Un progetto curato da Matteo Caccia e organizzato dalla Famiglia Ceretto
Lunedì 12 luglio 2021 sul sito www.ceretto.com
Franco Cardini, Storico
Il territorio e la sua storia
Alba, 9 luglio 2021 – Proseguono le conversazioni de “La via selvatica”: lunedì 12 luglio, sul sito www.ceretto.com, sarà possibile vedere ed ascoltare lo storico Franco Cardini in dialogo con Matteo Caccia.
Il progetto, curato da Matteo Caccia e proposto dalla Famiglia Ceretto, si compone di 12 dialoghi che fanno emergere le esperienze profonde dei protagonisti. È un percorso lungo un anno che indaga la natura selvatica e autentica, le sue regole immutabili, la sua ostinata capacità di ripetersi, la sua ricerca di un’armonia smarrita, di un equilibrio virtuoso in cui l’uomo sia capace di interagire con rispetto nella consapevolezza che la vera protagonista è la natura.
“Il prof Franco Cardini incrocia la sua strada con ‘La Via selvatica’ regalandoci una micro lezione di storia utile ad addomesticare la nostra memoria del passato, così da guardare al futuro con maggiore nitidezza” Matteo Caccia introduce così lo storico Franco Cardini, il protagonista della conversazione dal titolo “Il territorio e la sua storia”.
“Lo storico è un mestiere: si fa lo storico come si fa l’industriale, il farmacista, l’operaio. E in tutti i mestieri, le professioni, ci sono gli specialisti e i non specialisti. Gli specialisti sono rari a molti livelli, però una comune conoscenza almeno dei metodi fondamentali e dei princìpi fondamentali di un’arte o di una scienza, fa sì che qualcuno venga considerato specialista e qualcun altro no. Naturalmente tra gli specialisti ci sono quelli eccelsi, quelli buoni, quelli mediocri, quelli che avrebbero fatto bene a fare un altro mestiere, questo va da sé. I non specialisti invece si pongono davanti alla storia in una maniera che a me sembra molto buffa, molto divertente. Anche se qualche volta non ci sono in Italia dei non specialisti della storia che siano convinti che il non essere specialisti crea una differenza qualitativa. In altri termini, se io faccio l’ebanista o il pittore di paesaggi o l’allevatore di mucche australiane, se sono tale sono tale, se non sono tale non mi fingo e non mi improvviso tale. Per gli italiani il discorso è diverso e questo direi vale per la storia e ora vale anche abbastanza per la poesia o per la filosofia per tutte le arti o le scienze che un tempo si chiamavano di tipo umanistico e che oggi si preferiscono chiamare «umane», più che altro. In altri termini, è difficilissimo convincere un non specialista che ha letto tre libri sulla seconda guerra mondiale che le cose non sono andate esattamente come pensa lui.” Racconta Franco Cardini
Franco Cardini, fiorentino classe 1940, è storico medievista esperto soprattutto di storia delle Crociate e dei rapporti tra Europa cristiana e Islam. Dopo la laurea in Lettere conseguita a Firenze, ha insegnato in diversi atenei tra cui quelli di Middlebury, Barcellona e Bari. È ordinario presso l’Università di Firenze, Professore Emerito dell’Istituto di Scienze storiche e Umane (Scuola Normale Superiore, sede di Firenze), fellow dell’Università di Harvard (Boston Berenson Foundation) e Direttore di ricerca all’École des Hautes Études en Sciences Sociales a Parigi. È autore di manuali e di numerosissimi saggi storici, tanto accademici quanto divulgativi. Per i suoi studi ha ricevuto diversi riconoscimenti (Premio Nazionale Rhegium Julii, Premio Internazionale Tevere, Premio Internazionale Vanvitelli, Premio Europeo Lorenzo il Magnifico – Accademia Medicea Internazionale, Premio letterario internazionale Feudo di Maida, Premio Accademia della Torre di Castruccio, Premio Hemingway, Premio Medioevo Presente del Comune di Monteriggioni, Premio Scanno, Premio Microfono di cristallo, Premio speciale della Giuria Il Molinello, Premio Letterario Basilicata). È stato fondatore della rivista Percorsi, collabora con l’Avvenire ed è membro del comitato scientifico della rivista Eurasia. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della RAI ed è Croce d’oro dell’Ordine della Guardia d’Onore dei santi martiri Agapito ed Alessandro, Commendatore dell’Ordine al Merito Melitense e Cavaliere dell’Ordine di S. Giuseppe.
Il Gruppo Ceretto è un’azienda familiare che ha le sue radici in un territorio di rara bellezza come quello delle Langhe, e da tre quarti di secolo unisce alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio enogastronomico italiano la promozione dell’arte.
Per maggiori informazioni e aggiornamenti consultare il sito www.ceretto.com
Un residuo della vecchia Jugoslavia a cui venne tolto l’aggettivo possessivo e “affettivo“ il “nostro“. Una forma di propaganda tipica dei regimi totalitari e autoritari come dimostrano, ad esempio, le scritte Duce, Dux, Mussolini ecc. nell’Italia fascista. Il culto della personalità e’ tipico infatti di quei regimi e Tito fu un dittatore in piena regola. Sanguinario con gli Italiani di Istria e Dalmazia infoibati dai suoi partigiani , ma anche sanguinario con gli stessi slavi e altre popolazioni presenti in Jugoslavia durante il suo lungo periodo di governo in cui ebbe un potere dispotico ed assoluto. Un anno fa l’incontro tra il presidente italiano e il presidente sloveno sembrava aver posto fine alle residue ostilità ed aver soprattutto aperto una strada di amicizia e collaborazione che sotterrasse finalmente il passato. La presenza del presidente sloveno alla foiba triestina di Basovizza stava a dimostrare una presa di coscienza storica del dramma delle foibe. La Slovenia e’ nata dalla decomposizione violenta della Jugoslavia titina dopo una lunga e terribile guerra civile. Si può pensare ragionevolmente che i nostalgici di Tito siano oggi un ‘esigua minoranza, ma una certa ostilità verso gli Italiani che ebbe origine già con la dominazione austriaca di quelle terre, rimane. L’avevo colto io nel 2007 quando guidai un pellegrinaggio laico da Fiume a Trieste nel ricordo dei 15mila infoibati. Il permanere di quella immensa scritta Tito c’è da chiedersi che significato abbia oggi. Un cimelio del passato regime rimasto a testimoniare una qualche nostalgia e nel contempo un implicito pregiudizio antitaliano? Il nome di Tito resta un elemento divisivo che rende difficile guardare avanti, come sarebbe auspicabile, all’Europa unita come superamento di tutti gli odi novecenteschi che hanno reso la storia un mattatoio. Tito rappresento’ un’ideologia che mescolo’ insieme comunismo e nazionalismo, creando una miscela esplosiva. Il fatto che si sia distaccato da Stalin non cancella le sue gravi colpe storiche anche ciò fece comodo alle potenze occidentali. Quella scritta cubitale rivolta verso l’Italia non è certo un segno di superamento delle ferite legate al dramma del confine orientale italiano. Sarebbe bene rimuoverla. In Italia giustamente nessuno tollererebbe nulla di simile che riguardasse Mussolini.
Sono le torri di Francesco I, re di Francia. Massicce e imponenti, prive di cinta muraria, purtroppo scomparsa da secoli, erano piccole fortezze in mano ai francesi che nel Cinquecento difesero città e borghi del Piemonte dagli eserciti stranieri. Villanova d’Asti rispolvera il suo passato da “grandeur” francese. Sembra quasi impossibile che questo paese di poco più di 5000 abitanti sia stato cinque secoli fa una delle piazzeforti militari francesi più importanti del Piemonte, eppure la presenza di due grandi torri lo testimoniano e narrano un pezzo di storia astigiana. Comunemente chiamate “bissoche”, appartengono al demanio militare e il Comune vorrebbe acquistarle e ristrutturarle. Costo del progetto: un milione di euro. All’epoca i monarchi francesi erano i padroni della nostra regione. Il nuovo sovrano Francesco I di Valois diede nuovo vigore alle guerre in Italia seguendo la stessa politica di forza e di egemonia condotta nella penisola dai suoi predecessori Carlo VIII e Luigi XII. Torino, Chieri, Chivasso, Pinerolo e Villanova erano cittadelle fortificate sotto il controllo dei francesi. Possenti torri di avvistamento difendevano Villanova d’Asti dall’esercito del rivale Carlo V che disponeva di presidi militari in altre aree del Piemonte. I lavori di costruzione delle torri, iniziati nel 1520, terminarono nel 1548, un anno dopo la morte di Francesco I. Dall’alto dei torrioni i soldati comunicavano con la torre municipale del paese con fuochi notturni e, di giorno, con le bandiere per avvertire in tempo i villanovesi dei pericoli imminenti. All’interno delle torri si trovavano viveri e riserve d’acqua, la cucina, l’armeria e i posti letto. Sotto le torri sono stati scoperti di recente lunghi cunicoli sotterranei usati come vie di collegamento. Oggi restano in piedi due torri a base quadrata: la bissoca di Supponito a nord e la bissoca di San Martino a sud di Villanova in strada per Isolabella. Dove trovare i quattrini per riportarle in vita? Si spera nel mitico Recovery Fund che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe risolvere tutti i problemi italiani. Il comune di Villanova ha presentato al governo il progetto di recupero per avere i fondi necessari e ora si attende la decisione del Demanio miliare e l’arrivo dei finanziamenti per iniziare le prime opere di ristrutturazione. “Si tratta di due tesori da custodire con cura per le future generazioni, afferma entusiasta il sindaco Christian Giordano, faremo di tutto per recuperare le torri, aprirle ai turisti e valorizzare il patrimonio storico del nostro territorio”.
Queste Mostre, a volte basate sul nulla, oppure per promuovere un personaggio, un artista straniero, si basano su una pletora di curatori, allestitori e responsabili a vario titolo, decine di collaboratori, arrivando a cifre talmente elevate che viceversa, con gli stessi importi si potrebbe restaurare un monumento in degrado. Pertanto è stata una piacevole sorpresa, sentire dal neo Direttore di Palazzo Madama a Torino,Giovanni Villa, che è sua intenzione e programma, invertire questa tendenza.
