SPETTACOLI- Pagina 89

Alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani “Il contrario di me”

Sabato 23 marzo debutto 

 

Sabato 23 marzo alle 20.45 debutterà alla Casa del teatro ragazzi e giovani di Torino il CONTRARIO DI ME, il cavallo bianco e il cavallo nero, nuova produzione della fondazione TRG, ultimo capitolo della repubblica di Platone che si ispira al mito del carro e dell’auriga e alla metafora descritta nel Fedro.

Dopo aver indagato poeticamente i contorni incerti e suggestivi delle apparenze, il mito della caverna, e aver attraversato i sentieri avventurosi della responsabilità individuale, il gioco dei destini scambiati Mito di Er, lo sguardo è rivolto al grande tema della pandemia, l’educazione e formazione. La regia è di Emiliano Bronzino. In scena Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci, autori come Emiliano ronzino, Maria José Revert Signes. Le scene sono di Francesco Fassone.

La visione dello spettacolo sarà anticipata giovedì 21 marzo alle 17.30 dalla lectio magistralis di Ugo morelli, studioso di scienze cognitive che cercherà di rispondere alla domanda “come e perché? A che cosa serve la filosofia? Questo appuntamento è il primo di una serie di confronti dal titolo convivio. Esperienze di crescita e di conoscenza”, un ciclo di incontri su filosofia, musica e mito.

MARA MARTELLOTTA

I “qualunque” di Fosse sotto la guida di Binasco, “con amore e per amore”

Sino a domenica 24 le repliche sul palcoscenico del Carignano

 

La semplicità di un ambiente, spoglio, freddamente essenziale. Una porta da cui s’arriva e si esce, un frigo e un divano con buttata sopra una coperta rossa entro cui coprirsi, entro cui nascondersi, una lavatrice e una macchinetta del caffè, un paio di brutte sedie e un misero tavolo attorno al quale non si siederà mai nessun componente di quella “disunita famiglia”, nessun componente di questa gente “qualunque”. Sul fondo una parete su cui a poco a poco prendono a espandersi macchie di colore, rosse blu nere, e poi la silhoutte di un giovane corpo femminile e poi la scrittura di una parola che sentiremo spesso, niente. Non si sa niente, non succede (quasi) niente, non si ama, non si perdona, non si prova affetto o comprensione, non si dice: “Non so dipingere, non ho mai dipinto un bel quadro in tutta la mia vita”, dice in un urlo Donna, impietosa nel guardare quella sua opera che s’è allargata sul muro, da sempre insicura, avvilita, frustrata, sola – ma quanto è difficile stare soli -, una vita fatta di niente appunto, di odi, di non rapporti, di solitudini, di incertezze. Di un passato che non è stato e di un presente che non è. Un ambiente semplice che è l’involucro della “Ragazza sul divano” (nella traduzione di Graziella Perin, un testo scritto già più di vent’anni fa), ancora un testo, forse il quinto o il sesto, di Jon Fosse – classe 1959, convertito al cattolicesimo, premio Nobel per la letteratura lo scorso anno, “per le sue opere innovative e la sua prosa che danno voce all’indicibile” – ad aver preso il cuore di Valerio Binasco e ad averlo spinto ancora una volta a metterlo in scena “con amore e per amore”: produce lo Stabile di Torino – Teatro Nazionale con il Teatro Biondo di Palermo, in scena al Carignano sino a domenica 24 e poi tournée a Milano, Roma, Napoli e Palermo. E poi si vedrà se sarà un titolo anche della stagione prossima.

Si vedrà se avvicinarci più dappresso e con maggiore convinzione a questo disamore, a questa vuota quotidianità cecoviana che coltiviamo ancora oggi – e forse la differenza di latitudine l’accresce ancor più -, a questa rarefazione di temi soffocati e non espressi o forse espressi, come ci invitano a considerare autore e regista, nei silenzi, nelle cose non dette, nei pensieri trattenuti in superficie, negli sguardi immediatamente allontanati e nei ricordi, nelle lontananze e nei ritorni tardivi e ormai insperati, improvvisi mentre ancora una volta una donna (Madre) sta cercando un uomo (Zio) con cui dividere, bene o male, convintamente o no, la propria vita. A una scrittura scarna, sfocata e continua, al colmo di una irrefrenabile disperazione che tende a bloccarla nella sostanza e nel modo, a tratti inafferrabile, enigmatica, esclusa alla punteggiatura, fitte pagine di dialoghi a cui Fosse ha abituato il suo pubblico: affascinandolo, ad altri facendo rimpiangere la scrittura di altri autori nordici, viene subito da pensare che drammone ne sarebbe nato, nell’occasione della “Ragazza sul divano”, se ritrovatosi nelle mani di un Ibsen o di uno Strindberg.

 

I personaggi “qualunque” sono Donna, Madre, Ragazza, Sorella, Uomo, Zio, Padre, cancellati gli articoli, in pieno anonimato, essenze di una malata umanità, buttati in scena in un susseguirsi disordinato del tempo. Si specchiano Donna e Ragazza, la donna guarda se stessa lontano negli anni, la ragazza è la giovinezza già chiusa della donna, è il suo rannicchiarsi sotto quella coperta rossa, è il rivolgere solo asprezze verso una madre che per lei madre non è e verso quello zio che continua a veder girare per casa, è il ricordo della cartolina e della bambola che il padre marinaio le ha inviato da uno dei tanti porti in cui è sbarcato, è il farsi prestare e camuffarsi soltanto per un attimo con i vestiti della sorella che ha scelto la ribellione e piace parecchio agli uomini e scende la sera a frequentare il porto, è il non voler uscire, tra la gente e tra la vita. Scrive Binasco nelle note di regia: “Amo la percezione fuori fuoco della realtà che trovo nei testi di Fosse. Ogni volta ho la sensazione di trovarmi dinnanzi a un grande affresco sull’umanità, ne percepisco fortemente il senso ma non riesco a metterlo a fuoco”. E ancora: “Le ragioni che mi spingono a insistere con un autore come Jon Fosse sono misteriose anche per me. Il suo stile ossessivo e minimale mi seduce, punto e basta.”

 

Forse, noi, nel ristretto spazio di 80’ non riusciamo neppure ad avvertire il ritmo che ancora affascina il direttore artistico del TST e regista, forse anche a chi scrive ogni cosa appare lasciata sospesa, inconclusa, non si riesce a entrare in questi spazi ristretti e senz’aria che sono i drammi di Fosse. Si pensi alla figura di Zio (un pur valido Michele Di Mauro) che finisce con l’essere piuttosto una macchietta e non una figura di una valida importanza che arriva a sostenere Madre e la sua vita segnata da un doloroso abbandono, immerso soltanto in immediati quanto pretesi siparietti amatori. Binasco – anche Uomo dimesso e arrendevole – ha raccolto attorno a sé, nella scena che abbiamo detto, dovuta a Nicolas Bovey, nei costumi di Alessio Rosati, dove tutto è logoro, vecchio, dimesso, sformato, un gruppo di valorosi quanto ben presenti (con tutta la forza di sapersi imporre sul testo, voglio dire) attori. Pamela Villoresi, disperata e solitaria Donna, Isabella Ferrari (Madre), Giulia Chiaramonte (sfacciatamente Sorella), Fabrizio Contri (padre). E la sempre più convincente Giordana Faggiano, che con estrema disinvoltura passa da un’Ifigenia ad una Figliastra a questa Ragazza, bloccata su questa isola tutta sua da cui non riuscirà mai a evadere, uno stare fatto di silenzi, di intime sofferenze, di evasioni e di cambiamenti che non riuscirà mai a soddisfare, con una encomiabile esattezza di toni, di movimenti, di sguardi. Una bellissima prova. Elio Rabbione Le immagini dello spettacolo sono di Virginia Mingolla

Prevendite per il Torino Fringe festival, teatro off e delle arti performative

 

 

Per vivere l’emozione del teatro Off e delle arti performative, con Early Bird Torino Fringe festival 2024 si possono acquistare i biglietti per la dodicesima edizione del Festival in programma dal 17 maggio al 2 giugno prossimo in superpromozione.

Il prezzo per l’acquisto di 5 spettacoli è di 35 euro. La promozione è valida per tutti gli spettacoli in abbonamento, esclusi gli eventi speciali. I biglietti possono essere ritirati presso la biglietteria di via Antonio Rosmini 1/G a Torino a partire dal 6 maggio, nei giorni ed orari di apertura.

Il Torino Fringe festival è un festival di teatro off e di arti performative nato nel 2013 sulla scia delle esperienze dei più importanti festival off europei, basati sulla massima accessibilità e il coinvolgimento del tessuto urbano e sociale della città di riferimento. È un festival che si è allargato a tutto il territorio piemontese, divenendo vetrina e punto di riferimento a livello nazionale e internazionale per il teatro Off e le arti performative che intorno a questo gravitano. Si tratta di un nuovo modo di fare cultura sul territorio, contraddistinto dalla trasversalità rispetto ai generi culturali e aperto alla possibilità di interagire e co- progettare con gli stakeholder. In questi undici anni il Torino Fringe festival ha sviluppato ogni genere di performance in teatri, ma anche e soprattutto in spazi diversi e diversamente “off” rispetto a quelli consueti dell’offerta culturale e delle arti performative, approdando in birrerie, sale da ballo, stazioni, dimore storiche, mercati, club, locali, musei, piazze, gallerie d’arte.

Ufficialmente riconosciuto da World Fringe, network mondiale che seleziona i Fringe festival che rispettano le linee guida del format, negli anni è diventato un punto di riferimento in italia, coinvolgendo oltre 300 compagnie nazionali e internazionali per un totale di duemila repliche in spazi di Torino al chiuso e 35 all’aperto per un totale di 100 mila spettatori.

 

Mara Martellotta

Rock Jazz e dintorni a Torino: Depeche Mode e Roberto Vecchioni

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Imbarchino il duo di elettronica Crystal Pussy. La PFM torna all’Alfieri nel tributo  a Fabrizio De Andrè.

Martedì. All’Alfieri la cover band Big One reinterpreta le musiche dei Pink Floyd. All’Osteria Rabezzana si esibiscono Tiziana Cappellino e Alberto Marsico. Al Colosseo canta Loredana Bertè. Al Fortino “Canti resistenti” con Mattia Martinengo e Anna Spray.

Mercoledì. Al Lambic si esibiscono i Tribot. All’Alfieri per 2 sere consecutive è di scena Levante. Al Colosseo Belinda Davids reinterpreta le canzoni di Whitney Houston. Al Blah Blah suonano i Black Violence.

Giovedì. L’Istituto Musicale di Rivoli presenta Tomasz Ignalski con Giulia Bi. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Piotta. All’Hilton del Lingotto suona il quintetto del sassofonista Bobby Watson. Al Colosseo arriva Roberto Vecchioni. Al Blah Blah si esibisce King Salami & The Cumberland Three. Allo Spazio 211 è di scena Hannah Jadagu.

Venerdì. All’Audiodrome di Moncalieri si esibisce Fatboy Slim. Al Folk Club canta Norma Winston in quartetto. Al Concordia di Venaria per 2 giorni consecutivi si esibisce Giò Evan. Allo Ziggy suonano gli HypNOgeO e Blue Lies. Al Colosseo si esibiscono I Musici di Francesco Guccini. Allo Spazio 211 è di scena Jozef van Wissem. All’Hiroshima arriva Giancane. Al Blah Blah suona la chitarrista Sara Ardizzoni.

Sabato. Allo Ziggy sono di scena i Guineapig. All’Inalpi Arena sold out per i Depeche Mode. Al Bunker tecno con Skee Mask e Zenker Brothers. Al Magazzino di Gilgamesh si esibisce la vocalist JJ Thames. Al Magazzino sul Po suona il trio Lalalar.

Domenica. Al Blah Blah si esibiscono i Pom.

Pier Luigi Fuggetta

Race for Glory, con Scamarcio e una Lancia 037

Gran parterre ieri sera a Torino al cinema Reposi, una Lancia 037, protagonista del campionato di Rally del 1983 e dell’anteprima di Race for Glory, in sala Riccardo Scamarcio e il regista Stefano Mardini, con gran parte dello staff del film. Una sala piena che ha seguito il film a fiato sospeso, grande applauso liberatorio alla fine.
Un film vero, di quelli che ti porta a rivivere e quasi a mangiare la polvere del rally. La lotta fino all’ ultima gara, tra Lancia e Audi, una rivalità storica tra Italia e Germania… un po’ più che un docufilm film sulla vita di Cesare Florio, magistralmente rappresentato da Riccardo Scamarcio, un film girato quasi completamente in Piemonte.
Da oggi nelle sale di tutta Italia.

Gabriella Daghero

A Carlo Verdone il premio “Stella della Mole”

Il  riconoscimento del Museo Nazionale del Cinema è assegnato quest’anno al grande regista, attore e sceneggiatore. La cerimonia si terrà  venerdì 22 marzo 2024 alle 20:30 al Cinema Massimo. Il riconoscimento gli viene attribuito  “per il suo stile ironico e visionario e per la sua capacità di scandagliare la società umana, raccontandola con ironia e delicatezza”. La consegna del premio avverrà durante l’importante omaggio che il Glocal Film Festival gli dedica e in occasione dell’inaugurazione della mostra fotografica “Luci nel silenzio”, allestita al Polo del ‘900 a Palazzo San Celso a Torino.

Verdone stesso commenta l’assegnazione: “Questo riconoscimento così importante da parte del Museo Nazionale del Cinema di Torino mi riempie di gioia  Mai avrei pensato che un giorno quell’importante Museo che visitavo spesso con mio padre (amico intimo della fondatrice Maria Adriana Prolo), potesse un giorno interessarsi a me”.

 

“Lo vedevo come un luogo magico, ricco di oggetti, lanterne, proiettori primitivi e tanti volti in bianco e nero. Grazie di cuore a coloro che mi hanno regalato questa grande emozione e soddisfazione, che dedico a un grande educatore: mio padre Mario”, conclude l’attore e regista.

“Siamo molto felici di omaggiare Carlo Verdone con il premio Stella della Mole, che così bene rappresenta il museo che lui ha frequentato e amato nella sua giovinezza – sottolinea Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema. Il suo ricordo racconta di un luogo magico, e tale continua a essere anche oggi, grazie al potere della fascinazione che solo il cinema sa dare. Grazie ancora per aver accettato di essere qui con noi”.

“Sono molto contento di questa collaborazione con il Glocal Film Festival – aggiunge Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema. Carlo Verdone è uno dei grandi personaggi del cinema italiano, capace di interpretare lo spirito comico e drammatico che ha conquistato diverse generazioni. I suoi personaggi sono entrati nell’immaginario collettivo, e molte sue espressioni e modi di dire fanno oramai del linguaggio quotidiano, a dimostrazione della sua grande bravura nel raccontare il genere umano”.

Nella foto Carlo Verdone (credits Mirta Lispi/Paramount+)

Ivan Cotroneo per la prima volta autore e regista di teatro: ed è un successo

Sino a domenica repliche all’Alfieri di “Amanti”

Lui è Giulio, signore tranquillo che ha superato la quarantina, una moglie e tre figli che gli ricordano più una baby gang piuttosto che un’adorata discendenza. È lì nell’androne di un palazzo, sta salendo con l’ascensore al quarto piano dello stabile per l’appuntamento che ha settimanalmente, del tutto tranquillo davanti al proprio avvenire. Lei è Claudia, caotica, femminilmente pasticciona, a casa un marito più giovane che la ama, l’assenza e il desiderio di un figlio che scopriremo è la sua spina nel cuore. Lei da quel quarto piano è appena scesa, terminato l’appuntamento che pure lei ha settimanalmente. Le presentazioni, una stretta di mano. Poi, nella scena successiva – dopo che su di un trasparente, come in un film che si srotola sul grande schermo, sono apparsi titolo, attori, “sceneggiatore” e regista e produzione -, Giulio e Claudia sono a letto, a far l’amore in una stanza d’albergo che diverrà la loro seconda casa, un altro mondo, quella dell’amore e del sesso, delle confessioni e dei sorrisi, dell’allegria e dei sensi di colpa, dei loro sette mesi che fanno non una storia ma una relazione, di quelle che, tra alti e bassi, tra ferree decisioni e languidi tentennamenti, ti sconvolgono l’esistenza. Due clandestini, due persone che hanno bisogno d’amore, due persone che a poco a poco scivolano verso la sincerità e la necessità di un amore che non può essere abbandonata. Non cancellando quell’appuntamento settimanale – svolto da soli o con i rispettivi coniugi, una terapia di coppia che dovrebbe sistemare parecchie cose – che è stato la miccia che ha deflagrato ogni attimo, le sedute da parte di ambedue sul lettino dell’analista Gilda Cioffi, un’ora tu e un’ora io, uno all’insaputa dell’altro, finché il gioco regge e il meccanismo non s’inceppa, tra piccole e grandi menzogne, tra imbrogli e momenti sbagliati, tra equivoci e sfiducia, tra bugie da manovrare e appuntamenti da inventare, mentre tutto si appiana e tutto s’incasina.

Quale sia lo sbocco finale di una felicissima commedia è meglio tacerlo al pubblico che vorrà divertirsi nella sala dell’Alfieri sino a domenica. “Amanti” la si deve alla raffinata scrittura, sempre leggera e mai volgare, alla piacevolezza, al grande mestiere del napoletano Ivan Cotroneo (classe 1968), prolifico autore cinematografico (per tutti, “Io sono l’amore” di Guadagnino, “Mine vaganti” di Ozpeteck, “La kriptonite nella borsa” da lui stesso diretto) e televisivo (per tutti, “Tutti pazzi per amore” di Riccardo Milani, “Sirene” di Davide Marengo, “La Compagnia del Cigno”, ancora lui alla regia), qui per la prima volta pronto a cimentarsi con un’opera teatrale. “I temi di ‘Amanti’ – spiega Cotroneo – mi appartengono da sempre. Nei miei romanzi, nei film, nelle serie televisive che ho scritto e diretto, il confronto tra il maschile e il femminile, tra rottura degli stereotipi di genere, la prepotente forza del sesso e quella ancora più devastante dell’amore, hanno sempre avuto grande spazio, nel tentativo continuo di raccontare l’evoluzione della società e del costume attraverso le relazioni amorose”. Questo e l’intero racconto della vicenda gli è venuto benissimo, una serie di spaccati gustosi, un autentico addentrarsi nelle differenti psicologie, nell’approfondimento di tutti i caratteri, nei sentimenti che prendono corpo giorno dopo giorno, nei bisticci e nelle rappacificazioni, una scrittura fluida e appassionata, divertente e precisa: unico appunto, Cotroneo invece di chiudersi nel recinto della lingua partenopea e nella napoletaneità avrebbe dovuto di tanto in tanto italianizzare e allargare i confini, con buona soddisfazione delle altre piazze dello stivale.

Godibilissimo Massimiliano Gallo, mattatore della serata, un panorama di allegria e di battute (ripeto, per chi scrive alcune infelicemente perdute) e di monologhi in cui l’attore – grande Malinconico o signor Tataranni o capo drappello di Pizzofalcone – si fa maschera, sempre più erede di Troisi e del grande Eduardo. Basta guardarlo mentre come il primo lavora con le mani accanto al viso o come il secondo s’arrotola frase dopo frase, parola dopo parola, pausa dopo pausa, silenzio dopo silenzio. Grandioso. Fabrizia Sacchi è una Claudia giusta e animata in questa sua richiesta d’amore, nella ricerca dei momenti di felicità e nella costruzione del suo covo segreto, nella sua oasi in mezzo al deserto, serena e contraddittoria, tutta tesa alla serenità finale, che non è certo fuori dalle lacrime. Anche per Orsetta De Rossi, analista dispensatrice di consigli e di kleenes, non esente suo malgrado dagli scatti d’ira, applausi a scena aperta, meritatissimi. Con loro i più che apprezzabili Eleonora Russo e Diego D’Elia. Successone e pubblico alle stelle: non guastava neppure la colonna sonora (da Tenco a Vanoni, da Endrigo a Paoli, giù giù verso i Sessanta/Settanta) che non faceva che ribadire l’amore di Cotroneo per la canzone – gli intermezzi canterini degli attori già apprezzati in certi sceneggiati televisivi – e per queste sospensioni, con evidenti coretti in sala.

Elio Rabbione

Nelle immagini, gli interpreti principali Massimiliano Gallo e Fabrizia Sacchi, il gruppo al completo del cast con pure, al centro, l’autore e regista di “Amanti” Ivan Cotroneo.

“Dimmi perché non c’è niente a parte gli errori”

Music tales, la rubrica musicale 

“Dimmi perché

Non c’è niente a parte mal di cuore

Dimmi perché

Non c’è niente a parte gli errori

Dimmi perché

Non voglio mai sentirti dire

Voglio che sia così”

Oggi vi accompagnerò alla scoperta del brano che ha fatto battere il cuore di milioni di fan in tutto il mondo: I Want It That Way.

Sono certa che tutti, almeno una volta, l’avrete sentita o canticchiata.

Se così non fosse, beh eccomi a proporvela.

Immaginatevi catapultati indietro nel tempo, precisamente al 12 aprile 1999.

Quanto ero giovane!!!!

 È proprio in quel momento che il terzo album in studio dei Backstreet Boys, “Millennium,” rivoluziona le hit parade di quell’annata, regalando al mondo una traccia indimenticabile. Il primo singolo estratto, I Want It That Way ha toccato l’anima di chiunque abbia ascoltato quella ballata.

Ma non fatevi ingannare dalla sua iniziale scelta come singolo. Inizialmente, la band aveva optato per un’altra canzone, ma quando ascoltarono il finale di I Want It That Way, capirono che avevano tra le mani un capolavoro.

Decisero di puntare su questa per conferire un’immagine più matura al gruppo, una nuova dimensione che avrebbe catturato i cuori di tutti.

La melodia inconfondibile di “I Want It That Way” si apre con un delicato arpeggio di chitarra che avvolge l’ascoltatore in un abbraccio emozionale, ispirato in maniera diciamo più che inaspettata da… “Nothing Else Matters” dei Metallica. Un connubio magico tra sonorità che fanno vibrare il cuore e parole cariche di significato.

Veniamo al significato del testo, che ha sollevato qualche sopracciglio tra i critici per alcune inesattezze linguistiche. Il mistero di “That” ha fatto sorgere domande, ma i Backstreet Boys hanno difeso coraggiosamente il brano, abbracciandone l’originalità e l’orecchiabilità che lo hanno reso unico.

Kevin Richardson ha spiegato che il testo, non perfettamente logico, fu il risultato dell’ispirazione di Max Martin, che all’epoca non parlava un inglese impeccabile.

Questa ballata romantica è un inno al desiderio di un amore eterno, nonostante le sfide che la vita potrebbe porre davanti a noi. Il cantante si dibatte in un’ardua lotta interiore, interrogandosi sulla sincerità e la durata del suo amore.

Nel ritornello, il dolore di non avere ciò che si desidera affiora con forza, implorando risposte sul perché le cose debbano andare in modo così complicato.

Ma è proprio qui che brilla la speranza. I Want It That Way è un richiamo a credere nel potere del vero amore, capace di superare ogni ostacolo e resistere alla prova del tempo. La canzone ci spinge a credere che, nonostante le incertezze, l’amore autentico possa guidarci attraverso le tempeste della vita.

«Siamo musica pura. Siamo cinque ragazzi che cantano e non si curano dell’immagine.»

Buon ascolto in una versione da “viaggio” e con le orecchie e con gli occhi

https://www.youtube.com/watch?v=yzzWW9uKqxE

 

CHIARA DE CARLO

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Giorgio Lupano maturo protagonista della “favola” di Scott Fitzgerald

Sino a domenica all’Erba “La vita al contrario – Il curioso caso di Benjamin Button”

Ripubblichiamo, aggiornandola, la recensione scritta in occasione delle rappresentazioni dello spettacolo la scorsa stagione: spettacolo che ancora consigliamo per i rimandi cinematografici, per la bravura del protagonista, per la “diversità” del testo iniziale di Scott Fitzgerald.

La prima traccia, certo la più celebre dopo che ebbe glorie cinematografiche con il film di David Fincher (2008), interpreti Brad Pitt e Cate Blanchett, tre meritatissimi premi Oscar, è quella seguita da Francis Scott Fitzgerald con il racconto “The Curious Case of Benjamin Button”, edito nel 1922 nella rivista “Collier’s” e poi inserito nei “Racconti dell’età del jazz”. Ma non la sola. Non soltanto gli appunti dell’inglese Samuel Butler, ma soprattutto i legami con il torinese Giulio Gianelli, poeta crepuscolare, che undici anni prima del “curious case” scrisse ”Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino”: il tutto sotto l’intelligente arguzia di Mark Twain, se Fitzgerald ebbe un giorno a confermare: “Questo racconto fu ispirato da un’osservazione di Mark Twain: cioè, che era un peccato che la parte migliore della nostra vita venisse all’inizio e la peggiore alla fine. Io ho tentato di dimostrare la sua tesi, facendo un esperimento con un uomo inserito in un ambiente perfettamente normale.”

Nulla vieta che una storia dai contorni così dilatabili prenda la strada di casa nostra, intravedendo vicende ed epoca a noi più vicine. Della stessa storia, con un tour de force affatto trascurabile, si deve essere innamorato Giorgio Lupano, classe 1969, borgo natìo quel di Trofarello alle porte del capoluogo piemontese, alle spalle la scuola dello Stabile torinese diretta da Ronconi e un passato teatral/cinematografico e soprattutto televisivo capace di renderlo uno degli attori più apprezzati. Nell’elaborazione teatrale dovuta allo spirito dinamicissimo di Pino Tierno, capace di costruire i circa 90’ dell’ampio monologo come una sorta di fuochi d’artificio che invadono l’intera vicenda (dall’Unità sino alla metà dello scorso secolo), in un discontinuo imperativo spazio/temporale e in un continuo susseguirsi di piccoli drammi e di leggero divertimento, ogni cosa immersa in un liquido grottesco estremamente ristoratore, Lupano rende totalmente suo il personaggio. Nulla importa che in luogo di Button ci ritroviamo le peripezie di Nino Cotone, sin dalla culla virgulto italianissimo e umanamente tragicomico. Sotto il continuo ticchettìo del tempo, nello sgranarsi di canzonette d’epoca e numeri di danza (oggi in scena Lucrezia Bellamaria, ndr), a fianco la vecchia valigia da cui estrarre il bastone d’appoggio e i diversi abiti e infantili campanellini come le pagine del diario che va scrivendo, pagine che a poco a poco invadono la scena in una cascata di ricordi, Nino inizia con il guardare la propria culla, la pelle grinzosa della vecchiaia, affronta sin dai primi attimi e snocciola il significato della vita: “Capita a tutti di sentirsi diversi in un modo o nell’altro, ma andiamo tutti nello stesso posto, solo che per arrivarci prendiamo strade diverse”. Un lungo percorso ad attraversare una vita intera, Nino che affronta l’infanzia come se fosse un anziano e la vecchiaia come se fosse un bambino, “la vita al contrario” con i genitori sbigottiti a nascondere al mondo la creatura, la giovinezza e le amicizie, la diversità durante il servizio militare sotto l’occhio dei superiori, il matrimonio con Elisabetta e la nascita del figlio, il rapporto con quest’ultimo che è un diverso gioco delle parti.

Con la attenta regia di Ferdinando Ceriani, in una interpretazione dove esprimere tutta la propria bravura e una invidiabile quanto autentica maturità, Lupano si divide, oltre che nella lucidità del suo protagonista, nel fregolismo dei tanti personaggi, maschili e femminili, di più o meno lunga come di fulminea ampiezza, ben articolati nelle differenti movenze e nel gioco delle voci, acute e profonde, dialettali, rotonde e difettose, sussurrate e imponenti, in un eccellente panorama di caratterizzazioni. Una serata di vero successo, colma la sala dell’Erba di un pubblico che certo non ha lesinato gli applausi. Una trasposizione che poteva portarsi appresso ogni rischio ma che al contrario dimostra tutta la sua riuscita.

Elio Rabbione

“Romeo e Giulietta stanno bene”e “Kaleidos” al Gobetti di San Mauro

Giovedi 14 marzo  in scena “Kaleidos -viaggio tra gli stili”

 

Giovedì 14 marzo, al teatro Gobetti di San Mauro Torinese, andrà in scena “Kaleidos -viaggio tra gli stili”, da Beethoven a Piazzolla. Protagonisti il pianoforte e il violoncello di due giovani talenti piemontesi, Luca Cometto e Luigi Colosanto. Preparazione e creatività sono unite all’entusiasmo della gioventù e fanno del duo una coppia interessante e da scoprire, già notata dalla critica e capace di riempire i teatri. Il programma della serata prevede la Sonata per violoncello e pianoforte n.2 op.5, Adagio sostenuto e espressivo/allegro molto più tosto presto e rondò allegro. Seguirà Schumann con “Fantasiestücke” op.73, Nikolai Myaskovsky con Sonata per pianoforte e violoncello n.2 op.81 Allegro moderato, Andante Cantabile, Allegro con Spirito. Conclude la serata il Gran Tango per violoncello e pianoforte di Astor Piazzolla.

La composizione della Sonata per violoncello e pianoforte op.5 fu dovuta a circostanze casuali. Nel giugno del 1796 Beethoven, che stava nuora pensando alla carriera concertistica e che erra stato Praga, Lipsia e Dresda si recò a Berlino. Il Re di Prussia Federico Guglielmo II suonava il violoncello, e per lui Mozart scrisse i Quartetti Prussiani e Boccherini molti quartetti, oltre ad avere al suo servizio uno dei più abili violoncellista dell’epoca, Jean-Pierre Duport. Beethoven, che suonò a corte, offri al Re Violoncellista le due sonate, e le eseguì insieme a Duport.

Tradotto dall’inglese, la “Fantasiestücke” fu scritta da Schumann nel 1849. Sebbene fosse originariamente destinata a clarinetto e pianoforte, Schumann indicò che la parte del clarinetto poteva essere anche eseguita su violino e violoncello. Queste “fantasie” furono scritte da Schumann nel 1849, anno considerato dal compositore fra i più fecondi della propria esistenza, e che fu anche l’ultimo da lui trascorso a Dresda. Rispetto al grigio clima culturale di Dresda, che in precedenza aveva influito sulla creatività dell’autore, le “fantasie” rappresentano un tentativo di evasione, realizzato con la complicità degli amici della locale orchestra di corte.

Il Gran Tango di Astor Piazzolla reca una versione originale per violoncello e pianoforte, attraverso la quale il compositore argentino espresse lo spirito del nuovo tango o “nuevo tango”, una fusione di ritmi tradizionali del tango e sincopi ispirate al jazz. Scritto nel 1982, il Gran Tango è stato pubblicato a Parigi, da cui deriva il titolo originale francese “Le Grand Tango” anziché quello spagnolo.

 

Teatro Gobetti, via Martiri della Libertà 17, San Mauro Torinese

Info: 011 0364114

 

Mara Martellotta

 

 

Venerdì 15 marzo, “Romeo e Giulietta stanno bene”

 

Venerdì 15 marzo al teatro Gobetti di San Mauro Torinese andrà in scena “Romeo e Giulietta stanno bene! – Amore contro tempo”, liberamente tratto dalla tragedia di W. Shakespeare e interpretato da Andrea Kaemmerle, Anna Di Maggio e Silvia Rubens. Romeo e Giulietta stanno bene, non sono morti, anzi hanno dovuto vivere diversi anni affrontando tutte le difficoltà quotidiane dovute a convivenza, lavoro, vecchiaia e modernità. Lo spettacolo è molto divertente e ricorda, quasi citandoli, molti capolavori del teatro del Novecento, da “Giorni felici” a “Rumori fuori scena”. Il testo è un omaggio all’amore lento, quello che dura, quello che sa trasformarsi da passione in esperienza, l’amore dei nostri nonni, l’amore dei resistenti. Un gioiello di comicità poetica e di ottimismo. I tre artisti si muovono da più di 25 anni in modo indipendente e molto personale, si tratta di onesti e talentuosi cercatori di bellezza. Lo spettacolo è in tour nei teatri italiani, mietendo successi di pubblico e critica grazie alla capacità che gli interpreti hanno dimostrato di portare sulla scena dolori e gioie nei rapporti di coppia. L’amore passionale dei due adolescenti di Verona si trasforma così in una relazione come tante, fatta di crisi e di noie. Anche l’ironia dello spettacolo è semplice: così sarebbe finita se Shakespeare non li avesse fatti morire prima.

Venerdì 15 marzo, ore 21:00, cinema-teatro Gobetti

Via Martiri della Libertà 17, San Mauro Torinese

Info e prenotazioni: 011 0364114

 

Mara Martellotta