STORIA- Pagina 109

Da sabato 15 maggio ripartono le visite guidate al Castello del Valentino

La dimora sabauda è sede storica del Politecnico di Torino

Dopo la lunga chiusura dovuta alle misure di contenimento per l’emergenza sanitaria da Covid-19, il Castello del Valentino, sede storica del Politecnico di Torino e residenza sabauda dichiarata Patrimonio dell’umanità UNESCO, riapre finalmente al pubblico da sabato 15 maggio 2021: “Il Politecnico di Torino ha il privilegio di possedere un patrimonio unico: è nostro piacere, ma anche un dovere etico, custodirlo, valorizzarlo e condividerlo con cittadini e turisti”, spiega la professoressa Annalisa Dameri,  referente scientifico per i Restauri del Castello del Valentino.

Il Castello, proprietà del Politecnico, è sede della Scuola di Architettura e residenza sabauda dichiarata Patrimonio dell’umanità Unesco. Le stanze del piano nobile sono visitabili solo durante visite guidate gratuite, con l’accompagnamento del personale laureato selezionato dall’ateneo. L’itinerario di un’ora prevede la visita delle stanze del piano nobile, sala delle colonne e cappella al piano terreno: è possibile che l’itinerario possa subire qualche variazione in caso di lavori di restauro o in caso di sale occupate da convegni.

La visita sarà svolta in assoluta sicurezza, nel rispetto delle norme di sicurezza per evitare il contagio da Covid-19. L’ingresso sarà contingentato per gruppi di visitatori non superiori a 15 persone e verranno adottate le norme di comportamento necessarie all’accesso a luoghi pubblici, come l’utilizzo delle mascherine, la misurazione della temperatura all’ingresso e la prenotazione obbligatoria sul sito ufficiale del castello. Ogni settimana, sarà quindi nuovamente possibile visitare il Castello, con due orari di ingresso al sabato mattina alle 10 e alle 11.30 (prenotazione obbligatoria sul sito del Castello).

Felix De Cavero e le immagini di Torino liberata

La mostra fotografica di Felix De Cavero, pensata in occasione del 75° anniversario della liberazione di Torino e realizzata con un anno di ritardo a causa dell’emergenza sanitaria imposta dalla pandemia al polo del ‘900, rimarrà aperta al pubblico fino al 16 maggio.

Gli orari di visita vanno dal martedì alla domenica, dalle 10.00 alle 18.00 con prenotazione obbligatoria ( tel. 011 01120780 –  email receptionsancelso@polodel900.it). L’evento è stato curato da Luciano Boccalatte ( direttore dell’Istoreto) e Paola Boccalatte con la collaborazione di Paola De Cavero che ha messo a disposizione le fotografie del suo da archivio privato, notificato dalla Soprintendenza Archivistica e Bibliografica per il Piemonte e la Valle d’Aosta.

Un avvenimento, sostenuto dal Consiglio regionale del Piemonte tramite il Comitato Resistena e Costituzione, che consente la visione di un centinaio di immagini inedite scattate con la sua Leica dal fotoreporter partigiano nella XIV Brigata Garibaldi durante la Resistenza. La selezione degli scatti è stata suddivisa in quattro momenti: la discesa della brigata in città, gli aspetti delle giornate insurrezionali (fucilazione di cecchini, morti in strada, segni della pietà popolare su luoghi di eccidi), la sfilata del 6 maggio 1945  (dove l’occhio del fotografo-pittore coglie soprattutto volti e gruppi nella folla) e  i giorni antecedenti la smobilitazione delle brigate partigiane. Un’occasione importante per conoscere e apprezzare il lavoro di testimonianza di Felix De Cavero che riporta alla mente quanto scriveva il grande fotografo Henri Cartier-Bresson: “fare una fotografia vuol dire allineare la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere. Una fotografia non è né catturata né presa con la forza. E’ lei che si offre. È la foto che ti cattura”. Negli scatti di De Cavero sono impresse immagini che ci restituiscono alcuni dei momenti fondativi della nostra vicenda democratica e repubblicana c’è un discorso storico, un racconto visivo  importantissimo. Le foto diventano fonte storica, testimonianza diretta degli  eventi, capaci di suscitare, in chi le vede, emozioni e riflessioni che lasciano un segno profondo. In realtà quelle immagini hanno rappresentato un ritorno nella città della Mole se pensiamo che i torinesi, nell’agosto del ’45, durante la prima estate del secondo dopoguerra, videro qualche fotografia esposta nella prima mostra della Resistenza che De Cavero allestì su incarico del Comitato di liberazione nazionale.

In quelle immagini è percepibile quanto la formazione d’artista abbia influito sulla sua visione dietro l’obiettivo. “Basta osservare l’attenzione alla composizione del fotogramma – affermano i curatori della mostra – ,la capacità di cogliere, con senso squisitamente pittorico, volti, gruppi, folle, atmosfere che emergono spesso da un particolare che ha attirato la sua attenzione. La sensibilità al paesaggio, qui appena percepibile in alcuni fotogrammi, è evidente nella serie scattata nelle Langhe, di cui è presentato solo qualche esempio”. Nell’intento di rendere evidente quelle qualità “si è scelto di non procedere a una selezione di fotografie, ma di presentare nella totalità la sequenza delle immagini così come sono state scattate, offrendo al visitatore una serie ininterrotta. Scorrono così sotto gli occhi in successione la presenza in città della XIV divisione, l’unica e drammatica sequenza conosciuta e individuata dell’esecuzione di un cecchino, i funerali partigiani del 30 aprile, la sfilata conclusiva del 6 maggio e la smobilitazione della divisione a Villa Lovera sulla collina torinese”. Una straordinaria testimonianza “di un’epoca tremenda, filtrata dalla pietà e dalla macchina fotografica”  come scrisse il critico e pittore Pino Mantovani nel 1996.

Discendente da famiglia nobile spagnola ( il padre Antonio era stato ufficiale d’ordinanza di Garibaldi nella campagna dei Vosgi e poi colonnello nell’esercito degli Stati Uniti) Felix De Cavero nacque a Diano Marina nel dicembre del 1908. Diplomatosi nel ’30 all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, fu tra i pittori protagonisti dell’arte tra tardo futurismo e esperienze d’avanguardia a Genova e a Milano. Richiamato alle armi nel gennaio del ‘42 nel 1° Alpini, l’armistizio dell’8 settembre 1943 lo sorprese a Monforte, nelle Langhe, dove iniziò la sua attività nella Resistenza con le prime bande e, dal settembre 1944, nel comando della XIV brigata Garibaldi come fotoreporter e redattore del giornale “Stella Tricolore”, il periodico clandestino delle formazioni garibaldine langarole. Nell’agosto del ‘45 fu lui l’ideatore della prima mostra della Resistenza a Torino, esposizione che ripropose, ampliata, in Francia – a Nizza e  Grenoble –  e successivamente a Genova nel gennaio 1946. Il suo era uno sguardo sull’Europa che si ritroverà nell’esperienza artistica del dopoguerra. Nello stesso 1946 realizzò una mostra dell’esercito italiano su incarico del generale Clemente Primieri, già comandante del Gruppo di combattimento “Cremona”. Nel 1953 fu il creatore del Gruppo d’arte Decalage che operò per circa quarant’anni con rilevanti riconoscimenti nazionali e internazionali. Conclusa l’esperienza del gruppo dal 1991 si dedicò con la figlia Paola alla realizzazione di un nuovo ciclo di opere pittoriche, “Incantesimi”. Scomparve a Torino il 7 agosto 1994. Riposa nella tomba di famiglia al Cimitero Monumentale, accanto alla moglie Lucy Cristofoli. Una targa-stele, apposta dalla Città di Torino, ne ricorda la figura di artista e partigiano.

Marco Travaglini

L’indicibile errore del povero Slinzer

Novara, Piazza della Libertà, ore 19. Il sole, a malincuore e controvoglia, s’avviava lento al tramonto dietro alla corona delle montagne, tingendo di rosso il cielo in una promessa di bel tempo per l’indomani. Una speranza che, in cuor nostro, andava ben oltre, dopo tutti quegli anni di guerra e miseria

La maggior parte di coloro che, come me, stavano confluendo in piazza portavano sulle spalle il peso delle fatiche e in bocca l’amaro dei lunghi silenzi. Per tanti mesi avevamo combattuto sulle montagne,con il cuore in gola e lo stomaco stretto. Io  ero stato sul monte Biasco con Cino e Ciro.

Sullo spartiacque tra la Valsesia e la conca del lago d’Orta organizzammo le prime azioni di guerriglia con il distaccamento “Gramsci”, per poi confluire nella 6ª Brigata Garibaldi “Nello”. Mario era stato tra quelli che salvarono la galleria del Sempione, con i partigiani della Brigata “Comoli”, al comando di Mirco. Un lavoraccio lungo e snervante, sotto la pioggia e il vento. Ma nonostante tutto riuscirono a sventare l’attentato, portando sul piazzale della stazione e nella spianata a fianco del torrente Diveria le oltre mille casse di tritolo con le quali i tedeschi volevano far saltare il tunnel ferroviario. Ne parlava con orgoglio e noi tutti lo ascoltavamo con ammirazione. Anche Luigi era stato un garibaldino della “Fratelli Varalli”, con il Capitano “Bruno”. Oreste, invece, pur non essendo stato in montagna, aveva fatto la resistenza in città come gappista, insieme a tanti altri ragazzi della sua età. Dopo la calata al piano e la liberazione, si era spostato con Lucilla, staffetta partigiana della brigata “Rabellotti”, una formazione d’ispirazione cattolica. Agli amici che gli chiedevano come facesse lui, comunista e mangiapreti, a stare con una cattolica osservante, rispondeva risoluto che “l’amore non ha ideologia o fede. Per di più abbiamo combattuto insieme per la libertà. Quando affrontavamo fascisti e tedeschi non badavamo alle differenze e io non ci bado nemmeno ora, soprattutto con la mia Lucilla”. Comunque, da quel venticinque aprile di festa era passato più di un anno e da poche settimane l’Italia era diventata una Repubblica, dopo che il referendum aveva chiuso l’esperienza monarchica sia pure di misura. Anche il voto per eleggere l’Assemblea Costituente aveva confermato la volontà del cambiamento, con la Democrazia Cristiana al 35% e le sinistre che, sommando socialisti e comunisti, raggiunsero il 40%,ottenendo molti consensi tra le masse operaie. Ed è per festeggiare la Repubblica che oggi siamo qui, in piazza della Libertà, ad ascoltare il comizio del nostro Prefetto, antifascista tutto d’un pezzo e pure gran dottore. E’ un gran via vai di gente che arriva da ogni parte della provincia. Alcuni sbucano dalle vie alla chetichella, da soli o in piccoli gruppi. Altri, invece, entrano in piazza marciando baldanzosi in improvvisati cortei. Ecco le mondine, con i loro canti da risaia; raggiungono le operaie dei cotonifici, con i capelli raccolti nei foulard. Dalla via Raspetti, dove svetta la ciminiera in mattoni rossi della vecchia fornace, risale un gruppo di ferrovieri, con macchinisti e fuochisti dalle facce nere di fuliggine. Anche gli impiegati del comune sono qui,tirati a lucido in questa sera di festa e allegria. L’appuntamento è fissato per le venti, dopocena. Sì, perché ora che si può mangiare regolarmente, la pentola fumante con la minestra è già in tavola prima delle sette e con il ricordo della fame patita le scodelle, in un turbine di cucchiaiate, vengono svuotate in fretta. Molti dei partecipanti, però, hanno rinunciato alla cena per prendere posto il più vicino possibile al palco. C’è scarsa fiducia nella potenza degli altoparlanti messi a disposizione dalla Camera del Lavoro e quindi è meglio portarsi a tiro d’udito per sentire il discorso. Sento Mario che mi chiama: “Marco, vieni qua. Dai, svelto. C’è posto vicino alla ringhiera”. Con lui ci sono già Oreste ,Luigi e Costante. Quest’ultimo, durante la battaglia del Monte Calvo, mise in fuga un drappello di fascisti sparando in aria e gridando “Garibaldi combatte. Stella rossa, vince”. Era solo ma pensavano fosse un intero reparto garibaldino e se la diedero a gambe a rotta di collo, con i talloni che picchiavano sul sedere. Comunque, ricordi a parte, ora siamo quasi sotto il palco, dietro una transenna fatta con un pezzo di ringhiera portata lì chissà da dove. Davanti a noi c’è il servizio d’ordine, composto da operai delle manifatture novaresi. Tutti della CGIL, con le fasce rosse al braccio e i fazzoletti dello stesso colore al collo. Tra gli applausi della folla salgono sul palco gli oratori. C’è il prefetto, il dottor Manara e, accanto a lui, il segretario della Camera del Lavoro, Aristide Rabolloni. Ci sono anche i segretari dei partiti socialista e comunista, Ascanio Slinzer e Duilio Scarpi, il dottor De Marinis del Partito d’Azione e il “capitano” Sliveri, comandante dei Gap novaresi. Ovviamente ci sono anche gli altri comandanti partigiani. Sono in molti sul palco a salutare la piazza ormai stracolma di persone ma solo uno, da quanto è stato detto, dovrebbe parlare: il dottor Manara. Pediatra di fama, ben conosciuto per la sua grande umanità e per l’innato senso di giustizia, venne indicato all’unanimità dal CLN, all’indomani del 25 aprile, per ricoprire il delicato ruolo di Prefetto. A presentarlo, essendo entrambi socialisti, toccava al segretario del suo partito, Ascanio Slinzer, che ormai non più giovanissimo guidò le lotte dei contadini a Lumellogno. Non alto, piuttosto tarchiato, con due braccia robuste e muscolose a forza di scavar solchi e muovere aratri, Ascanio impugnò il microfono con una tal foga che parve volesse strangolarlo. Avvicinò le labbra, si schiarì la voce e attaccò: “Compagne e compagni, cittadini e popolo novarese. E’ una sera di gioia e di festa. L’Italia è una Repubblica e la monarchia, che tanti danni e tanti lutti ha provocato al paese, è ormai un ricordo dietro alle spalle”. Si capì, dal tono tribunizio, che cercava l’applauso per scaldare la piazza. E l’applauso non tardò a venire. Lo scrosciare ritmato di migliaia di mani sottolineò le parole del capo dei socialisti. Lui,visibilmente compiaciuto,continuò: “Le nostre lotte, i sacrifici, l’amarezza dei giorni tristi e la gioia delle vittorie che ci hanno accompagnato fino alla calata al piano sono state ricompensate. Oggi qui stiamo facendo la storia, cari compagni. La storia nuova di un paese che vuole progredire nella libertà e nella giustizia. Abbiamo sconfitto i fascisti e i tedeschi invasori. Ora dobbiamo costruire l’Italia e sconfiggere l’ignoranza, la povertà, le ingiustizie sociali. Ma di queste cose ci parlerà ora con maggior capacità il nostro prefetto, il dottor Manara. E’ a lui che cedo volentieri la parola ricordando che non solo è un grande prefetto ma è anche uno dei pederasti più importanti d’Italia. Prego, dottore…”. La piazza, che stava sottolineando il momento con un lungo applauso,ammutolì di colpo. Il Prefetto,imbarazzatissimo, riuscì a
malapena a tirare la giacca al povero Slinzer che, nella foga oratoria, aveva confuso il termine pediatra con quel “pederasta” che aveva lasciato tutti a bocca aperta. Il segretario socialista però, preso ormai dalla foga, non comprendendo l’errore, aggiunge con una certa enfasi: “Hai ragione, compagno Manara. La tua modestia è proverbiale ma diciamolo a questa gente che ti vuol bene: tu non sei solo il più grande pederasta d’Italia. No, tu sei il più grande pederasta d’Europa”.Così, inconsapevolmente stupito dal gelo che era sceso sul palco e sulla piazza, il pover’uomo aveva rafforzato il malinteso a tal punto che, nonostante la sua capacità oratoria e il grande prestigio, il dottor Manara non fu in grado di evitare che il suo intervento fosse accompagnato da un certo numero di maliziosi sorrisi e qualche gomitata. Ce ne andammo tutti un po’ frastornati ma peggio di noi doveva sentirsi Ascanio Slinzer se, terminato il comizio, con la testa bassa come un cane bastonato, s’avvicinò a noi quattro dicendo: “Ragazzi, ma cosa ho detto, boia di un boia, per fare incazzare il Manara? Mi ha detto “Ascanio, vai a quel paese!”, e mi ha persino dato uno spintone. E io che ci ho fatto tutti quei complimenti? Mah, questi qui che han studiato saranno anche dei dottoroni ma a riconoscenza non stanno mica tanto bene, eh..Roba da matti..”.

Torino riparte con Palazzo Arsenale. Inaugurato il cortile restaurato e presentata l’opera monografica

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Il Palazzo sarà aperto al pubblico con visite guidate.

Dopo un anno di lavori che hanno portato al rifacimento della pavimentazione con preziosa pietra “Luserna” e ad un nuovo sistema di illuminazione, è stato inaugurato stamattina il cortile di Palazzo Arsenale, imponente e maestoso, ed è stato presentato il libro che ne raccoglie la storia, le vicende e le curiosità. La cerimonia è avvenuta alla presenza di Autorità Civili, Militari e Religiose in aderenza alle norme anti-Covid 19.

Il progetto di restauro e valorizzazione, avvenuto in un ottica di riqualificazione ambientale, è stato possibile grazie al sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, di Intesa Sanpaolo e della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, che ne ha anche coordinato i lavori, e sotto la supervisione della Soprintendenza competente.

Il Generale di Divisione Salvatore Cuoci, Comandante per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito, ha ringraziato gli Enti contributori per il decisivo apporto nel preservare la sede che ospita l’Istituto di Formazione Militare, che costituisce un’eredità culturale e storica per lacittà di Torino.

Nel 2018, è stato dato ulteriore impulso alla già stretta collaborazione tra i due Enti, tramite il Segretario Generale della Fondazione Compagnia di San Paolo, Dott. Alberto Anfossi ed il Capo di Stato Maggiore dell’Istituto di Formazione, Generale di Brigata Roberto De Masi  è stato sviluppato il progetto che ha portato al  rifacimento e alla  valorizzazione del Cortile d’Onore ed alla realizzazione dell’opera editoriale dal titolo “PALAZZO  ARSENALE:  tradizione, modernità e futuro” con le belle immagini dell’Architetto Pino Dell’Aquila.

Nel corso della cerimonia il Presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo, Prof. Francesco Profumo ha sottolineato come, dal 1563, la fondazione si prenda cura del patrimonio culturale del territorio, a favore del bene comune, e perché anche le generazioni future possano beneficiare di questa ricchezza. Ha aggiunto poi come Palazzo ex Arsenale sia uno dei più imponenti edifici torinesi, unica testimonianza rimasta del complesso infrastrutturale “Regio Arsenale”, di cui costituiva il cuore e la cui erezione settecentesca, ispirata a planimetrie juvarriane, si è protratta per anni.

Il Presidente di Banca Intesa Sanpaolo, Prof. Gian Maria Gros-Pietro, ha commentato: “Il nostro contributo alla restituzione di questo luogo storico e artistico è un’ulteriore testimonianza dell’attenzione che la Banca rivolge alla promozione del patrimonio culturale e conferma la centralità del legame di Intesa Sanpaolo con Torino.

Il Presidente della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, Dott. Giorgio Marsiaj ha proseguito affermando: “Il tempo che stiamo vivendo ci mette di fronte a sfide di portata storica: è evidente che sono le alleanze e il fare sistema che possono portare i migliori risultati. Vogliamo contribuire a diffondere sapere e bellezza nella consapevolezza che la cultura è leva economica di sviluppo e volano di inclusione sociale”.

Durante la cerimonia nel presentare il libro, il Prof. Walter Barberis, storico, docente universitario, Presidente della Giulio Einaudi Editore e curatore del testo, ha osservatocome ”La Scuola di alta formazione degli Ufficiali, prima piemontesi poi italiani, fin dai suoi esordi, si è illustrata per la qualità scientifica dei suoi insegnanti e la severa selezione dei suoi allievi. Oggi come ieri, rimane uno degli Istituti più reputati a livello internazionale, orgoglio di Torino e dell’Italia

Maria La Barbera 

Dal 7 maggio è prevista l’apertura al pubblico del Cortile d’Onore da via Arsenale 22 mercoledì, sabato e domenica con orario 18.00 – 20.00

Ingresso libero.

Napoleone in Francia Vittorio Emanuele in Italia

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Il presidente della Repubblica  francese Macron ha reso omaggio ieri  alla tomba di Napoleone  con una cerimonia austera e solenne nel bicentenario della morte avvenuta il 5 maggio 1821.

Lo scorso anno, bicentenario della nascita del Padre della Patria e primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II  nessuna alta carica dello Stato italiano ha fatto anche solo un gesto
per ricordare uno degli artefici del Risorgimento e dell’ Unità d ‘Italia, al Pantheon, al Vittoriano o a Palazzo Carignano dove nacque. Due modi opposti di sentire la storia nazionale perché Macron ha affermato che Napoleone è parte della Francia e che il passato non va valutato con le nostre idee del presente. Osservazioni ovvie perché gli anacronismi sono l’esatto opposto della storicizzazione. E’ stato proprio un grande storico francese Marc  Bloch ad invitare a comprendere prima di giudicare. Non da oggi c’è invece la tendenza propria degli ignoranti e dei politicanti di giudicare senza neppure tentare di comprendere. Macron ha fatto un discorso in cui sono emerse luci ed ombre , distinguendosi dall’estrema destra esaltatrice della grandeur napoleonica  a prescindere e della gauche legata a pregiudizi ideologici volti a confondere Napoleone personaggio storico con il Bonapartismo politico. E’ un dovere elementare di un Paese  civile ricordare la propria storia senza demonizzazioni che, a duecento anni dalla morte, appaiono ridicole. Come condottiero militare Napoleone è confrontabile, ad esempio, con Alessandro Magno e Giulio Cesare e come tale va ricordato , senza far prevalere giudizi pacifisti e antimilitaristi che son nati nel secolo scorso e ci impediscono di comprendere il passato. La Francia anche sotto la pandemia ha saputo ricordare un grande francese. L’Italia repubblicana lo scorso anno non ha saputo dedicare un minimo di attenzione per il Re che venne considerato un Galantuomo e che non ha nessuna ombra anche solo lontanamente paragonabile con quelle del Corso. Siamo all’assurdo che in alcune città italiane e’ stato o verrà onorato Napoleone, mentre persino Torino, dove nacque nel 1820, ha riservato un agghiacciante silenzio al Re del nostro Risorgimento. Una  ennesima prova di una classe politica formata da pavidi e mediocri, asserragliati nel fortino del potere ed incapaci di fare i conti con la storia perché il loro destino è, al massimo, la cronaca del presente.

Krishna, il divino amante

Esposti al MAO di Torino dipinti indiani del XVII – XIX secolo appartenenti alle Collezioni del Museo

Fino al 26 settembre In tutto sono quattro. Ma la loro bellezza, trasmessa immutata nei secoli, giustifica il ridotto numero dei pezzi esposti e val bene (eccome!) una visita: quattro dipinti religiosi incentrati sulla figura del dio Krishna, di cui tre di notevoli dimensioni. Il più prezioso è certamente quello a tempera e foglia d’oro su cotone, raffigurante Krishna che suona il flauto omaggiato da due “gopi” o pastorelle o “giovani mandriane”. Il dipinto (India – Rajasthan, XVII secolo d. C.) ha come quinta un albero di mango al centro, con alberi di “kadabamba” ai lati e piante di banano in primo piano. Curata da Claudia Ramasso e Thomas Dahnhardt, l’esposizione, allestita al “MAO – Museo d’Arte Orientale” di Torino, si propone di mostrare al pubblico quelle particolari opere pittoriche delle scuole del Rajasthan, denominate “picchavai” che sono grandi dipinti devozionali su tela libera consacrati al dio Krishna, fra le divinità indiane più note in Occidente, manifestazione terrena del dio Vishnu e fulcro della corrente devozionale cosiddetta della “bhakti”. Di grande espressività artistica e tradizionalmente esposti nella sala interna del tempio, dove è venerata l’immagine di Krishna, sono dipinti che raccontano la vita terrena del dio attraverso una serie di contesti diversi, che variano nel corso dell’anno, in base al calendario delle festività relative alla divinità. Particolarmente suggestive ed interessanti sono le raffigurazioni denominate “Raslila”, che ci rappresentano Krishna mentre intesse giochi amorosi con le “giovani mandriane” (“gopi”) nei boschi di Vrindavan, luogo dove la tradizione religiosa colloca la sua giovinezza. Sempre alla corrente della “bhakti” si rifanno anche i componimenti poetici che accompagnano i dipinti. Il più antico risale alla “Bhagavad-gita”, uno dei testi sacri per eccellenza della tradizione hindu e di fondamentale importanza nel contesto delle correnti devozionali krishnaite, che risale al II secolo a.C. e che celebra la maestosità universale del Beato, epiteto attribuito a Krishna. Compiendo un salto temporale dall’antica tradizione brahmanica alle forme più recenti dell’induismo, tre dei quattro componimenti poetici sono invece traduzioni inedite da testi “hindi” ascritti a grandi poeti devozionali del XV – XVI secolo, epoca in cui l’India settentrionale si trovava sotto la dominazione islamica. “I testi letterari della corrente della ‘bhakti’ di questo periodo – spiegano i curatori – evidenziano un ambiente culturale particolarmente fecondo, dove la fede devozionale per il dio amato apre le porte a nuove forme espressive che descrivono compiutamente una società multiculturale in cui musulmani e indù, uomini e donne, attraverso l’espressione artistica, diventano veicoli della simbiosi culturale in atto nella società indiana di quel periodo”. Un bell’esempio, in fondo, per tutte le civiltà asiatiche, e non solo, di allora. E di oggi.
g. m.

“Krishna, il divino amante”
MAO – Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino, tel. 011/4436932 o www.maotorino.it
Fino al 26 settembre
Orari: merc. giov. ven. 13/20; sab. e dom. 10/19

Gerliczy de Gerlicze e Stirbey Bibescu, nobili d’Ungheria e dei Balcani

La ricerca storica di Armano Luigi Gozzano prosegue sulla famiglia Gerliczy de Gerlicze e Stirbey Bibescu, nobili  d’Ungheria e dei Balcani durante il periodo della guerra di Crimea (detta l’ultima crociata) appoggiata da Cavour, la cui genealogia materna é rappresentata sul dipinto di casa Titus Gozani, fonte di inesauribili informazioni storiche e ultimo Marchese di San Giorgio Monferrato vivente senza eredi maschi, e dalle fonti di Miloslav Gerliczy in Slovacchia.

Lo sciame sismico originato dell’emigrazione dei Gozzani di Luzzogno verso Brolo di Nonio, Briga e Bolzano Novarese, Agliè,Acqui, Asti, Bra, Mondovì, Saluzzo, Ventimiglia, Cereseto e Monferrato casalese e dopo aver costruito i bellissimi palazzi San Giorgio e Treville a Casale Monferrato e il palazzo San Giorgio a Torino poi a Roma, Parigi, Madrid e Ginevra ,e proseguito  in Slovenia, Austria, Germania e Usa (Mass) riaffiora nella regione balcanica. Singolare la genealogia ungherese di Sidonia Von Gozani (1846-1892) sorella di Ferdinando ll e di Arthur già rappresentati e di Ludvik (1849-1916) Marchese di San Giorgio Monferrato sposato con Sophie Josephine Helene Von Neustaedter di Zagabria, da cui Odo von Gozani (1885-1938) a destra dei suoi genitori,nato a Lubiana e morto a Vienna.
Avvocato al servizio d’Austria come amministratore civile nella prima guerra mondiale fu segretario di stato nel 1933-34 , inviato a Budapest nel 1936 e ministro degli interni nel 1937, fu dimesso per le sue idee nazionalistiche. Esercitó una forte influenza ideologica sul movimento del fronte patriottico nel fallito colpo di stato austro-nazista del 1934 e la falsa testimonianza emersa sui Leaders davanti al tribunale militare di Vienna lo portó al suicidio. Sidonia dal matrimonio del 1863 a Lubiana con Josef Maria Coleman Gerliczy ebbe tre figli tra cui Emil Felix Ludvik (1871-1924 morto a Zurigo) sposato con Louise Anna von Korff di Dresda.
Notevole il percorso della famiglia: da Fiume a Lubiana, da Vienna a Monaco di Baviera, Francoforte, Dresda e Berlino, da Budapest a Desk in Ungheria, da Oradea a Câmpina in Romania,a Zurigo, Nizza, Trieste e Santa Maria Maggiore (Val Vigezzo). L’antica casata risale al 1200 e a metà 1600 furono riconosciuti cittadini di Fiume ed entrarono a far parte del locale Patriziato Onorario.Il diploma di nobiltà fu conferito nel 1626 dal Regio Governo dell’imperatore e Re Ferdinando ll del litorale ungarico e confermato nel 1838 per tutti i discendenti di ambo i sessi,mentre lo stupendo stemma fu ufficializzato nel 1774 in sostituzione del precedente del 1557.
Le tre corone d’oro sugli elmi rappresentano la vicinanza presso l’autorità imperiale.
Personaggio di spicco fu Giovanni Felice (1715-1797) capitano comandante e Cavaliere, assessore al commercio e cancelliere della Sanità nel 1758, bisnonno di Josef,era proprietario a Fiume nel 1750 del palazzo barocco Gerliczy, ex sede del teatro con giardino annesso poi ereditato dal fratello Giuseppe nel 1759. Un disegno originale del teatro é custodito nell’archivio di stato austriaco.Tra il 1901 e il 1904 il pronipote Ferenc Gerliczy von Arany
(1859-1914) membro del Parlamento e sposato con Gizela (Gilda) Henriette von Fejérvàry di Vienna costruisce la chiesa di Nostra Signora d’Ungheria accanto al suo castello di Desk.
Notevole prestigio acquisì il loro figlio Felix Vince Ferenc Gerliczy- Burian (1885 Oradea -1954 Nizza ) dal matrimonio con la  principessa Elisabeth (Elsa) Stirbey Bibescu di Câmpina. Nel 1939 ricevette il titolo di conte Gerliczy ed era soprannominato il Liechtenstein.
A Oradea nel 1908 l’architetto Szatarill Ferenc Gerliczy allievo della scuola viennese di Klimt edifica l’attuale Gerliczy palace.
Nel 1928 il castello di Desk fu venduto e trasformato in sanatorio infantile e oggi é sede della clinica medica dell’università di Szedeg.La principessa Elsa (1885-1975 morta a Nizza) era figlia di Dimitrie Stirbey principe di Romania e il cugino di primo grado Barbu Alexandru , presidente del Consiglio dei Ministri,possedeva uno dei più grandi patrimoni della Romania ed era  intimo confidente ed amante della Regina Maria Vittoria che lo soprannominò “il principe bianco” per i suoi modi eleganti e raffinati. Aveva sposato la principessa Nadeja Bibescu cugina di secondo grado, pronipote di Napoleone Bonaparte.Elsa discendeva dal nonno Barbu Dimitrie Stirbey detto il dominatore (boyar dumitrache) sovrano di Muntenia (grande Valacchia con capitale Bucarest) e Oltenia ( piccola Valacchia con capitale Craiova). Sovrano nobile di Valacchia(primo regno)
in  regime di  statuto organico (1849-1853) dovette fuggire a Vienna durante l’invasione russa.Il destino volle che riuscì a rientrare  nel 1854 nel secondo regno proprio per l’intervento del Regno di Sardegna deciso da Camillo Benso Conte di Cavour a fianco di Napoleone III e della Gran Bretagna in difesa della Turchia.Dopo il trattato di Parigi del 1856 Barbu sostenne la riunione dei principati di Moldavia e Valacchia sperando di diventarne principe,ma il suo mandato era scaduto e abdicò ritirandosi a Parigi,poi sepolto nel cimitero di Pére-Lachaise. Bellissimi i loro palazzi edificati a Buftea, Brasov e Bucarest, quest’ultimo venduto nel 2005 dai discendenti per 11 milioni di euro. Quattro secoli prima questi regnanti erano preceduti dai famosi principi Draculesti,Vlad ll Dracul detto il drago e dal figlio Vlad lll Tepes Draculea detto l’impalatore.
L’analisi delle caratteristiche sulla araldica dei Marchesi Gozzani racconta e distingue l’evoluzione delle proprie generazioni , sfatando le leggende monferrine.
Giuliana Romano Bussola.

Napoleone 200 anni dopo

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni  Oltre un anno fa in previsione del bicentenario della morte di Napoleone ,5 maggio 1821, si stava costituendo sotto la presidenza di Philippe Daverio un comitato nazionale presso il Ministero dei beni culturali per celebrare l’anniversario dell’Imperatore dei Francesi. Credo che la morte improvvisa di Daverio abbia bloccato  l’iniziativa che non è stata varata dal Ministero per i Beni culturali.

E’ giusto valutare a due secoli di distanza con il più assoluto equilibrio la figura di Napoleone che sicuramente, almeno per la Francia, ha rappresentato una pagina importante di storia, al di là delle osservazioni stupide sullo schiavismo e sul misoginismo che appaiano del tutto decontestualizzate dall’epoca in cui visse Napoleone.
Anche Manzoni, scrivendo “Il Cinque Maggio” comprese la grandezza dell’uomo che riuscì a conciliare “ due secoli l’un contro l’altro armati”, lasciando comunque “ai posteri l’ardua sentenza”. Oggi, a distanza di due secoli, il momento dell’ardua sentenza  è sicuramente arrivato e il giudizio storico per il Corso non può essere positivo almeno per noi italiani. Ed è per questo che l’iniziativa di Daverio era sbagliata e mi sottrassi alla sua richiesta di sostenerla. Se lo si vede  invece sotto un profilo europeo, egli sconquassò l’Europa ,tentando di imporre dappertutto l’egemonia francese con la scusa di portare sulle sue bandiere le idee  di una Rivoluzione tradita.
Fu responsabile di guerre con milioni di morti, combattute  soprattutto per un suo personale delirio di onnipotenza. Non ci sono dubbi sulle sue grandi doti di condottiero militare capace di entusiasmare i suoi soldati e inventare  strategie e tattiche militari  molto geniali. Si può anche considerarlo uno statista e un legislatore innovativo che contribuì a rinnovare la vecchia Europa. Dopo Napoleone con la Restaurazione il Congresso di Vienna non poté tornare all’antico perché il “tornado Napoleone” impedi’ il tentativo di ricacciare l’Europa alle parrucche incipriate prerivoluzionarie. Le nazionalità oppresse dal dominio napoleonico sorsero a nuova vita, malgrado i tentativi retrogradi e repressivi  della Restaurazione e nacquero i primi segni dei diversi risorgimenti in tante realtà europee. Ma non si può dimenticare che il dominio napoleonico ,specie in Italia, significò un periodo di furti, violenze e saccheggi senza precedenti. Egli è il responsabile del più grande furto di opere d’arte avvenuto in Italia e non solo. Furono saccheggiati Milano, Roma, il Vaticano, Parma, Modena, Napoli e tanti altri centri.
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Il giovane Foscolo che acclamò Bonaparte come un un liberatore ,si convinse quasi subito, dopo il trattato di Campoformio, che egli era un tiranno. Torino e il Piemonte vennero annessi alla Francia e subirono le stessa spoliazione di opere d’arte; il re dovette rifugiarsi in Sardegna fino al 1815 durante tutto il periodo napoleonico. Napoleone fece abbattere le porte e un tratto cospicuo dei bastioni di Torino, salvando solo la cittadella e Palazzo Madama. Per sue utilità specifiche  fece costruire il ponte in pietra  sul Po davanti a piazza Vittorio.  In sintesi si presentò come un finto liberatore d’Italia ,ma gli italiani che furono  soprattutto carne da macello per le sue guerre ,subirono un regime di stampo giacobino, tirannico ed  accentratore che peggiorò ulteriormente quando Napoleone divenne imperatore. A partire dal 1796 una parte del popolo italiano si oppose all’invasione francese e diede vita a quelle che vengono definite le insorgenze, quando cominciò la campagna d’Italia napoleonica. Le insorgenze furono numerose in tutta Italia. Comunque, sarebbe bastato pensare al saccheggio e ai furti di opere d’arte, per esprimere  un netto parere contrario alla costituzione di un comitato nazionale per le onoranze del bicentenario napoleonico presso il ministero dei Beni Culturali. Fu un abbaglio in cui  proprio il grande Daverio non sarebbe dovuto cadere.
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Sicuramente si tengono e si terranno, pur tra le polemiche, delle manifestazioni in Francia ,ma non aveva alcun senso – pandemia a parte – che l’Italia celebrasse un uomo che fu un dominatore senza scrupoli che, tra l’altro, come disse Foscolo, vendette Venezia all’Austria. Diede l’idea di un’effimera Italia unita che non fu certo il preannuncio di un Risorgimento nazionale. In Italia bisognerebbe invece  ricordare nel 2021 il bicentenario dei moti  carbonari che ebbero protagonista il grande patriota Santorre di Santarosa ,ingiustamente dimenticato. Questi patrioti napoletani e piemontesi, anzi italiani della prima ora,  sono stati trascurati , dimostrando una insensibilità verso un passato degno invece  di essere ricordato. Santarosa mori’ combattendo a Sfacteria per l’ indipendenza della Grecia, un anelito europeo che è l’esatto opposto del rullo compressore napoleonico che cercò  di sottomettere, senza riuscirci, persino la  Russia al giogo francese.
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Quaglieni ricorda Napoleone a 200 anni dalla morte

Giovedì 6 maggio alle ore 18 sulla pagina Facebook del Centro “ Pannunzio”, lo storico Pier Franco Quaglieni ricorderà, nel bicentenario della morte, Napoleone Bonaparte.

Una riflessione storica su un personaggio politico decisivo tra Settecento ed Ottocento, tra Francia post rivoluzionaria, Italia occupata, Europa dilaniata dalla guerra. Napoleone verrà storicizzato come uomo di progresso e contemporaneamente un tiranno. L’attrice Milli Conte leggera’ “Il 5 maggio” di Alessandro Manzoni.

La Commissione Europea inserisce il Parco Storico nella EU Geen Week 2021

Il Parco Storico del Castello Reale di Moncalieri entra ufficialmente, con una visita guidata, nel panel di eventi e iniziative selezionati dalla Commissione Europea per la Eu Green Week 2021.

La conferma è arrivata velocemente, proiettando “Moncalieri città nel verde” in uno dei più significativi progammi internazionali di sensibilizzazione e impulso all’“obiettivo inquinamento zero”.

Un focus qualificato, in calendario in tutti i paesi dell’Unione dal 31 maggio al 4 giugno, su progetti per il clima, strategia in materia di sostanze chimiche e altri programmi nel campo di energia, industria, mobilità, agricoltura, pesca, salute e biodiversità.

La candidatura del Parco Storico nell’area tematica “promozione della salute e del benessere” è stata avanzata dall’Assessorato alla Cultura insieme al Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Univeristà di Torino (Disafa). “La conferma dell’inserimento del progetto su cui investiamo le nostre energie migliori da 6 anni e della sua qualità è arrivata non a caso giovedì, Giornata mondiale della Terra – commenta con palese soddisfazione l’assessore alla Cultura Laura Pompeo – Potremo così dare la giusta visibilità, ben oltre i confini nazionali, non solo alla visita guidata che faremo il 4 giugno, ma anche alla nostra città e al suo prezioso patrimonio verde, su cui abbiamo puntato le strategie peculiari della nostra proposta e del nostro mandato. Dai convegni internazionali ‘Dialoghi sul paesaggio’ e ‘Si può fare’ al Premio della Rosa, dagli itinerari sul Po in dragon boat a Fiorile, l’evento che ogni anno a ottobre chiude le nostre stagioni culturali”.