Quando Luigi XIV sguinzagliava le sue spie nella laguna veneta per rubare i segreti dei vetrai di Murano. Tra la Francia e Venezia scoppiò perfino la “guerra degli specchi, tra il 1664 e il 1667.
I maestri vetrai muranesi, in difficoltà economiche, preferirono emigrare in altre città italiane, compresa Torino, e anche all’estero per trovare condizioni di vita e di lavoro migliori. La diaspora dei vetrai cominciò già nel Trecento e si protrasse fino al Settecento facendo perdere a Venezia parte della produzione dei suoi gioielli ammirati e venduti in tutto il mondo. Oggi i vetrai di Murano sono di nuovo in crisi: gli alti costi dell’energia diventano proibitivi e insostenibili per questi artigiani che per produrre i loro manufatti devono tenere accesi i forni giorno e notte. Alcune fornaci sono state già chiuse e diverse famiglie stanno pensando di trasferire altrove la produzione. Si delinea insomma una situazione simile a quella del Seicento descritta, con dovizia di particolari, dallo storico Paolo Preto nel volume “I Servizi segreti di Venezia, spionaggio e controspionaggio ai tempi della Serenissima” (Il Saggiatore, 1994). Ma spariranno davvero i vetrai di Murano e i loro celebri lampadari conosciuti in tutto il mondo e che attirano in laguna ogni anno moltitudini di turisti? Se ne parla molto in questi giorni con servizi televisivi e articoli sui quotidiani. Se non si produce si chiude bottega o si emigra in un altro Paese dove l’energia costa meno. Fiore all’occhiello della produzione industriale di Venezia i vetri di Murano sono sempre stati, almeno fin dal Trecento, una fonte perenne di preoccupazioni per la Repubblica di Venezia che nel Seicento combatté addirittura una guerra di spie contro la Francia di Luigi XIV. Deciso a rubare al doge i suoi maestri vetrai Jean Baptiste Colbert, primo ministro del Re Sole, fece di tutto per portarne un gruppo a Parigi promettendo loro favolosi guadagni e iniziando una produzione tutta francese.
Fu un vero e proprio attacco all’industria veneziana ma Colbert dovette scontrarsi con la dura reazione del governo lagunare che ricorse a tutti i mezzi per stroncare l’offensiva della monarchia francese, anche all’omicidio di Stato, mandando i suoi 007 a eliminare fisicamente soggetti scomodi al di là delle Alpi. Vengono colpiti vetrai veneziani e lucidatori di specchi francesi, i rapporti tra le due potenze peggiorano e diventano insostenibili per entrambe le diplomazie. I vetrai fuggiti in Francia tornano in laguna ma ormai l’obiettivo è stato raggiunto. I francesi si sono impadroniti con la forza e con l’astuzia dei segreti dei vetrai muranesi e Colbert non ha più bisogno di importare specchi da Venezia. Lo scrittore veneziano Alessandro Marzo Magno ricorda che nel sito del gruppo francese Saint-Gobain, leader mondiale nella produzione di vetri industriali, si legge: “Fondato in Francia nel 1665 per volere di Luigi XIV per realizzare la galleria degli specchi della reggia di Versailles a Parigi” ma non c’è però scritto che il tutto era il risultato di una colossale operazione di spionaggio industriale organizzata da Colbert ai danni di Venezia. Come dimostra il secolare successo della Saint-Gobain”. Ma anche questa volta, ne siamo convinti, Venezia, che proprio quest’anno compie 1600 anni di gloriosa esistenza, non si rassegnerà facilmente a perdere i suoi maestri muranesi. Lo Stato italiano è costretto ad aiutarli.

Il 16 novembre 1840 Balzac annunciava a Madame Hanska: “A partire dal momento in cui riceverete questa lettera, scrivetemi al seguente indirizzo: M. de Breugnol, rue Basse n.19, Passy, vicino a Parigi. Sono là, nascosto per qualche tempo (…) Ho dovuto spostarmi molto rapidamente e devo restare là”. Per la sua casa di rue de Batailles, a Chaillot, dove aveva vissuto tra il 1835 e il 1838, aveva utilizzato uno pseudonimo femminile, “Veuve Durande”, “Vedova Durande”, mentre per Passy è diventato Monsieur de Breugnol.
“La mia opera ha la sua geografia come ha la sua genealogia e le sue famiglie, i suoi luoghi e le sue cose, i suoi personaggi e i suoi fatti; come ha il suo stemma, i suoi nobili e i suoi borghesi, i suoi artigiani e i suoi popolani, i suoi politici e i suoi dandys, i suoi eserciti e infine tutto il suo mondo” scrive Balzac. La morte prematura, avvenuta a soli 51 anni, ha impedito a Balzac di unificare l’opera e, probabilmente, di effettuare altre revisioni, altre correzioni.
Le singole vite si trasformano nelle vite degli altri, nelle vite di tutti, nelle nostre vite ed è facile per il lettore ritrovare un po’ di sé nei personaggi e nella complessità delle loro relazioni esattamente come in tutti loro è fortissima l’influenza dell’autore. Scriveva, infatti, Charles Baudelaire: “Insomma in Balzac ciascuno, anche le portinaie, ha del genio. Tutte le anime sono piene fino al collo di volontà…”.
pronuncia al cimitière du Père Lachaise.

Si trascurava l’Alto Medioevo forse per non perdere troppo tempo con dei barbari sanguinari che uccidevano solo e si comportavano in modo selvaggio, per esempio strappando con le mani la carne da mangiare, divorando il cibo come animali, un po’ come si vede nei film. Ebbene, oggi sappiamo qualcosa di più. Teodorico e la sua corte gota erano tutt’altro che barbari e già 1500 anni fa mangiavano a tavola con forchette, cucchiai e coltelli. Usavano le posate, perbacco, come noi.
appartenessero a un personaggio così importante.
sparisce e tra le rovine gli studiosi trovano anche sette delicatissimi cucchiai insieme a un piccolo piatto. Inizialmente si parla di “tesoretto bizantino” ma ulteriori più dettagliati studi datano quel prezioso materiale all’epoca di re Teodorico che sigla il manico di un cucchiaio. Una firma reale tutta speciale con una croce e sei lettere.