SANT’ANDREA
Durante i lavori in via Tana sono state rinvenute murature, probabilmente le fondamenta della chiesa progettata da Filippo Juvarra, realizzata intorno al 1730 e distrutta nel 1811
Nell’area occupata dall’edificio della ex scuola di via Tana (la scuola Angelo Mosso), è in corso il cantiere per la realizzazione di un ampio parco già denominato «PATCH-PArcoTessileCHierese», un’area verde, che collegherà il Parco dell’area Caselli con il Parco Tepice del Pellegrino.
Durante i lavori di scavo sono emersi tratti di muratura, riconducibili alla Chiesa di Sant’Andrea, capolavoro progettato da Filippo Juvarra tra il 1728 ed il 1733, e distrutto in età napoleonica.
Il progetto del parco urbano, infatti, già prevedeva la piantumazione di alberi e siepi per richiamare l’impronta della chiesa juvarriana. «Si tratta di una scoperta storica molto importante-commentano le assessore all’Urbanistica e ai Lavori pubblici Flavia BIANCHI e alla Cultura Antonella GIORDANO-Il ritrovamento di quello che fu un gioiello barocco conferma la bontà della scelta della nostra amministrazione, ovvero di non destinare quell’area alla realizzazione di nuovi alloggi (una cinquantina quelli previsti), ma di procedere alla demolizione dell’ex scuola, dismessa nella seconda metà degli anni Duemila, per realizzare un parco urbano. Con la Variante urbanistica 35, poi, l’area è stata destinata esclusivamente a servizi, riqualificandola a verde, ed il progetto ha ottenuto un finanziamento di 320mila euro della Compagnia di San Paolo. Ora valuteremo come valorizzare questa scoperta, sia sotto il profilo del dibattito culturale sia per rendere più bello il parco che sorgerà in questa zona di Chieri».
NOTA STORICA (a cura di Vincenzo Tedesco, Archivio storico del Comune di Chieri)
La chiesa di Sant’Andrea fu edificata nel secolo XIII dalle monache cistercensi, che in precedenza occupavano un monastero fuori le mura di Chieri in un luogo detto “ad Fontem Stivolatum”. Il monastero sorgeva a ridosso delle mura trecentesche, nei pressi della Porta del Nuovo, detta anche dei Cappuccini, che immetteva sulla via per Pecetto.
Nel corso del Settecento furono rinnovati radicalmente monastero e chiesa: il primo ad opera di ignoto architetto, la seconda su disegno dell’abate Filippo Andrea Juvarra.
Al Museo civico di arte antica di Torino (Palazzo Madama) si trovano alcuni disegni juvarriani relativi alla nostra chiesa:
https://www.palazzomadamatorino.it/it/le-collezioni/catalogo-delle-opere-online/santandrea-chieri
Per l’occasione, le monache ottennero che le case poste davanti alla chiesa venissero demolite e ricostruite con andamento curvilineo, per formare un degno sagrato davanti all’edificio sacro. Nacque, così, il piazzale di Sant’Andrea.
Le monache lasciarono il monastero con le soppressioni del 1802. La chiesa fu demolita circa dieci anni dopo. L’edifico conventuale passò di mano varie volte e dal 1857 al 1901 vi ebbero sede le monache Canonichesse Lateranensi di Torino. Poi, nel 1963, il Comune di Chieri demolì l’antico e vetusto monastero per edificarvi due edifici scolastici.
Sul sito dell’orto delle monache (oggi in parte adibito a parco) sorse la tintoria Vincenzo Caselli, in parte ancora esistente. Sul sito dei rustici pose la sua abitazione l’industriale Caselli, il cui busto campeggia nel giardino.
La chiesa ospitava un organo di Bernardo Antonio Vittone ed una grande tela dipinta, l’Assunta, opera di Sebastiano Taricco (1641-1710) da Cherasco. Gli stalli del coro furono venduti e portati alla chiesa della Madonna del Carmine di Torino.
Molto suggestivo il dipinto di Pietro Fea, pittore casalese, che raffigura la demolizione della chiesa (Palazzo Madama: https://www.palazzomadamatorino.it/en/node/23996).
Tra queste la Sezione di Casale Monferrato
Tra le tante iniziative basti ricordare l’organizzazione del 7°
Nella sede si svolgono anche attività culturali storiche, artistiche, musicali, organizzando convegni e spettacoli.
Nelle apposite vetrinette sono custoditi tanti oggetti personali, l’orologio, l’accendino,
Tanto è vero che se ne discute ancora oggi nel terzo millennio e forse questa volta è stata messa la parola fine all’enigma. Ma la storia è lunga. Vent’anni fa il ritrovamento di quattro anfore sotto piazza Castello insieme ad altri reperti archeologici affiorati nell’area del Duomo, nel cuore storico della città, fecero pensare ad un antico cerimoniale generalmente utilizzato per la fondazione di una città. Una specie di rito propiziatorio per tracciare i confini di un nuovo territorio in cui abitare e vivere. La datazione di Torino non era mai stata stabilita con certezza. Sono state avanzate varie ipotesi: si è parlato per esempio del 27 a.C. quando Ottaviano diventa imperatore con il titolo di Augusto o del 25 a.C. con la fondazione di Augusta Praetoria (Aosta). Quel primo villaggio che Annibale distrusse nel 218 a.C. fu ricostruito un secolo e mezzo dopo il suo passaggio e si estese sempre di più fino a diventare una città, la Augusta Taurinorum dell’epoca romana, come avamposto verso la Gallia. É probabile, secondo gli storici, che i Taurini, gente scesa dalle montagne, siano appartenuti sia al ceppo celtico che alla famiglia dei Liguri, a sud e a nord del grande fiume e che la colonia taurina si sia sviluppata in seguito alla conquista dell’arco alpino e dei valichi da parte di Augusto.
Una volta ottenuta la misura i ricercatori hanno calcolato la data in cui il sole è sorto in quel preciso punto. Insomma, per farla breve, è emersa la data del 30 gennaio che coincide con la festa della Pace istituita da Ottaviano Augusto al termine delle guerre alpine. Dopo aver individuato il giorno, il sistema utilizzato dai fisici ha consentito di individuare anche l’anno di fondazione, il 9 a. Cristo, una data cara ad Augusto perché coincide con la prima celebrazione della festa all’Ara Pacis, l’altare della pace fatto innalzare da Augusto proprio in quell’anno. E per celebrare degnamente il compleanno di Torino ci vorrebbe, dicono i due ricercatori, un brindisi sul decumano in via Garibaldi in onore di Augusto.
Quant’era bella, la Giulia. Eccola! Piede sinistro a terra, seduta sul sellino posteriore del tandem affidato alla guida dell’amica. Entrambe belle. Giovani. Sorridenti e tutte in ghingheri. Tirate a festa e perfino un po’…civettuole, con quelle zeppe allora di gran moda e che ancora oggi, dopo settant’anni, vanno ch’è un piacere. Bizzarrie del fashion! Del resto, a Cortemaggiore (e credo un po’ ovunque allora e forse anche oggi in certe realtà di paese) s’usava così. Quando queste foto vennero scattate era certamente di domenica. E la domenica, allora, era proprio domenica. Giorno di festa e di grandi rituali “vasche”, su e giù per la via principale del tuo bel paese (bassa piacentina, venti chilometri da Piacenza e altrettanti da Cremona, al confine fra Emilia e Lombardia); era il giorno degli abiti nuovi da sfoggiare con malcelata nonchalance, degli anvein (anolini) in brodo – in cui papà Gigén era solito versare un bel bicchierotto di rosso, di quello buono – e del manzo in tavola, era il giorno della Messa grande nella Collegiata di Santa Maria delle Grazie, dagli interni decorati con pregiate opere pittoriche, fra cui un prezioso “Polittico” del Quattrocento firmato da Filippo Mazzola, padre del più noto Parmigianino. E, terminata la Messa, il via en plein air alla festa attesa per tutta la settimana. Nulla di straordinario. Il ciarliero ritrovarsi nella piazza principale del paese antistante la Collegiata e il Palazzo Municipale, le camminate da guarda un po’ come sono bella e ben vestita sotto i suggestivi e tipicamente emiliani portici, i crocchi vocianti, le risate e le volute fumanti e dai profumi non propriamente delicati sparsi al vento dai potenti “Toscani” o dalle “Nazionali” o “Popolari” senza filtro ( 2 lire a pacchetto e sicure “spaccapolmoni”) incollati alle labbra degli uomini, in attesa –molti – di varcar la soglia dell’osteria, ad attenderli altra spessa cortina di fumo e le simpatiche “briscolate” e il tipico scudlein (non il primo della giornata) con frizzantini bianchi o rossi assolutamente locali.
E Cortemaggiore balzò agli onori delle cronache. Nazionali. E non solo. Ma tu in quegli anni vivevi già altrove. Eri diventata moglie e mamma. Avevi seguito il tuo Renzo prima a Pontenure e poi a Torino, con il tuo “Nani” che aveva appena terminato la prima elementare. Un’altra vita. Un altro mondo, spesso in salita. Da tenere in piedi giorno dopo giorno. Sempre con quel sorriso timido e riservato. E tanta voglia di cantare. E quegli occhi scuri che diventavano pura luce davanti alla nuova, piccola “Nani”. Anche la mia Elena, fino a quando il tempo non ti ha rubato la memoria, la chiamavi così. Ricordi? Dio mio, quanto mi manchi, Giulia! E quant’eri bella, MAMMA!