Vezzolano tra fede, storia e atmosfera
E quando si potrà….una gita anche a Vezzolano e alla sua Abbazia, a poca distanza dalla collina torinese. La chiesa di Santa Maria di Vezzolano merita più di una sosta anche se in questi tempi bui e drammatici è sbarrata come tutti gli altri siti storici
La Canonica di Vezzolano, che chiamiamo solitamente Abbazia per l’atmosfera medioevale e misteriosa che si respira quando si entra o si passeggia nei dintorni sorge nel Comune di Albugnano, nel basso monferrato astigiano. In realtà non è mai stata un’abbazia.
Per farla breve, arrivati a Castelnuovo don Bosco da Chieri, si sale verso Albugnano e si vira a sinistra scendendo per un chilometro in una piccola conca dove si staglia l’abbazia, splendido gioiello del Romanico astigiano, circondata da boschi, vigne, leggende, verdi colline, sentieri per escursionisti e da un favoloso panorama che guarda verso Superga, l’imbocco della Val Susa e naturalmente l’onnipresente Monviso. Una suggestiva leggenda è legata alla figura di Carlo Magno. Un giorno dell’anno 773 l’imperatore stava cacciando nei boschi intorno a Vezzolano. D’improvviso gli apparvero di fronte tre scheletri usciti dalla tomba. La paura fu tale che cadde da cavallo, un eremita lo aiutò a riprendersi e lo invitò a pregare Maria Vergine. A quel punto Carlo Magno decise di costruire proprio in quel luogo una grande chiesa. La leggenda del re Franco fu ben sfruttata da un canonico di Vezzolano nel Settecento per raccogliere fondi dai nobili della zona e ristrutturare l’Abbazia decadente. Ma la notizia di questi giorni è straordinaria: il 2019 è stato un anno record per l’Abbazia visitata da quasi 50.000 turisti. Un anno eccezionale che conferma l’interesse crescente dei visitatori per il Romanico, dai monumenti alle chiese, dalle cappelle votive ai castelli. Tutti pazzi per il Romanico astigiano, si direbbe, che conquista sempre più gente e individua nella storica Abbazia il pezzo più pregiato. Secondo l’associazione culturale “In.Collina”, lo scorso anno i visitatori, italiani e stranieri, che hanno apprezzato i monumenti del Romanico astigiano sono stati 46.000, diecimila in più di due anni fa. Un prezioso patrimonio artistico che resta aperto, anche d’inverno, grazie all’impegno di decine di volontari dell’associazione astigiana. L’Abbazia è aperta sei giorni su sette per nove mesi su dodici e i fine settimana nel periodo autunno-inverno. Eretta nel 1095, mentre in Europa ci si preparava alle Crociate, è uno dei principali monumenti romanici medioevali del Piemonte. Quasi mille anni fa sorse come Canonica dell’Ordine di Sant’Agostino e il primo documento a noi noto è l’atto di investimento del 17 febbraio 1095. La chiesa è dedicata allaVergine Maria al cui culto erano dedite le canoniche di Sant’Agostino e molto ricca è l’iconografia mariana conservata nel complesso. L’interno con la sua architettura romanico-gotica è composto da due navate, centrale e sinistra mentre la navata a destra è stata inglobata nel bellissimo chiostro abbellito da numerosi affreschi del Trecento. Di particolare pregio il pontile che suddivide la navata centrale, realizzato in arenaria grigia monferrina, su cui sono raffigurati i Patriarchi e le Storie della Vergine. Nel giardino antistante si può anche ammirare il meleto dell’abbazia in cui si recuperano antiche varietà di mele. Il sito dell’associazione culturale informa che, a causa dell’emergenza virus, la Canonica di Vezzolano rimarrà chiusa fino al 3 aprile.
Filippo Re
Cosa succedeva in città /ACCADDE A MARZO Era il 12 marzo del 1955 quando innanzi al parcheggio di Palazzo Madama, Torino vide per la prima volta la “Seicento”. Duecento macchine del modello della Seicento, attraversarono il centro della città sotto la pioggia, tra migliaia di persone che al loro passaggio la rimirarono con affettuosa compiacenza. La città festeggiò a cuore aperto il nuovo modello FIAT e quando le duecento vetture si fermarono sotto Palazzo Madama, i piloti diedero la possibilità ai cittadini di ammirarle da vicino e di salire al loro interno.
Il 2 marzo 1963 morì dopo quasi un mese di agonia dovuto ad una trombosi fulminea che lo aveva colpito il 5 febbraio, Felice Casorati, uno dei maggiori maestri dell’arte italiana che unì il mistero della sua pittura al rigore architettonico di Torino. Il lutto assunse una gravità e una sensibilità particolari nel cerchio di Torino, dove nei precedenti quarant’anni la sua attività nello studio di via Mazzini 52, fu un elemento incalzante ed uno sprone che contribuì a far scorrere più rapido ed intenso il flusso delle iniziative. Torino, dove arrivò sulla soglia della maturità (1918) divenne la “sua città”. L’atmosfera velata, la luce e la struttura urbanistica del capoluogo piemontese, furono il fulcro delle composizioni “casoratiane”. Casorati trovò in Torino, una città dove la tradizione di aristocratica discrezione e di nobile riserbo si scontrava con le esigenze di una sempre più numerosa e sviluppata società proletaria, un luogo fertile per la sua arte e la sua formazione. Nello studio di via Mazzini 52 (dove esalò il suo ultimo respiro) ed il giardino ombreggiato di Pavarolo, sulle colline dietro Superga, furono composte molte opere tra cui si ricordano : “Silvana Cenni” , “Lo studio”, “Natura morta”.
Sempre nel 63′, più precisamente il 27 marzo 1963, Torino diede il via ufficialmente ai lavori per il nuovo palazzo delle Faccoltà Umanistiche, sede che poi avrebbe preso il nome da tutti conosciuto di Palazzo Nuovo. Furono presenti il Rettore dell’Università, il presidente della Provincia prof. Grosso e l’assessore professoressa Tettamanzi. Dopo la benedizione del vescovo ausiliare monsignor Bottino, i muratori effettuarono la prima colata di cemento iniziando così la realizzazione del palazzo che avrebbe ospitato Giurisprudenza, Lettere e Magistero.
Il 2 marzo 1970 una tragica morte impressionò le cronache della città. Una ragazza di 15 anni rimase uccisa, mentre aspettava il pullman in Corso Casale, negli spari avvenuti tra la polizia e alcuni ladri d’auto. La giovane stava aspettando l’autobus 61 per raggiungere la madre in piazza Vittorio, quando un’auto con a bordo i malviventi sfrecciò davanti a lei inseguita dalla radiomobile della polizia. La sparatoria tra le due auto esplose all’improvviso ed un proiettile raggiunse la ragazzina al fianco, colpendo e purtroppo recidendo l’arteria femorale. Morì dissanguata alcune ore più tardi dopo essere stata portata d’urgenza alle Molinette.
Simona Pili Stella
Festa della donna all’insegna dell’arte
Domenica 8 marzo 2020. Ingresso gratuito per tutte le donne alle collezioni permanenti dei musei della Fondazione Torino Musei e visite guidate a tema
Come ogni anno la Fondazione Torino Musei celebra la ricorrenza dell’8 marzo proponendo l’ingresso gratuito per tutte le donne alle collezioni permanenti della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, del MAO Museo d’Arte Orientale e di Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica.
In ottemperanza al decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2020, al fine di adottare cautela e prudenza gli ingressi saranno contingentati, in modo da evitare assembramenti di persone.
Raccomandiamo a tutti i visitatori di rispettare le misure di sicurezza consigliate dal Ministero della Salute.
Dall’offerta sono escluse le mostre temporanee con biglietteria separata.
Info: www.fondazionetorinomusei.it
Per l’occasione ciascun museo offre anche visite guidate tematiche, a cura di Theatrum Sabaudiae, sempre nel rispetto delle misure di distanza tra gli utenti (massimo 15 partecipanti per gruppo):
GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
DONNA È MUSA – ore 15
Attraverso l’analisi di alcune opere delle collezioni permanenti del museo si evidenzierà quanta importanza ha avuto nell’arte la figura della donna e come abbia sempre ricoperto un ruolo fondamentale, sia come ispiratrice di grandi opere, sia come fautrice di capolavori. Per l’occasione si potranno ammirare opere di Amedeo Modigliani, Pino Pascali e Marina Abramovic.
Costo: € 6 – per tutte le donne biglietto di ingresso al museo gratuito.
Informazioni e prenotazioni: 011 5211788 prenotazioniftm@arteintorino.com
LE DONNE DI NEWTON – ore 16.30
In occasione della festa dedicata alle donne la visita guidata alla mostra permetterà non solo di illustrare la carriera del grande fotografo, partendo dalle opere degli anni Sessanta, ma di approfondire il suo rapporto con il mondo femminile, spesso protagonista di scatti che hanno fatto scalpore per i concetti visivi proposti, a cui si aggiungono indimenticabili ritratti di grandi icone femminili del cinema e della moda quali Catherine Deneuve e Claudia Schiffer.
Costo: € 7,50 comprensivo di radioguida (+ biglietto di ingresso alla mostra – gratuito per i possessori di Abbonamento Musei)
Per coloro che aderiranno ai due percorsi costo visita € 12 (+ biglietti di ingresso secondo regolamento museale)
Informazioni e prenotazioni: 011 5211788 prenotazioniftm@arteintorino.com
Palazzo Madama – ore 15
UNA RESIDENZA TUTTA AL FEMMINILE
Visita guidata a tema nelle collezioni permanenti
L’itinerario della visita è dedicato alle due donne che abitarono Palazzo Madama: Cristina di Francia e Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, duchesse di casa Savoia.
Le due Madame Reali, che assunsero la reggenza per i propri figli minorenni, esercitarono il loro potere declinato al femminile per affermare e difendere il proprio ruolo e l’autonomia dello Stato sabaudo. A loro si devono le trasformazioni dell’edificio da castello medievale in una delle residenze reali più “alla moda”. Il percorso illustra il carattere e il gusto delle due donne attraverso i lavori architettonici commissionati e le scelte decorative per le stanze del primo piano.
Costo: € 6 – biglietto di ingresso gratuito per le donne.
Info e prenotazioni: 011 5211788 prenotazioniftm@arteintorino.com
MAO Museo d’Arte Orientale – ore 15
IL FEMMINILE TRA CIELO E TERRA. La donna nelle collezioni del MAO
Visita tematica alle Gallerie dell’Asia Meridionale, della Regione Himalayana e dei Paesi islamici
In occasione della festa della donna, il MAO dedica il consueto itinerario di visita a una selezione di opere che illustrano diversi significati del femminile nella produzione artistica delle culture orientali rappresentate in alcune gallerie della collezione permanente. Partendo dall’Asia Meridionale e della Regione Himalayana sarà presa in esame la donna come Dea rispettivamente legata alla religione induista e al buddhismo tibetano. Nella galleria dei Paesi islamici dell’Asia, attraverso una selezione di opere, verrà illustrata la rappresentazione di figure femminili su ceramiche e piastrelle.
Costo: € 6 – biglietto di ingresso al museo gratuito per le donne
informazioni e prenotazioni: 011 5211788 prenotazioniftm@arteintorino.com
(foto Mario Alesina)
Conoscere Pannunzio centodieci anni dopo
Di Pier Franco Quaglieni / Mario Pannunzio, nato a Lucca nel 1910, centodieci anni fa, attende ancora il suo storico, malgrado sia stato negli anni oggetto di studi e ricordi più o meno importanti. Alcuni di quelli che si sono occupati di Pannunzio erano mossi più dall’intento di celebrare sé stessi come suoi eredi e continuatori che da quello di riflettere con il necessario distacco sul direttore di “Risorgimento liberale”(spesso trascurato) e del “Mondo”, la rivista culturale italiana più importante del secondo dopoguerra
.
Pannunzio ha lasciato poco di scritto e quasi sempre ha ispirato altri, limitandosi a fare il giornale. Sul “Mondo” non ci sono articoli a sua firma e il piccolo saggio su Tocqueville, risalente al ‘42, è una testimonianza di poco conto. Molti sono invece i suoi articoli prima della guerra pubblicati sull’ “Omnibus “ di Longanesi e su “Oggi” che fondò e diresse insieme ad Arrigo Benedetti. Se escludiamo gli studi di Carla Sodini, nessuno si è occupato delle radici lucchesi, umane ed intellettuali, limitandosi ad analizzare il periodo romano, certamente il più importante, dagli anni universitari alla morte.
Nel 2010 il centenario della sua nascita fu l’occasione per tante iniziative promosse prevalentemente dal Centro “Pannunzio” di Torino in tutta Italia che registrarono un vasto interesse. Fu possibile dare una lettura della sua opera,evidenziando il significato liberale del suo impegno.
I Centodieci anni dalla nascita possono essere l’occasione per tentare di ribadire alcuni punti fermi a livello storico:
*Pannunzio ha il merito, negli anni del più aggressivo anticrocianesimo, di aver considerato il magistero morale,filosofico e politico di Benedetto Croce un riferimento non negoziabile. Lo dimostrano le annate del “Mondo” e il Carteggio Croce- Pannunzio che curai nel 1998 e che alcuni hanno voluto curiosamente ignorare. Oggi che l’opera di Croce torna ad essere oggetto di studi, va sottolineato che Pannunzio non si allineò alla vulgata anticrociana.
*Pannunzio espresse una linea politica che potremmo definire antitotalitaria ed antiautoritaria ,vedendo nel nazifascismo e nel comunismo i due terribili mostri ideologici del ‘900.
*Pannunzio in anni nel quali la demonizzazione del Risorgimento, sull’onda di Gobetti e di Gramsci, era imperversante, assunse la “difesa del Risorgimento”, per citare un titolo di Omodeo, anticipando l’idea storiografica di Rosario Romeo, il biografo insuperato di Cavour.
*Ha torto Valerio Castronovo nel sostenere che nel “Mondo” ebbe prevalenza l’insegnamento di Salvemini perché la figura di Luigi Einaudi (di cui lo stesso Ernesto Rossi fu allievo in materia economica), oltre a quella di Croce, ebbe una particolare importanza per Pannunzio e per il suo giornale.
*Pannunzio fu sempre amico dello Stato di Israele,l’unica democrazia mediorientale, e nel 1967 si dichiarò durante la guerra arabo-israeliana dalla parte di Israele,mentre “L’espresso” parteggiò per Nasser e gli arabi.
*Pannunzio ebbe una concezione della politica mai disgiunta dalla cultura,ritenendo un politico incolto un semplice “faccendiere”. Una riflessione più che mai attuale oggi in Italia e non solo.
Nel 2010, d’intesa con il Comune di Roma e la Sovrintendenza, si sarebbe dovuto procedere ,per il centenario pannunziano, ad apporre nel palazzo di via Campo Marzio dove nacque “Il Mondo”una lapide il cui testo era stato già predisposto ed approvato. Fu il proprietario dell’edificio a non dare il consenso. I Centodieci anni dalla nascita sarebbero l’occasione per tributare il riconoscimento negato a Pannunzio che invece gli tributò la natia Lucca. Temo che i tempi dell’emergenza accantoneranno ogni ricordo e spiace che i tempi calamitosi che viviamo impediscano persino un’iniziativa del Centro “Pannunzio”, l’unico in Italia a lui intitolato, perché i tentativi di imitazione sono tutti naufragati miseramente, mentre il Centro vive da oltre cinquantedue anni.
Prenotazioni al via il 5 marzo per quasi 50 appuntamenti dell’edizione primaverile. Temi di questa edizione: il Barocco e la Valle d’Aosta.
Un appuntamento atteso, che ogni anno attiva centinaia di visitatori alla scoperta del territorio attraverso percorsi unici e originali. Tutto questo è Grand Tour, il programma poco meno di 50 itinerari guidati ideato e organizzato dall’Associazione Abbonamento Musei, per scoprire il Piemonte (e non solo) a piedi o in autobus.
Le prenotazioni partono giovedì 5 marzo; il primo itinerario sarà sabato 21 marzo, in coincidenza con l’arrivo della primavera.
Diverse le novità di questa edizione, a partire dall’organizzazione delle gite fuoriporta. Gli appuntamenti che necessitano di autobus infatti saranno realizzati da Linea Verde viaggi, già partner dell’Associazione e realtà professionista dell’organizzazione turistica. Grazie ai nuovi pullman, al sistema di microfonaggio e alle tante piccole e grandi migliorie apportate da questa collaborazione, gli utenti potranno vivere un’esperienza di visita ancora più confortevole.
Dal punto di vista del programma, sono due i filoni intorno a cui si sviluppa questa edizione di Grand Tour: il Barocco, tema dell’anno del Piemonte culturale, e la Valle d’Aosta, new entry nell’offerta di Abbonamento Musei.
IL BAROCCO
Diffuso su tutta la regione Piemonte, il Barocco si svelerà agli occhi dei visitatori con le sue straordinarie architetture, i preziosi arredi e dipinti conservati nelle chiese, negli oratori, in santuari e sinagoghe.
A Torino, si approfondiranno i lavori degli architetti barocchi per eccellenza, Filippo Juvarra, Guarino Guarini e Bernardo Vittone, visitando luoghi iconici della città come palazzo Reale, la Basilica di Superga, Villa della Regina e la Palazzina di Caccia di Stupinigi.
Sul territorio regionale si potrà accedere a palazzi nobiliari diffusi tra grandi città come Vercelli, Asti, Novara, e nei suggestivi borghi del Monferrato, nel Canavese e nelle vallate alpine del biellese. E ancora gli incantevoli scorci dei laghi d’Orta e Maggiore, con il fascino dei giardini dell’Isola Bella, di Cannero e Cannobio.
Tra le “chicche” di questa edizione troviamo la scoperta del “Bianco di Novi” la pregiatissima seta che nei secoli scorsi veniva prodotta nel novese (Seguendo un filo di seta tra San Cristoforo e Novi Ligure, 28 marzo); l’apertura speciale di Palazzo Bellini, sede storica della Banca Popolare di Novara, eccezionalmente visitabile al pubblico (percorso Barocco nel novarese, 16 maggio); il percorso nei luoghi barocchi del Lago Maggiore dove, a bordo di un catamarano solare, si costeggeranno gli isolotti con i leggendari Castelli di Cannero (XVI-XVII secolo) per arrivare a Cannobio (Verbano Barocco, 6 giugno); la visita alla cava del marmo a Frabosa, da cui Guarini estrasse il marmo per la Cappella della Sindone di Torino, e del santuario di Vicoforte con l’esperienza di salita alla cupola Magnificat (Il genio e la pietra, sabato 9 maggio). Ma il programma è ricco di esperienze da scoprire, che toccano le tante eccellenze che rendono unico il Piemonte, dalle botteghe tra 600-700 a Carignano e Moncalieri alle Sinagoghe di Saluzzo, Carmagnola e Mondovì, dal Preziosi oratori di Gavi e Voltaggio con la famosa pinacoteca, una delle più importanti del Piemonte alle valli Elvo e Cervo nel biellese.
LA VALLE D’AOSTA
Una delle grandi novità di Abbonamento Musei nel 2019 è stata l’ingresso della Valle d’Aosta all’interno della proposta: da settembre ben 16 siti sono entrati a far parte dell’offerta della tessera, accessibili sia agli abbonati piemontesi, sia a quelli lombardi.
E quale occasione migliore del Grand Tour per approfondire la conoscenza di questo territorio prossimo ma spesso poco esplorato?
Per questo nascono 4 itinerari dedicati: La Roma delle Alpi. Aosta e dintorni (25 aprile) parte dalla strada delle Gallie per giungere alla fondazione della città nel 25 a.C.; I castelli di Casa Savoia (21 giugno) alla scoperta delle due residenze valdostane care alla famiglia regnante, il Castello Reale di Sarre, quartier generale per le spedizioni venatorie del Re cacciatore Vittorio Emanuele II, e il Castel Savoia, a Gressoney, dimora estiva della Regina Margherita; Alla scoperta di Aosta (24 giugno) che include la visita all’area megalitica di Saint-Martin de Corléans: la più vasta area archeologica coperta d’Europa che racchiude arature rituali, pozzi, stele antropomorfe, menhir, tombe, dolmen…; I Castelli di Casa Challant (25 luglio) alla scoperta della storia della potente famiglia Challant che dominò la Valle, seconda per importanza solo a casa Savoia, proprietaria dei due castelli più celebri, il Castello di Fénis e quello di Issogne.
COME PRENOTARE LE PASSEGGIATE
La prenotazione è obbligatoria e può essere effettuata da giovedì 5 marzo 2020 ore 9. È possibile prenotare:
• Tramite il Numero Verde 800 329 329 (dal lunedì al sabato ore 9 – 18)
• Recandosi presso Infopiemonte, via Garibaldi angolo piazza Castello, Torino (aperto tutti i giorni dalle 9 alle 18)
• Sul sito www.abbonamentomusei.it
COME PRENOTARE I PERCORSI IN BUS
La prenotazione è obbligatoria e può essere effettuata da giovedì 5 marzo 2020,
È possibile acquistare e richiedere informazioni presso LINEA VERDE VIAGGI S.R.L.:
• Uffici di Via Caboto, 35 – 10129 Torino
• Telefonando al numero: 011 2261941 – orari: lunedì – venerdì 9:00- 18:00
• Online sul sito www.lineaverdeviaggi.it
• Scrivendo a grandtour@lineaverdeviaggi.it
Fu un intellettuale libero, colto, equilibrato. Più scozzese che italiano
Di Pier Franco Quaglieni
.
A dieci anni dalla morte di Alberto Ronchey, voglio ricordare l’amico e il maestro. Il suo giornalismo che non ha fatto scuola perché era troppo alto ed era irripetibile, merita di essere ricordato soprattutto oggi di fronte ai giornalistini e anche ai direttorini che si dedicano più alla Tv che ai giornali.
Anche il saggista Ronchey non è invecchiato ed è diventato un classico perché seppe guardare lontano anche nell’analisi lucidissima del presente e nella ricostruzione rigorosa del passato. E’ stato una delle più alte intelligenze che io abbia frequentato nella mia vita. Vorrei ricordarlo, tentando di delinearne la poliedrica figura in cui manifestò sempre il suo originario rigore scozzese .Era nato a Roma nel 1926,ma l’ambiente romano gli fu sempre estraneo. Era uno che aveva viaggiato moltissimo ed era vissuto molto all’estero: uno dei pochi italiani davvero cosmopoliti che guardavano alla politica con occhi diversi rispetto al provincialismo ideologizzante nostrano. Parto da un ricordo del 1968,propedeutico al nostro incontro torinese dell’anno successivo e che ne costituisce la premessa.
Ha scritto Gabriella Poli che fu l’unica donna a capo della Cronaca del quotidiano “La Stampa”:
Ricordo quella sera primaverile del ’68 come se fosse ieri. Palazzo Campana era chiuso, altre facoltà occupate. Per via Roma stava passando uno dei soliti cortei che quasi ogni giorno a quell’ora irrompevano nelle strade del centro […]. Davanti a me, una voce appena un po’ più alta di tono per vincere il fracasso e le urla, un giovanissimo professore parlava di primato della ragione e della cultura, parlava di Pannunzio…
Quel giovanissimo professore ero io.In effetti non ero ancora professore,ma Gabriella mi volle promuovere sul campo forse perché ero tanto lontano dai contestatori cappelloni e scravattati. Di fondamentale importanza fu poi il rapporto con Ferruccio Borio ,il mitico capo cronista del giornale,con cui nacque un’amicizia inossidabile nel tempo. Gabriella scrisse una davvero bellissima testimonianza di quel primo incontro voluto da Giulio De Benedetti, ma il momento decisivo fu nel 1969 con il nuovo direttore de “La Stampa” Alberto Ronchey che aveva collaborato al “Mondo” ed era stato amico di Pannunzio. All’incontro partecipò anche Carlo Casalegno, vicedirettore di Ronchey destinato a diventare un altro grande amico della mia vita.Mi era già capitato di incontrarlo di sfuggita a Roma a casa Carandini in via XXIV Maggio, ma al suo arrivo a Torino chiesi un appuntamento alla “Stampa” come feci con molti direttori che lo seguirono. Mi capitò di non avere rapporti solo con Ezio Mauro e Carlo Rossella.
Mi ricevette la sera stessa, si compiacque per l’idea di ricordare Pannunzio a Torino e si dichiarò disponibile ad aiutarci. Finché fu direttore, volle che gli facessi recapitare direttamente i comunicati stampa relativi alle attività. Con Ronchey ci si vedeva anche in piazza San Carlo dove abitava e qualche domenica al “Cambio” dove amava andare a pranzare.Apprezzava il vecchio ristorante di Cavour e del Risorgimento ,tanto diverso da quello attuale.Specie la domenica ,c’era un clima vellutato che ci faceva immergere nell’’800,malgrado fossimo immersi nei frenetici e terribili Anni ’70. In quelle due salette tutti parlavano sottovoce quasi fossimo in un museo anziché in un ristorante. Ronchey è stato sicuramente uno dei più grandi giornalisti italiani del Novecento. Come direttore de “La Stampa”, succedendo a Giulio De Benedetti che governò il giornale per un ventennio, seppe modernizzare il quotidiano, facendone uno dei più autorevoli anche all’estero. Anche la stessa grafica venne modificata attraverso un’impaginazione piacevole e rigorosa insieme.
Diceva di aver iniziato a scrivere sui giornali clandestini della Resistenza, per poi fare il cronista, il redattore capo, il corrispondente, l’inviato, il direttore. Fece esperienza alla “Voce repubblicana”, un giornale assai poco letto, organo del Pri, fucina di giornalisti destinati a diventare famosi, da Stefano Folli a Maurizio Molinari. Sicuramente in Ronchey quell’esperienza non lasciò traccia significativa perché il suo modo di intendere il giornalismo non fu mai di parte, ma sempre distaccato e spassionato, quasi maniacale per l’ordine, la precisione, le cifre. “Fortebraccio” lo definiva l’ing. Ronchey per la accuratissima documentazione dei suoi articoli e per il linguaggio asciutto, quasi da ingegnere. Coniò espressioni come “lottizzazione” che sono entrate nell’uso comune.Ma Ronchey fu anche autore di saggi di grande importanza; ne ricordo uno per tutti, quell’Atlante ideologico del 1973 che ci ha consentito di superare i furori delle ideologie. Una rassegna di fatti inoppugnabili, ricavati dai suoi viaggi e dalle sue vastissime letture che avrebbe dovuto far riflettere quelli che la moglie Vittoria definiva i “marxisti immaginari” in un suo libro di successo, ma non sufficientemente meditato dai docenti e dai genitori italiani.
Le fughe in avanti delle ideologie vengono in quel saggio di Ronchey smentite dai ragionamenti suffragati da prove inoppugnabili, riprendendo in chiave contemporanea il realismo del Machiavelli che egli oppose ai sogni velleitari dei nostri tempi. Quel volume venne a presentarlo nella disadorna sede di piazza Castello a Torino dov’era di casa e venne ad ascoltare Arrigo Benedetti nel primo ricordo di Pannunzio di cui Ronchey affidò la cronaca in III pagina al grande Stefano Reggiani che in una sua rubrica pubblicata sulla Cronaca de “La Stampa” ambientava spesso i suoi racconti immaginari presso la sede del Centro “Pannunzio”, dove si incontravano Cavour e il re Vittorio Emanuele. Una realtà dell’altro mondo,vista la livida indifferenza che quel giornale riserva al Centro “Pannunzio” che allora era nato da pochissimo tempo e non aveva l’importanza di oggi.
A distanza di molti decenni quel saggio di Ronchey ne rivela la statura di studioso. Ha scritto Pierluigi Battista autore del libro-conversazione con lui Fattore R: «Alberto non sbaglia mai: non una cifra fuori posto, una data inesatta un riferimento fattuale impreciso, una citazione zoppicante». Un esempio di giornalismo di altissima qualità intellettuale che tende al saggio. Non senza ragione insegnò per un certo periodo Sociologia a Ca’ Foscari di Venezia, indotto anche dal suo amore per quella città. Una volta o due ci incontrammo anche da “Altanella” alla Giudecca ,la mitica,semplice e pur affascinante trattoria della famiglia Stradella,dove amava andare anche Gabriele d’Annunzio. Nel 1976 fu tra i promotori di una lista laica alle elezioni politiche insieme a Cesare Zappulli ed Enzo Bettiza. Negli anni in cui si stava cercando di varare il compromesso storico, Ronchey, unico dei tre che non venne eletto, volle indicare la strada dell’alleanza laica tra Pri, Pli, Psdi, malgrado la riluttanza dei loro vertici. Fu un esperimento che, se fosse stato seguito, forse avrebbe inciso sulla politica italiana; era una proposta che partiva da lontano, dal “Mondo” di Pannunzio. Il 1976 invece fu l’anno in cui comparvero in Parlamento per la prima volta i radicali di Marco Pannella.
Ronchey fu anche ministro per i Beni Culturali dal 1992 al 1994. Dopo la nomina rimase in silenzio per due mesi, poi con una mossa a sorpresa vietò piazza San Marco al galà di chiusura del Festival del Cinema di Venezia. Fino ad allora, se escludiamo Spadolini, i ministri dei Beni culturali erano, di norma, personaggi politici assai marginali, non supportati dalla cultura necessaria per esercitare il mandato loro affidatogli. Dopo Ronchey continuò la passerella di personaggi non sempre all’altezza. Nel poco tempo in cui fu ministro varò la cosiddetta Legge Ronchey concernente la gestione dei servizi aggiuntivi negli istituti d’arte e antichità dello Stato e si preoccupò di una piaga che divenne sempre più grave: le scritte e i disegni sui muri anche dei palazzi storici. Cercò in tutti i modi di sensibilizzare al problema che dopo di lui non solo rimase irrisolto, ma assunse dimensioni non più controllabili e non più controllate. Si preoccupò del problema del personale dei musei e dei privilegi incomprensibili che ne regolano il lavoro. Volle incentivare un uso più ampio e mirato dei volontari nei musei e mi chiese dell’esperienza fatta dal Centro “Pannunzio” nel 1975 quando promosse la mostra dei disegni di Leonardo a Torino. Vide i pericoli insiti negli sponsor privati, dicendo che «i privati,com’è normale, tendono ad investire denaro solo su grandi opere che danno un grande ritorno di immagine». Si interessò delle istituzioni culturali, anche quelle che avevano scelto di restare associazioni non riconosciute, volendo mantenere totale la propria autonomia. Preciso che al Ministro Ronchey il Centro “Pannunzio” non chiese mai neppure un quattrino.
Anche nell’esercizio delle sue funzioni di ministro ebbe una capacità di vedere i problemi in una dimensione internazionale come seppe fare nel giornalismo e nella saggistica. Nel 1997 gli venne assegnato il Premio “Pannunzio”. In quell’occasione accadde un episodio spiacevole. Prima che Ronchey ricevesse il Premio, il Gabibbo di “Striscia la notizia” interruppe la manifestazione chiedendogli pubblicamente ragione del fatto che, come presidente della Rizzoli, stesse per chiudere “Il Mondo” un giornale economico finanziario che solo formalmente riprendeva la testata di Pannunzio. Il Gabibbo chiese a Ronchey se non si sentisse imbarazzato nel ricevere il Premio intitolato a chi aveva fondato il giornale che lui intendeva chiudere. Con calma assoluta smontò ogni accusa, dimostrando l’infondatezza della tesi e rassicurando comunque che non avrebbe chiuso il settimanale. E così fu. Morì il 5 marzo 2010, lo stesso giorno in cui Pannunzio era nato cent’anni prima. C’era la solenne presentazione del francobollo di Poste italiane dedicato a Pannunzio in occasione del centenario e non mi fu possibile partecipare ai suoi funerali. Egli è stato uno di quei maestri che non si possono dimenticare: la «moralità delle sue opere crocianamente parlano e continuano a parlare per lui». Cito volutamente le parole da lui usate nel ricordare Pannunzio su “La Stampa” quando nel 1968 il giornalista morì.Quelle parole valgono più che mai oggi ,dopo dieci anni. Intellettuali colti ,equilibrati, liberi come lui in Italia mancano totalmente e il vuoto che ha lasciato resta davvero incolmabile. Non poter contare più sulle sue opinioni autorevoli e spassionate ci rende tutti più poveri.
Risorgimento, il museo riapre a 5 euro
Dopo la chiusura imposta per arginare l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19, ha riaperto oggi il Museo Nazionale del Risorgimento. Per tutta la settimana fino a domenica 8 marzo i visitatori potranno entrare con un biglietto di ingresso alla tariffa speciale di 5 euro.
Restano in vigore le altre agevolazioni tariffarie:
ragazzi dai 15 ai 19 anni: € 4
bambini e ragazzi dai 6 ai 14 anni: € 2.50
minori di 6 anni- visitatori con disabilità (compreso un accompagnatore) – insegnanti – possessori di tessere Abbonamento Musei Torino Piemonte, Torino+Piemonte Card e Royal Card: gratuito
In questo periodo non saranno distribuite le audioguide. Come ausilio alla visita, il pubblico potrà scaricare sul proprio dispositivo la App MuseoRisorgimento.
Per informazioni: www.museorisorgimentotorino.it.
Marzo leva la mano sinistra: accenna un gesto di saluto. Come la primavera, attesa da tutti a marzo, arriva, sicura di sé, tra persone che stanno aspettando il suo ritorno. Come sapete, per questa uscita sulla Fontana dei Mesi di Torino, la rubrica dedicata ad analizzare le dodici statue allegorie dei mesi a fattezze femminili che compongono la corona della Fontana al parco del Valentino, più belle che mai dopo la fine dei lavori di restauro del marzo scorso (2019), tratteremo del mese di marzo
Gli appassionati più fedeli sono informati già dalla scorsa uscita, dedicata all’Impressionismo e alla statua del mese di febbraio; questa volta, nel post edito da iltorinese.it sulla fine del secondo mese dell’anno (quest’anno bisestile), trattiamo di due statue. Si parla dunque della statua di marzo, dicevamo, una donna che ha una certa musica e che leva una mano in cenno di saluto, ma anche di quella di aprile che raffigura una giovane esuberante e sfrontata, atteggiamento una volta tipico -parlando allegoricamente- del mese di aprile nel corso della primavera.
Oggidì i cambiamenti climatici fanno saltare tutte le consuetudini a riguardo del cambio delle stagioni, tuttavia non è vano ricordare come stavano le cose prima, quando ancora si poteva fare affidamento sul tempo per programmare cose, siano esse semine, raccolti, vacanze, serate conviviali all’aperto, gite per mare o montagna e chi più ne ha più ne metta, se non altro per fare un paragone sia esso positivo o negativo. Ai lettori più curiosi non sarà sfuggito il fatto che per la rubrica di questo mese è annunciato il Barocco. La corrente artistica che lega le statue e l’arte ha una buona ragione per essere scelta tra le tante che la storiografia artistica annovera come strumenti possibili per interpretare l’arte nel coso dei secoli.
Come di solito, non è fatta alcuna pretesa di assolutezza, il legame tra le statue e le correnti artistiche è puramente finzionale e è da prendersi -su buona dritta- come una cosa del tutto speculativa e del tutto evanescente, si potrebbe dire di fantasia. Piuttosto è bene ricordare che la Fontana dei Mesi anche detta “di Ceppi” è stata inaugurata nel xix secolo per la precisione nel 1898, in occasione dell’Esposizione nazionale e che oltre alle dodici statue dell’arco discendente esterno, vi sono all’interno dei giochi d’acqua altre statue, allegorie dei fiumi del Piemonte, di cui si è avuto modo approfondire in precedenza. Detto questo vediamo perché si potrebbe associare il Barocco a questo tratto della fontana.
Il barocco inizia negli anni trenta del xvii secolo, come la primavera inizia nel mese di marzo, ma non proprio all’inizio, piuttosto il 21 del mese dato l’equinozio, e come per la corrente artistica i dipinti sono via via più riconoscibili come certamente appartenenti a quel periodo anche nelle statue della Ceppi si nota che le statue primaverili si discostano da quelle invernali sul piano espressivo, per arrivare al forte separazione che si ha tra la fulgida pienezza delle estive e la riservatezza delle invernali.
Descrivere una tendenza tra le statue dei mesi in rapporto alla stagione a cui appartengono è fattibile in modo -direi- evidente e così prendendo in considerazione la diade marzo-aprile, tenendo inoltre come pulce nell’orecchio il Barocco, corrente artistica caratterizzata da uno spazio plurale, in altri termine dal fatto che in uno stesso quadro i barocchi propongono più scene compresenti, iniziamo teoreticamente a collocare l’insieme delle statue nelle loro stagioni, creando quattro gruppi di statue dialogicamente connessi; in relazione tra loro grazie a quelle che rappresentano i mesi di equinozio e di solstizio (in questo caso marzo) e attraverso quelle subito seguenti (qui si ha aprile) per scoprire un tratto caratteristico della stagione che in questo frangente è la rinascita, il ritorno, il riconoscimento, la vita nell’al di qua. La primavera è alle porte, anche se qualcuno dice che quest’anno l’inverno non si è sentito affatto, in ogni caso sarà bene prepararsi e godersi consapevolmente il periodo.
Elettra Nicodemi
Saluzzo e le Terre del Monviso insieme alla Capitale italiana della cultura 2020 nel segno del grande tipografo di cui il 26 febbraio ricorrono 280 anni dalla nascita. Primo appuntamento con la mostra “Bodoni à rebours – The dazzling beauty” del fotografo parmigiano Lucio Rossi
Prende il via sotto il segno di Giambattista Bodoni nel giorno dei sui 280 anni la collaborazione tra le città di Saluzzo e di Parma siglato nel 2019 da un protocollo di che guarda agli eventi dell’anno in cui la città emiliana è Capitale italiana della cultura.
Ci sono infatti molteplici ragioni per instaurare un duraturo dialogo tra i due territori. Li uniscono infatti i nomi non solo di Giambattista Bodoni, ma anche di Carlo Alberto dalla Chiesa e di Magda Olivero. Li lega un peculiare vincolo culturale di stampo e lingua francese.
Il primo tassello è la mostra fotografica Bodoni à rebours – The dazzling beauty che racconta le terre di Bodoni, incisore, tipografo, editore nato a Saluzzo il 26 febbraio 1740 e morto a Parma nel 1813. Apprese l’arte tipografica nella piccola officina del padre, poi si recò a Roma come compositore nella stamperia di Propaganda Fide, quindi passò a Parma, invitato dal duca a fondare e a dirigere la Stamperia Reale. A Parma restò sino alla morte, divenendo celebre per l’incisione di nuovi caratteri e per le molte splendide edizioni che pubblicò. Dapprima stampò coi caratteri di P.-S. Fournier, ma nel 1771 diede un primo saggio di caratteri suoi, che a poco a poco perfezionò fino a giungere al famoso Manuale tipografico (post. 1818).
Saluzzo, l’Antica Capitale del Marchesato, e il suo territorio, sono ancora oggi scrigno dell’eredità culturale di Bodoni, come della manualità e artigianalità che vi stanno dietro. A Saluzzo vi sono la Biblioteca Storica che ha saputo gestire al meglio il materiale antico preservato e manifestazioni che annualmente raccontano Antiquariato e Artigianato, proponendo un continuo confronto tra passato e futuro.
A narrare questa storia sarà l’immagine: il fotografo parmigiano Lucio Rossi ha raccontato le Terre del Monviso attraverso migliaia di scatti; 250 di questi divengono una mostra che a partire dall’8 maggio a Saluzzo aprirà le sue porte per narrare un territorio attraverso i volti, le emergenze architettoniche e paesaggistiche, le strade e i passi alpini.
La mostra fotografica rappresenterà un saggio di un reportage fotografico di enormi proporzioni che Lucio Rossi ha realizzato, nel territorio intorno al Monviso, durante l’estate del 2019. Quattro categorie di immagini restituiranno l’ambiente in cui Bodoni vide la luce (con particolare riguardo alle montagne), i volti della gente, la storia artistica ed architettonica del Marchesato di Saluzzo con cui egli potè venire in contatto e che, possiamo presumere, ne influenzò il gusto. In particolare, sarà la verticalità degli orizzonti al centro delle scelte, poiché proprio la verticalità dei tipi bodoniani ne rappresenta un elemento fortemente distintivo, oltre che l’origine del dazzling effect che a tale peculiare, elegantissimo stile si associa. La quarta sezione si chiamerà bodoniana e rappresenterà gli elementi che più da vicino raccontano il legame del nostro illustre, comune concittadino con la sua petite patrie: le immagini della casa natale, del convento dei gesuiti dove studiò (oggi casa comunale), dei monumenti medievali e rinascimentali che poterono impressionare la sua estetica, si alterneranno in uno zibaldone di rimandi che affondano le radici nella storia tra Italia e Francia di questo rapporto.
La mostra fa parte di Start/storia e arte Saluzzo, un mese di appuntamenti in cui la città diventa capitale dell’Arte di ogni tempo: Arte contemporanea, Artigianato e Antiquariato (dal 24 aprile al 31 maggio 2020).
La mostra Bodoni à rebours – The dazzling beauty con le immagini di Lucio Rossi in autunno si sposterà a Parma, all’interno delle iniziative per la Capitale italiana della cultura 2020.
La collaborazione prosegue poi con la musica: in occasione della Festa della Musica (21 giugno), dalle Terres Monviso giungerà la musica occitana per lanciare Occit’amo Festival 2020.
Inoltre in programma appuntamenti di carattere enogastronomico, con l’incontro di produzioni che nel Parmense come nel Saluzzese (sempre rappresentato da TERRES MONVISO) presentano motivi di interesse: erbe e miele, arte casearia, norcineria e vini.