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SPETTACOLI- Pagina 89

Nicky Siano. La sua “prima volta” a Torino

“SEEYOUSOUND” porta in città, a “OFF TOPIC”, uno fra i più grandi pionieri della “cultura dance” degli anni ‘70

Venerdì 1 marzo, ore 23

Sessant’otto anni, da Brooklyn (ma origini italiane), fondatore nel ‘72 dell’iconico locale “The Gallery” di New York, per poi diventare nel ‘77 il primo “resident dj” dello “Studio 54”, la mitica discoteca di Manhattan, rifugio di icone del calibro di Andy Warhol, Grace Jones, Diana Ross e gli “Chic”, Nicky Siano interverrà, venerdì 1 marzo, alle 23, all’“after party” del film “Love is The Message” ( in proiezione al “Cinema Massimo” e di cui Siano è protagonista) che si terrà nella Sala “CUBO” di “OFF TOPIC”, in via Pallavicino 3, a Torino. Per gli appassionati, appuntamento di primissimo piano, immancabile, con la storia che vede ai piatti uno fra i primi “maghi” del “turntablism” (l’arte di “miscelare” i dischi”) inserito nel 2003 dal “New York Magazine” fra le “100 persone” che hanno cambiato il volto della “Grande mela”.

L’incontro è organizzato dall’“hub culturale” di via Pallavicino  insieme a “SEEYOUSOUND International Music Film Festival”, l’unico in Italia interamente dedicato al cinema a tematica musicale, iniziato lo scorso 23 febbraio e che fino a venerdì 1 marzo riempirà le sale del “Cinema Massimo” e di altre “venue” torinesi.

Parlare di Nicky Siano significa ripercorrere la storia della “dance culture” dalle sue origini nella New York anni ‘70 fino ai giorni nostri. A soli 16 anni Siano è già tra le figure centrali del “Loft”, il club fondato da David Mancuso nel 1970 – primo vero club di culto che segnò l’epoca della “disco music” degli albori – contribuendo a definire un nuovo modo di vivere la notte e il ballo. Nel 1973 apre a Soho “The Gallery”, dove ospita dj del calibro di Larry Levan e Frankie Knuckles, e fa esibire per la prima volta dal vivo alcuni cantanti di musica dance come Grace Jones e Loleatta Holloway, oltre a cantanti agli albori della propria carriera come Patti LaBelleDavid Bowie e Mick Jagger. Alla chiusura del “Gallery”, nel ’78 lo troviamo come “primo resident”, per un anno e mezzo, al mitico “Studio 54”.

Nel 1978 è il primo deejay a realizzare e a produrre un disco mixato: coproduce infatti con Arthur Russell il singolo “Kiss Me Again”, sotto lo pseudonimo di “Dinosaur”e vendendo circa 200mila copie. Altre sue hit sono “Pick It Up” e “Tiger Stripes”. La morte del suo caro amico David Rodriguez per AIDS lo spinge a scrivere il libro “No time to wait: a complete guide to treating, managing, and living with HIV infection”, un manuale sulla cura e il trattamento dell’AIDS. Nel luglio 1998 torna al turntablism per celebrare la ricorrenza del compleanno dello scomparso Larry Levan, dj statunitense, considerato l’inventore dello stile cosiddetto “garage house”.

Al “CUBO” di “OFF TOPIC”, venerdì 1 marzo, ad accompagnare Nichy Siano ci saranno in “consolle” Teo Lentini, dj produttore da oltre 30 anni di “musica house” ed elettronica, e Lele Sacchi, dal 1995 riconosciuto come una delle icone della scena musicale elettronica, house e alternativa italiana.

g.m.

Nelle foto: Nicky Siano

“La zona di interesse”, la tranquilla esistenza di Höss all’ombra di Auschwitz

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Da un lato la banalità del male, dall’altro il Male, la divisione tra due mondi opposti è un alto muro grigio, le luci, il filo spinato. “La zona di interesse”, che in maniera straordinaria Jonathan Glazer ha liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis (scomparso lo scorso maggio mentre la Giuria di Cannes segnalava il film con il proprio Grand Prix speciale; e oggi sta forse per salire sul podio degli Oscar forte di cinque candidature), è il film della fredda, tranquilla, lineare quotidianità – un fuori scena nell’anno centrale del conflitto – di Rudolf Höss, comandante del campo di Auschwitz (sullo schermo, Christian Friedel; trasmise ai posteri il proprio “lavoro” con l’autobiografia “Comandante ad Auschwitz”, verrà processato e morirà impiccato nell’aprile del ’47), e di sua moglie Hedwig (sullo schermo, Sandra Hüller, l’oscarizzabile protagonista di “Anatomia di una caduta”; arrivò a definirsi “la regina di Auschwitz”, per mesi negò l’identità e l’esistenza del marito, morirà nell’89 negli Stati Uniti, in casa della figlia) con i loro cinque bambini, una quotidianità rallegrata nella loro casa (a ridosso del luogo dell’orrore: una quotidianità dove si va “indisturbati” da una stanza all’altra, dove la sera si spendono metodicamente le luci, le une dopo le altre), una decina di stanze senza una troppo ostentata ricchezza ma certo dignitosa mentre un esiguo esercito di cameriere e operai opera diligentemente, il piccolo orto da sorvegliare e dove magari portare il più piccolo della prole a sentire il profumo delle rose e delle dalie in un bellissimo giorno di sole, la piscina e il grande giardino con i piccoli alberi e le aiuole ben curati in cui accogliere gli amici in visita, le amiche venute per il tè. E poi le gite al lago, tra il verde degli alberi, tutti insieme, una scampagnata felice (immagini che sono il capolavoro del direttore della fotografia Lukasz Zal). E la elegante camera da letto dove la signora può specchiarsi per guardare quanto sia bella e importante quella pelliccia che arriva da qualche prigioniera che non la userà ormai più.

All’inizio lo schermo nero (come a delineare i capitoli Glazer ne dipingerà poi uno rosso – dopo una lunga carrellata che di lontano abbraccia i fiori e il muro – e uno bianco), una manciata di interminabili secondi a reggere come una ouverture il tessuto sonoro di Mica Levi, contraltare di rumori disordinati, di grida, di colpi di pistola, di comandi urlati, dell’attività incessante dei forni, di ogni cosa che è cancellata al nostro sguardo, unicamente poche inquadrature a circoscrivere due alte ciminiere che spuntano e sputano fuoco e fumo con la ingombrante cenere che invade ogni luogo intorno e che può all’occasione servire da concimante. Una comfort zone, la chiameremmo oggi, un giardino delle delizie da preservare: da ribellarsi, Hedwig innanzitutto, se dall’alto arriva la decisione di uno spostamento ad altro incarico, benché assai più prestigioso, per Rudolf. Si dovrebbe anche disturbare Hitler pur di non muoversi da quel paradiso, suggerisce Hedwig, ma non è possibile. Prevalgono le assenze da casa e le riunioni d’ufficio, prevalgono i resoconti dei morti prodotti, gli studi perché la gasazione dei deportati sia sempre più efficace, il buon uso dello Zyklon B.

Se uno squarcio verso il bene ci può essere , sono le scene della ragazzina che lascia dei frutti per chi riuscirà a impossessarsene, scene che paiono notturne, riprese in negativo e sbilanciate di fronte alla luce che inonda ogni altro istante della storia (Glazer ha impiegato dieci telecamere a circuito chiuso per riprendere da più angolazioni gli attori sul set, una sorta di grande fratello che ha prodotto una quantità inverosimile di materiale prodotto). Correndo verso il finale, il regista – non certo quale segno di rimorso -, in una discesa vorticosa di scale, sempre più nell’abisso, sempre più verso la zona del buio, fa vomitare il suo comandante: facendolo guardare da un lato dove, in un salto temporale di decenni, in cui noi stessi siamo coinvolti, un paio di inservienti sono addette a quello che è diventato il museo del campo di concentramento, pronto a ricevere i tanti visitatori, davanti a teche stracolme di scarpe e di occhiali e di divise a righe. Finale aperto, forse apertissimo a molte letture: io sceglierei quella che vuol essere l’invito da parte del regista a non far sì che quel luogo, sacro, diventi unicamente un luogo da tener pulito, in ordine, ma continui a registrare, per noi, quei rumori e quelle urla di morte e quei colpi di pistola, magari quei ripugnanti odori che lo hanno inondato ottant’anni fa.

“La zona di interesse” è un film che produce ribrezzo, che ti mette di fronte a una realtà brutale, che ti sbatte in faccia la colpa di tutti, in ogni latitudine del mondo e che ti insegna il segno orribile della convivenza sotterranea e malvagia, che usa la descrizione della calma per metterti di fronte a una tragica parte della Storia: ma un film necessario. Da vedere e da analizzare. In tutta la sua assurdità. “La zona di interesse” è una grande pagina di cinema, orribile in quella imperturbabilità che pervade ogni attimo e ogni inquadratura (gli attori come assorbiti, mai un primo piano, campi lunghi, facce in secondo piano, di spalle, di sghembo) che supera di gran lunga l’orrore che Spielberg aveva descritto in “Schindler’s List” e che tanti autori avevano mostrato nelle loro opere rivolte all’Olocausto. “La zona di interesse” è quella banalità del male che fa rabbrividire ancora oggi, che ci fa rabbrividire.

“CASSANDRA o l’inganno” Elisabetta Pozzi al Baretti

CENTRO TEATRALE BRESCIANO

Un grande nome del teatro italiano per la prima volta sul piccolo palcoscenico del Baretti: Elisabetta Pozzi.  Amatissima dal pubblico torinese e premiata a livello nazionale per le sue interpretazioni cinematografiche e teatrali. Un’artista che siamo onorati di ospitare, giovedì 29 febbraio e venerdì 1 marzo ne CASSANDRA o l’inganno, e che ha accolto con grande entusiasmo l’idea di far parte di una stagione teatrale al femminile.

Elisabetta Pozzi, tra le maggiori artiste della scena italiana, infatti da molti anni lavora intorno ai grandi temi e archetipi del Mito: Elektra di Hoffmansthal, Medea, Ippolito e Ecuba di Euripide, Elena e Fedra di Ghiannis Ritsos, sono soltanto alcuni dei testi che ha affrontato nel corso della sua carriera.
Tra i personaggi più frequentati in questo lungo dialogo con le radici del teatro occidentale c’è Cassandra, oggetto di numerosi studi e spettacoli di cui questo Cassandra o dell’inganno è l’ultima tappa.

Elisabetta Pozzi ha costruito una drammaturgia originale che, partendo dalle tragedie di Eschilo ed Euripide, compie un affascinante percorso intorno alla profetessa troiana cui Apollo ha dato il dono di prevedere il futuro e insieme la condanna di non essere creduta, raccogliendo liberamente suggestioni e riletture da grandi testi e autori di ogni tempo, da Seneca a Christa Wolf, da Omero a Ghiannis Ritsos fino a Wislawa Szymborska e Pier Paolo Pasolini.

In un montaggio serrato e avvincente emerge un ritratto originale di una delle figure femminili di più profonda tragicità, per l’impotenza e la tremenda solitudine che la connotano nel sostenere il peso della conoscenza.
Dispiegando il suo immenso e magnetico talento, Elisabetta Pozzi porta in scena una figura di strabiliante modernità, in cui convivono forza e fragilità, dando corpo e voce a un personaggio indimenticabile.

In questo emozionante spettacolo il mito di Cassandra prende nuovamente vita sotto i nostri occhi, attraversando le epoche con la sua dolorosa e inascoltata capacità di preveggenza, fino a prefigurare, nel potente epilogo scritto a quattro mani con Massimo Fini, un futuro incerto per la nostra civiltà orfana di identità, in cui l’uomo moderno – con la sua incapacità di porsi dei limiti – “è ormai diventato un minuscolo ragno al centro d’una immensa tela che si tesse ormai da sola, e di cui è l’unico prigioniero”.
Il compositore Daniele D’angelo ha creato una partitura musicale e sonora originale e raffinata, un filo rosso che attraversa lo spettacolo intrecciandosi alle parole alte, ipnotiche ed attualissime di Cassandra.

CASSANDRA o dell’inganno fa parte della stagione “Regine”
“il titolo della stagione contiene la parola regine in minuscolo, a simboleggiare uno status personale di consapevolezza, una regalità che proviene dalla coscienza di sé e non concessa da altri, la virgola e lo spazio vuoto suggeriscono poi un elenco potenzialmente infinito di declinazioni, ruoli, condizioni possibili del genere femminile. Esplorare, sfidare e celebrare il femminino in tutte le sue molteplici sfaccettature: ecco il cuore di questa nuova stagione teatrale, che mi vede nell’inedita veste di direttore artistico.” Sax Nicosia

Una stagione speciale resa possibile grazie alla collaborazione con Piemonte Dal Vivo nell’ambito del bando CortoCircuito, e con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo.

Per avere altre informazioni sulla stagione è sufficiente cliccare qui

BIGLIETTERIA:
INTERO 12€
RIDOTTO 10€ (studenti/over65/anpi)
ABBONAMENTO 5 SPETTACOLI 45€
BIGLIETTERIA ONLINE:
È consigliato l’acquisto dei biglietti online su anyticket.it | L’acquisto prevede il diritto di prevendita di 0,70€. | Non sono possibili prenotazioni telefoniche o via mail.
PREVENDITA IN CASSA:
Qualora fossero ancora disponibili dei posti in sala è possibile acquistare i biglietti degli spettacoli teatrali prima dell’inizio dell’evento.

Peppe Servillo approda al cinema teatro Gobetti di San Mauro

Con un racconto di Maurizio De Giovanni venerdì 1 marzo

 

Al cinema teatro Gobetti di San Mauro Torinese, la stagione teatrale prosegue venerdì 1 marzo, alle ore 21:00, con Peppe Servillo, accompagnato alla chitarra da Cristiano Califano in “La presa di Torino”, un racconto di Maurizio De Giovanni tratto dal libro “Il resto della settimana”. Un film poetico, un viaggio esilarante, una trasferta da sogno verso un’insperata vittoria del Napoli che culminerà con la conquista del suo primo scudetto, di un eterogeneo gruppo di tifosi malati per la propria di squadra, acciecati da una passione sfrenata e sfacciata, il tutto contornato da orde di uomini che si agitano nello stadio e non solo. Si tratta di un ambiente osservato con ironia, acume e amore. Personaggi che sembrano inventati, ma che esistono davvero, uno spaccato sul calcio a 360⁰, ma anche uno spaccato della vita.

La stagione teatrale del cinema teatro Gobetti di San Mauro Torinese riprenderà venerdì 15 marzo con “Romeo e Giulietta stanno bene!”, liberamente ispirato al Romeo e Giulietta di Shakespeare e interpretato da Andrea Kaemerle, Anna Di Maggio e Silvia Rubes. Romeo e Giulietta stanno bene, non sono morti, anzi, hanno dovuto vivere per tantissimi anni affrontando gli ostacoli della convivenza, del lavoro, della vecchiaia e della contemporaneità. Lo spettacolo è molto divertente e ricorda diversi capolavori del teatro del Novecento, da “Giorni felici” a “Rumori fuori scena”. Il testo è un omaggio dolcissimo all’amore lento, quello che dura, quello che sa trasformarsi da passione in esperienza, l’amore dei nostri nonni, l’amore dei resistenti. Un gioiello di comicità poetica e di ottimismo.

Sabato 13 aprile approda al teatro Gobetti “Old Fools”, un intenso testo di Tristan Bernais, diretto da Silvio Peroni e interpretato da Marianna De Pinto e Marco Grossi. “Old Fools” racconta di Tom e Viv, del loro amore e della vita condivisa, dalla prima scintilla alla luce che si affievolisce, fino alla morte. Non necessariamente una storia d’amore deve essere raccontata in quest’ordine. L’unicità del testo consiste nella sua struttura, una narrazione che, senza soluzione di continuità, mescola e confonde il tempo, facendo passare dal primo incontro alla senilità dei protagonisti, per poi ritrovarli sposati, o al secondo appuntamento, o alle prese con la crescita di un figlio o vederli nello sforzo di tenere insieme la loro relazione.

Sabato 11 maggio gran chiusura di stagione con il classico “Miseria e nobiltà” di Eduardo Scarpetta, portato in scena da Alfonso Rinaldi, Francesco Di Monda e la talentuosa compagnia Masaniello. Questo classico di Scarpetta narra della povertà napoletana che si ingegna per tirare a campare. L’adattamento del regista Alfonso Rinaldi rimane fino al finale un vortice di comicità crescente e travolgente, che risucchia il pubblico in una spirale di trovate alle quali diventa impossibile opporre resistenza.

 

Biglietti in vendita su www.vivaticket.com

Info e telefono: 011 0364114

 

Mara Martellotta

“White Rabbit Red Rabbit” in scena giovedì 29 febbraio

Storie non ordinarie

Pianezza (TO)

29 febbraio 2024

, scritto da Nassim Soleimanpour e interpretato da Chiara Cardea, inserito nell’ambito del progetto “Un anno per la libertà di scrittura” sarà in scena giovedì 29 febbraio

La terza edizione della stagione Sguardi, con la direzione artistica di Silvia Mercuriati, dedicata a Storie non ordinarie. organizzata con il sostegno di Regione Piemonte e Comune di Pianezza, con il patrocinio di Città Metropolitana, in collaborazione con Fondazione Piemonte dal vivo, Villa Lascaris e Barrocco, prosegue giovedì 29 febbraio, alle ore 21, con un progetto molto particolare.

WHITE RABBIT RED RABBIT, allestito nel salone dello splendido Santuario di San Pancrazio a Pianezza, è uno spettacolo, scritto da Nassim Soleimanpour e interpretato da Chiara Cardea, inserito nell’ambito del progetto “Un anno per la libertà di scrittura”.

Nassim Soleimanpour nel 2010, all’età di 29 anni, in un momento in cui non aveva possibilità di comunicare con l’esterno del suo Paese, scrive un dialogo impossibile, un gioco teatrale contro ogni censura e ogni distanza geografica e culturale, un incontro ravvicinato che lascia tracce profonde, perché mette sullo stesso piano emotivo autore, attore e spettatore.

Il progetto WHITE RABBIT RED RABBIT è un esperimento sociale in forma di spettacolo. Nessun regista, nessun copione e un unico attore o attrice con una sola regola: non aver mai letto il copione e non poterlo leggere mai più, passando il testimone ad altri interpreti. Dal suo debutto nel 2011, hanno affrontato il testo Whoopi Goldberg, John Hurt, Stephen McBurney, Stephen Rea, Ken Loach, in Italia Gioele Dix, Lella Costa, Federica Fracassi.

369gradi, produzione italiana dello spettacolo, in accordo con l’autore, ha deciso di dedicare un intero anno di repliche alla creazione del fondo “Un anno per la libertà di scrittura”, indirizzato alla creazione di una residenza di drammaturgia rivolto a giovani autrici e autori iraniani, che si svolgerà nell’estate 2024 in Sardegna con la collaborazione di Italian and American Playwrights Project. Da marzo 2023 a marzo 2024, tutte le risorse derivanti dalla presentazione dello spettacolo, al netto dei costi vivi e di cachet degli interpreti, andranno a costituire quel fondo, che potrà essere implementato anche da donazioni liberali e donazioni via art bonus.

Giovane drammaturgo iraniano Nassim Soleimanpour collabora con diversi teatri a livello internazionale. Le sue opere sono state tradotte in più di 30 lingue e rappresentate in oltre 50 Paesi. Nel 2010 rifiuta di svolgere il servizio militare. In quanto obiettore di coscienza, gli viene ritirato il passaporto ed è impossibilitato a lasciare il suo Paese. Da questa esperienza di censura e negazione dei diritti, nasce questo spettacolo  che, per potenza e trasgressione, inizia a viaggiare, al posto del suo autore, rappresentato in tutto il mondo.

INFO E PRENOTAZIONI

telefono +39 328 739 8987

sguardi@progettozoran.com

www.sguardi.art

BIGLIETTERIA

Prezzi biglietti singoli spettacoli

18€ intero

15€ ridotto di legge e convenzionati

“Mozarteumorchester Salzburg”, concerto in Duomo promosso dall’Accademia della Cattedrale di San Giovanni

 

 

Presso la Cattedrale di San Giovanni Battista di Torino, in piazza San Giovanni, martedì 5 marzo alle 20:30  verrà proposto un concerto della “Mozarteumorchester Salzburg”, diretta dal Maestro Luigi Piovano.

Il concerto fa parte del progetto denominato “Lo spirituale nell’arte”, “Bau & Haus” e l’Accademia della Cattedrale di San Giovanni. È la prima volta che l’Orchestra del Mozarteum di Salisburgo si esibisce presso il capoluogo piemontese. Questo evento filantropico è offerto alla cittadinanza da Paola Marchiaro, AD presso Bau & Haus Srl e Vicepresidente dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni.

Il concerto sarà in memoria di Don Carlo Franco (23-02-1959/28-01-2023), fondatore e Presidente dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni. Oggi il nuovo Presidente è l’imprenditore Carlo Rosa, la direzione artistica è affidata ad Antonmario Semolini e a Giacomo Bottino.

Il concerto è a ingresso libero ed è gradita un’offerta in favore delle famiglie bisognose.

Sono due le sinfonie previste dal programma, la Sinfonia in do maggiore “Jupiter” K 551 di Wolfgang Amadeus Mozart e la Sinfonia n.7 in la maggiore op. 92 di Ludwig Van Beethoven.

La Sinfonia Jupiter è l’ultima delle sinfonie composte da Mozart. Fa parte di un ciclo di tre sinfonie composte in rapida successione durante l’estate del 1788 e venne completata, infatti, a Vienna il 10 agosto dello stesso anno. La Jupiter è una sorta di apoteosi della forma sonata, estesa eccezionalmente a ciascuno dei quattro movimenti e rivitalizzata da un così organico uso del contrappunto da conquistare nuovi spazi espressivi, arcate di tessiture sinfoniche fino ad allora mai sperimentate.

La Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92 fu composta da Beethoven tra il 1811 e il 1812. Venne eseguita per la prima volta l’8 dicembre 1813 a Vienna. Questa sinfonia è “l’apoteosi stessa della danza”, è la danza nella sua essenza più sublime, danza intesa come sublimazione di un’essenza ritmica che percorre tutta l’opera, in un graduale e costante crescendo di intensità metrica.

Info: paolamarchiaro@gmail.com

Telefono: 328 0486125

 

Mara Martellotta

La De Sono omaggia Giacomo Puccini nel centenario della morte

Con la partecipazione del Trio Quodlibet

 

La De Sono omaggia il compositore Giacomo Puccini nel centenario della morte con un concerto in collaborazione con “How I met Puccini” e la partecipazione del Trio Quodlibet. In programma per il concerto del 29 febbraio 2024, alle 20:30 presso il teatro Vittoria, pagine operistiche di Puccini, arrangiate da Valentina Ciardelli, con una commissione De Sono in prima assoluta.

Anna Astesano sarà all’arpa, Valentina Ciardelli al contrabbasso. Il Trio Quodlibet presenta Vittorio Sebeglia al violino, Virginia Luca alla viola e Fabio Fausone al violoncello. Per l’arrangiamento di Valentina Ciardelli, verranno eseguiti “Butterfly Effect”(le melodie giapponesi attraversano le mura di Lucca) per contrabbasso e arpa; “La Tregenda”(estratto della fantasia ‘V’è nella selva oscura una leggenda’) tratta dall’opera “Le Villi” per contrabbasso e arpa; seguirà una fantasia su Turandot intitolata “Una femmina con la corona in testa” per quintetto con arpa, in prima esecuzione assoluta. La serata è realizzata in collaborazione con “How I met Puccini”, un progetto multidisciplinare nato nel secondo lockdown da un’idea della compositrice e performer Valentina Ciardelli, come serie video su youtube dedicata alla vita e alle opere pucciniane. Oggi “How I met Puccini” rappresenta una realtà giovane e dinamica, che rilegge il repertorio pucciniano in chiave strumentale e in ambiti artistici trasversali, dal teatro alla musica da camera, fino ai progetti di educazione all’ascolto con l’intenzione di avvicinare nuove generazioni adattando la poetica di Puccini al linguaggio moderno, pur non tradendone l’essenza.

“La musica pucciniana è concepita per organici molto ampi – illustra Valentina Ciardelli – la trascrizione e ricomposizione per organici cameristici e orchestre aiuta la valorizzazione del linguaggio pucciniano, molto adatto e fruibile, anche a livello strumentale, per aumentare l’offerta musicale e il repertorio cameristico e sinfonico”.

In occasione della ricorrenza del centenario pucciniano, la De Sono ha commissionato “Una femmina con la corona in testa – Fantasia su Turandot” per quintetto con arpa, che sarà eseguita in prima assoluta al teatro Vittoria:

“Si tratta di una Turandot che nasconde la filosofia del Tao, dell’equilibrio universale che crea armonia tra tutte le cose – spiega l’autrice – in questo caso, tra i cinque musicisti che si scambiano i ruoli dei personaggi della storia, dell’orchestra, della scenografia e dei costumi attraverso la musica senza tempo di quest’opera incompiuta.

Il programma del concerto prende il via con “Butterfly Effect” per contrabbasso e arpa. Il brano, tratto da “Madama Butterfly” è stato riadattato utilizzando i timbri e gli attacchi degli archi per evocare gli aspetti più importanti dell’opera, dai lati oscuri del mondo tradizionale del Giappone, culminanti nel “seppuku” di Madama Butterfly, fino all’atteggiamento colonialista di Pinkerton. Si prosegue con “La Tregenda”, composizione per contrabbasso e arpa, dalla fantasia “V’è nella selva oscura una leggenda” da “Le Villi”, opera d’esordio del compositore lucchese dedicata ai leggendari spiriti vendicativi di donne morte per amore tradito. Le Villi erano, infatti, creature ultramondane, donne belle ma sinistre, che si racconta danzassero intorno ai loro amanti infedeli per vendicarsi del tradimento, con movimenti eleganti ma minacciosi che simboleggiavano la loro rabbia e il loro dolore.

L’omaggio a Puccini prosegue e si chiude con “La femmina con la corona in testa – Fantasia su Turandot” per quintetto per arpa, che riprende le parti più significative dell’opera “Turandot”: divisa in tre movimenti, come gli atti dell’opera, la fantasia esplora le sonorità più mature del compositore, esaltandone la musica che si presta perfettamente al camerismo e al virtuosismo strumentale.

Ingresso libero con prenotazione gratuita sulla piattaforma Eventbrite

 

Mara Martellotta

In scena ne “Le serve” di Jean Genet Eva Robin’s nei panni di Madame, grande femme fatale

 

 

Martedì 27 febbraio prossimo, alle 19.30, debutta al teatro Gobetti il capolavoro di Jean Genet intitolato “le serve”, per la traduzione di Monica Capuani e la regia e l’adattamento di Veronica Cruciani.

Saranno in scena fino al 3 marzo, nel ruolo di Madame, Eva Robin’s, icona transgender dall’originale percorso teatrale, Beatrice Vecchione e Matilde Vigna nei panni di Solange e Claire, due giovani attrici della compagnia del Teatro Stabile di Torino.

Capolavoro composto da Genet nel 1947, “Le serve” rappresenta un perfetto congegno metateatrale, liberamente ispirato a un fatto di cronaca che sconvolse l’opinione pubblica francese degli anni Trenta.

Secondo Jean Paul Sartre questo testo “è uno straordinario esempio di un continuo ribaltamento tra essere e apparire, tra immaginario e realtà”. La storia scritta da Genet, ispirata da un reale fatto di cronaca accaduto nel febbraio del 1933 a Le Mans, in Francia, è quella di due cameriere che amano e odiano al tempo stesso la loro padrona, Madame.

Genet presenta le due sorelle Solange e Clare nella loro vita quotidiana, nell’alternarsi tra fantasia e realtà, fra gioco del delirio e delirio reale. A turno le due cameriere recitano la parte di Madame, esprimendo il desiderio di essere “la signora” e ognuna di loro, a turno, recita la parte dell’altra cameriera, cambiando leggermente atteggiamento, dall’adorazione al servilismo, dagli insulti alla violenza.

La rivolta delle serve contro la padrona non è un gesto sociale, ma un atto rivoluzionario, un rituale, che rappresenta l’incarnazione della frustrazione, dell’azione di uccidere l’oggetto amato e invidiato, che non potrà essere portata a compimento nella vita di tutti i giorni, ma viene ripetuta all’infinito come un gioco.

Secondo Sartre questo fallimento è inconsciamente insito nel cerimoniale stesso che le serve mettono in scena. Il tempo sprecato nei preliminari non porterà al compimento del rituale e la liturgia diventerà un atto assurdo, desiderio di compiere un’azione che non potrà mai superare la distanza che separa il sogno dalla realtà. Insomma si tratta di una fallimentare ripetizione magica, il riflesso deformato del mondo dei padroni, che le serve imitano, adorano e disprezzano.

In questa versione la vicenda viene trasposta nella realtà quotidiana di una città contemporanea, dove i temi del potere, delle disuguaglianze e del genere risultano amplificate. Eva Robin’s ha affrontato il personaggio di Madame ispirandosi alle donne fatali degli anni Quaranta, divenendo una femme fatale d’epoca, giovane e

Dal 27 febbraio al 3 marzo 2024

Le serve di Jean Genet

Teatro Gobetti, via Rossini 8, Torino

Orario degli spettacoli martedì giovedì e sabato ore 19.30, mercoledì e venerdì ore 20.45, domenica ore 16

Mara Martellotta

Una chitarra monferrina nelle ore dei gatti grigi torinesi del grande Fred

Come tutti i grandi interpreti della musica leggera, anche Fred Buscaglione deve gran parte del successo alla omogeneità e alla bravura del proprio gruppo vocale-strumentale. Nell’atmosfera nostalgica torinese del dopoguerra, Fred iniziò ad affermarsi come artista molto originale entusiasmando le nuove generazioni, scrivendo le proprie canzoni nelle lunghe ore notturne ed esibendosi nelle sale da ballo pur senza aver inciso un disco e senza aver partecipato ad una trasmissione radiofonica.
In età giovanile frequentò il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino che poi abbandonò a causa della modesta economia familiare.
Abitava in due stanzette in piazza Castello con la mamma vedova Ernesta Poggio che sognava per il figlio un avvenire di successo come Paganini.
In effetti suonava molto bene sia il violino che altri strumenti, quindi cessò di fare il fattorino e trovò un posto fisso nell’orchestra di Umberto Chiocchio che si esibiva al ‘Columbia’, un locale nel centro di Torino. In seguito Fred conobbe Renato Germonio, vecchio jazzista torinese già segnalato alla polizia per la sua tendenza all’ascolto di dischi definiti musica negroide nei club clandestini frequentati da solisti come il trombettista Oscar Valdambrini e dal sassofonista Gianni Basso. L’incisione di dischi storici per una casa torinese gli permise di essere classificato come secondo violinista europeo dopo il francese Stéphane
Grappelli e quarto al mondo dopo il violinista statunitense Joe Venuti dalla rivista Musica Jazz del 1946. Dopo aver formato in Sardegna il gruppo degli Aster, fondò il complesso definitivo degli Asternovas esibendosi a Parigi e in Svizzera, Olanda, Medio Oriente, Belgio e Italia.
Nella band si inserì il chitarrista Oreste Corrado, trasferitosi in età giovanile dal Monferrato a Torino con la famiglia originaria di Castel San Pietro, una frazione di Camino. Il padre Ottavio Corrado, sollecitato dalla moglie Maria Damonte che non amava la vita di campagna, era lo chauffeur dei marchesi Scarampi residenti nel castello del paese monferrino e a Torino intraprese l’attività di taxista. Alla mamma Ernesta non piacevano le canzoni di Fred perché esagerava raccontando di persone imbottite di liquori e di mogli che sparavano ai mariti ma lui replicava che agli spettatori non interessavano le storie di santi e angioletti. Al matrimonio di Fred e Fatima Ben Embarek (in arte Robin’s) cantante e circense tedesca di origine marocchina che si esibiva nel trio Robin’s con le sorelle e il padre, parteciparono i due maggiori interpreti dello swing italiano: Carla Boni e Gino Latilla.
Loro testimoni furono Leo Chiosso (paroliere e talento creativo di Fred), lo stesso Latilla e Melchiorre Cornaglia, patron del locale torinese ‘Il Faro’ dove Fred si esibì per cinque anni. Fred fu anche attore cinematografico accanto ad Anita Ekberg, Totò, Paolo Panelli e Scilla Gabel. Prima che il loro matrimonio iniziasse ad incrinarsi, Fred e Fatima risiedevano nel lussuoso appartamento in via Eusebio Bava in Borgo Vanchiglia, sua ultima dimora al momento della morte. Parteciparono alle esequie il maestro Luigi Cichellero, Johnny Dorelli, Domenico Modugno, Achille Togliani, Tonina Torielli, Marino Barreto junior, Wanda Osiris, Emilio Pericoli e Nunzio Filogamo. Durante la cerimonia funebre, celebrata nella chiesa di S. Giulia, fu eseguito all’organo ‘In Paradisium’, celebre brano tratto dal Requiem di Gabriel Fauré definito paradisiaco. Dopo aver incontrato Fred, Oreste Corrado si inserì come chitarrista nell’orchestra della RAI di Torino e nel 1972 partecipò all’incisione del 33 giri ‘Torino Cronaca,’ pubblicato dalla casa discografica Fonit Cetra di Torino con musiche di Mario Piovano, fisarmonicista e cantante giramondo di Cambiano con testi in dialetto torinese di Piero Novelli composte durante i loro discorsi notturni nelle ore dei gatti grigi per le strade di Torino.
Piovano e Novelli erano uniti da un comune amore, la Parigi mamma di tutti gli chansonniers del mondo dove Piovano diventò una famosa védette riempiendo di note le notti di Montmartre, Montparnasse e Pigalle, raccontando nelle sue canzoni personaggi legati ad episodi di cronaca nera. Nel 1980 Piovano fu insignito del titolo di cavaliere della Repubblica dal presidente Sandro Pertini. Alla fine della carriera musicale, Oreste Corrado proseguì a Torino l’attività di taxista, utilizzando la licenza del padre Ottavio. Oreste Damonte, anch’egli originario della frazione di Camino e cugino del Corrado, era il pianista di Nini Rosso, la tromba d’oro di Mondovì che nel 1965 ebbe un successo mondiale con dieci milioni di copie vendute per il celebre brano ‘Il Silenzio’, il 45 giri pubblicato sulla linea Sprint dalla casa discografica Durium di Milano con coro e orchestra del maestro Willy Brezza, partecipando anche al programma ‘La macchina meravigliosa’ di Piero Angela.

Graziella Corrado, figlia di Oreste e figlioccia del grande Fred, ha conservato a lungo la chitarra del padre costruita nel 1946 dal maestro liutaio torinese Arnaldo Morano nella propria bottega di Rosignano Monferrato. Morano possedeva il segreto di una vernice ad olio composta di resine vegetali capace di conferire un suono originale agli strumenti da lui progettati e costruiti che gli permise di essere definito l’emulo di Stradivari ed essere considerato il più bravo liutaio del mondo dal celebre violinista Uto Ughi.

Armano Luigi Gozzano