stessi, organizzati fisicamente in quindici filoni narrativi.

Trai temi proposti, doni del Cinquecento, un’eleganza fragile, un opuscolo per ogni occasione.

Vittorio Amedeo II, il re fondatore della Biblioteca; Erminia Caudana, la restauratrice che guidò per oltre 50 anni il laboratorio di restauro istituito dopo l’incendio del 1904, e Stelio Bassi, il direttore che traghettò la biblioteca dalla sede di via Po a quella attuale in piazza Carlo Alberto, sono i mentori che accompagnano visitatori e visitatrici alla scoperta degli oltre ottanta volumi protagonisti dell’esposizione.

La mostra sarà visitabile fino al 22 marzo 2024, presso la sala mostre Juvarra, l’atrio annesso e la sala storica della Biblioteca Nazionale, da lunedì al venerdì dalle 10 alle 16, ingresso gratuito.

Mara Martellotta

Ecco i Re Magi, perché portano oro, incenso e mirra?

Una notte di duemila anni fa apparve in cielo una luce. Gaspare, Melchiorre e Baldassarre riconobbero il segnale che attendevano da tempo e partirono verso Betlemme in Giudea attraversando infiniti paesi in un viaggio lungo e avventuroso. I tre Re Magi, come racconta il Vangelo secondo Matteo, l’unico Vangelo che ne parla, portarono con sé un dono da offrire a Gesù bambino. Ma perché proprio oro, incenso e mirra? L’oro, donato da Melchiorre, il più anziano dei Magi, era un dono riservato ai Re e Gesù, per i tre misteriosi personaggi, era il re dei re. É il metallo più prezioso, simbolo di bellezza e luce divina, energia e ricchezza, trasmette calore e forza e da sempre è associato alla luce e al sole. Tutte le civiltà hanno usato l’oro per celebrare ed esaltare Re e divinità. L’incenso, portato da Gaspare, il più giovane dei tre, è una resina ricavata dalla corteccia di alcuni alberi e fin dai tempi antichi fu utilizzato per cerimonie religiose e rituali gradite agli dei. Il fumo dell’incenso bruciato facilitava la meditazione e la purificazione del corpo. Il magio Gaspare onora Gesù con un dono prezioso che generalmente veniva offerto in sacrificio agli dei. La mirra, resina estratta da piante che crescono in India e in Africa, veniva utilizzata nelle sacre unzioni e per conservare le salme durante i funerali. Sono tutti doni ricchi di significato e molto costosi e pertanto degni di un re. Anche la mirra, portata da Baldassarre, il re magio dalla pelle scura, è una resina molto profumata e conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà antibatteriche. Nella Bibbia viene citata spesso perché veniva usata come olio di unzione per profumare le vesti dei sacerdoti. Le sacre Scritture parlano di alcuni Magi ma non dicono che erano tre e neanche ci dicono che i loro nomi fossero Gaspare, Baldassarre e Melchiorre. E poi ci sarebbe anche un quarto Re Magio, non menzionato nei Vangeli ma presente nella tradizione cristiana da sempre, che rende ancora più fitto un mistero di 2000 anni. Molte leggende infatti narrano di un quarto Re Magio che non giunse mai a Betlemme perché si perse lungo la strada e si dice che per tutta la vita abbia continuato ad errare alla ricerca di quel Bambino.
Filippo Re

Il Politecnico di Torino celebra il talento di Carlo Mollino nel cinquantenario della scomparsa

All’Archivio di Stato la mostra Mollino // Politecnico Le culture dell’architettura e dell’ingegneria a Torino

 

A settant’anni dall’ingresso al Politecnico di Torino di Carlo Mollino nelle vesti di docente, a cinquant’anni dalla sua morte e dal conseguente trasferimento presso la Facoltà di Architettura del suo preziosissimo archivio di documenti, l’Ateneo intende celebrare colui che forse più di tutti ha rappresentato e rappresenta la cultura architettonica torinese nel mondo, attraverso disegni, fotografie, scritti che aiutano a conoscere e comprendere il valore di una personalità eccezionale, politecnica per ampiezza di vedute e ricchezza di contenuti.

Presso la Sezione Corte dell’Archivio di Stato di Torino, il percorso allestitivo progettato dal Politecnico di Torino, in collaborazione con l’Archivio di Stato di Torino, propone una mostra articolata in dieci differenti sezioni che esplorano la figura di Carlo Mollino attraverso la sua formazione, la sua carriera accademica e professionale, le sue opere e persino le sue bizzarrie.

Un’occasione imperdibile per raccontare il passato, il presente e magari il futuro dell’Ateneo stesso attraverso la vita e le opere del celebre architetto in un percorso non legato alla sua biografia, ma piuttosto alle varie discipline politecniche – dell’architettura e dell’ingegneria – grazie alla partecipazione corale e attiva in qualità di curatori di diversi docenti e ricercatori dell’Ateneo con formazioni estremamente diverse fra loro.

La mostra parte dalla sezione Città, a cura di Caterina Barioglio, Daniele Campobenedetto e Davide Rolfo, che testimonia di un Mollino che frequenta poco l’urbanistica, ma che comunque arriva a concepire edifici ed interi quartieri. Nella sezione Costruzione, a cura di Guido Callegari e Marika Mangosio, si indagano i concetti di “Involucro” come nel Teatro Regio e di collegamento verticale, mentre in quella dedicata al Design, a cura di Bernardino Chiaia e Pier Paolo Peruccio, vengono ricordati i tavolini, le sedute e i numerosi prodotti iconici del design italiano progettati da Mollino. Nella sezione Disegno, a cura di Maurizio Bocconcino, Giorgio Garzino, Fabrizio Natta, Enrico Pupi, Roberta Spallone, Marco Vitali e Mariapaola Vozzola, sono presentati schizzi, particolari costruttivi e progetti che evocano il rapporto tra disegno e soluzioni progettuali sul tema della casa ideale. Macchine, a cura di Enrico Cestino e Nicola Amati, racconta invece della passione per il volo e dell’acrobazia aerea di Mollino. Progetto, a cura di Antonio De Rossi e Carlo Deregibus, ripercorre le soluzioni eclettiche adottate dal maestro soprattutto per le sue architetture alpine. La sezione Scritti, curata da Michela Comba e Juan Carlos De Martin, raccoglie una selezione di racconti, articoli, libri, interventi prodotti dal 1933 al 1965; nella sezione Tecniche, a cura di Arianna Astolfi, vengono invece approfonditi la copertura e l’acustica del Nuovo Teatro Regio di Torino; in Territori, sezione a cura di Alberto Cina e Roberto Dini, viene raccontata la passione per l’alpinismo, che ha consentito all’architetto di lavorare sugli elementi naturali e sui luoghi. Infine il capitolo dedicato al Masterplan curato da Antonio De Rossi e Carlo Deregibus, che mostra l’influenza e l’ispirazione del lavoro di Mollino sui progetti di espansione e trasformazione dei luoghi del Politecnico di oggi e del futuro.

La mostra rimarrà aperta con ingresso gratuito fino al 28 gennaio 2024 e sarà visitabile nei giorni di giovedì e venerdì dalle 15.00 alle 19.00; il sabato e la domenica dalle 11.00 alle 20.00.

La mostra è realizzata a cura di:

Enrica Bodrato

Antonio De Rossi

Sergio Pace

 

Con la collaborazione di:

ARIA – Affari Generali, Relazioni istituzionali e Archivi Politecnico di Torino

Archivio di Stato di Torino

Agenzia del Demanio

Maggiori informazioni sul sito web

Cara vecchia Rai: il 3 gennaio 1954 nasceva la Tv

La RAI Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”. Erano le 11 di mattina del 3 gennaio 1954 quando, con voce cinguettante, Fulvia Colombo – la prima “signorina buonasera”- fece lo storico annuncio

 Di Marco Travaglini

Domenica è sempre domenica. Si sveglia la città con le campane”. Evaristo Sgancia, come è solito fare, entra fischiettando nel bar in Piazza Salera, a Omegna. La melodia è sempre la stessa da cinquant’anni, da quando rimase folgorato davanti alla televisione che trasmetteva Il Musichiere.

Un’aria orecchiabile che al vecchio operaio della Cobianchi è rimasta indelebilmente impressa nella memoria. Più invecchia e più vive di ricordi. E di abitudini che ormai non si scrolla più da dosso. Tra queste, quella di portarsi la sedia da casa quando va a vedere le partire al bar o al Circolo. Come un tempo, quando la gente si radunava davanti ai pochi apparecchi televisivi per vedere Lascia o raddoppia?, Campanile Sera o, appunto, Il Musichiere. Quando poi incrociava Gino Denti, coscritto e compagno di lavoro nel far tondi e laminati al tempo della ferriera, erano scintille. Divisi su tutto, litigavano che era un piacere. Ogni pretesto era buono, dalla passione per la pesca allo sport, dalle donne alla televisione. Anzi, “alla Tv di una volta, non quella robaccia che si vede adesso”.

Parola del Denti che, pur non portandosi appresso la sedia, in quel caso non solo evitava di contraddire l’amico (una rara eccezione) ma lo comprendeva, rammentando i bei tempi andati. Dopo di ché, rimessa in moto la memoria, infuriava la polemica. “ Il Mario sì che era un ganzo. Conduceva il Musichiere alla grande”, asseriva Evaristo con voce possente. “Tutte balle. Il migliore è sempre stato il Mike e già ai tempi si vedeva di che stoffa era fatto”, ribatteva Dino, rosso in viso. La discussione, per quanto fosse concitata, s’incanalava immancabilmente sull’onda dei ricordi. Su un punto concordavano: la superiorità della “tele” degli anni ruggenti, quando iniziarono le trasmissioni del “Programma Nazionale”. “La RAI Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”. Erano le 11 di mattina del 3 gennaio 1954 quando, con voce cinguettante, Fulvia Colombo – la prima “signorina buonasera”- fece lo storico annuncio.  E alla sera prese  il via la prima puntata ufficiale de“La Domenica Sportiva”, con le immagini della partita Inter-Palermo ( per la cronaca, vinsero i nerazzurri per 4-0 e il campionato li vide poi conquistare il settimo scudetto mentre i rosanero siciliani retrocedettero in serie B). Fin qui, tutto liscio. L’intesa era solida. Ma da lì in poi, apriti cielo: le trasmissioni erano il loro muro di Berlino. Uno per l’altra e l’altro per l’una, ardentemente critici e polemici. Evaristo era un fans de Il Musichiere, un gioco a quiz basato sulle canzoni, condotto da Mario Riva- pseudonimo di Mariuccio Bonavolontà dove  i concorrenti, seduti su di una sedia a dondolo, dovevano ascoltare l’attacco di un brano musicale e, una volta riconosciuto, precipitarsi a suonare una campanella a dieci metri di distanza per avere diritto a dare la propria risposta, accumulando gettoni d’oro per il monte premi finale.

A eseguire i  motivi musicali ci pensava l’orchestra di Gorni Kramer , affiancata da due cantanti: Nuccia Bongiovanni e un giovane alle prime armi, un tal Johnny Dorelli. La trasmissione andò in onda il sabato sera per novanta puntate, dal 7 dicembre 1957 al 7 maggio 1960 e ben presto diventò il contraltare di Lascia o raddoppia? ( per la quale stravedeva Dino Denti ). Lascia o raddoppia? , condotto da Mike Buongiorno, andò in onda a partire dal 26 novembre 1955 ogni sabato sera, alle ore 21,00, fino all’ 11 febbraio 1956 e ogni giovedì sera dal 16 febbraio1956 al 16 luglio 1959. Il primo, e più famoso, programma a quiz della RAI, ipnotizzava i telespettatori, incollandoli davanti allo schermo in bianco e nero. Nel corso della prima serata il concorrente doveva rispondere ad otto domande, nel tempo massimo di trenta secondi per ciascuna. Il montepremi iniziale era di 2.500 lire. Ad ogni risposta esatta il montepremi raddoppiava, ma se sbagliava non c’era pietà: veniva eliminato. Se invece rispondeva esattamente a tutte le otto domande, raggiungendo così la quota di 320.000 lire, aveva diritto a ritornare alla settimana successiva. Al ritorno, il conduttore rivolgeva al concorrente la domanda: Lascia o raddoppia? Se il concorrente “lasciava” intascava la somma vinta fino a quel momento, altrimenti doveva entrare in una cabina, con una cuffia attraverso la quale poteva sentire solo la voce di Mike. Di domanda in domanda, con il tempo scandito da un orologio e da una musica d’archi a far da sottofondo, cresceva la suspence. Rispondeva esattamente? Il montepremi raddoppiava e tornava la settimana successiva. Ma se la risposta era sbagliata il suo montepremi andava in fumo ed era eliminato dal gioco.

A dire il vero non andava via a mani vuote. Le poteva stringere attorno al volante di una Fiat 600 che rappresentava la “consolazione “ ( e buttala via! ). Di raddoppio in raddoppio, la somma che il concorrente poteva vincere era di 5.120.000 lire (al massimo poteva partecipare a cinque puntate consecutive). Se intascava il premio passava alla storia del quiz altrimenti “raddoppiava” la consolazione, portandosi a casa una Fiat 1200. La popolarità della trasmissione fu tale che la RAI, nel 1956, dovette spostarne la programmazione dal sabato al giovedì a seguito delle proteste dei gestori delle sale cinematografiche, che avevano visto assottigliarsi vistosamente i loro incassi proprio nella serata settimanale tradizionalmente più redditizia. Ma le cose non andarono per il verso giusto e il rimedio si rivelò, paradossalmente, peggiore del male, quando la serata del sabato, rimasta libera, fu occupata dal Il Musichiere, a sua volta popolarissimo, tanto da costringere molti cinema, ad installare televisori in sala per non perdere la  clientela. Così capitava che i militari in libera uscita erano costretti a vedere i film a metà, poiché dopo il primo tempo “andava in onda” il quiz televisivo e, ad una certa ora, dovevano per forza ritornarsene in caserma. La concorrenza tra il conduttore italoamericano e il cantante romano si mostrò anche sul versante del “gentil sesso” e dei concorrenti famosi.

A Lascia o raddoppia venne inventata la figura della valletta, dove spopolò Edy Campagnoli, diventando una delle beniamine del grande pubblico (accrebbe la sua popolarità sposando il portiere del Milan e della Nazionale, Lorenzo Buffon ). E qui il ricordo si fa languido: “Ah, la Edy! Che donna. Aveva una grazia ed un’eleganza che oggi se la sognano quelle lì, pronte a far vedere la mercanzia quasi fossero al mercato”, sospirava, sognante, il Denti. Evaristo, per non essere da meno, ricorda che al fianco di Mario Riva di vallette ce n’erano addirittura due, le “Simpatiche“. “ Altro che “letterine”, “figurine”, “plastichine” e balle varie: in quel ruolo si sono avvicendate delle donne bellissime come Carla Gravina e Marilù Tolo”, sottolineava stirandosi i baffetti. E i concorrenti,eh? Al Musichiere le vincite erano più magre e l’unico campione che emerse dall’anonimato, con una vincita di otto milioni di lire circa, fu  un cameriere di Roma, Spartaco D’Itri, che con il premio vinto aprì un’attività in proprio. “ La nostra, caro il mio Gino, era una trasmissione per i proletari”, sottolineava con malizia lo Sgancia. Il quale, di rimando, tesseva le lodi del torinese Gianluigi Mariannini che, in cinque puntate, rispondendo esattamente a domande sulla storia del costume,  mise “ in cascina” la cifra-record di cinque milioni e 120 mila lire (poco più di 60 mila euro attuali).

Stravagante, dai modi eccentrici, con gli occhialini tondi e spessi e la barbetta cavouriana, il filosofo-dandy era stato uno dei più pittoreschi personaggi della Tv di quel periodo. I due amici con il gusto della polemica, prima di comandare un litro di barbera per farsi compagnia ( anzi: “un mezzo a testa, così non litighiamo”), ricordano una famosa puntata del 1959 de Il Musichiere, quando  i due nemici Fausto Coppi e Gino Bartali (annunciati dal roboante “nientepopodimenoché” di Mario Riva) fecero la pace sulle note di “Come pioveva”, trasformata per l’occasione in “Come perdevi”. “Erano come noi, eh Gino. Peccato che io non mi chiamo fausto, altrimenti pensa un po’ che roba: uguali in tutto e in tutto differenti, come cani e gatti”. Evaristo scoppia a ridere . La risata contagia anche Gino. Si alzano, salutano e se ne vanno a casa. Ognuno per la sua strada. Evaristo portando in spalla la sua sedia impagliata.

Bilancio di un anno e nuovi progetti per la Fondazione Torino Musei

La Fondazione Torino Musei vede nel 2023 un significativo aumento dei visitatori rispetto al 2022: quest’anno GAM, MAO, Palazzo Madama e Artissima hanno superato le 573.000 presenze.

In particolare la GAM ha accolto, nel suo ultimo anno sotto la guida di Riccardo Passoni, oltre 180.000 persone, il MAO ha sfiorato quota 100.000 e Palazzo Madama ha registrato oltre 262.000 presenze; a questi si aggiungono gli oltre 34.000 visitatori in quattro giorni per la trentesima edizione di Artissima, che si riconferma nel suo carattere di fiera sperimentale e di ricerca e un modello a livello europeo.

Nei dodici mesi appena trascorsi i tre musei hanno inaugurato e promosso 29 mostre e progetti espositivi e organizzato 124 eventi tra concerti, performance, conferenze, corsi di storia dell’arte, workshop, visite speciali e altro.

Grazie alle ricche collezioni, che spaziano dall’arte antica a quella asiatica, passando per il moderno e il contemporaneo, i tre musei della Fondazione hanno concesso 203 prestiti a oltre 50 musei e istituzioni italiane e internazionali, rafforzando relazioni già esistenti e creandone un nuovo network di scambi.

I Dipartimenti Educazione hanno coinvolto oltre53.000 tra studenti, insegnanti, famiglie, adulti e persone con disabilità grazie alla realizzazione di attività sempre più adatte alle esigenze dei diversi pubblici.

Inoltre la Fondazione Torino Musei, nell’ambito del suo nuovo Piano Strategico, ha realizzato e promosso la XXVI edizione di Luci d’Artistache è divenuta, anche con la nomina del nuovo curatore del progetto, Antonio Grulli, la sua quinta linea culturale (insieme a GAM, MAO, Palazzo Madama e Artissima), con l’obiettivo di valorizzare una collezione unica e straordinaria e di trasformare la manifestazione in una vera istituzione di ricerca artistica permanente sempre più inclusiva ed ecologicamente sostenibile.

LE MOSTRE E LE ATTIVITÀ

Il 2023 della GAM è stato segnato dal grande successo di pubblico e di critica della mostraHayez. L’officina del pittore romantico (in corso fino al 1 aprile 2024) che dalla sua apertura, il 17 ottobre, è già stata visitata da 40.000 persone. La mostra, organizzata e promossa insieme a 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, è curata da Fernando Mazzocca ed Elena Lissoni, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, da cui proviene un importante nucleo di circa cinquanta disegni e alcuni tra i più importanti dipinti. La grande mostra ha sostituito, negli spazi del primo piano, Ottocento. Collezioni GAM dall’Unità d’Italia all’alba del Novecento, chiusa a settembre, che ha offerto l’occasione per riscoprire parte della collezione ottocentesca del museo, da alcuni anni non visibile al pubblico.

Grande attenzione anche per i progetti legati al contemporaneo: Viaggio al termine della statuaria, in cui la GAM, proseguendo la ricognizione sul proprio patrimonio, ha dedicato un capitolo alla scultura italiana tra il 1940 e il 1980 con una mostra che ha presentato 50 opere realizzate da 40 artisti attivi nell’arco di questo periodo. In occasione della art weektorinese la GAM ha proposto la personale di un artista entrato a far parte della collezione del museo sin dal 2001: Gianni Caravaggio. Per analogiam. L’esposizione si compone di un nucleo di opere realizzate nell’arco di quasi trent’anni di lavoro, dal 1995 ad oggi, e cinque nuove opere sono state prodotte per l’occasione.

Lo spazio denominato Wunderkammer ha visto il succedersi di esposizioni molto apprezzate: la prima dedicata alla figura di Alberto Moravia,Non so perché non ho fatto il pittore a cura di Luca Beatrice ed Elena Loewenthal nel contesto del progetto “Nato per narrare. Riscoprire Alberto Moravia” che la Fondazione Circolo dei lettori ha ideato e realizzato con la GAM e il Museo Nazionale del Cinema in collaborazione con l’Associazione Fondo Alberto Moravia, Bompiani editore e le Gallerie d’Italia, e la seconda Michele Tocca. Repoussoir, progetto vincitore del PAC 2021 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, nato dalla volontà della GAM di acquisire un gruppo di opere di un pittore capace di porsi all’osservazione del mondo con il candore di uno sguardo che sa vedere tutto come fosse la prima volta.

Infine il programma di mostre in VideotecaGAM, sviluppato nel 2023 attorno alle recenti acquisizioni della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per la collezione di film e video d’artista, ha visto succedersi tre mostre personali di Michael Snow, Giuseppe Gabellone e Simone Forti.

Nella collaborazione con 32 istituzioni e musei italiani e internazionali la GAM ha prestato 104 opere che hanno viaggiato e si sono fatte ammirare in Italia e all’estero.

Il 2023 della GAM si è chiuso con la nomina, a seguito di una manifestazione d’interesse pubblica, della nuova direttrice Chiara Bertola, che prenderà servizio l’8 gennaio 2024.

Sotto la direzione di Davide Quadrio il MAOprosegue la sua attività di rinnovamento fra mostre di durata annuale, che si pongono come piattaforme di studio e sperimentazione, riallestimenti delle collezioni e progetti legati al contemporaneo.

Nel 2023 il museo ha ospitato Buddha10 Reloaded, seconda parte della mostra Buddha10, inaugurata a ottobre 2022, e Sonic Blossom, performance partecipativa dell’artista taiwanese-americano LEE Mingwei realizzata in collaborazione con il Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi” di Torino e con l’Ufficio di Rappresentanza di Taipei in Italia. Infine Trad u/i zioni d’Eurasia, resa possibile grazie ai prestiti da importanti istituzioni italiane quali il MuCiv di Roma, i Musei Reali di Torino, il MIC Museo internazionale Ceramiche in Faenza, e che segna l’avvio di una proficua collaborazione con la Fondazione Merz.

Grazie alla collaborazione con l’Istituto italiano dei Sordi, tutti i contenuti delle mostre sono disponibili in LIS, per un museo sempre più inclusivo.

Legato al rinnovamento e al ripensamento del display delle collezioni permanenti il progettoContemporary Monogatari, realizzato in collaborazione con Eva Fabbris, direttrice del MADRE di Napoli, che vede il riallestimento delle collezioni della galleria Giappone 2 in dialogo con l’opera dell’artista giapponese Kazuko Miyamoto.

Proseguendo in quest’ottica di dialogo fra antico e contemporaneo, il MAO ha presentato nei giorni di Artissima Declinazioni contemporanee, frutto del ciclo di residenze d’artista avviato nel 2022 e di importanti collaborazioni con artisti italiani e stranieri: all’interno dell’edificio e fra le opere delle collezioni permanenti hanno trovato posto quattro nuove opere di Marzia Migliora, Kengo Kuma, Lee Mingwei e Francesco Simeti.

Come già nel 2022, anche le mostre temporanee del 2023 sono state arricchite da un interessante e variegato public program diconferenze e performance musicali con artisti internazionali, che riscuotono successo soprattutto tra il pubblico più giovane.

Il t-space X MAO ha visto l’avvicendarsi di una serie di piccole esposizioni, incontri e performance e, nello stesso spazio, è stata allestita anche Una breve elegia, a cura di add editore, realizzata con il contributo del Ministero della Cultura della Repubblica di Cina (Taiwan).

Per il secondo anno consecutivo il MAO ha infine organizzato e promosso in collaborazione conStudiUm, il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, il Corso di formazione di Cultura Materiale dell’Asia, progetto che mira a consolidare il proficuo rapporto con l’Università di Torino e che rappresenta un’esperienza innovativa nel panorama torinese e italiano.

Il museo ha inoltre ospitato incontri nell’ambito di Torino Spiritualità, della Settimana della Cultura UNI.VO.C.A. e del Salone del Libro di Torino.

Nell’arco dell’anno appena terminato sono state59 in totale le opere oggetto di prestito, fra cui due importanti sculture in arenaria al Museo delle Civiltà/Chateau des Ducs de Bretagne – Musée d’Histoire de Nantes, due paraventi della collezione giapponese alla Fondazione Prada di Milano, 46 reperti archeologici provenienti da Seleucia e Coche allo Zhengzhou Museum di Zhengzhou (Cina), La grande onda del Kanagawa di Hokusai e una selezione di ottosurimono alla Promotrice delle Belle Arti di Torino.

A Palazzo Madama hanno riscontrato l’apprezzamento del pubblico le mostre Le chiavi della città nei capolavori di Palazzo Madama, un inedito sguardo sulle sue collezioni civiche e la loro storia attraverso una selezione di opere emblematiche; Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenariocon oltre 350 opere tra sculture, mosaici, affreschi, vasellami, sigilli e monete, straordinari manufatti in ceramica, smalti, oggetti d’argento,preziose gemme e oreficerie, pregevoli elementi architettonici e Liberty. Torino Capitale, cheracconta il fondamentale ruolo di Torino per l’affermarsi del Liberty, un’arte che nella capitale sabauda diviene il fulcro di una storia che travolge ogni aspetto della vita e della società. In occasione del Black History Month Torino – Seconda edizione Palazzo Madama ha inoltre proposto la mostra Congo Italia. Ripensare il passato con una selezione di sedici fotografie scattate da Carlo Sestin.

Inoltre ha proposto l’esposizione In cammino. La porta di Torino: itinerari sindonici sulla Via Francigena, promossa dalla Fondazione Carlo Acutis e realizzata con Palazzo Madama in collaborazione con la Regione Piemonte: una narrazione del territorio che mette in risalto le centralità storiche e contemporanee della regione, casa della Sacra Sindone e accesso principale alla Penisola lungo il pellegrinaggio sulla Via Francigena.

Grande successo e partecipazione hanno avuto le visite guidate gratuite al cantiere di restauro e consolidamento della facciata juvarriana di Palazzo Madama e alle monumentali statue di Giovanni Baratta riportate al loro splendore con il contributo straordinario della Fondazione CRT.

Nel 2023 Palazzo Madama ha inoltre sviluppato importanti progetti per le scuole, le circoscrizioni, le anagrafi, i dipendenti comunali, cui sono state dedicate visite guidate in museo con il direttore di Palazzo Madama. È ripartito e si è ampliato il progetto L’aula che vorrei, che ha coinvolto più di 200 studenti che hanno fatto lezione in museo e sono iniziati i corsi di lingua italiana per le persone richiedenti asilo e rifugiate accolte dalla Città di Torino.

Nel 2023 il museo ha inoltre prestato 40 operea 14 sedi museali italiane e straniere.

Per il trentesimo anniversario di ARTISSIMA, diretta da Luigi Fassi, il 2023 ha segnato un’edizione speciale: ancora una volta la Fiera ha portato a Torino un’esplosione di vitalità che ha coinvolto l’intera città e attratto gallerie, artisti, collezionisti e curatori tra i più interessanti sulla scena internazionale. Anche quest’anno gli spazi dell’OVAL Lingotto hanno accolto le quattro sezioni consolidate della fiera – Main Section, New Entries, Monologue/Dialogue e Art Spaces & Editions – e le tre sezioni curate – Disegni, Present Future e Back to the Future, ospitate anche online sulla piattaforma Artissima Voice Over. Ma Artissima si è estesa anche oltre i confini dell’Oval Lingotto, con numerosi progetti e collaborazioni attivate con istituzioni pubbliche e private in città. Artissima 2023 ha inoltre organizzato tre premi per artisti e gallerie, due riconoscimenti a memoria di figure di spicco del mondo dell’arte, sei supporti istituzionali ad artisti e gallerie promossi da fondazioni e istituzioni e due fondi.

Nel 2023 ha preso avvio la XXVI edizione diLUCI D’ARTISTA, progetto della Città di Torinodallo scorso anno affidata alla realizzazione diFondazione Torino Musei, con l’obiettivo di trasformare la manifestazione in un Museo a cielo aperto, diffuso, che possa allargare i suoi classici confini invernali e natalizi e sia dotata di una programmazione attiva tutto l’anno, di un archivio storico, di un sito internet ricco e dettagliato, di una comunicazione continuativa e di una rete di collaborazioni nazionali e internazionali ramificata. Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi è stata prevista una guida stabile del progetto e per la prima volta è stato chiamato un curatore, Antonio Grulli, con il compito di sviluppare e valorizzare la manifestazione portandola alla sua completa evoluzione.

L’edizione 2023 di Luci d’Artista si è arricchita di una nuova installazione luminosa: Orizzonti firmata dal grande maestro Giovanni Anselmo, purtroppo scomparso pochi giorni fa, collocata in piazza Carlo Alberto. Intorno a questa nuova installazione luminosa e a tutte le 27 luci disposte tra le vie e le piazze di Torino, si sviluppa Accademia della Luce, il Public Program che mette in campo con grande partecipazione una serie di attività educative curate dai Dipartimenti Educazione delle principali istituzioni torinesi dedicate all’arte contemporanea, che hanno preso avvio con l’accensione delle Luci e proseguono nei mesi successivi, fino a giugno e al solstizio d’estate.

I PROGETTI SPECIALI DEL 2023

 

Parallelamente alle consuete attività svolte sul territorio, i tre musei di Fondazione hanno sviluppato anche alcuni importanti progetti con istituzioni culturali italiane e internazionali.

Grande soddisfazione per la GAM che nel 2023 ha vinto l’assegnazione di fondi ministeriali per la realizzazione di tre progetti, a cura di Elena Volpato. Il museo è stato tra i vincitori dell’Italian Council 2023 per la realizzazione di due mostre personali in Francia – al CEAAC di Strasburgo e presso l’Atelier Meisenthal – dedicate a Luca Bertolo e, per il terzo anno consecutivo, si è aggiudicata i fondi del PAC – Piano per l’Arte Contemporanea 2022-23 per l’acquisizione della Collezione di Dischi d’artista di Giorgio Maffei dando vita alla prima collezione pubblica di Dischi d’Artista in Italia. Infine la GAM si è aggiudicata che anche l’ultimo dei bandi ministeriali: Strategia Fotografia 2023, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, grazie al quale sarà possibile acquisire22 fotografie di Gianfranco Gorgoni, realizzate all’inizio degli anni Settanta, in stretto contatto con alcuni dei più rilevanti artisti dell’arte statunitense di quegli anni.

 

Il MAO è stato fra i vincitori del bando pubblico per proposte progettuali di intervento per la rimozione delle barriere fisiche, cognitive e sensoriali dei musei e luoghi della cultura pubblici non appartenenti al Ministero della Cultura, da finanziare nell’ambito del PNRR. Il progetto ammesso a finanziamento, dal valore di 302.000 €, consentirà al museo di investire in interventi di tipo strutturale per l’abbattimento delle barriere fisiche e architettoniche, ma soprattutto in servizi per l’accessibilità cognitiva e sensoriale, che trasformeranno il MAO e le sue collezioni permanenti in un patrimonio sempre più inclusivo.

Particolarmente attivo sul piano internazionale, ilMAO ha esportato Il Grande Vuoto, esposta all’Italian Cultural Center di New Delhi fra gennaio e febbraio 2023, e Flu水o, proposto in un’inedita versione installativa al McaM – Ming Contemporary Art Museum di Shanghai lo scorso settembre.

Dal 21 marzo al 21 maggio al Museo Nazionale di Zara Narodni Muzej Zadar è stata presentata la mostra Il mestiere delle arti in Italia. Capolavori da Palazzo Madama, promossa dall’Istituto Italiano di Cultura Zagabria, con il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia a Zagabria.

Di rilievo internazionale è stato il progetto Europa. L’illustrazione italiana racconta l’Europa dei popoli, promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dalla Fondazione Torino Musei, in collaborazione con Città di Torino, Regione Piemonte e Palazzo Madama: 42 esposizioni organizzate nei cinque continenti con il coordinamento della Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale della Farnesina.

L’esposizione In cammino. La porta di Torino: itinerari sindonici sulla Via Francigena, a Palazzo Madama tra luglio e ottobre 2023, è ora allestita fino al 14 giugno 2024 a Bruxelles, negli spazi di Regione Piemonte.

GAM, MAO e Palazzo Madama hanno aderito alle principali iniziative promosse dalla Città, proponendo aperture straordinarie e ingressi gratuiti o a tariffe agevolate in occasione del Salone del Libro, delle ATP Finals, della festa di San Giovanni, della Notte Europea dei Musei, del Ferragosto, delle Giornate Europee del Patrimonio, della Notte delle Arti Contemporanee e della giornata AMACI.

Come lo scorso anno, anche nel 2023 Palazzo Madama è stato sede di Casa Italia durante le ATP finals.

 

Quando i “lusciàt” si trovavano in piazza a Capodanno

La zona collinare situata nelle province del Verbano Cusio Ossola e di Novara, comprende i comuni in costa alla sponda orientale del lago Maggiore,  da Arona a Baveno, e una piccola parte di comuni che si trovano salendo sulle pendici del massiccio del Mottarone. Rimanevano mesi e mesi lontani da casa, risparmiando il risparmiabile per sostenere le famiglie,  ricorrendo il più delle volte – per il cibo e l’alloggio – a soluzioni di fortuna

I “lusciàt”, cioè gli ombrellai ambulanti, hanno sempre fatto un mestiere duro, macinando chilometri su chilometri su strade polverose o in mezzo al fango, lontano da casa, arrangiando il loro magro guadagno riparando ombrelli e parasole. La maggior parte proveniva dal Vergante, la zona collinare situata nelle province del Verbano Cusio Ossola e di Novara, comprende i comuni in costa alla sponda orientale del lago Maggiore,  da Arona a Baveno, e una piccola parte di comuni che si trovano salendo sulle pendici del massiccio del Mottarone. Rimanevano mesi e mesi lontani da casa, risparmiando il risparmiabile per sostenere le famiglie,  ricorrendo il più delle volte – per il cibo e l’alloggio – a soluzioni di fortuna. Spesso non riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena e dormivano dove capitava, appisolandosi, stanchi morti, sotto un cielo stellato nella buona stagione o in qualche fienile, quando tirava vento o scrosciava la pioggia. La loro vita era così, prendere o lasciare. Già da piccoli s’apprendeva  il mestiere, girovagando al seguito degli ombrellai adulti per le pianure piemontesi e lombarde, cercando di sfuggire alla miseria. Giravano come dei nomadi gridando a gran voce “donne, donne.. à ghè l’ ombrelè!”, portando a tracolla la  “barsèla”, la cassetta nella quale erano riposti  tutti i “sápitt” , i ferri del mestiere del lusciàt: dai “ragozz”,le stecche degli ombrelli, a lusùra, flignànza, tacugnànza e tacòn, ramé, cioè forbici,  rocchetti di refe, pezze varie, bastoni di legno. Con quell’armamentario erano in grado di cucire, limare, intagliare il legno, incollare, sagomare stoffe. Se c’era da riparare un ombrello lo accomodavano, racimolando qualche soldo; se invece si trattava di confezionarne uno nuovo, era festa grande. Girovagavano per le vie guardando porte e finestre, in attesa del cenno di chi era disposto ad affidar loro un parapioggia tartassato dai troppi acquazzoni, contorto dal vento o vittima della voracità delle tarme. Ogni lavoro era buono e non si rifiutava mai, mettendosi subito alacremente al lavoro, e in silenzio. Per arrotondare il magro guadagno, spesso accompagnavano il mestiere con la costruzione e la vendita di altri manufatti in legno e in fil di ferro , come gabbie, trappole per topi, insalatiere, setacci. Come da tradizione il giorno di Capodanno, sulla piazza di Carpugnino, si trovavano a parlar d’affari e preparare la nuova annata degli ombrellai. In quell’occasione, le famiglie più povere affidavano i loro figli piccoli agli artigiani ambulanti, nella speranza  che avrebbero imparato un mestiere, sconfiggendo la povertà e l’indigenza. “Al prumm dal lungon a Carpignin, a truà l’ Casér senza an bergnin“, che tradotto equivale a “il primo dell’anno a Carpugnino, a cercar padrone, senza un soldino” , come recita un’epigrafe che fa mostra di sé ancor oggi  nella piazza di Carpugnino. Reclutata così la manodopera  gli ombrellai si mettevano in cammino alla ricerca di quei guadagni che potessero garantir loro un futuro migliore. Bisogna dire che l’apprendista entrava quasi a pieno titolo nella  famiglia dell’ombrellaio che provvedeva a lui in tutto e per tutto. Così, lontano da casa e dai propri cari, si accompagnavano nei lunghi tragitti con i loro canti in quella particolare lingua che si parlava tra lusciàt: il “tarùsc”. Sì, perché tra di loro, per tradizione e abitudine,  comunicavano in quel gergo difficile, quasi del tutto incomprensibile, dalla pronuncia piuttosto secca e dura. Secondo alcune ricerche etimologiche, più che  plausibili, basate sulla presenza di termini derivati dal tedesco nel tarùsc, e pensando a parole come  tarnen (maschera) e tarnung (mascheramento), è intuibile la volontà di crearsi una lingua tutta loro, adatta a  camuffare i loro discorsi. Facilitati dalla stessa provenienza territoriale, cioè dai paesi dell’alto Vergante, gli ombrellai potevano così comunicare con  rapidità e segretezza , scambiandosi notizie e commenti nella certezza di non essere capiti. L’idioma era un misto di dialetto e parole di altre lingue, dallo spagnolo al francese al tedesco, rielaborate con arguzia e duttilità. Così, tanto per fare due esempi, l’avvocato era un “denciòn” ed il cuoco un “brusapignat“. “Al lusciàt caravaita a gria i lusc”, dicevano, riferendosi al fatto che  “L’ombrellaio ambulante ripara gli ombrelli”.  Pensando alla vita comoda, scuotevano la testa sentenziando “la repenta ha biò l’elban in su la frisa” (la gallina ha fatto l’uovo sulla paglia). Era una critica, e guai a contraddirli, perché la “ghéna”, la fame, era tanta e ci si poteva considerare “brisòld” (ricchi) solo quando si riusciva a metter su la prima bottega con un banchetto e l’insegna di due cupole d’ombrello a spicchi bianchi e rossi e la scritta “luscia, el lusciat piòla” che, più o meno, si può tradurre così: piove, l’ombrellaio si prende una sbornia. Infatti, quando il cielo diventava scuro, la terra cambiava odore e l’acqua iniziava a scrosciare , fosse temporale estivo o pioggia autunnale, si brindava alla fortuna perché con la pioggia si lavorava di più. Quando veniva chiesta all’ombrellaio quale fosse la ragione di quel nome così strano, veniva raccontata anche la leggenda che individuava nel Tarùsc uno gnomo scontroso e permaloso che viveva  alle pendici del Mottarone e sulla Motta Rossa.  Poco incline a tollerare i forestieri ,si teneva ben nascosto nei boschi. Era lui che, in un tempo remoto, aveva insegnato agli uomini come costruire gli ombrelli, oltre a  trasmetter loro la sua lingua. Alto circa mezzo metro, dal pelo rosso ( come la sue scarpe), con un copricapo a forma di tricorno, era sempre vestito di verde. Combinare piccoli dispetti era uno dei suoi passatempi. Ma c’era un rimedio infallibile, qualora si era presi di mira da un Tarùsc: rovesciare sul pavimento alla sera un sacchetto di riso o di segale. Essendo lo gnomo un tipo  ordinato e pignolo, era costretto a passare l’intera nottata  a raccogliere granello per granello quanto versato. Ai Tarùsc  piacevano i rospi ma non è dato a sapere il perché. Oltre alle storie e alle leggende, quando tornavano a casa, raccontavano le avventure della loro vita randagia. E manifestavano un certo orgoglio  per quel lavoro dove la fatica e i sacrifici erano ricompensati dalla passione per un mestiere che richiedeva non solo molta abilità ma anche una buona dose di creatività. Soprattutto quando l’ombrello andava costruito nuovo di zecca e s’usavano le sagome per tagliare le stoffe. Qui la differenza di censo balzava all’occhio immediatamente: i benestanti e i nobili  sceglievano la seta, per gli altri tutt’al più c’era il cotone.  Molti di questi ombrelli fanno mostra di se nel museo a loro dedicati, a Gignese. Questo museo è l’unico al mondo dedicato al tema dell’ombrello e del parasole e vi sono conservati oltre mille pezzi fra ombrelli, parasole e impugnature di varie fogge e materiali. Nelle sale espositive sono ospitati pezzi curiosi e di notevole valore storico-culturale: dall’ombrello della regina Margherita di Savoia a quello appartenuto a Giuseppe Mazzini, tra i tanti. Gli esemplari nelle vetrine sono di rara fattura e squisitamente lavorati. Nel settore dedicato alla vita degli ombrellai si possono vedere le foto dei “pionieri” di quest’attività, i loro rudimentali attrezzi recuperati dalle antiche botteghe e quelli che li accompagnavano per le strade d’Italia e del mondo. Un itinerario storico, ricco di immagini e di testimonianze di un lavoro antico che gli ombrellai nati nel Vergante hanno saputo far conoscere e apprezzare un po’ ovunque. Non molto distante, a Massino Visconti, nel centro del paese, si può ammirare il monumento dedicato agli ombrellai. Realizzato nel 1972 dallo scultore Luigi Canuto, è stato eretto a ricordo dei molti “lusciàt” che, dalla fine del Settecento fino al primo Novecento, praticarono questo mestiere.

Marco Travaglini

 

Da Capodanno all’Epifania nei musei di Torino

/

Una visita ai musei di Torino, occasione di passare le feste all’insegna della cultura

A dicembre e gennaio, in occasione delle Festività, i Musei Reali sono aperti con il consueto orario, da martedì a domenica, unica chiusura anticipata il 24/12 alle ore 16 (biglietteria 9-15).

 

Domenica 31/12 dalle ore 16, in occasione del concerto che avrà luogo in piazza Castello, l’ingresso sarà consentito esclusivamente da piazza San Giovanni 4 (accanto al campanile del Duomo).

 

In occasione delle festività il Museo Nazionale del Cinema propone una serie di aperture straordinarie e variazioni d’orario:

tutti i sabati apertura  fino alle 22

 

domenica 31 dicembre apertura dalle 9 alle 18

lunedì 1 gennaio apertura dalle 14 alle 19

martedì 2 gennaio apertura dalle 9 alle 19

sabato 6 gennaio apertura  fino alle 22

La biglietteria è aperta fino a un’ora prima della chiusura del Museo.

Il Museo prevede per tutto il periodo natalizio una serie di eventi e visite legate alla mostra  Il Mondo di Tim Burton.

Al piano accoglienza della Mole Antonelliana si può ammirare un Albero di Natale alto quattro metri, appositamente realizzato dalle Scuole Tecniche San Carlo in linea con l’estetica dei più celebri film burtoniani.

 

Mercoledì 6 gennaio ore 17
VOLA VOLA LA BEFANA! – LABORATORIO DI TRUCCHI ED EFFETTI SPECIALI

Al cinema nulla è impossibile: volare sulla scopa come la befana, animare oggetti o creare una perfetta copia di sé! Un laboratorio per sperimentare la magia degli effetti speciali e dei trucchi cinematografici. I partecipanti riceveranno il video realizzato durante il laboratorio. Per bambini dagli 8 anni.
Durata 1ora e 30 minuti – costo € 6 + ingresso ridotto al Museo

Inoltre, tutte le domeniche e, dal 24 dicembre al 7 gennaio, tutti i giorni alle ore 15:

ALLA SCOPERTA DEL MUSEO DEL CINEMA | Visita guidata
Per conoscere il Museo del Cinema e le sue meraviglie, dal teatro d’ombre ai fratelli Lumière fino ai grandi protagonisti della storia del cinema.
Durata 1ora e 30 minuti – costo € 6 + ingresso ridotto al Museo – max 15 partecipanti – prenotazioni a questo LINK

e tutti  i Sabati e  le  domeniche alle ore 10.20,  14.00 e 16.40

SALITA A PIEDI ALLA CUPOLA DELLA MOLE ANTONELLIANA

Visita guidata alle meraviglie architettoniche e ai luoghi mai visti della Mole Antonelliana. Un percorso a piedi, dal piano terra fino alla Terrazza Panoramica a 85 metri di altezza, lungo le scale dell’intercapedine della Cupola.

La visita alla Cupola è sconsigliata ai visitatori affetti da difficoltà motorie, gravi difetti della vista o dell’udito, cardiopatie o patologie polmonari, claustrofobia, sindromi da disorientamento (labirintite, vertigini, ecc.).
La visita alla Cupola non è consentita ai bambini di età inferiore a 6 anni.
Durata 1h – Costo € 10 a persona
MERCHANDISING XMAS EDITION

Per tutto il mese di dicembre e fino al 7 gennaio 2024, il merchandising della mostra si arricchisce con diverse christmas baubles limited edition, in acquisto presso il bookshop del Museo. Per coloro che vorranno condividere la magia della mostra con i propri cari, sarà disponibile per la prima volta la formula “A Natale regala Tim Burton”: alle casse della Mole si potrà acquistare il pack che include due biglietti per la mostra e una pallina di Natale componibile in limited edition: una vera chicca per gli appassionati e i collezionisti.

Costo bambini: € 8 (biglietto di ingresso alla mostra gratuito per i bambini fino a 5 anni);

Costo adulti accompagnatori: biglietto di ingresso alla mostra ridotto; gratuito per i possessori di Abbonamento Musei

Informazioni e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Prenotazione obbligatoria e pagamento online

 

Il Museo Nazionale del Risorgimento  sarà aperto con il consueto orario:
dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 (ultimo ingresso ore 17).

Chiusure:
24-25 dicembre e 1° gennaio.

Visite guidate
Sono previste visite guidate al percorso espositivo del museo nei giorni 26-30 e 31 dicembre e 6 gennaio, con partenza alle ore 15.30. Prenotazione telefonica obbligatoria al numero 011 5621147 (biglietto di ingresso al museo + 4 euro per visita guidata; per possessori di Abbonamento Musei e Torino+Piemonte Card solo 4 euro per la visita guidata).

 

MAUTO Museo Nazionale dell’Automobile:

Domenica  31 dicembre

Dalle 10:00 alle 14:00

Lunedì  1 gennaio 2024
Dalle 14:00 alle 19:00

In tutti gli altri giorni il Museo osserva i consueti orari di apertura.

 

La Galleria della Scrittura al Museo Egizio

Dopo lavori di consolidamento e restauro, riapre il terzo piano del Museo che amplia così il percorso espositivo con un nuovo allestimento: la Galleria della Scrittura.
Si tratta di mille metri quadrati che ospitano 248 reperti, un viaggio in 10 sezioni all’origine delle scritture dell’antico Egitto, a ritroso nel tempo di 4000 anni.

Non solo geroglifici e l’avventura che nei secoli portò alla loro decifrazione e alla nascita dell’Egittologia, ma anche lo ieratico, il demotico e poi il copto. Raccontare la storia della scrittura antica, nelle sue varianti ed evoluzioni significa anche descrivere la società, le articolazioni dello stato e in ultimo la figura dello scriba, custode della memoria storica dell’antica civiltà egizia e depositario di un saper fare, che affonda le sue origini nel mito ed è avvolto da un’aura quasi sacra.

Il progetto espositivo è a cura di Paolo Marini, Federico Poole e Susanne Toepfer, quest’ultima responsabile della Papiroteca del Museo Egizio.

 

 

A un’ora da Torino: Savona, dai Papi alle crociere

Città dei crocieristi, delle torri e dei Papi, Savona è una bella città, facile da visitare per chi ha poco tempo. Il piccolo centro storico si gira agevolmente a piedi tra vicoli stretti, palazzi colorati e lunghe vie centrali come via Paleocapa. Per raggiungere tutte le altre località del Ponente è quasi d’obbligo passare da Savona ma spesso la città viene considerata solo un luogo di passaggio, sovente ignorata e trascurata. È uno sbaglio, andrebbe visitata e goduta anche Savona. Viene chiamata la Città dei Papi perché nei dintorni di Savona nacquero ben due Papi, Sisto IV, Francesco della Rovere (1414-1484), il pontefice che commissionò la Cappella Sistina di Roma e Giulio II, Giuliano della Rovere (1443-1513). Una piccola cappella Sistina c’è anche a Savona, accanto alla cattedrale dell’Assunta, fatta edificare proprio da Sisto IV come cappella funeraria per i suoi genitori. Non è certo paragonabile alla cappella omonima romana ma è comunque un’attrazione da non perdere. Si può visitarla sabato 10-12,30 e 16,00-18,00 e domenica 10-12 e 16-18, le visite pomeridiane sono sospese a luglio e agosto. Il Duomo, realizzato nel Seicento accanto alla cappella, si può vedere quando non sono in corso le funzioni religiose per ammirare gli affreschi di scuola genovese e savonese, l’organo voluto da Papa Sisto IV e gli appartamenti papali dove un altro Papa, Pio VII, fu rinchiuso come prigioniero di Napoleone ai primi dell’Ottocento. Ma il simbolo più importante della città è però la Torre del Brandale al porto, a Campanassa per i savonesi, la torre più importante tra le diverse torri della città. Innalzata nel Trecento, la campana suona quando in città succede qualcosa di importante. Ma accanto alla torre si anima un intero centro storico che merita una visita. A pochi metri svettano le torri, più basse, Guarnero e Corsi, e poco più in là, all’ingresso di via Paleocapa, fa bella mostra di sé la Torre Leon Pancaldo che, eretta alla fine del Trecento, faceva parte della cinta muraria. A picco sul mare c’è l’imponente e straordinaria fortezza del Priamàr, eretta dai genovesi nel Cinquecento per proteggere la città dagli attacchi dal mare. Il porto fu interrato e sul colle del Priamàr venne costruita la piazzaforte dopo aver abbattuto l’antica cattedrale, tre ospedali, la chiesa e il convento dei Domenicani e diversi oratori. Scomparve in pratica la parte più importante della città di epoca medioevale. Gli storici fanno notare che nel Duecento a Savona si trovavano almeno 50 torri e una decina si innalzavano sul Priamàr. La fortezza, che conserva i pochi resti dell’antica cattedrale cittadina, fu anche carcere con Giuseppe Mazzini in cella. Oggi è un grande teatro all’aperto con spettacoli e concerti per tutta l’estate e ospita il Museo archeologico e il Museo Sandro Pertini. Infine, da gustare in tutti i sensi, la Vecchia Darsena con il porticciolo turistico a pochi minuti dal Priamàr, luogo di incontro di savonesi e turisti a spasso tra pescherecci, ristoranti e trattorie.                         Filippo Re

nelle foto:

la Fortezza del Priamàr a Savona

La Torre del Brandale con le torri minori

Interno della Cappella Sistina accanto alla Cattedrale

Paleologo Oriundi a Casale

Illustre visita a Casale Monferrato. La città ha ospitato Andrea Paleologo Oriundi, ultimo discendente della stirpe bizantina che governò l’impero romano d’Oriente mediterraneo e il Monferrato fino all’avvento del ducato gonzaghesco.
La  visita è avvenuta in forma privata il 12-11-2023 accompagnato dalla moglie Gisella Crinò. Nel palazzo San Giorgio Gozzani (ora municipio) ha commentato con Armano Luigi Gozzano e Sandro Ricossa il significato della stemmologia di varia natura e i ritratti originali dei marchesi Gozzani di Vittorio Amedeo Grassi di Agliè, pittore ufficiale di corte a Torino e gli splendidi affreschi di Francesco Lorenzi, allievo del Tiepolo.
In particolare ci si è soffermati nel cortile del palazzo intitolato nel settembre 2023 a Flaminio Paleologo (1518-1571) patriota monferrino e antenato di Andrea. Nel vicino palazzo Treville Gozzani (sede della filarmonica) gli ospiti hanno potuto ammirare l’architettura e gli splendidi affreschi del casalese P.F. Guala. Infine nel castello Gozzani di San Giorgio, feudo imperiale delle dinastie Aleramica e Paleologa accompagnati dal sindaco Pietro Dallera, i coniugi si sono immersi nel passato dell’antenato Flaminio, proprietario del maniero avuto in dono il 10-4-1532 dal padre Gian Giorgio, ultimo marchese Paleologo, comprese le terre di Caluso e l’abbazia di San Pietro di Acqui. Nel 1524 Gian Giorgio rinunciò alla carica episcopale, pur non essendo mai stato ordinato sacerdote, per dedicarsi a tempo pieno alla reggenza del Monferrato unitamente alla cognata Anna d’Alencon, principessa francese moglie di Guglielmo IX° terzultimo Paleologo regnante morto prematuramente nel 1518.
Per scongiurare l’estinzione della linea maschile Paleologa e divenire sudditi di Guglielmo Gonzaga, la nobiltà casalese aveva tentato di convincere Gian Giorgio a legittimare il figlio Flaminio (già riconosciuto) avuto da una donna di bassa condizione e già maritata, legittimazione negata dalla cognata e vedova Anna d’Alencon riconosciuta governatrice dello stato dall’imperatore Carlo V° e affascinata da Guglielmo Gonzaga. Nel 1559 Gonzaga aveva nominato Flaminio capitano delle cacce monferrine, senatore e governatore generale del Monferrato con vere funzioni di sovrano. I Gonzaga però non riuscirono mai ad entrare in pieno possesso del Monferrato, in quanto non confinante con il ducato di Mantova e teatro delle guerre tra Francia e Spagna. Nella congiura del proconsole e grande agitatore casalese Olivero Capello, mirata ad eliminare i soprusi del Gonzaga, venne coinvolto anche Flaminio.
Arrestato e incarcerato prima a Casale e poi nella fortezza mantovana di Goito, fu condannato a morte ma la pena fu commutata in carcere a vita perché troppo amato dai casalesi. Morì il 24-5-1571 avvelenato dal medico del carcere e dal farmacista per ordine del governatore di Mantova. Anche il figlio Teodoro fu accusato come il padre ma riuscì a fuggire in Spagna dove in passato era stato conferito il cavalierato di S. Jago al padre Flaminio. Emigrato a Camerano presso Ancona, città originaria della moglie, Teodoro diede seguito alla attuale discendenza. La storia della famiglia Paleologo comprensiva di ventotto alberi genealogici è stata pubblicata a Malta dagli autori Charles A. Gauci di Malta e dal prof. Peter Mallat, noto studioso e genealogista di Vienna a cui era stato conferito il diploma Honoris Causa all’accademia di S. Sofia nel 1983, il quale ci ha fatto visita a Casale il 11-10-2023.
Il prof. Mallat ha avuto le informazioni storiche da Carlo Paleologo di Venezia, padre di Andrea, con manoscritti risalenti al 1903 di Arnaldo, nonno di Andrea Paleologo. Il soprannome Oriundi è stato assunto da Pietro II° Paleologo (1667-1704) da Massignano (AP) utilizzato ancora oggi come da sentenza del tribunale di Venezia del 1930. A Casale i Paleologi ci hanno lasciato lo stupendo castello edificato da Giovanni II° Paleologo nel XIV° secolo, sede della corte dei marchesi del Monferrato. Sopra l’ingresso principale del ponte levatoio troviamo due bassorilievi marmorei murati del 1469 raffiguranti le armi dei Gonzaga in quello inferiore, mentre in quello superiore le armi partite dei Paleologi e dei Gonzaga. La loro chiesa marchionale di S. Domenico in stile tardo gotico-rinascimentale costruita per volere di Guglielmo VIII° Paleologo reca le tombe antiche di famiglia e la città casalese ha intitolato alla loro dinastia la centralissima via Paleologi.
Guglielmo VIII° commissionò gli affreschi della cappella di S. Margherita nel santuario dell’Assunta di Crea recanti la propria immagine accanto ai suoi consiglieri e l’immagine della sua terza moglie Bernarda di Brosse con le figliastre nate dai precedenti matrimoni. Al santuario di Crea sono conservati i ritratti di Guglielmo IX° Paleologo e della moglie Anna d’Alencon, scorporati dalla pala originale raffigurante la Madonna col bambino e santi attribuita al pittore Macrino d’Alba. Lo stemma dell’impero bizantino di casa Paleologo Oriundi rappresenta la croce recante le quattro B (beta) iniziali del motto ‘Basileus, re dei re, regnante dei regnanti’. Le armi del gonfalone casalese rappresentano i blasoni di Bisanzio e Monferrato. Andrea Paleologo Oriundi e Gisella Crinò abitano a Milano e i loro figli Carlo e Marco garantiscono la continuità della nobile e antica dinastia. Le ultime pubblicazioni ‘La congiura di Olivero Capello’ del 2018 e ‘Storia degli Aleramici’ del 2019 sono visibili sul sito online dell’autore Andrea Paleologo.
Armano Luigi Gozzano

A Marengo i pezzi napoleonici del Museo storico di Artiglieria di Torino

Sono approdati il 19 dicembre scorso a Marengo i pezzi napoleonici concessi in prestito dal museo storico di artiglieria di Torino, primo museo italiano ed uno dei primi del mondo, collocati nel luogo dove Giovanni Delavo raccolse la collezione che costituì uno dei primissimi tra i musei napoleonici al mondo.

‘Li abbiamo ottenuti – spiega Maurizio Sciaudone, consigliere provinciale delegato al Polo di Marengo – in esposizione temporanea per arricchire il Marengo Museum di autenticità, oltre che di antichità, per preparare la grande rievocazione del 2025. Siamo grati al Museo storico Nazionale di Artiglieria di Torino per l’attestato di stima nei confronti della provincia di Alessandria per aver realizzato questo spostamento di pezzi unici che avevo avuto modo di visionare insieme ad Andrea Puleo, Rievocatore storico e al nostro curatore Efrem Bovo.

Questo prestito può diventare il preludio di una partecipata collaborazione che consenta non soltanto id dare lustro al sito alessandrino, ma anche di portare al grande pubblico i tesori della storia militare italiana custoditi a Torino.

“Anche l’ammiraglio Cellerino ha suggerito il posizionamento dei “ cannoni” – prosegue Sciaudone – e tra l’altro uno dei due sistemati all’ingresso della Villa Delavo è simile a quello ai piedi di Napoleone, primo console rappresentato dalla Statua sita nel cortile d’onore di Marengo.

Mara Martellotta