STORIA- Pagina 31

“Vivolibro 2024”. Si riparte con la “Giornata della Memoria”

A Monforte d’Alba, torna a marciare il progetto della “Fondazione Bottari Lattes” rivolto al mondo della scuola

Martedì 23 gennaio, ore 10

Monforte d’Alba (Cuneo)

Progetto biennale rivolto alle scuole, “Vivolibro” è nato nel 2012 a Monforte d’Alba, per volontà della “Fondazione Bottari Lattes”, guidata dal 2009 da Caterina Bottari Lattes e dedicata alla memoria del marito Mario Lattes (pittore, scrittore, editore e fra i più raffinati intellettuali del Novecento), con l’ obiettivo di “formare giovani lettori attraverso eventi culturali e laboratori didattici”. Giunto quest’anno alla sua settima edizione, dal “Progetto” non ci si poteva aspettare un avvio più importante e di così viva (sempre) attualità. I primi due appuntamenti dell’anno si svolgono infatti nell’ambito della Giornata della Memoria (indicata a livello internazionale dalle “Nazioni Unite” nel giorno 27 gennaio di ogni anno, a ricordo della data – 27 gennaio 1945 – in cui venne liberato il campo di sterminio nazista di Auschwitz) e vedono la partecipazione degli studenti e delle studentesse della “Scuola Secondaria di Primo Grado” di Monforte d’Alba.

Martedì 23 gennaio al “Teatro Comunale” di Monforte (via della Chiesa) sarà proiettato il film documentario “Chi scriverà la nostra storia”, diretto dalla pluripremiata regista americana Roberta Grossman, tratto dall’omonimo libro dello storico Samuel Kassov. Nel film viene narrata la storia vera di una compagnia segreta composta da giornalisti, ricercatori e capi della comunità formatasi nel 1940 nel “Ghetto di Varsavia”. Guidato da Emanuel Ringelblum (storico polacco di origine ebraica) , il gruppo combatté la propaganda dei nazisti non con le armi, ma con carta e penna. Insieme composero un “archivio” preziosissimo e insieme spaventoso, in cui si trova la cronaca della Shoah, la graduale distruzione di un popolo.

Giovedì 25 l’“Auditorium” della Fondazione ospiterà, restando in tema, l’incontro con la professoressa Elena Ravina (Docente di Lettere della “Scuola di secondo grado” di Monforte), che sarà in dialogo con gli studenti e la giornalista de “La Stampa” di Cuneo, Daniela Scavino a partire dal suo manoscritto sul tema dell’“Olocausto”. Dopo aver visitato la “Risiera di San Sabba” a Trieste (ex- Opificio, utilizzato dopo l’occupazione nazista come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre ’43 e in seguito trasformato in “Polizeihaftlager” – “Campo di detenzione e di polizia”) e soprattutto il “Lager di Mauthausen”, nell’alta Austria, l’autrice ha deciso di raccontare attraverso la vicenda del protagonista, Pietro, un personaggio di finzione, la storia delle tante persone che hanno realmente vissuto i soprusi e le privazioni di cui si tratta nel libro. Nel corso della presentazione verranno letti alcuni estratti.

prossimi appuntamenti di questa settima edizione di “Vivolibro”, il cui tema sarà la sostenibilità ambientale”, si terranno in primavera.

Per info“Fondazione Bottari Lattes”, via G. Marconi 16, Monforte d’Alba (Cn); tel. 0173789282 o www.fondazionebottarilattes.it

g.m.

Nelle foto:

–       Immagine guida “Vivolibro”

–       “Fondazione Bottari Lattes”

–       Elena Ravina

Liberty Torino capitale, tre passeggiate guidate in città alla scoperta del liberty torinese

In concomitanza con la mostra 

 

La mostra a Palazzo Madama, nelle sale del Museo Civico d’Arte Antica, dal titolo “Liberty . Torino capitale” ha come corollario tre percorsi alla scoperta del liberty a Torino, ovvero tre passeggiate guidate in città che presentano tre aree fortemente caratterizzate da costruzioni sorte durante il periodo del liberty, con esempi di edifici destinati sia a residenza, sia all’istruzione e alla produzione.

Il primo itinerario, intitolato “Liberty in borgo Crimea” vedrà una visita giovedì 14 marzo alle 14.30 e domenica 14 aprile alle 10.30 nell’antico borgo precollinare che vide il suo sviluppo verso la fine del Novecento, specialmente dopo la costruzione del ponte sul Po, dedicato a Umberto I, in occasione dell’Esposizione del 1911. Lungo corso Fiume e le vie adiacenti vennero costruite numerose residenze dell’alta borghesia, con connotazioni liberty ancora oggi ben evidenti.

Il ritrovo sarà in corso Fiume angolo corso Moncalieri.

Venerdì 26 gennaio alle 14.30, domenica 25 febbraio alle 10.30 e venerdì 5 aprile alle 15, con ritrovo in via Cernaia davanti al monumento a Pietro Micca, angolo corso Galileo Ferraris, sarà la volta della visita al nuovo quartiere al posto della Cittadella, all’indomani della cui demolizione Torino conobbe una rapida espansione urbana nell’area vicino al Maschio, che fu salvato dalla distruzione. Nel nuovo quartiere sorsero scuole e palazzi dapprima secondo il modello Umbertino, successivamente con spiccati riferimenti al Liberty.

Giovedì 1 febbraio alle 14.30, venerdì 22 marzo alle 14.30 e giovedì 9 maggio alle 15, vi sarà la visita alla Palazzina Lafleur e la bizzarria del nuovo stile liberty.

La zona intorno all’attuale piazza Peyron e la parte terminale di corso Francia presentano una serie di edifici ispirati allo stile del primo Novecento, con abitazioni e stabilimenti che vennero costruiti secondo quello stile floreale che troverà nella fantasia di Pietro Fenoglio il suo principale interprete, come nella celebre palazzina all’angolo di corso Francia Fenoglio-la Fleur.

Il ritrovo è in piazza Peyron angolo via Bagetti, con gruppi al massimo di 25 persone, per la durata del percorso di visita di 2 ore.

Info e prenotazione 0115211788

Mara Martellotta

Duecentomila Lire per il monumento di piazza Bodoni

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Alla scoperta dei monumenti di Torino / Il monumento equestre si erge fiero ed imponente nel centro della piazza. Il generale Alfonso Ferrero della Marmora viene rappresentato con indosso la sua divisa militare, il mantello sulle spalle ed il capo calzato di feluca voltato verso sinistra, mentre è in sella ad un elegante cavallo con la zampa sinistra sollevata in segno di forza ed autorevolezza

Eccoci di nuovo pronti ad accompagnare i nostri lettori alla scoperta delle meravigliose opere d’arte presenti a Torino. Oggi vogliamo soffermarci sulle maestosità equestri, prendendo come soggetto della nostra usuale passeggiata “con il naso all’insù”, il monumento dedicato ad Alfonso Ferrero della Marmora. (Essepiesse)

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Il monumento equestre si erge fiero ed imponente nel centro di Piazza Bodoni. Il generale Alfonso Ferrero della Marmora viene rappresentato con indosso la sua divisa militare, il mantello sulle spalle ed il capo calzato di feluca voltato verso sinistra, mentre è in sella ad un elegante cavallo con la zampa sinistra sollevata in segno di forza ed autorevolezza. Il generale ha gli stivali infilati nelle staffe e mentre con la mano sinistra stringe le briglie, con la destra impugna la spada puntandola in avanti, di fianco alla gamba. La statua poggia su un piedistallo lapideo quadrangolare arricchito da importanti volute angolari e ornato con elementi in bronzo, foglie d’acanto e teste di leone. Nel gennaio 1878 morì a Firenze Alfonso Ferrero della Marmora, tenente generale e comandante dell’esercito, ministro della Guerra nei governi Pinelli, Gioberti, D’Azeglio e Cavour, governatore di Milano, prefetto di Napoli nel 1861 e primo ministro a Torino dal 1864 al 1866. Due giorni dopo la città di Torino, con una delibera della Giunta, decise di rendere onore alla memoria del generale erigendogli un monumento pubblico, mettendo a disposizione 20.000 lire e aprendo una sottoscrizione di ampiezza nazionale. 

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Il proposito era quello di realizzare un’opera di particolare rilevanza sia dal punto di vista artistico che dimensionale, un “Monumento Nazionale” per l’appunto, il cui costo fu stimato intorno alle 200.000 lire. Al finanziamento dell’opera partecipò anche il capitano Luigi Chiala, deputato al Parlamento e amico intimo di La Marmora, che inviò le 9.011 lire ricavate dalla vendita delle sue memorie, intitolate “Ricordi della giovinezza di Alfonso La Marmora” e “Commemorazione di Alfonso La Marmora”. La raccolta di fondi, nonostante la notevole partecipazione, riscontrò una notevole difficoltà nel raggiungere la cifra necessaria, tanto che il Municipio di Torino dovette mantenere aperta la sottoscrizione per ben dodici anni. Visto l’evolversi della situazione il marchese Tommaso della Marmora, nipote del generale e suo erede, preoccupato per il protrarsi dei tempi e per l’insufficienza dei fondi fino ad allora disponibili (nel 1890, anno della chiusura della sottoscrizione, si era raccolta la cifra di 73.639 lire) propose alla città di occuparsi direttamente della realizzazione dell’opera, integrando la somma raccolta con capitali propri. Tale proposito, che evidentemente aveva in mente da qualche tempo, l’aveva portato ad affidare il disegno del bozzetto di “una statua equestre in bronzo, grande circa due volte il vero, con proporzionato piedistallo” al conte Stanislao Grimaldi, aiutante in campo del generale e Regio disegnatore del re Vittorio Emanuele II che, si presume, portò a compimento l’opera senza ricevere alcun compenso. Nell’ottobre del 1886 Tommaso della Marmora, in accordo con lo scultore Grimaldi, propose al Municipio di collocare la statua al centro della nuova piazza Bodoni. Su richiesta del Sindaco di Torino, nel 1889 il Ministero della Guerra venne coinvolto nella realizzazione dell’opera equestre, rendendosi disponibile a fornire il bronzo necessario; la fusione del monumento venne eseguita nel 1891 nel Regio Arsenale di Torino, a spese del Ministero.Per la protezione del monumento si ebbe l’idea di realizzare una cancellata su disegno dell’Ing. Lorenzo Rivetti, già ideatore dell’elegante piedistallo su cui poggia la statua, ma fotografie di Mario Gabinio del 1924, testimoniano invece la presenza di una delimitazione costituita da catene poggianti su pilastrini in pietra, che venne in seguito rimossa. 

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Finalmente il 25 ottobre 1891, alla presenza di numerose autorità politiche, civili e militari, venne inaugurata l’opera dedicata a Alfonso Ferrero della Marmora; per l’occasione il Municipio di Torino “vestì a festa” piazza Bodoni addobbando i balconi delle case, allestendo alcuni palchi e studiando una “illuminazione straordinaria”.Va ricordato e fatto notare che il monumento a La Marmora è l’unico monumento equestre, presente a Torino, dedicato ad un militare e uomo politico. Per quanto riguarda un piccolo accenno alla piazza che ospita l’opera, va ricordato che Piazza Bodoni (inserita nel cosiddetto Borgo Nuovo), ha origini ottocentesche ed è stata realizzata frammentariamente nel corso di oltre un secolo. Il primo intervento edilizio risale al primo decennio dell’Ottocento ma, per giungere alla conformazione attuale della piazza, bisognerà attendere fino al 1928, anno nel quale venne realizzato l’edificio che accoglie l’Istituto Musicale Giuseppe Verdi, diventato dal 1936 Conservatorio di Stato.Nel 2002 piazza Bodoni è stata interessata da un intervento di riqualificazione: è stata pedonalizzata e ripavimentata con lastre in pietra poste secondo un disegno a cerchi concentrici che hanno come fulcro il monumento a Alfonso Ferrero della Marmora.

 

 

Simona Pili Stella

(Foto: www.museotorino.it)

 

L’omaggio di Torino a Giuseppe Mazzini

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Oggi il plumbeo monumento si erge fiero in mezzo a quella che è diventata una delle piazzette pedonali della città più “bazzicate” dai giovani, che hanno fatto della maestosa scultura e dei gradoni perimetrali del suo basamento, uno spontaneo ed appartato punto di ritrovo

Collocato in via Andrea Doria, angolo via Dei Mille, precisamente sullo spiazzo di confluenza tra le due vie, Giuseppe Mazzini viene raffigurato in una scultura bronzea, seduto in atteggiamento pensoso, avente una mano poggiata a sostenere il capo e l’altra su un pastrano adagiato sulle gambe. Il piedistallo lapideo è ornato da simboli della classicità rappresentati superiormente da due tripodi, collocati ai lati della statua e inferiormente, da pannelli bronzei disposti in sequenza. Nel pannello centrale è rappresentata la lupa capitolina nell’atto di allattare i gemelli, in riferimento alla Repubblica Romana, mentre sui restanti prospetti figurano corone di lauro che circondano i nomi dei principali sostenitori di Mazzini. Il sottostante basamento presenta, anteriormente, dei gradini simmetrici in ascesa verso la scultura. Nato a Genova il 22 giugno 1805 (quando Genova era ancora parte della Repubblica Ligure annessa al Primo Impero Francese), Mazzini è stato un patriota, uomo politico, filosofo e giurista italiano. Costituì a Marsiglia nel 1831 la Giovine Italia, fondata sui principi di “Dio e popolo” e “pensieri e azioni” volti a promuovere l’indipendenza della penisola dagli stati stranieri e la costituzione dell’Italia fondata sui principi della repubblica. Anche se osteggiato dal protrarsi dell’esilio forzato e dai contrasti in patria con la ragione di stato (promossa da Camillo Benso Conte di Cavour e da Giuseppe Garibaldi), Mazzini perpetuò il suo impegno politico che contribuì in maniera decisiva alla nascita dello Stato Unitario Italiano.

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Nello stato riunificato risiedette nell’ultimo decennio della sua vita come “esule di patria”, sotto falso nome; morì a Pisa il 10 marzo del 1872. In Torino come in altre numerose città della nazione, quale atto di riconoscimento al suo impegno, fu eseguito postumo il monumento in suo onore. Per quanto riguarda la città di Torino, nell’intenso programma delle manifestazioni svolte nella città per il giubileo dell’Unità d’Italia, nel 1911, venne istituito un apposito Comitato per erigere un monumento in memoria di Giuseppe Mazzini, distintosi come uno dei principali rappresentanti del Risorgimento italiano. L’iniziativa, promossa dalla Sezione Repubblicana Torinese, sorse in concomitanza alla ricorrenza del quarantesimo anniversario dal decesso del patriota genovese, di cui erano in corso i preparativi per le celebrazioni. Il Comitato sottopose all’Amministrazione comunale la domanda di aderire all’iniziativa ma la proposta venne osteggiata in quanto, si affermava, fosse avanzata da un gruppo partitico; per non pregiudicare l’esito della richiesta venne costituito un nuovo Comitato dichiarante l’estraneità ad ogni questione politica. Nel 1913 l’istanza di questo nuovo Comitato venne favorevolmente accolta dal Consiglio Comunale. Assunse l’incarico per l’ideazione del complesso scultoreo, Luigi Belli, docente presso la regia Accademia Albertina di Belle Arti ed esecutore di significative opere nella città. Belli accettò l’incarico senza richiedere alcun compenso per la sua attività (consapevole forse che sarebbe anche stata la sua ultima opera data l’avanzata età) ma domandò unicamente il rimborso per le spese sostenute nella realizzazione della proposta.

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Nonostante la rinuncia dell’artista, il bozzetto dell’opera venne approvato stimando un importo considerevolmente superiore a quello stabilito per l’esecuzione del monumento, quindi per arginare i limiti economici incorsi, l’Amministrazione concesse una agevolazione per il pagamento del dazio sui materiali, contrattò con il Ministro della Guerra in Roma per l’acquisizione del bronzo necessario ad un prezzo agevolato, mentre il Comitato promosse una pubblica sottoscrizione presso municipi, istituti civili e militari nazionali. Successivamente i modelli in creta a scala reale della statua e di un altorilievo, furono inviati alla fonderia scelta dal Belli, con sede presso Milano, per eseguirne la fusione in bronzo; la statua bronzea ed il relativo modello in gesso, vennero recapitati a Torino, su un carro ferroviario atto al trasporto speciale, l’11 maggio 1917. Il complesso scultoreo fu posto in opera, nonostante fosse privo dell’altorilievo rappresentante la “Libertà” (non consegnata forse a causa di un compenso non corrisposto dal Comitato), figurando ugualmente come un altare alla repubblicana libertà. L’inaugurazione della scultura commemorativa dedicata a Mazzini si svolse il 22 luglio 1917. La cerimonia del monumento si celebrò in presenza di autorità nazionali e cittadine, in una città dall’atmosfera poco festosa a causa della popolazione mobilitata sui fronti della Prima Guerra Mondiale. Oggi il plumbeo monumento si erge fiero in mezzo a quella che è diventata una delle piazzette pedonali della città più “bazzicate” dai giovani, che hanno fatto della maestosa scultura e dei gradoni perimetrali del suo basamento, uno spontaneo ed appartato punto di ritrovo.

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(Foto: www.museo.torino.it)

Simona Pili Stella

Le Venezie di Marco Polo 700 anni dopo

Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia”. Perché le Venezie di Marco Polo sono tante e si possono visitare e scoprire nel libro di Ermanno Orlando “Le Venezie di Marco Polo, storia di un mercante e delle sue città”, il Mulino. Lo storico medievista di Ca’ Foscari ci porta in viaggio nelle città che Marco ha conosciuto e attraversato. Con una particolarità: il grande viaggiatore resta sullo sfondo mentre i luoghi visitati si prendono per intero la scena. E così vediamo Venezia, vissuta, lasciata e ritrovata, e poi salperemo per San Giovanni d’Acri, Trebisonda, Costantinopoli, Tabriz… e infine torneremo a Venezia, “la città continuamente cercata nelle altre e cambiata nello spazio di un viaggio che pareva infinito”. Sono trascorsi 700 anni dalla morte di Marco Polo, il 9 gennaio 1324, e su di lui esiste una montagna di libri tradotti in numerose lingue che narrano le sue straordinarie vicende di viaggio che aprirono agli europei il lontano e leggendario Oriente, raccontate da numerosi autori. Pochi anni fa un’esposizione eccezionale al Mao di Torino ci fece conoscere anche l’anima dell’esploratore e i suoi segreti. Per alcuni mesi nelle sale del Museo d’arte orientale fu esposto il testamento di Marco Polo, una riproduzione perfetta della pergamena originale di pecora su cui il viaggiatore e scrittore veneziano dettò le sue ultime volontà poche ore prima di morire.
È il 1271 quando il giovane Marco insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo partono da Venezia che a quell’epoca era una metropoli multietnica con 100.000 abitanti. Prima tappa San Giovanni d’Acri in Terra Santa, poi un lungo itinerario attraverso Turchia, Persia, Afghanistan, il deserto del Gobi e nel Catai, la Cina del nord, alla corte di Qubilay, il Gran Khan dei Mongoli, nipote di Gengis Khan. In Cina i Polo resteranno quasi vent’anni prima di ripartire per Venezia che rivedranno nel 1295 dopo un altro viaggio avventuroso. Viaggiatore, scrittore, ambasciatore e mercante, Marco Polo ha raccontato i suoi viaggi in Asia e in Estremo Oriente nell’opera letteraria “Il Milione”, un’enciclopedia geografica conosciuta in tutto il mondo. A San Giovanni d’Acri, nelle terre crociate, scopriamo scorci di Venezia tra la fortezza dei cavalieri templari, il palazzo del bailo, il bazar, i bagni e le taverne per i mercanti che affollavano la città che a fine Duecento contava 40.000 abitanti. “Chiunque giungeva ad Acri vi respirava Venezia nella foggia degli edifici, nel vociare dei commercianti, negli odori dei cibi, negli stili di vita…E poi Costantinopoli, “la più nobile tra le capitali del mondo, per tre ottavi veneziana, così bella da togliere il fiato, con le sue possenti mura, le smisurate cupole, le sue colonne svettanti”. I veneziani erano di casa a Bisanzio che, al passaggio dei fratelli Polo, contava ben 400.000 abitanti. Il loro quartiere era immenso, ben più ampio di quello delle altre colonie straniere presenti in città. Erano ricchi, potenti e anche prepotenti, “spadroneggiavano come se tutto fosse loro concesso, senza leggi e senza scrupoli, lasciando agli altri solo le briciole”.
A quasi 70 anni Marco Polo si ammalò gravemente. Il viaggiatore-mercante stupisce il mondo con il suo favoloso viaggio e sorprende anche per il suo testamento. In punto di morte chiama un notaio e nella sua camera da letto, pur molto provato nel fisico ma ancora estremamente lucido, decide di donare parte delle sue ricchezze alla chiesa per salvarsi l’anima, denaro e beni alla moglie e alle figlie in un momento storico nel quale si lasciava tutto ai maschi. E tra i beni lasciati ai parenti ci sono anche oggetti favolosi come stoffe in oro, drappi di seta, il pelo di yak, pietre e perle di gran valore. La pergamena-testamento è stata ritrovata all’interno di un manoscritto veneziano. Molti studiosi avrebbero voluto esaminarla da vicino ma i rischi di danni per l’usura erano gravi. Così nel 2016 il ministero dei Beni Culturali e la Biblioteca Marciana decisero di realizzare una copia perfettamente corrispondente al testamento originale. Venezia celebrerà i sette secoli dalla morte di Marco Polo con una grande mostra a Palazzo Ducale dal 6 aprile al 29 settembre.
Filippo Re
nelle foto:
Libro “Le Venezie di Marco Polo”, il Mulino
San Giovanni d’Acri (oggi Akko in Israele), ricostruzione delle fortezza Templare
Marco Polo lascia Venezia, miniatura del XV secolo

Tre concerti per non dimenticare: celebrazioni del giorno della Memoria, del giorno del Ricordo e del 25 Aprile

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Tante le iniziative per celebrare il giorno della memoria, del ricordo e della Liberazione

Tra le tante iniziative per celebrare il giorno della memoria, il giorno del ricordo e l’anniversario della liberazione vi saranno tre concerti, un’iniziativa congiunta di città di Torino, Consiglio regionale del Piemonte, Polo del Novecento, Fondazione per la Cultura Torino, fondazione TGR, Teatro Stabile di Torino e Torino jazz festival per onorare la memoria storica e promuovere la riflessione attraverso la musica.

All’Auditorium Giovanni Agnelli sabato 27 gennaio prossimo Luca Barbarossa tornerà a Torino per un live organizzato in occasione della Giornata della memoria. Accompagnato dalla social band, il cantautore ripercorrerà i suoi più grandi successi, fino a quelli più recenti contenuti nell’ultimo album “la verità sull’amore”. L’ evento è organizzato dal Polo del ‘900, nell’ambito di oltre trenta appuntamenti tra mostre, presentazioni di libri, spettacoli teatrali, proiezioni webinar, posa di nuove pietre d’inciampo e tante attività per scuole e famiglie, organizzate in collaborazione con i numerosi soggetti del territorio impegnati nella conservazione della memoria storica.

Venerdì 9 febbraio alle 20.45 la Casa del teatro ragazzi e giovani ospiterà ESODO, di e con Simone Cristicchi.

Lo spettacolo, proposto da Fondazione TRG con il sostegno del comitato per la resistenza e costituzione del consiglio regionale, racconta una triste pagina della storia italiana, attraverso parole e immagini, quando, a seguito del trattato di pace del 1947, 300 mila persone decisero di lasciare le proprie case nei territori istriani e della fascia costiera, che l’Italia dovette cedere alla Jugoslavia. L’ingresso è gratuito, fino a esaurimento dei posto disponibili, con prenotazione obbligatoria a partire da lunedì 29 gennaio. Per informazioni biglietteria@casateatroragazzi.it.

La dodicesima edizione del Torino Jazz festival, quest’anno dal 20 al 30 aprile, si unirà alle celebrazioni per la festa della liberazione con il concerto della cantante Fatoumata Diawara, che si esibirà al teatro regio giovedì 25 aprile alle ore 21, in uno spettacolo idealmente dedicato alla gioventù resistente e, in particolare, a Dante di Nanni, a 80 anni dalla sua morte.

La presenza di fatturata Diawara vuole ricordare la centralità della musica d’oggi nell’esaltazione dei valori della Resistenza. La grande cantante del Mali, paladina dei diritti delle donne, maestra nella fusione di stili suggestioni senza confini, chiuderà la giornata di appuntamenti per l’anniversario della Liberazione in un clima di festa, danza e comunione sociale, aperto a tutta la cittadinanza.

Il concerto è organizzato da Fondazione per la cultura Torino, a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria dal 17 aprile sul sito www.torinojazzfestival.it.

Sabato 27aprile proseguiranno le celebrazioni per l’anniversario della liberazione con uno spettacolo che andrà in scena al teatro Gobetti alle 15, dal titolo “Un Gramsci mai visto”. A partire dal libro “Gramsci una nuova biografia”di Angelo d’Orsi l’autore ha deciso di far conoscere quella vita in forma teatrale, con un Gramsci che si racconta in prima persona.

L’appassionata narrazione della sua vita, nella forma di sette monologhi concatenati, dialoga con momenti di musica e canti popolari di lotta e di lavoro, tratti dalla tradizione orale operaia e contadina coeva a Gramsci. Lo spettacolo, organizzato dalla fondazione per la Cultura Torino in collaborazione con il teatro Stabile di Torino, è a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria dal 22 aprile al sito www.fpct.it

“La memoria è fondamentale- spiega il sindaco Stefano Lo Russo- su di essa si fonda la costruzione di un domani migliore. Oggi, mentre ci accostiamo al ricordo di drammatiche pagine della storia, dobbiamo farlo con ancora maggiore consapevolezza anche per evitare di ricadere negli stessi errori. Il 27 gennaio ricordiamo milioni di vittime Innocenti e di vite spezzate e lo facciamo per un senso di doveroso rispetto verso il loro sacrificio, per il nostro futuro e, ancor più importante, per quello delle generazioni che verranno. Un ringraziamento al comitato resistenza e costituzione e ai partner istituzionali che hanno collaborato per rendere possibile questo ricco calendario di appuntamenti, cui invito tutti i torinesi e le torinesi a prendere parte”.

Mara Martellotta

Gaza e la Crociata della pace

Quando la diplomazia vinse nel Vicino Oriente dove oggi si combatte duramente. Accadde tanto tempo fa ma è passata alla storia come una “Crociata pacifica ” svoltasi in Terra Santa nella prima metà del Duecento, durante la VI Crociata, senza spargimento di sangue e comandata da un sovrano che amava l’Italia. Parlare di pace in Medio Oriente e soprattutto tra Israele e i palestinesi è quasi impossibile. La Terra Santa di ebrei, cristiani e musulmani è senza pace da duemila anni. Le Crociate hanno diffuso odio tra i popoli e anche gli ultimi secoli hanno visto conflitti alternati a brevi periodi di armonia e convivenza.
Una nuova guerra, senz’altro non l’ultima, insanguina oggi il Levante mediterraneo e viene spontaneo guardare al passato per cercare in quelle terre insanguinate e tormentate periodi di pace. È impresa ardua individuare fasi storiche di non violenza, eppure un momento c’è stato anche se molto lontano. La guerra tra Israele e Gaza in Palestina può farci ricordare un personaggio molto potente del passato che riprese la Terra Santa con le armi della diplomazia, senza combattere. Federico II di Svevia (1194-1250), imperatore svevo-normanno, nato e morto in Italia, guidò tra il 1228 e il 1229 una crociata straordinaria, unica ed insolita per diversi aspetti. Un lungo e dettagliato racconto di quella temeraria avventura in terra d’Oriente lo troviamo nel libro “Federico II e la crociata della pace” (Carocci editore) di Fulvio Delle Donne, scrittore e docente di letteratura latina medievale e umanistica all’Università della Basilicata. Non ci fu nessun combattimento, nessuna vittima o ferito, ma un accordo diplomatico tra l’imperatore e il sultano d’Egitto, al Malik al Kamil. Un’intesa geniale con gli infedeli. Incredibile a dirsi ma fu proprio così: per dieci anni Gerusalemme e la Terra Santa tornarono ai cristiani che poterono così entrare a pregare nel Santo Sepolcro. Ai musulmani, che avevano conquistato Gerusalemme 42 anni prima, e agli ebrei fu consentito di svolgere liberamente i loro culti. Fu un grande successo per l’imperatore nonostante fosse stato scomunicato dal Papa perché non aveva intrapreso la spedizione militare nelle terre d’Oltremare già promessa al Pontefice. Federico II, lo Stupor Mundi, sostenne che quanto era accaduto in Terra Santa era il risultato di un miracolo e che c’era una sua investitura diretta da parte di Dio. In realtà, spiega Fulvio Delle Donne, né l’imperatore né il sultano nel Duecento erano pacifisti o tolleranti ma erano diversi decenni che un sovrano europeo non si recava nella Città Santa. Fu una “Crociata di pace”, eccezionale e affascinante come il personaggio che l’ha compiuta. Fu un viaggio molto lungo, da Brindisi ad Acri, passando per Creta, Rodi e Cipro: ci vollero almeno due mesi per arrivare sulle coste mediterranee, soste comprese, alcune delle quali durarono diversi giorni. Salparono per la Palestina decine di galee da guerra, quaranta o forse settanta, con 3000 fanti e 300 cavalieri ma non ci furono né battaglie né morti, contrariamente a quanto era avvenuto pochi anni prima, a Damietta in Egitto nel 1221, dove i crociati avevano deciso di sbarcare per poi risalire verso Gerusalemme e che si concluse con una disfatta e il ritiro dell’esercito cristiano con gravi perdite. Nel 1239, appena finita la tregua, i crociati europei ripartirono per la Terra Santa ma furono sconfitti. Nel 1244 Gerusalemme tornò sotto il dominio dei musulmani. Il libro di Delle Donne ha il merito non solo di narrare questa singolare crociata ma anche di guardare alle tante guerre che si potrebbero evitare se l’arte della diplomazia avesse la meglio sull’uso delle armi. Nel capitolo conclusivo del libro lo storico del Medioevo fa riferimento alle guerre e alle tensioni internazionali che hanno cambiato il mondo nella prima parte del XXI secolo, dall’attacco alle Torri Gemelle l’11 settembre 2001 al terrorismo islamico dell’Isis, dall’Afghanistan alla Siria, dall’Iraq alla Libia “per ricondurre quella crociata pacifica di 800 anni fa alla memoria della nostra contemporaneità carica di tensioni e di scontri tra religioni e civiltà. Un modo per contribuire a comprendere il presente attraverso lo studio del passato e viceversa”.
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Filippo Re
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nelle foto:
Federico II e la Crociata della pace”, Fulvio Delle Donne, Carocci editore
Federico II incontra il sultano d’Egitto Malik al Kamil alle porte di Gerusalemme

Garibaldi nel basso e medio Monferrato

Il ruolo di due donne importanti di fine ‘800: Francesca Armosino in Garibaldi e Giuseppina Sannazzaro in De Maistre

Armano Luigi Gozzano ripercorre il passaggio casalese del generale all’inizio della II° guerra d’indipendenza e nel luogo d’origine astigiano della terza moglie. La via centrale di Casale che da piazza castello conduce alla chiesa di S. Ilario fu intitolata a Garibaldi e a ricordo fu installata una lapide marmorea sul palazzo al numero 45 che in passato era proprietà dei Billioni, signori di Viarigi e Terranova. Il loro casato é raffigurato dagli stemmi applicati a pastiglia sui pannelli del portone d’ingresso.
Il palazzo passò in comproprietà al conte Placido De Maistre (1751-1814) infeudato nel 1780 di Castelgrana di Mirabello, capitano del corpo reale degli ingegneri di Torino, fratellastro di Barnaba (1744-1812) procuratore generale di Torino nel 1779. Originari di Nizza in Provenza, i De Maistre (Meystre) discendevano da una famiglia di magistrati. Il loro padre Giovanni Francesco
(1698-1760) conte di Caraz in Savoia era presidente della regia camera dei conti di Torino nel 1756, procuratore generale negli anni 1730-1760 di Carlo Emanuele III° e giurista ed economista del ministero G.B.L. Bogino durante il regno sardo-piemontese.  Favorì molto l’assunzione del cugino di 1° grado Francois – Xavier De Maistre (1705- 1789) come avvocato fiscale a Nizza, in seguito senatore e presidente del senato nel 1764 a Chambéry, padre del famoso Xavier (1763-1852) generale, pittore e scrittore diplomato all’accademia Albertina, autore del famoso “viaggio attorno alla mia camera” pubblicato a Torino nel 1794. Anne Constance, figlia del filosofo Giuseppe governatore di Sardegna e ambasciatore per i Savoia presso lo zar a S. Pietroburgo, ereditò dal marito duca Laval la villa del ‘700 a Borgo Cornalese di Villastellone. Lo stemma di questo comune reca le calendule dorate simbolo dei De Maistre, famiglia sussistente della nobiltà sabauda.
All’arrivo di Garibaldi a Casale, il palazzo  apparteneva a Giovanni De Maistre (1813-1876) componente della guardia d’onore reale, figlio del conte Luigi (1781-1852) riformatore delle scuole nel 1822, decurione e direttore dell’ospedale S. Spirito di Casale e di Giuseppina Gozzani di Luigi Gaetano marchese di Treville e Odalengo. Giovanni era sposato con Giuseppina Sannazzaro (*1812 Casale +1886 Torino in S. Francesco) figlia di Giovanni Battista conte di Giarole e di Giulia Callori contessa di Vignale. In vista dell’imminente pericolo austriaco, il re Vittorio Emanuele II° sistemato con il comando di stato maggiore a S. Salvatore, invitò Garibaldi di portarsi in città, lasciando una compagnia a protezione del porto di Pontestura, proprietà dal 1850 al 1861 di Felice Carlo Gozzani marchese di San Giorgio. In seguito il Gozzani ospitò il re Vittorio nel proprio palazzo S.Giorgio Gozzani, ora municipio di Casale, per meglio controllare la situazione. I De Maistre ospitarono il generale nella loro dimora casalese il giorno 3-5-1859, si pensa per la loro origine nizzarda.
Nonostante fosse costretto a letto per un forte dolore alla schiena, consigliato dal dott. Agostino Bertani chirurgo del corpo dei volontari, Garibaldi ripartì alle 4 del mattino del giorno 6-5-1859 verso Terranova con i  Cacciatori delle Alpi per presidiare la testa di ponte sul fiume Sesia. Malgrado la differenza di idee politiche, il generale rimase molto colpito dalla cortesia e ospitalità dei coniugi e con una lettera esposta nel 2009 nell’archivio di stato di Torino ringraziò la contessa. I De Maistre abitarono a Torino al n. 21 di via Po. Nel 1836 la contessa fu ammessa a corte. In seguito abitarono a  Cereseto nella grande villa barocca del ‘700 acquistata dal cugino Giuseppe Ricci 4° marchese di Cereseto, marito di Teresa Visconti di Luigi Emanuele conte di Ozzano e Giuseppina Gozzani di Giovanni Battista marchese di San Giorgio. La villa fu venduta da Giovanni De Maistre insieme al castello di Motta dei Conti e all’intero patrimonio, poi riscattati dalla moglie Giuseppina che passò la vita a pagare i debiti del marito. Ultimo discendente della nobile casata di Giarole é il conte Giuseppe Sannazzaro (*1962 Genova)
figlio di Ranieri e Maria Luisa dell’armatore genovese Alberto Ravano.
Le palazzine e il terreno circostante al castello di Giarole erano proprietà di Giuseppina Gozzani marchesa di Treville, suocera della contessa Sannazzaro. La dimora di Casale venne ereditata dalla figlia Giulia De Maistre (1835-1901) moglie del  cav. Giuseppe Lovera dei marchesi di Marie nella contea di Nizza (Alpi marittime), futuro vice ammiraglio. Alle ore 11.40 del giorno
23-10-1880 l’eroe dei due mondi giunse in treno alla stazione di S. Damiano D’Asti e alle ore 14 alla borgata Saracchi di Antignano per conoscere i familiari della terza moglie Francesca Armosino. Erano  accompagnati dai loro figli Clelia e Manlio unitamente a Teresita, figlia di Anita, con Stefano Canzio e il loro figlioletto. Il generale, ormai malato, era adagiato sul solito lettino e venne portato su una grande carrozza trainata da due cavalli. Al seguito altre carrozze con diverse autorità si diressero verso S. Martino al Tanaro attraversando il nuovo ponte sul torrente Borbore, inaugurato  dal passaggio dell’illustre ospite, in seguito detto ponte Garibaldi. Alla borgata Saracchi Garibaldi fu accolto da festeggiamenti con  musiche, archi trionfali, applausi, spari di mortaretti e bandiere. Pranzò nella villa Armosino da lui stesso fatta costruire ai cognati, poi detta palazzo Garibaldi, dove soggiornò fino al 1° novembre 1880. Grazie alla volontà del generale, la borgata fu staccata dal comune di Antignano e annessa al comune di S. Martino al Tanaro, ora Alfieri,
con decreto del re Umberto.
Francesca Armosino (*1848 Perosini di Antignano +1923 Caprera) discendeva da una nobile famiglia armena emigrata in Italia per sfuggire alle persecuzioni dei turchi contro i cristiani. Si trasferì a Caprera nel 1865 per diventare la balia di Teresita, primogenita di Garibaldi. Nonostante la differenza di età (58 lui e 17 lei) ebbero tre figli: Clelia, Rosa e Manlio tutti nati a Caprera prima del loro matrimonio avvenuto nello stesso anno 1880. Francesca fu sepolta accanto al marito e ai figli Rosa e Manlio. Antonella Armosino (*1960) discendente dai parenti di Francesca é creatrice di originali presepi natalizi. Utilizza fiammiferi, iuta, cera d’api e bottiglie di vetro ricoperte di creta. Unica rappresentante del Piemonte ad esporre il presepio in Vaticano per il S.S. Natale 2019, espone costantemente dal 2010 nella basilica Maria Ausiliatrice di Torino, santuario voluto da Don Bosco. Per il S.S. Natale 2021, su richiesta dell’antropologo astigiano Piercarlo Grimaldi, ha presentato a Cocconato il nuovo lavoro sul 4° re magio, ispirato dalle ricerche del drammaturgo astigiano Luciano Nattino. Il prozio paterno di Antonella fu chiamato Manlio, figlioccio della antenata Francesca, la quale trovò occupazione ai propri familiari come giardinieri e nelle scuderie di Caprera. Un componente monferrino dei mille garibaldini fu Giuseppe Moscheni (1836-1904) antenato dei proprietari della tenuta Gambarello di Mombello.
Giuliana Romano Bussola

Il Museo della Montagna di Torino fa 150 … e guarda al “nuovo futuro”

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Innovazione, inclusione, ecologia e trasformazione digitale: i buoni propositi per il 2024

Riavvolgiamo ben bene il nastro del tempo. Era il 9 agosto del 1874, una domenica, quando sul Monte dei Cappuccini di Torino si inaugurava, in accordo e su proposta della locale Sezione del “CAI”, la “Vedetta Alpina”, una piccola “edicola” dotata di cannocchiale attraverso cui osservare 450 chilometri dell’arco alpino. Era l’inizio di una lunga, gloriosa storia, durante la quale, negli anni, la piccola “Vedetta” si arricchì via via di sempre nuove collezioni dando vita al primo nucleo museale, progressivamente ampliatosi nel tempo. Fino ad arrivare all’attuale “Museo Nazionale della Montagna”, titolato dal “CAI” al suo presidente onorario Luigi Amedeo di Savoia – Aosta (il “Duca degli Abruzzi”, terzogenito di Amedeo d’Aosta e nipote di Vittorio Emanuele II, internazionalmente considerato fra i più grandi protagonisti dell’alpinismo europeo e fra i precursori delle sfide estreme alle vette extraeuropee) e oggi “polo culturale” di altissimo prestigio a livello internazionale dedicato alla montagna e articolato in tre strutture separate ma complementari, rivolte alle esposizioni temporanee e permanenti, alla documentazione e agli incontri. Da quel lontano agosto del 1874, con quella solitaria “Vedetta Alpina” sui “Cappuccini”, tant’acqua è passata sotto i ponti. In termini di anni, ben 150! Nel 2024 il “MuseoMontagna” festeggia, infatti, il suo Centocinquantenario con un ricco palinsesto multidisciplinare incentrato sul tema del “cammino”. Del guardare in avanti, al passo coi tempi. Fra i primi obiettivi in calendario, la “trasformazione digitale”, con la realizzazione, grazie al contributo della “Fondazione Compagnia di San Paolo” dei nuovi contenuti multimediali per la visita della Collezione permanente. Parallelamente sarà condotta una nuova “campagna di digitalizzazione e schedatura” della “Fototeca” del “Centro Documentazione del Museo”, affiancata, nel prossimo mese di marzo, all’inaugurazione di una “nuova sezione permanente” dedicata al K2, in occasione del 70° anniversario della spedizione italiana che per prima ne raggiunse la vetta nel 1954, patrocinata dal “Club Alpino Italiano” e dal “Ministero della Difesa”, e i cui archivi sono conservati dal “Centro Documentazione” del Museo. Fondamentale resterà il tema della“sostenibilità ambientale” , in coerenza con l’“Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU” e con il “Programma Sostenibilità” avviato nel 2018 dal Museo subalpino, in particolare attraverso il progetto Stay with Me” e la mostra “A Walking Mountain”, che inaugurerà durante la “Torino Art Week 2024”.

Su questa linea, il “MuseoMontagna”intende affermarsi sempre più come punto di riferimento nello scenario globale legato alla cultura delle “terre alte”, ospitando lunedì 6 maggio anche  le assemblee annuali delle due “associazioni di settore” che qui hanno sede e coordinamento: l’“IAMF – International Alliance for Mountain Film”” e l’“IMMA – International Mountain Museums Alliance”.

“Sarà un anno speciale per il Museo Nazionale della Montagna di Torino – affermano il presidente Mario Montalcini e la direttrice Daniela BertaSiamo fieri di presentare un calendario ricco di novità e iniziative per rendere la nostra istituzione in grado di affrontare i grandi temi dell’attualità attraverso linguaggi contemporanei ed eredità storiche inestimabili.

Di grande interesse, anche il programma delle mostre in calendario.

Il via, con “Le ossa della terra. Primo Levi e la montagna” (dal 26 gennaio al 13 ottobre), presentata in occasione del “Giorno della Memoria 2024” e incentrata sulla figura del grande “cantore della Shoah” e sul suo intenso rapporto con la montagna.

A seguire “Stay with Me. A Whole Growing Exhibition” (fino al 31 marzo), rassegna in divenire che vedrà il coinvolgimento di figure creative, anche a livello internazionale, ed istituzioni storiche come l’“Accademia Albertina di Belle Arti”.

A partire sempre dal mese di marzo “K2. Nuova esposizione permanente nel 70° anniversario della spedizione italiana”, mentre da aprile a ottobre sarà la volta di “Alberto di Fabio. Montagne primordiali”, con una selezione di opere pittoriche e su carta dell’ artista abruzzese, alcune delle quali mai esposte.

In chiusura, un progetto artistico inedito del Collettivo “Mali Weil”, piattaforma artistica operante (fra Italia e Germania) su progetti di “estetica temporary” a tema “sostenibilità ambientale” e, dal 29 ottobre al 30 aprile 2025, la mostra di chiusura “A Walking Mountain”, che vedrà dialogare fra loro i lavori di artisti contemporanei e le Collezioni storiche del Museo sulla pratica del “cammino in montagna” e della “Walking Art”.

E non mancheranno installazioni temporanee open air sulla “Terrazza panoramica”, una ricca offerta di attività educational, collaborazioni e scambi con altri enti del territorio e internazionali, rassegne letterarie in collaborazione con la “Biblioteca Nazionale CAI” e almeno due mostre ideate e prodotte dal Museo e presentate in altre sedi: “Rock The Mountain! La montagna nell’iconografia della musica pop” presso la “Casa Alpina” di Ceresole Reale e “The Mountain Touch” al “MUSE- Museo delle Scienze di Trento”.

Per ulteriori info: “Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi”, P.le Monte  dei Cappuccini 7, Torino; tel. 0116604104 o www.museomontagna.org

g.m.

Dal Monferrato alla Valstrona e alla Real Casa torinese

Facino, figlio di Emanuele Cane proconsole di Casale Monferrato nel 1387 proveniente dalla Val Polcevera genovese, era al servizio dei duchi di Milano Giovanni Maria e Gian Galeazzo Visconti.

Signore di Cuccaro, Ottiglio, Gavi, Borgo San Martino, Biandrate e Novara sposò in prime nozze Beatrice Lascaris nel 1398. Duchessa di Milano, contessa di Tenda, signora di Casale Monferrato, di Abbiategrasso e Binasco, Beatrice in realtà era figlia del condottiero casalese Roggero al servizio del cugino Facino il quale, dopo le famose imprese nell’Italia settentrionale, fu costretto a ritirarsi nel castello di Pavia dove morì nel 1412. Lasciò l’immenso patrimonio di 400000 ducati e il forte esercito alla moglie con clausola di risposarsi con Filippo Maria, figlio di Gian Galeazzo e Caterina Visconti, favorendone la successione al ducato di Milano. Per il troppo potere acquisito o per sottrarle i beni, Beatrice fu accusata ingiustamente di adulterio e decapitata nel castello di Binasco con il presunto amante nel 1418, ricordata sulla lapide posta all’ingresso del maniero. La tragedia lirica dell’eroina romantica, donna, sposa e vittima sacrificale musicata da Vincenzo Bellini su libretto del genovese Felice Romani che aveva debuttato nel 1833 con scarso successo alla Fenice di Venezia, fu utilizzata nel 1840 per l’inaugurazione del teatro dei nobili di Casale, società dei 16 cavalieri che aveva ricostruito il teatro cittadino su disegno dell’abate spoletino Vitoli, inaugurato nel 1791 con l’opera buffa “la moglie capricciosa”, mediocre rappresentazione del napoletano Vincenzo Fabrizi. Della società facevano parte il conte Alberico Pico Gonzaga, marchese Giuseppe Della Valle, conte Ottavio Magnocavallo e i marchesi Gozzani Giovanni Battista di San Giorgio e Luigi Gaetano di Treville. Per i 600 anni dalla morte di Beatrice, l’opera in forma di concerto fu rappresentata nel 2019 a Milano, Abbiategrasso, Binasco, Tenda e  Casale con la partecipazione della compagnia del Passo Antico di Binasco e del Casale Coro.
Giovanni Cane, discendente di Facino, acquistò il feudo della Torre di Monromeo di Serralunga di Crea da Giovanni Battista Forni e ne fu investito nel 1553. Il Forni ne era stato investito dalla marchesa Anna d’Alencon nel 1538. Alla morte di Giovanni Battista, figlio di Giovanni, il feudo fu ereditato da Fabio Cane conte palatino, investito per procura nel 1575. Dalla moglie Ginevra Sannazzaro dei conti di Giarole ebbe una figlia, Anna Vittoria Cane che portò in dote la contea di Monromeo al matrimonio con il medico Curzio Magnocavallo dei conti di Cuccaro e Varengo. Curzio fu vittima del tremendo fatto d’armi del 1662 avvenuto davanti al palazzo del governo a causa delle soventi liti tra antica e nuova nobiltà, con i sostenitori dei Mossi di Morano e Magnocavallo da una parte e degli Ardizzone e Scarampi dall’altra. Alessandro e Giacomo Sannazzaro, sostenitori degli Ardizzone, ferirono a morte Curzio. Messi al bando, furono mandati in esilio dal duca Carlo II° Gonzaga-Nevers.
Ne fu coinvolto anche il 10° conte di Camino Geronimo Scarampi, poi perdonato dalla vedova Anna Vittoria, il quale cedette nel 1691 il feudo di Pontestura ai marchesi Gozzani di Treville Carlo Antonio vescovo di Acqui, Giacomo Bartolomeo vice presidente del senato monferrino, Giovanni Battista vicario generale di Casale e  Antonino di San Giorgio. Nel 1684 il feudo di Monromeo era stato acquistato con un prestito di 4200 fiorini depositato alla comunità di Serralunga di Crea tramite il tenente Cerrano al servizio dei Gonzaga, rogato dal notaio Giacomo Porta suocero del ricco cugino Francesco Gozzano di Cereseto. La proprietà passò a Francesco Bernardino Gozzano, genero di Francesco Perracino procuratore di Giacomo Bartolomeo. Bernardino, figlio del notaio casalese Antonio, fu l’ultimo della famiglia che si trasferì in Monferrato cedendo la casa padronale al comune di Luzzogno come da atto rogato dal notaio Albergante di Omegna nel 1709. La pronipote contessa Teresa Gozzani, figlia di Giovanni Battista e della contessa Petronilla Callori di Vignale, fu l’ultima residente della famiglia a Monromeo.
Cugini dei più famosi marchesi, utilizzarono il loro stemma ancora oggi visibile sul banco di preghiera nel duomo di Casale e infeudati di Ponzano dai Savoia per meriti militari. Molti anni dopo altri discendenti dei Gozzani  tramandarono le antiche storie di famiglia tramite i matrimoni con Isabella di Giulio Cesare Lascaris presidente del senato monferrino e conte di Castellar di Ventimiglia, con Giacinto Magnocavallo dei conti di Varengo e con Giuseppina Sannazzaro dei conti di Giarole.
Una linea monferrina dei Cane fu costretta nel 1358 a lasciare la loro terra perché vessati dalle angherie del marchese del Monferrato e si rifugiarono nella Valle Anzasca, dove intrapresero l’attività di cercatori d’oro. Ormai ricchissimi, furono scacciati perché considerati stranieri, sfruttatori e prepotenti. Discesi dal monte Massone, giunsero nel 1425 a Chesio nel comune di Strona come Luzzogno, luogo di origine dei conti Gozzano. Durante la nuova attività pastorizia scoprirono un filone di materiale ferroso in località Frera sull’Alpe Loccia e si associarono alla ricca famiglia Gianoli di Chesio proprietari dell’Alpe per l’estrazione del ferro, delimitando l’ambito minerario con le loro iniziali scolpite sulla roccia. Esaurita la miniera, la società Cane-Gianoli si trasferì in Valchiusella di Ivrea a fine 1600 dove attivarono una fonderia di ferro, alimentando così il grande negozio di ferramenta a Torino e diventando fornitori del principe Amedeo di Savoia con brevetto del 1715.
Una ipotetica immagine di Facino Cane si trova nel castello di Masino nel Canavese, olio su tela di pittore anonimo del XVII° secolo. Una antica fusione in bronzo, custodita da molte generazioni nella propria casa di Luzzogno da Pietro Cane (*1939) discendente dai cercatori d’oro emigrati dal Monferrato, rappresenta una significativa e inedita immagine di Facino Cane.
Armano Luigi Gozzano