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STORIA- Pagina 113

Visite guidate al castello di Marchierù

Domenica 27 giugno riprendono gli appuntamenti previsti dal Calendario 2021 con l’apertura di cancelli e portoni di castelli, palazzi ed antiche ville private normalmente non aperti al pubblico, aderenti all ’ Itinerario Dimore Storiche del Pinerolese, officiato dall’ ADSI ( Associazione Dimore Storiche Italiane) ed inserito nel circuito “Castelli e Dimore Storiche 2021” di TurismoTorino e Provincia

CASTELLO DI MARCHIERU’ ( Villafranca Piemonte  via S.Giovanni 77)
Visite guidate al parco, alla cappella gentilizia, alle scuderie settecentesche ed alle sale ammobiliate del Gli stessi proprietari accompagneranno gli ospiti facendo rivivere la vita dell’epoca con usi e costumi degli appartenenti al loro Casato, da cui discendono dal 1220.
( visite ore 10/11/12*15/16/17 )
Particolari allestimenti saranno predisposti in adesione all’ Anno Internazionale della Frutta e Verdura proclamato dall’ ONU e dalla FAO.
adulti € 8 * bimbi gratis fino a 10 anni* Passport e TorinoPiemontecard € 6
Prenotazione obbligatoria al 3394105153 * segreteria@castellodimarchieru.it
Obbligatoria la mascherina protettiva

 

La nuova vita della nave che sparò i primi colpi della Grande Guerra

E’ diventata un museo la Bodrog ( ora Sava), nave militare di costruzione austro-ungarica che sparò i primi colpi contro le difese serbe nei pressi di Belgrado il 28 luglio 1914, nel corso della prima notte della Grande guerra.

La cannoniera ha una storia lunga e avventurosa. Costruita nei cantieri magiari  nel 1903 e consegnata un anno dopo a Vienna, era un “monitore” – una nave corazzata adatta ad operare lungo i fiumi –  e faceva parte della temibile flottiglia imperiale del Danubio. La Bodrog  fu l’ultima nave, nelle fasi finali della guerra, a ritirarsi verso Budapest ma si arenò su un banco di sabbia a valle della “città bianca”  e, caduta nelle mani dei serbi, venne rinominata Sava, prestando servizio nel nuovo Regno di Jugoslavia. Nel 1941, dopo l’invasione tedesca della “terra degli slavi del sud”, catturata una seconda volta, venne consegnata agli ustascia croati di Ante Pavelić .Terminato il secondo conflitto mondiale servì la Jugoslavia socialista di Tito prima di essere messa a riposo nei primi anni ‘60. Due guerre, un lungo servizio sotto quattro bandiere e poi un lungo oblio, abbandonata e dimenticata. Il relitto della nave, nei giorni del centenario dell’attentato di Sarajevo e dell’inizio di quella che il Papa Benedetto XV definì “l’inutile strage”, giaceva sul Danubio, arenato nella penisola di Ada Huja all’estrema periferia di Belgrado. La cannoniera, lunga sessanta metri e dotata di due motori da 700 cavalli, armata con due cannoni da 120, se ne stava lì ad arrugginire e pareva che nessuno fosse interessato a recuperarla. Una parte dell’opinione pubblica si mobilitò denunciando lo stato disastroso del natante e la cannoniera che nel 1914 batteva bandiera austro-ungarica, dopo un lungo restauro reso possibile dall’intervento della Repubblica di Serbia, è tornata a Belgrado. Oggi è ormeggiata sulle sponde della Sava, in una piccola base della marina militare fluviale. La nave, ribattezzata con il nome di uno dei maggiori affluenti del Danubio (con il quale si congiunge proprio a Belgrado) è tornata all’antica forma, almeno esteriormente: tutta dipinta di bianco con i due cannoncini, la torretta con il timone, il fumaiolo e il nome jugoslavo sulla fiancata. A quasi 120 anni dal varo è stata  trasformata in un museo galleggiante e attende ora i turisti e i curiosi per farsi ammirare e raccontare gli eventi che l’hanno resa famosa.

Marco Travaglini

La Cittadella di Alessandria invasa da piante e rifiuti

Chissà se il cosiddetto “Quarto potere” avrà la forza necessaria per cambiare lo stato delle cose e recuperare come dovrebbe essere fatto uno dei gioielli d’architettura militare più preziosi d’Italia, la Cittadella di Alessandria del Settecento che sta lentamente morendo e scomparendo nell’indifferenza generale.

Per adesso ci vuole davvero un machete per farsi strada nella giungla di piante infestanti che hanno aggredito e coperto in gran parte il forte alessandrino. Nei giorni scorsi sulle colonne del “Corriere della Sera” Gian Antonio Stella scriveva: “Che vergogna, c’è da arrossire davanti alle discariche di immondizia tra i ruderi degli edifici crollati. Alle vagonate di amianto, frigoriferi scassati e rifiuti velenosi abbandonati in un capannone in disuso dalla saracinesca sventrata. Ai resti di libri bruciati buttati qua e là. Alle tegole schiantatesi a terra, alle muraglie di vegetazione dietro le quali puoi solo intuire l’esistenza dei bellissimi bastioni settecenteschi. Agli alberelli che spuntano tra i comignoli. Agli alberi che si sono ingoiati i tetti facendoli crollare..”. Attualmente la Cittadella è affidata al Comune di Alessandria. Da una decina di anni i volontari del Fondo Ambiente Italiano (Fai) se ne prendono cura ma il denaro non basta e nessun ente, nessuna amministrazione sembra disposta a investire del denaro per salvarla. Intanto l’ailanto o albero del Paradiso ne approfitta, la pianta di origine cinese che può raggiungere i 30 metri di altezza, terribilmente infestante, si allunga con estrema rapidità sulle facciate e sui tetti e sta occupando poco alla volta la Cittadella. Nel 1994 la fortificazione, progettata dall’architetto Ignazio Bertola, fatta costruire da Vittorio Amedeo II a partire dal 1728 e considerata un capolavoro di arte militare unico nel suo genere con mura e fossati a forma di stella a sei punte, fu invasa dalle acque del Tanaro durante quella terribile alluvione. Venne abbandonata e oggi è in condizioni pessime per l’assenza di manutenzione. Secondo gli storici la Cittadella è stata nel Settecento uno dei più importanti monumenti europei nell’ambito delle fortezze militari e ancora oggi è un colpo d’occhio notevole per chi la guarda da lontano. Imponente, grandiosa e padrona del territorio circostante, ben lontana da case, cascine e palazzi che almeno in parte la nasconderebbero. Il 10 marzo 1821, in cima ai bastioni della Cittadella, venne innalzata la bandiera tricolore per la prima volta nella storia d’Italia e da qui partirono i primi moti rivoluzionari.
Filippo Re

Torino e i suoi musei. Il Castello di Rivoli

Torino e i suoi musei

Con questa serie di articoli vorrei prendere in esame alcuni musei torinesi, approfondirne le caratteristiche e “viverne” i contenuti attraverso le testimonianze culturali di cui essi stessi sono portatori. Quello che vorrei proporre sono delle passeggiate museali attraverso le sale dei “luoghi delle Muse”, dove l’arte e la storia si raccontano al pubblico attraverso un rapporto diretto con il visitatore, il quale può a sua volta stare al gioco e perdersi in un’atmosfera di conoscenza e di piacere.

1 Museo Egizio
2 Palazzo Reale-Galleria Sabauda
3 Palazzo Madama
4 Storia di Torino-Museo Antichità
5 Museo del Cinema (Mole Antonelliana)
6 GAM
7 Castello di Rivoli
8 MAO
9 Museo Lomboso- antropologia criminale
10 Museo della Juventus

 

7 Il Castello di Rivoli

La collezione di arte contemporanea presente al Castello di Rivoli è sicuramente rivolta agli esperti e ai “dottoroni” della contemporaneità, ma anche ai profani più coraggiosi. A questi prodi consiglio di arrivare a destinazione scarpinando su per la salita –non troppo ripida- che porta fino alla sommità della collina, dove sorge l’ex residenza sabauda e da dove si può godere una splendida vista su Torino. L’edificio, progettato da Juvarra su commissione di Vittorio Amedeo II di Savoia, sorge sulle fondamenta di un castello risalente all’XI secolo.
Nel Seicento, Carlo Emanuele I decise di edificare nel luogo in cui era nato un grande palazzo, il progetto fu seguito da Ascanio Vitozzi e di fatto portato avanti da Carlo di Castellamonte, che però non riuscì a terminare i lavori e lasciò incompleta la parte centrale dell’edificio comprendente l’atrio e gli scaloni d’onore.
All’inizio del XIX secolo la proprietà divenne un onere eccessivo per i Savoia che lo diedero in affitto al Comune di Rivoli, il quale in un secondo momento riuscì ad acquistarlo.
Inizialmente il castello servì da alloggio per le guarnigioni militari e solo nel lontano 1978 l’edificio venne risanato e ristrutturato, e le strutture preesistenti furono messe in relazione con materiali moderni. Nel 1984 il Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli apre al pubblico le sue trentotto sale, la cerimonia d’inaugurazione fu affidata alla mostra “Ouverture”, curata dall’allora direttore del Museo Rudi Fuchs, con l’intento di proporre un modello di collezione internazionale articolata tra gli storici ambienti del primo e del secondo piano.
Il mio consiglio, prima di entrare, è proprio quello di riprendere fiato, fare anche una breve passeggiata attorno all’edificio, guardare giù dal muretto che perimetra la collina e il cortile del castello, giocando a riconoscere le vie e i quartieri della città che dall’alto sembra fatta con i “Lego”.

Ci vuole un particolare stato di rilassatezza per accettare che un cavallo appeso sia in effetti un’opera d’arte e non una maldestra citazione de “Il Padrino”.
Purtroppo riconosco che la quotidianità non mi permette di andare a visionare quanto spesso vorrei le esposizioni temporanee presenti a Rivoli, anche se cerco di non perdermene troppe. Tuttavia, nonostante siano passati alcuni anni, la mostra “mia preferita” rimane “MAdRE” (2014), di Sophie Call. Un doppio percorso, unito e contrapposto giocato sul dialogo di due importanti progetti: “Rachel, Monique” e “Voir la mer”. Ricordo ancora vividamente quanto mi avessero colpito quegli schermi giganti su cui erano proiettati i filmati dedicati alle persone di Istanbul che avevano visto il mare per la prima volta. Erano volti emozionati, segnati dall’incredulità, inondati da un sentimento intenso ed ingombrante come l’acqua che stavano scoprendo, nonostante vivessero in una città circondata dal mare. Un mare azzurro-blu, che accomuna e accoglie ma che può anche travolgere e distruggere, un elemento complesso dunque che chiama in causa emozioni e sentimenti contrastanti. L’opera di Sophie Call è delicata e straziante, volta ad indagare temi quali il distacco, la rottura amorosa e l’intimità. Una delle artiste contemporanee che apprezzo di più, una donna coraggiosa che non teme di esporre opere come “Silenzio”, particolare realizzazione costituita da un’edicola in legno contenente una fotografia alla cui base è applicata una targa in metallo con la seguente incisione: ‹‹ Ogni volta che mia madre passava davanti all’Hotel Bristol, si fermava, si faceva il segno della croce e ci pregava di tacere: “Silenzio, diceva, è qui che ho perso la mia verginità” ››. Ma lasciamo il 2014 e torniamo a noi. Una delle peculiarità del Castello di Rivoli sta nello stretto rapporto che gli artisti riescono ad instaurare con il Museo, specificità che non solo permette agli stessi autori di scegliere quali opere esporre, ma ha comportato la realizzazione di grandi installazioni permanenti ideate dagli artisti appositamente per la Residenza. L’attività museale si fonda su quattro concetti cardine: aderenza all’attività museale, rilevanza internazionale, attenzione alle più attuali ricerche e la selezione di “masterpiece” nella produzione di ciascun artista. Le opere della collezione permanente sono collocabili tra gli anni Sessanta fino ai giorni nostri e sono riconducibili all’Arte Povera, (dalla Transavanguardia al Minimal), alla Body Art e alla Land Art, fino alle più recenti tendenze artistiche.

Visitare il Castello di Rivoli significa mettersi in gioco, costringersi ad aprire la mente ad un mondo diverso e purtroppo troppo spesso distante, è un’esperienza totalizzante, che chiama in causa tutti i sensi e costringe i visitatori a cambiare punto di vista, ad ammettere che non si ha sempre ragione. L’arte contemporanea ci sfida apertamente a fare “tabula rasa” e ad ascoltare altre versioni ed opinioni, attraverso la ricerca di significati che non sono mai quello che sembrano.
Tra la moltitudine di artisti spicca lui, “l’appenditore di banane” più incompreso al mondo, nonché uno degli artisti più ricchi e discussi della scena odierna.
Maurizio Cattelan utilizza nelle sue opere un approccio critico che si muove nella direzione dell’avanguardismo novecentesco, corrente artistica sviluppatasi nel XX secolo, nella convinzione che la vita futura possa acquisire un senso immanente e assoluto e successivamente venga messa in crisi dal capitalismo e dal crollo delle ideologie.
Togliamoci subito il dente e proviamo a dire due parole su quest’ultima opera (“Comedian”) che sembra proprio una costosissima presa in giro. Non ci siamo andati lontano in effetti, poiché l’artista voleva proprio provocare, con l’ennesimo gesto ironico, quel meccanismo inarrestabile che senza troppe riflessioni ha subito riconosciuto il titolo di “capolavoro” ad una banana attaccata con un pezzo di scotch. Ci siamo tutti arrabbiati, ma forse perché ci siamo sentiti colpiti nel vivo: l’opinione comune si è irritata, rifugiandosi dietro frasi cliché che riconoscono l’arte solo nei maestri rinascimentali, barocchi ed ottocenteschi, ossia “quando gli artisti sapevano disegnare”. Ma così ci si dimentica che da Duchamp in poi ciò che conta sono l’idea ed il gesto. L’idea dietro “Comedian”? Azzerare tutte le idee, far emergere il vuoto assurto a meccanica indiscussa, riflettere nichilisticamente sulla condizione dell’oggetto artistico, portato al livello di merce consumistica pagata a peso d’oro secondo quanto imposto dal mercato.

Cattelan da sempre vuole fondere vita e arte, realtà e finzione, attraverso azioni sempre più mass-mediatiche e stranianti come “A perfect Day”, “Hollywood”, “La rivoluzione siamo noi”, la teatrale “Him”. L’artista si comporta secondo lo standard della notizia televisiva, le sue opere fanno scandalo e di conseguenza fanno notizia, trasformandosi in informazioni di tendenza. Lo dimostrano installazioni come “La nona ora”, statua di Giovanni II colpito da un meteorite, esposta proprio in Polonia, presso la Galleria Zacheta di Versavia nel 2001, oppure “L.O.V.E.” acronimo di “libertà, odio, vendetta, eternità”, più comunemente conosciuta come “Il Dito”, una scultura in marmo di Carrara posta di fronte a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Milanese, che raffigura una mano intenta nel saluto romano con però tutte le dita mozze tranne una, quella del medio. La scultura si trasforma in un gesto irriverente, reso ancora più ironico dallo stile classico e monumentale che dialoga con l’architettura del ventennio del Palazzo Mezzanotte e se la prende con il mondo della finanza. Forse la più scandalosa rimane l’installazione del 2004, “Tre bambini impiccati in Piazza XXIV Maggio”, lavoro decisamente disturbante, costituito da tre manichini di bambini a piedi scalzi e con gli occhi sbarrati, impiccati ad una quercia. Lo stesso autore aveva così controbattuto alle critiche della cittadinanza: “La realtà che vediamo in questi giorni in TV supera di molto quella dell’opera. E quei bambini hanno gli occhi aperti: un invito a interrogarsi”.

A Rivoli ci si imbatte subito nell’ironia dell’artista, poiché dove c’è la biglietteria si trova “Il bel paese, 1994”, un enorme tappeto circolare, gigantografia dell’omonimo formaggio: il lavoro rimanda all’espressione che Dante e Petrarca avevano riferito all’Italia, che qui si concretizza in un tappeto continuamente calpestato e sporcato dai visitatori.
Realizzazione dedicata alla crudeltà umana è “Charlie don’t surf” del 1997, il cui titolo è una citazione del film “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola, relativa alla scena in cui gli americani distruggono un villaggio per poter accedere ad una spiaggia e fare “surf”. Si tratta di una scultura di un bambino seduto ad un banco di scuola, appositamente messo di schiena ed apparentemente diligente, se ci si avvicina ci si accorge che l’innocente è forzatamente immobilizzato da due matite conficcate nelle mani.
Nello stesso anno Cattelan realizza “Novecento”, il celebre cavallo imbalsamato e appeso al soffitto mediante un’imbragatura. Si tratta di un’inedita “natura morta” in cui prevalgono senso di insicurezza, fallimento e impossibilità di azione.

Non c’è quindi sempre da ridere, bensì occorre riflettere. A criticare siamo bravi tutti.

Alessia Cagnotto

Il Museo del Risorgimento si presenta negli Usa e racconta la storia dell’unità nazionale

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L’appuntamento sarà martedì 15 giugno 2021, alle ore 16 per un evento in streaming organizzato dal Consolato Italiano di Detroit. 

Raggiunta finalmente l’Unità nel marzo del 1861, l’Italia cominciò subito a tessere relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti d’America. Sono passati 160 anni da allora, anni in cui i due Paesi hanno rafforzato il proprio cammino democratico, condiviso gli stessi valori di libertà, promosso i diritti umani, il rispetto delle minoranze, lo Stato di diritto. Il 2021 è quindi l’anno in cui anche negli Stati Uniti si celebrano questi due fondamentali momenti della nostra storia con un ricco programma di iniziative ed eventi organizzato sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica.
Uno di questi appuntamenti avrà come protagonista il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino, nell’ambito della quarta edizione di Fare Cinema, la rassegna coordinata dal Ministero degli Esteri, attraverso le Ambasciate e i Consolati di tutto il mondo e dedicata alla promozione del cinema italiano, che presenterà il film Ezio Gribaudo – La Bellezza ci salverà, in parte girato al Museo.
Domani, martedì 15 giugno 2021 alle ore 16 il Direttore Ferruccio Martinotti si collegherà in diretta streaming con il Consolato Italiano di Detroit guidato dalla Console Maria Manca e a cui afferiscono le comunità di Indiana, Kentucky, Michigan, Ohio e Tennessee. Sarà l’occasione per far conoscere anche oltre oceano l’importanza e la ricchezza delle collezioni del Museo Nazionale del Risorgimento e le nuove sfide che oggi il Museo è chiamato ad affrontare: utilizzare gli strumenti che la Storia mette a disposizione per comprendere il passato e saper leggere il presente, misurandosi con uno scenario internazionale ed entrando in relazione con le generazioni più giovani attraverso linguaggi contemporanei.
L’evento è organizzato dal Consolato Italiano di Detroit e non è certo un caso che si sia voluto avviare un dialogo con una importante realtà culturale di Torino, dal momento che le due città sono gemellate dal 1998. Sono accomunate da un passato molto simile, essendo entrambe due importanti centri per l’industria automobilistica.
“Nell’anno in cui celebriamo i 160 anni dell’Unità d’Italia e i 160 anni di relazioni diplomatiche tra Italia e Stati Uniti – dichiara la Console Maria Mancala collaborazione tra il Consolato d’Italia a Detroit e il Museo nazionale del Risorgimento Italiano di Torino acquista un’importanza ancora più significativa perché rappresenta un ponte tra due città gemellate e vicine sotto molteplici punti di vista, tra cui in particolare la spinta verso l’innovazione e lo sguardo al futuro e ai giovani”.
“Le due storiche Motor Cities incrociano i loro percorsi ideali sullo snodo del Museo Nazionale del Risorgimento e riaffermano lo status di città gemelle all’insegna di un doppio, identico anniversario – afferma il Direttore Ferruccio MartinottiSono molto grato alla Console Maria Manca per questa opportunità che per la prima volta permetterà di presentare agli Stati Uniti il nostro Museo e la storia che esso racconta. Una storia fondamentale che ha portato all’Unità d’Italia e che ha avuto come protagonisti migliaia e migliaia di giovani. Ad agire furono le energie migliori di cui disponeva allora il nostro Paese, le stesse a cui dobbiamo rivolgerci oggi per rivivere il nuovo Risorgimento, di cui si sente pressante la necessità”. All’incontro in streaming sarà presente anche Paola Gribaudo, Presidente dell’Accademia Albertina di Torino e membro del Consiglio di Indirizzo del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano.
Tutte le informazioni sul sito www.museorisorgimentotorino.it

I viaggi fantastici di Gianni Guadalupi

STORIE PIEMONTESI: a cura di CrPiemonte – Medium / Un grande traduttore e viaggiatore immaginario nato sul lago d’Orta

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Gianni Guadalupi

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Il dizionario dei luoghi fantastici

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Jorge Luis Borges

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Un primo piano di Gianni Guadalupi

Cagliostro: un furfante affascinante oppure un sapiente onnipresente? Incontro-racconto con Paolo Domenico Montaldo

Sabato 12 giugno – 17.30  Libreria Belgravia – via Vicoforte, 14/d – Torino. Un incontro-racconto che ha per protagonista il conte di Cagliostro, aneddoti e colpi di scena di una vita molto più che avventurosa.

Chi era Cagliostro? Ce lo racconta Paolo Domenico Montaldo, sabato 12 giugno alle 17.30, ospite della Libreria Belgravia (via Vicoforte 14/d – Torino).

Un personaggio molto chiacchierato e che ha destato l’interesse e la curiosità di regnanti, letterati e personaggi altrettanto famosi del suo tempo.
Tutta l’Europa del 1700 parla (e sparla) di lui. Avventuriero, alchimista, mago, esoterista, guaritore, truffatore, eretico. L’uomo che raccontava di aver trovato la formula per fabbricare l’oro.
Dotato di un certo fascino e di una capacità di comunicazione da fare invidia al più esperto social media manager, riesce a conquistare l’aristocrazia e si inventa di sana pianta un titolo nobiliare. La sua complice più diabolica e abile è la donna che ha sposato.

 

Il piacere del racconto e dell’ascolto, riscoprire la bellezza di lasciarsi affascinare dalle parole, questo è il filo conduttore dell’appuntamento con Paolo Domenico Montaldo, scrittore e appassionato di vicende storiche che animano i suoi libri d’avventura alla ricerca di tesori nascosti tra le pieghe del tempo, di misteri e segreti da svelare.

 

La YOWRAS Editrice, nata nel 2020 all’interno dell’Associazione culturale YOWRAS, propone una nuova formula: l’incontro racconto per esplorare eventi storici e figure sulle quali c’è ancora molto da scoprire, un viaggio tra passato e presente con l’aiuto dell’antica ma sempre nuova arte del racconto.

 

Il narratore è Paolo Domenico Montaldo, l’autore di una serie di romanzi di avventura a sfondo storico e il creatore del commissario Incantalupo, protagonista finora di tre indagini a cui, nel 2021, se ne aggiungeranno altrettante.

Weekend al Motovelodromo Fausto Coppi

Sabato 12 e domenica 13 giugno, dalle 8 alle 18

 

OPEN DAYS

prima dei lavori di ristrutturazione che lo faranno rinascere

 

Il Motovelodromo riapre in via straordinaria alla cittadinanza: due giornate di incontro e di sport, prima di chiudere per i lavori che saranno realizzati durante l’estate.

 

Il progetto di rinascita del Motovelodromo, che sarà realizzato nei prossimi mesi, intende restituire alla cittadinanza lo storico tempio dello sport torinese, da anni in disuso, ripristinando così un luogo polisportivo multifunzionale per la comunità cittadina. Il progetto si basa su un’idea di ricostruzione del tessuto comunitario e proprio per questa ragione è stato deciso di organizzare due open dayssabato 12 e domenica 13 giugno: un fine settimana per riaprire alla cittadinanza le porte del Motovelodromo, prima di chiuderle per i lavori di ristrutturazione che lo porteranno a nuova vita.

Il Motovelodromo – che incarna la più antica architettura sportiva attuale del Piemonte e ha ospitato alcuni tra i più grandi eventi di ciclismo, atletica, calcio, rugby e football americano in città – fu inaugurato nel maggio del 1920 ed ebbe un ruolo di rilievo nella ripresa della Torino flagellata dalla Spagnola. In una sorta di parallelo con l’attuale necessità di riconquista da parte dei cittadini degli spazi aperti e della socialità diffusa, interrotta a causa della pandemia, il progetto propone il Motovelodromo, con i suoi 24.000 m2, come nuovo spazio di aggregazione in cui i torinesi possano riappropriarsi di uno storico luogo di sport. In linea con questo obiettivo, gli Open Days invitano la popolazione a tornare per due giorni a vivere il tempio della bici, offrendo una programmazione sportiva e didattica rivolta ai più giovani e agli adulti.

Il programma
Tra le tante attivitàsarà possibile fare un tour guidato gratuito a cura del Comitato Pezzi di Motovelodromo, assistere agli allenamenti dei piccoli rugbisti de La Drola jr e al torneo di calcio organizzato da Balon Mundial Onlus, seguire un corso di avvicinamento alla mountain bike di Whillis Bike Club. Inoltre, l’associazione Mo.Ve. offrirà attività di giochi e laboratori didattici all’aperto per bambini dai 5 ai 10 anni, curati da personale specializzato. Per info e prenotazioni: info@move.torino.it

Ciascuna giornata si aprirà con una speciale colazione del ciclista: ai ciclisti che si presenteranno al Motovelodromo tra le 8 e le 10:30 sarà offerta una colazione da Lavazza e Casa Goffi. Per il pranzo, in entrambe le giornate, gli sponsor Levoni e Casa Goffi metteranno a disposizione panini e bibite a offerta libera, mentre Lavazza offrirà il caffè: il ricavato sarà devoluto all’associazione Mo.Ve. che lo utilizzerà per organizzare attività di sport per tutti. Gli allestimenti e i materiali di racconto sono offerti da MP, partner strategico.Aprire le porte del Motovelodromo offre anche una preziosa occasione per illustrare il progetto di riqualificazione, nello specifico la prima fase dei lavori che riguarderà la pista e il campo e che sarà portata a termine entro il mese di settembre: all’interno del Motovelodromo saranno esposte delle info-grafiche e lo staff sarà a disposizione per raccontare agli interessati il dettaglio dei lavori.

La musica dell’isola

Un  libro minuto, lieve ma molto bello, dove si  narra la storia dell’incontro tra una donna e un clochard, entrambi amanti di musica classica. L’uomo senza fissa dimora si piazza davanti alla finestra aperta del conservatorio di Torino, assieme all’autrice, per ascoltare quel professore di pianoforte che, terminate le lezioni, esegue per sé Liszt e Ravel

Quando abitavo in via Mazzini, proprio al fondo, vicino al Po, mi piaceva al mattino risalire tutta la strada verso il centro della città fino al Conservatorio Giuseppe Verdi e fermarmi qualche minuto ad ascoltare la musica che strimpellavano gli allievi e i tocchi sapienti dei maestri. Avevo imparato che dalla finestra che dava sulla via Mazzini uscivano suoni di batteria. Non mi interessava. Scartata la facciata di piazza Bodoni, dove si apriva l’ingresso dell’atrio che immetteva nella sala dei concerti, da cui al mattino non usciva alcun suono, facendo il giro del palazzo avevo individuato le aule dove si insegnavano i vari strumenti, e avevo scoperto, tra quelle in cui si insegnava pianoforte, una dove c’era un maestro particolarmente bravo: udivo infatti i tocchi incerti degli allievi e la sua mano che riprendeva il brano musicale, il suo interrompere l’esecuzione per far ripetere il passaggio, una, due, tre volte. Talora accadeva che il maestro sospendesse l’esecuzione dell’allievo per portare a termine il pezzo con le sue mani. E allora le note diventavano musica”. Inizia così “La musica dell’isola”, racconto breve di Laura Mancinelli, pubblicato dalla novarese “Interlinea” quasi vent’anni fa. Un  libro minuto, lieve ma molto bello, dove si  narra la storia dell’incontro tra una donna e un clochard, entrambi amanti di musica classica. L’uomo senza fissa dimora si piazza davanti alla finestra aperta del conservatorio di Torino, assieme all’autrice, per ascoltare quel professore di pianoforte che, terminate le lezioni, esegue per sé Liszt e Ravel. Poi, all’improvviso, quel rapporto s’interrompe perché l’uomo scompare, facendo perdere ogni traccia di se. Fino a quando, qualche anno dopo, riappare nelle vesti di organista che esegue “Eine feste Burg ist unser Gott” ( “Forte rocca è il nostro Dio” ), un grande corale di Bach basato sull’omonimo inno composto da Martin Lutero. La musica riempie di magia la messa di Natale sull’isola di San Giulio, che sembra galleggiare nella nebbia in mezzo al lago d’Orta, in una notte dall’atmosfera sognante. Da Torino al più romantico dei laghi, con il dramma della sclerosi multipla che colpì l’autrice, costringendola a muoversi su di una sedia a rotelle e ad affidare vita e passioni alla scrittura. Un racconto venato da malinconia, sospeso fra verità e invenzione, intriso di quella grazia che non manca mai nelle storie di Laura Mancinelli , dai “Dodici abati di Challant” al “Fantasma di Mozart” , da “La casa del tempo” ad “Andante con tenerezza”.

 

Marco Travaglini

Fausto Biloslavo e le verità infoibate

Fausto Biloslavo, uno dei principali reporter di guerra italiani, è tornato a Casale Monferrato dopo molti anni.

DAL PIEMONTE/ Nel gennaio del 1993 aveva tenuto una conferenza all’allora Salone Baronino sulla situazione della ex Jugoslavia, in quel momento dilaniata dalle guerre che avevano disgregato la federazione. Questa volta – l’incontro è avvenuto all’aperto a Palazzo San Giorgio sede del Comune di Casale, introdotto dal sindaco Federico Riboldi e da Federico Cavallero, presidente dell’associazione PiemonteStoria – si è soffermato sul dramma accaduto al Confine Orientale, le foibe e l’esodo degli italiani da Istria, Venezia Giulia a Dalmazia, presentando il libro scritto con Matteo Carnieletto e con il contributo di Toni Capuozzo  per i tipi di Signs Books, ‘Verità infoibate – Le vittime, i carnefici, i silenzi della politica’. “Questo non è tanto un libro su quanto è accaduto, quanto su quanto non è stato mai detto negli anni, perché ciò che è successo non si ripeta mai più”. Biloslavo ha ricordato che le foibe e le morti violente per opera dei titini non riguardarono soltanto gli italiani: nella vicina Slovenia sono stati scoperti circa 600 posti dove ci furono esecuzioni dopo la fine della seconda guerra mondiale e si contano circa 11mila morti soltanto tra gli sloveni. Il relatore si è poi soffermato sulla figura del Maresciallo Tito, che è stato insignito come Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana, nonostante quanto avvenne in quegli anni e questo titolo sia irrevocabile essendo morto (come per Ceausescu o Mobutu) e al quale una decina di comuni in Italia ancora intitolano una via. Biloslavo ha poi ricordato il ‘colpo di fulmine’ dell’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden che conobbe Tito nl 1979 e lo ha definito successivamente ‘un genio’. Poi dopo aver ricordato quanto accadde a suo nonno che venne infoibato, nel rispondere ad una domanda dal pubblico ha evidenziato che ‘nessun crimine grande o piccolo, nessuna circostanza può giustificare la barbarie delle foibe, come pure ogni altra barbarie”. Il giornalista triestino – che ha un legame con il Piemonte avendo diretto il settimanale Notizia Oggi Vercelli all’inizio degli anni Novanta – partecipa allal’inaugurazione del monumento in memoria delle vittime delle foibe e dell’Esodo, opera dello scultore istriano (recentemente scomparso) Michele Privlleggi posta all’interno dei giardini Norma Cossetto inaugurati nel febbraio scorso. All’incontro è intervenuto l’assessore regionale Maurizio Marrone

Massimo Iaretti