SPETTACOLI- Pagina 59

Cinemambiente, 76 proiezioni con film in arrivo da 27 paesi. Chiusura “ecogastronomica”

La 27esima edizione del festival Cinema e Ambiente, la più importante manifestazione italiana dedicata ai film a tema ambientale, diretta da Lia Furxhi, si svolgerà dal 4 al 9 giugno prossimo a Torino. È online sulla piattaforma Open DDB, dove una selezione di titoli in cartellone sarà visibile in replica tramite il sito www.festivalcinemaambiente.it fino al 18 giugno. Il festival di quest’anno è dedicato alla memoria di Gaetano Capizzi, suo fondatore e storico direttore scomparso prematuramente lo scorso anno.

L’edizione, dal ricco palinsesto, presenta 76 proiezioni con film in arrivo da 27 paesi, in rappresentanza di quattro continenti. Proposti nelle suddivisioni ormai tradizionali, il concorso Documentari, il concorso Cortometraggi, le due sezioni non competitive Made in Italy e Panorama, cui si aggiungono alcune proiezioni speciali, i film proposti rispecchiano le tante sfaccettature oggi assunte dalla crisi ambientale, in cui il confine tra globale e locale si assottiglia sempre più, facendo emergere problemi irrisolti e sempre più pressanti.

Nella giornata di chiusura, domenica 9 a partire dalle 14.30, in via Montebello, nel tratto tra via Po e via Verdi nell’area pedonale, ai piedi della Mole, si svolgerà un incontro ecogastronomico in cui saranno protagonisti quattro chef piemontesi scelti per il loro pensiero di vivere la circolarità e la sostenibilità in cucina. Essi sono Christian Mandura, dello stellato Unforgettable di Torino, con la sua preparazione del “peperone assoluto”, Antonio Chiodi Latini, chef patron dell’omonimo ristorante torinese, con la sua ultima creazione “zolle”, Giuseppe Rambaldi, della Cucina Rambaldi di Villardora, e Juri Chiotti, di Reis, in Borgata Chiot Martin, che stanno ancora definendo la loro proposta in funzione della disponibilità delle materie prime. Il cibo preparato verrà poi degustato dai partecipanti all’incontro, con prenotazione obbligatoria sul sito del festival www.festivalcinemaambiente.it

 

Mara Martellotta

Rock Jazz e dintorni a Torino. I Blonde Redhead e Gianluca Petrella

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Hiroshima Mon Amour si inaugura la stagione del Sound Garden con il cantautore americano Micah P. Hinson.

Martedì. Allo Ziggy si esibiscono i Negative Approach. Al Milk suonano i Blonde Redhead.

Mercoledì. Al Blah Blah sono di scena i Total Chaos.

Giovedì. All’Off Topic si esibisce Ziùr. Cristina Donà insieme a Saverio Lanza presenta “Spiriti Guida” all’Hiroshima. Al Cafè Muller per il “TOM Fest” suonano i Metales del Terror. Al Blah Blah si esibiscono i Dirty Deep.

Venerdì. Al Planetario di Pino Torinese suona Gianluca Petrella. Alla Suoneria di Settimo tributo ai Suicide da parte di Lydia Lunch e Marc Hurtado. Al Blah Blah per “TOM Fest”si esibisce KillaBeatMaker e i Jukebox 74.

Sabato. Al Cafè Muller suonano gli Oratnitza. Al Margot di Carmagnola sono di scena i Call The Cops. Al Magazzino sul Po si esibisce Roberta Russo in arte Kyoto.

Domenica. Al Blah Blah Paolo Spaccamonti e Enrico Gabrielli accompagnano Antonio Rezza nel reading del suo romanzo “ il fattaccio”. Al Margot di Carmagnola suonano i Nebula.

Pier Luigi Fuggetta

“Too young to Jazz” per i giovani under 30

Al via a Torino la terza edizione, 12 concerti e una “Borsa di Studio” per il sostegno dei giovani talenti

Fino al 25 luglio

Torino, è risaputo, è città che ama il jazz. Patrimonio culturale di inestimabile valore. Da salvaguardare e celebrare per rafforzare l’identità musicale della città, ma soprattutto per garantire che le nuove generazioni possano beneficiare dell’eredità lasciata dai grandi “pionieri” del jazz torinese. Nasce da questa constatazione e da questi propositi “TOO YOUNG TO JAZZ”, la rassegna (giunta ormai alla sua terza edizione) dedicata a“giovani jazzisti under 30” studenti del “Conservatorio di Musica Giuseppe Verdi” e delle scuole di “musica jazz”, a cui è collegata la “Borsa di Studio AICS Memorial Ramella”.

Ideata e organizzata da “AICS Torino APS”, in collaborazione con il “Conservatorio” e alcuni “storici locali” del jazz torinese, la rassegna torna a riproporsi, inaugurata venerdì 10 maggio scorso, fino a giovedì 25 luglio con 12 concerti. Un appuntamento settimanale presso locali e “jazz club”, tutti punti di riferimento per la musica live, che ospiteranno i concerti di 12 giovani formazioni jazz e oltre 40 musicisti con il coinvolgimento e la partecipazione dei musicisti docenti del “Dipartimento Jazz” del “Conservatorio” torinese e di altri professionisti come ospiti che parteciperanno alle jam successive all’esibizione del gruppo.

Per questa terza edizione è prevista anche una maggiore collaborazione dei giovani musicisti coinvolgendoli “nella stessa organizzazione” della rassegna in una “coprogettazione” che non li veda solo più come musicisti esecutori ma coinvolti in tutta la parte di organizzazione e promozione. Per questo motivo è stato chiesto a Fabrizio Leoni, il giovane pianista che ha vinto la borsa di studio “Memorial Sergio Ramella” (fra i massimi protagonisti della scena jazz torinese) nel 2023, di collaborare alla “direzione artistica”.

“Il desiderio è quello di avviare un circuito stabile di jazz dedicato ai giovani musicisti che studiano musica – afferma Ezio Dema, ideatore di ‘Too Young To Jazz’ – per promuoverne la crescita grazie anche al confronto con musicisti affermati e di esperienza, così che si affermi nuovamente, su un piano nazionale e internazionale, una generazione di jazzisti torinesi e piemontesi a cui Sergio Ramella ha contributo dalla nascita”.

Altra importante novità. Per l’anno 2024 è stata istituita una “Borsa di Studio” sostenuta dalla“Fondazione BuonoLopera” (con sede nella storica “Villa Chiuminatto”, nel cuore della “Crocetta” di Torino) che ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione dei giovani artisti di talento. Per questo motivo, nell’ambito dei dodici concerti di “Too Young To Jazz”, selezionerà “tre talenti” che entreranno nel programma della terza edizione dell’“Eclectic Estival” ( che si terrà dal 13 al 15 settembre, nella sede di “Villa Chiuminatto”).

 Gli artisti saranno scelti da una “giuria tecnica” formata da musicisti jazz di alto profilo e dal pubblico, che potrà esprimere la propria preferenza votando sul sito www.aicstorino.it.


Sarà invece il pubblico in presenza a votare la sua preferenza nella “finale”, insieme alla giuria che designerà il vincitore o vincitrice della “Borsa di studio” da 1.500 Euro, per continuare il cammino nel mondo del jazz. I nomi dei giurati saranno rivelati il prossimo luglio, in occasione della presentazione di “Eclectic Estival 2024”.

“Siamo estremamente orgogliosi, come ‘Fondazione BuonoLopera’, di poter sostenere questa terza edizione di ‘Too Young To Jazz’ – sottolinea Viviana Lanzetti, presidente della Fondazione – e di inaugurare un momento dedicato nella terza edizione di ‘Eclectic Estival 2024’. Inoltre, tutti i musicisti partecipanti alla rassegna, saranno coinvolti in un percorso formativo che si sviluppa prima, durante e dopo ‘Eclectic’”.

Per info e programma: “AICS- Comitato Provinciale Torino APS”, via Vanchiglia 3, Torino; tel. 011/2386372 – 80 o www.aicstorino.it

g.m.

Nelle foto:

–       Logo rassegna

–       Immagine di repertorio

–       Villa Chiuminatto

Tutti alla ricerca di una chiave: o c’è dell’altro?

Il panico” di Spregelburd, uno spettacolo difficile ma di gran successo

Il nome di Rafael Spregelburd – attore, drammaturgo e regista teatrale argentino, oggi 54enne, tradotto ormai in una ventina di lingue, autore residente in teatri inglesi e tedeschi, una trentina di opere proposte in Sud America, in Europa e negli Stati Uniti – circola con sempre maggiore curiosità e convinzione nelle sale teatrali di casa nostra, più o meno dal 2008, con il lavoro dell’abituale traduttrice Manuela Cherubini (un lavoro pressoché intimo, sempre più profondo, “il primo incontro è stato quello con le sue opere, e per conoscere e comprendere meglio sono stata a lungo a Buenos Aires, a guardare da vicino questo “Pinter tropicale”, a guardare dove vivesse, quale fosse l’ambiente teatrale in cui era possibile concepire opere così straordinariamente classiche e rivoluzionarie”; un affetto e una partecipazione presto contraccambiati, “quello che ha avuto tra le mani Manuela Cherubini, la più coraggiosa traduttrice italiana, caro spettatore, fu soltanto la mappa del labirinto, attraversarlo è un altra cosa, e traghettarlo verso un’altra cultura, tramite una traduzione, è un atto di fede e di empatico coraggio”), con la pubblicazione della sua intera “Eptalogia”, con le principali messe in scena di Ronconi (di cui non si disse particolarmente soddisfatto) e di Juri Ferrini, che dopo “Lucido” ha affrontato per la presente stagione dello Stabile torinese “Il panico”: con una regia tutta fuochi d’artificio, impetuosa, folgorante, intelligente, molto aiutato dall’ambiente fisso inventato da Anna Varaldo, nei colori rosso e giallo di esplicita memoria almodovariana (e penso che ad Almodovar imbattersi in Spregelbrud piacerebbe un sacco).

Il panico” è parte di un vasto disegno teatrale che nasce nel 1996, guardando alla tavola dei “Sette peccati capitali” dovuta al fiammingo Hieronymus Bosch, un accumularsi di infiniti e godibilissimi dettagli che impediscono la distinzione di un centro che ti venga in aiuto per la più soddisfacente disanima, la rappresentazione con linguaggio moderno della dissoluzione morale del nostro tempo come il pittore mostrava quella di un Medioevo prossimo ad un Umanesimo “non ancora definito”. Sette testi per sette peccati, che guardano alle colpe antiche per sviscerare le colpe moderne, sette opere che avrebbero dovuto essere brevi nella loro stesura, di facile e non costoso allestimento, magari date in contemporanea in sette teatri della città o una per ogni singolo giorno della settimana. Al contrario, in molti casi, le parole si sono moltiplicate alle parole, i personaggi ai personaggi, e se “L’inappetenza” ha una durata di “soli” venticinque minuti altri testi (“La stupidità”) possono arrivare alla durata delle quattro ore. Un arcipelago teatrale che può sconvolgere, spostare la mente e l’attenzione, dare delle certezze allo spettatore e rovesciarle dopo un attimo, legarsi a quella mancanza di punto focale e perdere (e far perdere) un intero percorso che logicamente debba avere un inizio e una sua conclusione.

Moduli, impressioni, sconcerti che rientrano perfettamente nel “Panico”: che tout court altro non è che il peccato dell’accidia, un ensemble di persone affannate a percorrere la propria vita, a tentare due o tre lavori, a correre senza requie nella ricerca di questo o di quello. Che -inoltre – a seguire ancora le parole della Cherubini – di perfetto aiuto nel dovere di districarsi in quello che è e rimane un rabbuiato labirinto – “è la parodia di un b-movie sulla trascendenza e sulla vita dopo la morte: la costruzione di una spiritualità attraverso banali strumenti retorici e grotteschi, con un riferimento alla contingenza della recessione argentina del 2001 (con la chiusura delle banche)… torna a emergere con chiarezza la messa in discussione del concetto di famiglia, che qui troviamo alle prese con la morte di un padre, fratello, amante, tra fantasmi incoscienti di esserlo ed esseri umani inconsapevoli di essere vivi”. Dove forse quel perno che cerchiamo (mentre in scena si catapultano ballerine tarantolate, un’agente immobiliare, una coreografa, un travestito e altri appartenenti ad una copiosa fauna umana) potrebbe essere la ricerca di una chiave che aprirebbe una cassetta di sicurezza, capace con il proprio contenuto di dare sicurezza ad una intera famiglia, lasciata ben nascosta in casa dallo scomparso Emilio qui ridotto a fantasma: ma siamo sicuri che sia quello il perno che stiamo cercando? Forse per un attimo (una delle scene più divertenti dello spettacolo visto al Gobetti in finale di stagione, capitanata in grande stile da una Arianna Scommegna in vero stato di grazie, certo non dimenticando i suoi compagni, Dalila Reas, Michele Puleio, Viola Marietti con una Roberta Calia d’eccezione come funzionaria di banca) ma non poi avanzando nello spettacolo (ma è lecito definire “Il panico” semplicemente “spettacolo”?); potrebbe essere il terapeuta (Ferrini) che visita la prigioniera in carcere (ancora la Calia, irriconoscibile, diversissima, ancora una bella prova) ma anche questo sbandamento non convince; perché non la sfacciata Susana (Elisabetta Mazzullo, un’altra pedina della serata che semina successo), con un linguaggio che corre a ruota libera, alle prese con il pupo di casa in fatto di grandi offerte erotiche.

Sta allo spettatore cercare, scegliere, muoversi (“non si tratta di opere semplici, ma sì, questo lo posso assicurare, in termini assoluti divertenti”, ancora la traduttrice) mentre non ha quel dizionario di riferimento che non solo una volta ci mettiamo a cercare come la chiave del testo. Divertimento certo, innegabile, scaturito a piene mani dalla risata e dalla satira e dal continuo stravolgimento delle leggi e delle abitudini e delle norme che coinvolgono la maggior parte del genere umano. Nei ghirigori, negli zigzag, negli andare e venire della vicenda (l’ho effettivamente rilevato al termine dei 130’) chi scrive ha la sensazione che lo spettatore un tantino squinternato si debba ritrovare, che si diverta alle frasi e alle situazioni e al linguaggio che non ha peli sulla lingua ma che allo stesso tempo non percepisca/possa percepire e districare appieno tutto il tessuto sottile con cui Spregelburd ha costruito questo suo “Panico”. Difficoltà certo, ci hanno avvisati, come ci hanno avvisati di non legarci più strettamente alle emozioni che sorgono dalla pancia come a quelle che sorgono dalla testa, “certe distinzioni fra testa e pancia ormai da tempo hanno provato la loro inconsistenza”. E a noi non rimane che decifrare che cosa esattamente “nasconda” quella cassetta di sicurezza, quali significati siano nascosti al suo interno, come seguire tutta l’illogicità, la spensieratezza, la sconfinata anarchia, i paradossi, le sgraffignature, i percorsi sconnessi di un autore che guardi con una certa titubanza ma anche con una gran dose di rispetto. Presente in sala ad una delle repliche a cui ho assistito, a prendersi tutto il mare d’applausi che un pubblico foltissimo gli tributava.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma

In scena al teatro Carignano “Hybris”

Con Antonio Rezza e Flavia Mastrella. In scena fino al 9 giugno

 

martedì 4 giugno alle 19.30.

Si tratta di uno spettacolo scritto e diretto da Antonio Rezza e Flavia Mastrella, già vincitori del Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 2018.

Antonio Rezza va in scena con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e Maria Grazia Sughi. L’habitat è di Flavia Mastrella, il disegno luci di Dario Crispino, le luci e la tecnica di Alice Mollica.

Lo spettacolo, coprodotto dalla Compagnia Rezza/Mastrella, la Fabbrica dell’attore Teatro Vascello, Sardegna Teatro e Spoleto Festival dei due Mondi resterà in scena per la stagione in abbonamento del Teatro Stabile fino a domenica 9 giugno.

Il nuovo lavoro di Rezza-Mastrella approda al teatro Carignano, portando con sé tutta la sua dirompente forza dissacratoria e innovativa. La loro folle ma, al tempo stesso, lucida scrittura scenica questa volta è incentrata su una porta, aperta e richiusa una decina di volte durante lo spettacolo, che diventa qui la cesura tra un ambiente e l’anticamera di un altro mondo o il filtro tra un dentro assoluto e un indefinibile fuori, tra l’essere, l’esserci e un eventuale sarei. Un pastiche teatrale e linguistico accuratamente studiato e calibrato per apparire disorientante quanto esilarante.

‘Come si possono riempire le cose vuole? È possibile che il vuoto sia solo un punto di vista? La porta… perché così ci si allontana. Ognuno perde l’orientamento, la certezza di essere in un luogo, perde il suo regno in terra. L’uomo fa il verso alla belva che lui stesso rappresenta. Senza rancore. La porta ha perso la stanza e il suo significato, apre e chiude sul nulla. Si ode quello che non c’è; intorno un ambiente asettico fatto di bagliori.

L’essere è prigioniero del corpo, fascinato dall’onnipotenza della sua immagine trasforma il suo aspetto per raggiungere la bellezza immobile e silente che tanto gli è cara. Le gabbie naturali imposte dal mondo legiferano della nascita, della crescita e della cultura, ma la morte di solito è insabbiata, al bambolotto queste cose sembrano inutili sofferenze, antiche volgarità. La porta attraversata dal corpo, che è di cervello e profondamente pigro, si trasforma in un portale nel vuoto. Al bordo del precipizio si può immaginare un mondo alternativo ma il bambolotto si lascia abitare da chiunque, di ognuno prende un pezzo, uno spunto, sicuro e consapevole di dare una direzione sua alle cose. La spina dorsale si allunga e si anima, finalmente si divide. Aprire la porta sulle altrui incertezze, sull’ambiguità, sull’insicurezza dell’essere e la meschinità dello stare. Chiunque sta in un punto. Detta legge in quel punto. Ci si conosce sotto i piedi, nulla può durare a lungo quando due persone si incontrano esattamente dove sono… I rapporti finiscono perché nascono sotto i calcagni, senza rispetto. Piccoli dittatori che fanno della posizione la loro roccaforte. Ma poi barcollano con una porta davanti gestita da un carnefice inesatto che stabilisce dove gli altri vivono. Non cambia molto essere un metro oltre o un metro prima, ma muta lo stato d’animo di chi sapeva dove era e adesso ignora dove andrà perché non sa da dove parte.

Chi bussa sta dentro, chi bussa cerca disperatamente che qualcuno da fuori gli chieda “Chi è“. Bussiamo troppo spesso da fuori per tutelare le poche persone che vivono all’interno , si tratta di famiglie di due o tre elementi , piccoli centri di potere chiusi a chiave. Dovremmo imparare a bussare ogni volta che usciamo perché fuori ci sono tutti, l’esterno è proprietà riservata, condominio esistenziale, casa aperta. L’educazione va sfoggiata in mezzo agli altri e non pretesa quando ci si spranga insieme al parentato. La famiglia la sera chiude fuori tutta l’umanità, che senso ha accogliere il diverso quando ogni notte ci barrichiamo dichiarando l’invalicabilità della nostra dimora? Infimi governanti delle pareti domestiche, come le bestie, L’uomo diventa circense, domatore della proprietà privata.

Teatro Carignano, piazza Carignano 6

Orario degli spettacoli martedì, giovedì e sabato ore 19.30, mercoledì e venerdì ore 20.45

 

Mara Martellotta

Stupinigi a passo di danza

Il progetto “Orme sonore” con il Primo Liceo Artistico Statale Coreutico di Torino alla Palazzina di Caccia di Stupinigi (TO)

 

Nel Salone d’Onore della Palazzina di Caccia di Stupinigi, un tempo destinato alle feste e ai balli di corte, si è concluso con una performance a passo di danza il progetto “Orme sonore” che, per il secondo anno consecutivo, ha coinvolto gli studenti del Primo Liceo Artistico Statale Coreutico di Torino.

A febbraio è iniziata l’esperienza di ascolto di brani classici correlati con gli ambienti della Palazzina, individuati insieme ai Servizi Educativi del Teatro Regio di Torino. Attraverso coreografie ed improvvisazioni di danza, le classi coinvolte avevano il compito di riconoscere e valorizzare i contenuti artistici (architettura ed apparati decorativi) della palazzina, simbolo dell’arte e dell’architettura barocca e rococò. Acquisiti gli strumenti, i ragazzi hanno progettato – in collaborazione con i Servizi Educativi della Palazzina di Caccia di Stupinigi guidati da Serena Fumero – una performance basata su una visione trasversale del luogo. La natura, gli animali e le correlazioni con la musica li hanno portati ad esplorare il Carnevale degli Animali di Camille Saint-Saëns e le storie legate al mito, da Fetonte a Diana e Atteone attraverso composizioni musicali contemporanee realizzate dagli stessi docenti. Durante le due giornate di restituzione, a museo aperto, sono stati anche presentati i lavori di scenografia relativi al brano Acquario del Carnevale degli Animali.

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

www.ordinemauriziano.it

I nove danzatori di Pendleton in uno spettacolo fatto di pura magia

All’Alfieri, sino a domenica 2 giugno, “Back to Momix”

Che cosa dire ancora dei Momix? Che cosa dire al di là di quanto s’è detto in questi loro 45 anni di vita, gruppo fondato da un Moses Pendleton arrivato oggi ormai ai settantacinque, passato dai successi dell’iniziale sci di fondo ai palcoscenici di Broadway, con una laurea in letteratura inglese al Dartmounth College e la creazione del Pilobolus Dance Theatre come tappe di passaggio? Forse non c’è più spazio per ripetere della professionalità, della genialità in alcuni tratti, che nello spettatore porterebbe facilmente all’incredulità, della gravità continuamente sfidata, del trasformismo ininterrotto, dei mille movimenti costruiti e studiati e riproposti nella frazione esatta della loro esistenza e della loro necessità d’essere, dei corpi che esprimono tutto il potere che portano in sé e allo stesso tempo la leggerezza che li fa divenire impercettibili, aerei, leggerissimi, della luce che li circonda e ne ricrea ulteriormente le forme, la potenza dei corpi maschili e l’avvenente presenza di quelli femminili, la sensualità emanata e la delicatezza. Dell’amalgama di costumi e colori a cui fanno da sfondo scenografie stupendamente immaginifiche, di una colonna musicale che s’apre al moderno ma che è anche capace di viaggiare attraverso i secoli, che diventa attimo dopo attimo una festa per gli occhi. Oppure è guardare da parte dello spettatore ad un ricreare continuo, la battaglia di nove ballerini (tre) e ballerine (sei) anche intorno ad un passato interrotto da una pandemia che ha allontanato per qualche anno il gruppo dal pubblico italiano (torinese, per quanto ci riguarda: è sino a domenica 2 giugno sul palcoscenico dell’Alfieri, e sin d’ora dico a tutti non perdeteveli), il disinteresse nel fornire percorsi e suggestioni già proposti in passato senza ricorrere a invenzione del tutto nuove. “Back to Momix” è il titolo dello spettacolo, due tempi da tre quarti d’ora ciascuno, sedici brani a cui dà vita un gruppo dentro il quale alcuni per il primo anno danno il loro fantastico apporto, un gioco di parole che richiama un classico della cinematografia degli anni Ottanta, ma anche – “con il desiderio di leggerezza e spensieratezza”, recita il comunicato stampa – il desiderio di guardare al futuro, con ritrovata serenità, prendendo magari per mano il pubblico di domani.

Si catturano momenti degli storici “MomixClassics”, “Passion”, “Baseball”, “Opus Cactus”, SunFlower Moon” fino a “Bothanica” e “Alchemy”, setacciando ancora una volta sul palcoscenico e da parte nostra allo stesso tempo ricordi e frequentazioni, sensazioni, quelle emozioni forti che hanno occupato gli appuntamenti precedenti. Forse come un tempo, si continua a coltivare preferenze, magari un paio di numeri appaiono più statici e in ombra se paragonati a quelli srotolati prima o che verranno dopo: ma il successo non può cambiare. A fare da focus, anche impercettibile, dell’intero spettacolo, è l’amore di Pendleton (con l’apporto insostituibile della moglie Cynthia Quinn) per la natura, per la sua vita trascorsa tra il verde della campagna, per il mondo naturale che ci circonda e che troppo spesso avviliamo, che si fa intimità e forse sogno, impercettibile sino a fondersi in un panteismo che coinvolge tutti quanti: attimi che sfociano in quell’atmosfera di magia che percorre tutto quanto lo spettacolo. La Natura è bellezza nelle sue forme e nei suoi colori, a volte anche nelle proprie asprezze: e su quel palcoscenico ogni ballerino riconduce la propria bravura e la propria bellezza alla Natura, come in un cerchio magico.

La Natura che si esprime attraverso un fiore color corallo che si snoda sino a diventare una lunga gonna sui corpi delle cinque ballerine, attraverso il volo di un’ape, attraverso uno stormo d’uccelli, attraverso i corpi che si riflettono in uno specchio e si rifrangono con la bellezza dei loro movimenti in mille immagini. Una Natura che per un attimo può lasciare spazio all’Eros, al ricercarsi continuo di un uomo e di una donna, come all’ironia che spunta all’improvviso forse inaspettata. I fasci luminosi che attraversano velocissimi, in un alternarsi di linearità e di gibbosità, quasi uno spot televisivo di antica memoria, i rotoli di carta che giocano con avvolgimenti e srotolature, i tanti pupazzi con cui ballerine e ballerini fanno coppia per poi spedirli nel finale verso l’alto, felicemente, i tre cowboy spettacolari nella loro bravura: senza i cavalli, chiaramente, che tuttavia s’intuiscono nei loro immaginabili movimenti, i tre – credetemi – che li cavalcano e che agiscono in bellezza su quell’unico trampolo legato a una delle gambe, dritti, “in piedi”, obliqui, equilibristi perfetti. Una perfezione che ti lascia senza fiato. Non può non suonare perfetto al termine “Back to Momix”, nella risposta di un pubblico che non si stanca di applaudire e di ammirare.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Charles Azzopardi, di Renato Mangolin e di Quinn Pendleton

Le Nina’s Drag Queens e Dragpennyopera

Sabato sera al teatro Colosseo conclusione della stagione del Baretti

La prima stagione del teatro Baretti , intitolata “Regine” e capitanata dal direttore Sax Nicosia, ha preso avvio con le Nina’sDrag Queens e con loro terminerà stasera e sabato sera al teatro Colosseo alle 21 con “Dragpennyopera”.

Per la regia di Sax Nicosia, siamo di fronte ad una  storia di amore, morte, sesso e soldi  sullo sfondo di una città corrotta en travesti. Sono donne che tradiscono, che lottano, donne che si usano a vicenda. Cuori neri dalla nascita e anneriti dalla vita,  che pulsano vitali in uno scenario desolato. Si tratta di uno degli spettacoli più iconici di una compagnia iconica, rappresentato per la prima volta a Torino.

“Volevo dare la possibilità  a tutti i fan del Baretti di vedere uno show a un prezzo più basso rispetto ai circuiti teatrali – spiega Sax Nicosia – e siamo stati sostenuti dalle persone di San Salvario in questa stagione, che ha visto il pubblico aumentare del 30 per cento. Dragpennyopera è  uno spettacolo sontuoso che non poteva essere rappresentato al Baretti, così ci ha ospitati il Colosseo”.

“Le Nina’s si caratterizzano per interpretare e rivisitare i grandi classici della letteratura e del teatro, da Checov a Shakespeare “  – prosegue Sax Nicosia. Macheath è  l’unico uomo, il bandito, l’eterno assente, e suscita in questi cuori sentimenti neri assoluti. Amato, odiato e agognato.

La composizione di questo spettacolo si ispira a The Beggar’sOpera di John Gay, commedia musicale scritta nel 1728, in cui l’autore miscelava la musica colta alla canzone da osteria, la presa in giro del “gran teatro”, la satira più  nera e adatta a canzoni già note al pubblico, fossero ballate o arie d’opera. Il linguaggio teatrale delle Nina ‘s Drag Queens è  un pastone di citazioni, parodie affettuose, brani cantati in playback, attinti dal panorama della musica contemporanea e reinventati in un gioco scenico.

La Compagnia di Nina’s Drag Queens è formata da attori e danzatori che hanno scelto di coniugare teatro e arti performative intorno alla figura eclettica e irriverente della Drag Queen, vera e propria maschera post moderna, in un  percorso di ricerca legato alla rilettura e riscoperta dei classici teatrali. La compagnia propone una riflessione sul ruolo del teatro nella società,  sulle forme in cui una storia può essere esemplare e etica.

“È un’assemblea di attori che chiedono il permesso di parlare. Nel nostro caso siamo di fronte ad un rovesciamento dei ruoli, il travestimento dei personaggi, maschili e femminili,  è un’arma espressiva spiazzante in una società come la nostra ancora profondamente maschilista. È una piccola rivoluzione e le Ninassono portatrici di tutte le istanze, i problemi e le necessità della comunità Lgbtq+”.

Nonostante Sax Nicosia sia in futuro impegnato come coprotagonista in una serie di Netfix e nel primo film da regista di Davide Livermore accanto a Fanny Ardant e Vincent Cassell, la sua priorità rimane il teatro Baretti, dove le Nina’s torneranno con la performance Botanica Queer, una camminata artistica guidata da un biologo, Ulisse Romanò, per mostrare, per esempio al parco del Valentino, il lato queer della natura.

MARA MARTELLOTTA

Burattinarte annuncia la trentesima edizione

Due anteprime a Corneliano e a Novello

 

Nel primo fine settimana di giugno Burattinarte accende i riflettori sulla sua trentesima edizione con due anteprime sabato primo giugno a Corneliano e domenica 2 giugno a Novello.

Le due anteprime che Burattinarte offre al pubblico di Langhe e Roero nel primo fine settimana di giugno anticipano lo spirito della trentesima edizione, che si aprirà il 27 giugno, con 4 giorni ricchi di sorprese e ben 27 appuntamenti molto coinvolgenti ad Alba.

Claudio Giri e Consuelo Conterno, direttori artistici di Burattinarte, hanno scelto di aprire virtualmente il calendario del trentennale in due luoghi simbolo della rassegna, il Circolo Arci Cinema Vekkio di Corneliano, con cui da anni esiste una solida e generosa collaborazione e Novello, il Paese di Langa in cui, per tradizione, si chiude la rassegna estiva.

Sabato 1 giugno appuntamento con il Laborincolo e lo spettacolo Cracrà Punk, a Corneliano, alle 21, e domenica 2 giugno con Giorgio Gabrielli e un classico della tradizione emiliana “A spasso con Sandrone”.

“Il Laborincolo – spiegano i direttori di Burattinarte – è un progetto teatrale fondato da Marco Lucci in Umbria nel 2005 con l’intenzione di approfondire i linguaggi e le forme di questo spettacolo, ad esempio le diverse tecniche di figura e i molteplici piani della scenografia, gli scenari che si aprono e sorprendono, gli oblò che aprono nuovi orizzonti. I suoi spettacoli sono pensati per un pubblico misto di adulti e di bambini e riescono a raccontare con passione e poesia storie significative, in cui viene valorizzata la dimensione artigiana del teatro di figura.”

“Cracrà Punk è una storia curiosa e gentile che tratta di genitorialità, crescita, ricerca delle proprie origini. “Caduto dal cielo per una svista della cicogna, un neonato si trova davanti alla porta di Ada, la signora Morte, che non resiste di fronte a tanta tenerezza e si trasforma in una dolce mamma, impegnata in giochi sulla neve, indovinelli e ninne nanna. Fino a quando il bimbo non diventa un ragazzo e chiede chi sia suo padre. Mamma Ada non ha una risposta pronta e per tenerlo con sé inventa una storia impossibile. Al ragazzo non rimane che partire in cerca dei genitori, attraversare il mare, fare tornare il sorriso sulle labbra della regina e in mezzo alla burrasca incontrare la cicogna Tiresia, l’unica in grado di rivelare la verità e indicargli la strada”.

II weekend sarà completato da un’incursione in Langa, a Novello, di Giorgio Gabrielli, uno dei più apprezzati burattinai d’Italia, che porterà in scena un cavallo di battaglia della tradizione emiliana “A casa con Sandrone”.

Come nella prima edizione i riflettori saranno puntati su Alba, con 27 appuntamenti tra spettacoli, giochi di piazza e laboratori. “Invaderemo la città – spiega Consuelo Conterno – con burattini, teatro in miniatura, marionette, muppet, laboratori, giochi catalani e una buffissima battaglia con i cuscini. Vi saranno spettacoli inediti. Il centro di Alba si trasformerà in un teatro diffuso e sorprendente con spettacoli all’improvviso e altri programmati”.

In trenta anni di attività Burattinarte si è evoluto mantenendo due costanti, di cui la prima è perseguire un obiettivo sociale, portando il teatro ovunque, anche nel più piccolo paesino, renderlo comprensibile a tutti, dal bambino all’anziano e accessibile, con un’offerta libera, di modo che tutti possano godere dello spettacolo.

La seconda è la vocazione internazionale; per merito delle connessioni virtuose con altri festival italiani e internazionali sono intervenute produzioni artistiche di rilievo da tutta Italia, dalla Sicilia a Friuli, al Sud America, dall’India alla Russia e all’Europa.

‘Volevamo portare il teatro nei piccoli centri – spiegano I direttori artistici – dove di solito non arrivano artisti di esperienze internazionali. All’inizio degli anni Duemila il festival si è ampliato al Monferrato, coprendo una decina di giorni a giugno e, in certe serate, c’erano almeno tre spettacoli diversi in altrettanti Paesi, uno astigiano, uno ad Alba, uno nelle Langhe, diffusi in un raggio amplissimo”.

 

Mara Martellotta