SPETTACOLI- Pagina 52

L’orrore dell’Olocausto nella lingua dei bambini

Per celebrare il “Giorno della Memoria” arriva dall’Aquila a Monteu da Po la Compagnia “Teatro Zeta”

Sabato 27 gennaio, ore 21

Monteu da Po (Torino)

Un’esecuzione polifonica, un “canto recitato”a più voci e a più personaggi: “Cronache dalla Shoah. Filastrocche della nera luce”, su testo di Giuseppe Manfridi (autore romano, fra i massimi drammaturghi italiani), arriva, nell’ambito delle celebrazioni dedicate al “Giorno della Memoria”, sabato 27 gennaio, alle ore 21, al “Teatro Comunale” (via Municipio, 3) di Monteu da Po (40 chilometri da Torino), messo in scena dal “Teatro Zeta dell’Aquila”, per la regia di Livio Galassi.  A selezionare e a proporre lo spettacolo è la Compagnia torinese “Onda Larsen”, con il contributo del Comune montuese, di Regione Piemonte ed “Eppela Crowdfunding”.

Sul palco, unico attore – e fondatore del “Teatro Zeta” – Manuele Morgese si cala nei panni di più personaggi, testimoni e narratori dei terribili episodi legati alla “Shoah” e la sua voce, attraverso le “filastrocche di nera luce”, si fonde alla musica dal vivo della tromba e del pianoforte di Giulio Spinozzi e Pablo Corradini. Lo spettacolo, in forma di “breve lettura” ha debuttato nel “Giorno della Memoria 2019” proprio ad Auschwitz e, sempre nel 2019, è diventato anche un libro(edito da “La Mongolfiera”), con prefazione dello scrittore romano Claudio Giovanardi, che, a proposito della narrazione in termini di “filastrocca”, ebbe a scrivere: “Ma come? Una materia così grave accomodata in una forma che si usa per le fiabe dei bambini? Esattamente. Di fronte agli abissi del male siamo tutti bambini e ci mettiamo in ascolto pieni di speranza e di paura”. D’altronde, è lo stesso attore Manuele Morgese a raccontare: “Se non fossi stato ad Auschwitz, a vedere coi miei occhi i resti di quell’orrore, non sarei mai riuscito a immedesimarmi nei personaggi che interpreto”. E aggiunge: “Porto avanti questo spettacolo dedicandolo a Sergio, un bambino napoletano deportato. Le SS arrivarono e chiesero ai più piccoli del lager ‘Chi di voi vuole vedere la mamma?’. Sergio, fidandosi dei soldati, alzò la manina rispondendo ‘io!’ E così fu selezionato come cavia per atroci esperimenti che lo condussero alla morte”. E, come il piccolo Sergio, sul palco (dove il monologo dell’attore è legato a filmati in bianco e nero proiettati su uno schermo laterale) si muovono e riprendono corpo le vite di diversi testimoni e vittime della crudeltà nazista: dalla bambina ebrea scampata alla morte (a differenza di Anna Frank, che appare in un filmato realizzato prima della deportazione) all’operatore di ripresa ariano, costretto a filmare il falso in favore della propaganda hitleriana. Il tutto accompagnato da celebri brani musicali che vanno da “A night in Tunisia” di Gillespie a “La vita è bella” di Piovani, fino a “Schindler’s List” di Williams, a “Pure Immagination” di Bricusse e a “The Shaadow of Your Smile” di Mandel: note immortali che “legano le memorie, l’intervallarsi delle scene, restituiscono i sentimenti e le atmosfere di uno dei momenti più bui della storia dell’Umanità”. Doloroso e difficile anche da mettere in scena, poiché più che “descrivere” deve assumersi il compito di “suggerire”: una sorta di “non scena”, sottolinea ancora Morgese “che disegna percorsi mentali, che imprigionano o si schiudono alla speranza; una recitazione prosciugata che non cerca compiacimenti né virtuosismi; una musica eletta che non cerca melodie; un tentativo di coinvolgerci tutti in un ineludibile senso di colpa”.

Per info: “Onda Larsen – Spazio Kairòs”, via Mottalciata 7, Torino; tel. 339/3881949 o www.ondalarsen.org

g.m.

 

Nelle foto di Federica Di Benedetto: Manuele Morgese in alcune scene dello spettacolo

Il folk elettronico di YA TOSIBA

Performance nell’ambito del public program della mostra Trad u/i zioni d’Eurasia

a cura di Chiara Lee e freddie Murphy

Giovedì 25 gennaio 2024 ore 18.30

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

 

 

Folk elettronico che riscrive e si riappropria delle tradizioni poetiche orali del Caucaso per il quarto appuntamento del public program di Trad u/i zioni d’Eurasia.

Nato dalla collaborazione tra la musicista e cantante azera Zuzu Zakaria e il produttore finlandese Tatu Metsätähti, Ya Tosiba unisce elettronica, strumenti suonati dal vivo e la tradizione poetica orale del Caucaso in un suono moderno e accattivante.

L’ultimo album di Ya Tosiba ASAP Inşallah (Huge Bass, 2023) trasporta l’ascoltatore in un viaggio globale, con influenze che vanno dai norvegesi Center of the Universe, al francese Poborsk, dall’ucraina Zavoloka, agli svedesi Pavan e Daniel Savio fino ad arrivare all’azero Rahman Memmedli.

Quattro dei brani dell’album attingono al generemeykhana, uno stile di musica nuziale improvvisata azera, con “battaglie di poesie” accompagnate da una chitarra elettrica microtonale. Bandito durante il periodo comunista, il meykhana ha visto una rinascita dopo la caduta dell’Unione Sovietica nei talent show televisivi, sebbene sia ancora considerato una forma di cultura bassa. Zakaria presenta un approccio molto personale al genere, sovvertendone sia le tradizioni di genere che quelle musicali. “Le donne non sono invitate a questo rituale, fatto da uomini per uomini, e questo rende senza dubbio ancora più importante per me continuare a farlo” dice.

Mentre Zakari canta in azero, la narrazione diASAP Inşallah prende vita. Tutti i testi dell’album riprendono poesie e testi tradizionali con racconti che narrano della tensione tra romanticismo e guerra, sesso e genere, natura e tecnologia, politica e società. Sebbene le storie siano varie e alcune abbiano una base storica, tutte attingono a questa tensione; è il peso della storia contro la promessa del domani.

Il calendario completo degli eventi sul sito.

Tariffe: 15 € intero e 10 € ridotto studenti acquistabili presso la biglietteria del Museo il giorno del concerto.

16 € intero con prevendita sul sito.

Messiaen e Šostakovič in occasione del Giorno della Memoria

All’Auditorium Rai di Torino l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI e Dmitry Matvienko

 

Giovedì 25 e venerdì 26 gennaio l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI dedica al Giorno della Memoria il suo programma musicale, con il debutto sul podio dell’OSN RAI di Dmitry Matvienko. Classe 1990, si è aggiudicato nel 2021 il primo premio e il premio del pubblico alla Malko Competition di Copenaghen, uno dei più prestigiosi concorsi per direttore d’orchestra. Il concerto di giovedì 25 gennaio, in programma alle 20:30, sarà trasmesso in diretta su Radio 3. La replica di venerdì 26 gennaio, alle ore 20:00, è proposta in prima serata su Rai 5 alle 21:15.

La serata si apre con i versi della poesia di Wislawa Szymborska, Nobel per la Letteratura 1996, interpretati dall’attrice Marta Cortellazzo Wiel. La Szymborska getta uno sguardo profondo su ciò che accade dopo una guerra, la ricostruzione, perché “dopo ogni guerra c’è chi deve ripulire”. In fondo, un po’ di ordine, da solo non si fa. Si prosegue con due movimenti: dal “Quatuor pour la fin du temp” che Oliver Messiaen scrisse alla fine del 1940 in campo di concentramento. Il terzo, “Abimes des oiseaux”, e il secondo, “Vocalise, pour l’Ange qui annonce la fin du temps”. A eseguirli sono chiamate le prime parti dell’Orchestra RAI Roberto Ranfaldi, violino di spalla; Enrico Maria Baroni, clarinetto; Pier Paolo Toso, violoncello, a cui si aggiunge Andrea Rebaudendo al pianoforte. Messiaen fu chiamato alle armi nel 1939 con l’entrata in guerra del suo Paese, la Francia. Catturato dai tedeschi, fu trasferito a Görlitz, in Slesia, al confine con la Polonia, dove trascorse un anno e dove scrisse il Quatuor, che fu eseguito il 15 gennaio 1941 davanti a 5000 prigionieri del lager Stalag VIII – A.

In chiusura il direttore Matvienko proporrà la Sinfonia n. 8 in Do minore op. 65 di Dmitry Šostakovič, composta nell’estate del 1942, quando i tedeschi stavano abbandonando l’Unione Sovietica dopo una guerra di logoramento che aveva lasciato sul terreno ghiacciato dell’inverno russo un enorme numero di vittime. Il regime si attendeva dal compositore un’opera celebrativa della vittoria bellica, ma Šostakovič era troppo provato, come il suo popolo, per approdare a toni trionfalistici. La Sinfonia tenta di guardare oltre, di celebrare il coraggio della resistenza, ma lascia trasparire un profondo senso di catastrofe che pone in ombra i valori positivi, e che non fu particolarmente apprezzata alla prima esecuzione avvenuta a Mosca il 4 novembre 1943 sotto la direzione di Evgenij Mravinskij.

La Sinfonia n.8 fu scritta in un momento particolarmente drammatico per la storia dell’URSS, impegnata in una guerra massacrante e spaventosa contro la Germania nazista. Anche se il musicista non fa riferimenti specifici ad un programma, è evidente come il pesante clima di quell’anno si accumuli gravemente su tutta la Sinfonia, concepita come una dolorosa e accorata riflessione sull’esperienza bellica, nel frangente temporale in cui l’armata del generale Von Paulus veniva disintegrata a Stalingrado. In modo più netto rispetto alla Sinfonia n. 7, la celebre ‘Sinfonia di Leningrado’, Šostakovič nell’Ottava si riallacciava alla tradizione romantica di Berlioz, Liszt, Mahler, Borodin e soprattutto Cajkovskij, realizzando un ampio quadro musicale sull’idea dell’uomo costretto a vivere la tragedia della guerra. Non mancano reclamazioni e strappi retorici pur nel rispetto, in linea di massima, di un equilibrio tra forma e invenzione, degno della tempra di sinfonista quale lui è stato, e che gli doveva apertamente riconoscere lo stesso Schoenberg.

I biglietti del concerto sono in vendita sul sito dell’OSN RAI e presso la biglietteria dell’Auditorium RAI “Arturo Toscanini”

Info: 011 8104653

 

Mara Martellotta

“Perlasca. Il coraggio di dire no” A teatro per il Giorno della Memoria

Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

Giovedì 25 gennaio, ore 21

Perlasca. Il coraggio di dire no

Per il Giorno della Memoria, la storia di Giorgio Perlasca, di e con Alessandro Albertin

 

 

Per il Giorno della Memoria, giovedì 25 gennaio al Teatro Concordia, si ricorda la figura di Giorgio Perlasca in “Perlasca. Il coraggio di dire no”: un racconto affascinante, travolgente e commovente della storia di un uomo semplice e normale che nella Budapest del 1944 si è messo al servizio dell’Ambasciata di Spagna.

Un giusto tra le nazioni, che ha affrontato la morte ogni giorno, trovandosi faccia a faccia con Adolf Eichmann e spacciandosi per Console spagnolo, solo ed unicamente perché ha scelto di salvare la vita a molte persone: 5.200, ebrei, ma non solo. Ha vissuto nell’ombra per più di 40 anni, non raccontando la sua storia a nessuno, nemmeno ai familiari. Nel 1988 viene rintracciato da una coppia di ebrei ungheresi che gli devono la vita. Quando i giornalisti gli chiesero le motivazioni delle sue azioni, lui rispose: “Lei cosa avrebbe fatto al mio posto?”.

Giorgio Perlasca è interpretato da Alessandro Albertin. Diplomato attore nel 1999 alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, ha lavorato tra gli altri con Egisto Marcucci, Gianrico Tedeschi, Andrée Ruth Shammah, Gigi Proietti, Alessandro Gassmann, Damiano Michieletto, Giuseppe Emiliani e Franco Branciaroli.

 

NOTE DI REGIA

Davanti a qualcosa di terribile si può reagire in due modi: commentare la cosa, oppure occuparsi della cosa. La prima soluzione è quella più comoda e ci conduce inesorabilmente al tasto mi piace di Facebook. La seconda soluzione è quella più scomoda, richiede coraggio ed eroismo. E umiltà. A commentare siamo capaci tutti. Per occuparsi di un problema e risolverlo, serve la volontà di farlo. Questa è la grande lezione che ci ha lasciato Giorgio Perlasca. E da qui siamo partiti per raccontare al meglio questa storia meravigliosa. Lo facciamo con uno spettacolo semplice, senza fronzoli. Affidandoci alla straordinarietà degli eventi e ad un’interpretazione che mescola tecnica ed emotività, accompagnandoci per mano alla scoperta di un capitolo della nostra storia che è necessario conoscere. In quanto italiani. In quanto uomini.

 

Giovedì 25 gennaio, ore 21

Perlasca. Il coraggio di dire no

Scritto e interpretato da Alessandro Albertin

Regia Michela Ottolini

Disegno luci Emanuele Lepore

Una produzione Teatro de Gli Incamminati, in collaborazione con Overlord Teatro e con il patrocinio della Fondazione Giorgio Perlasca

Biglietti: intero 15 euro, ridotto 13 euro

Info

Teatro della Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

www.teatrodellaconcordia.it

011 4241124 – info@teatrodellaconcordia.it

A Carnevale il Museo Nazionale del Cinema ricerca la più bella coreografia del Mercoledì Addams

 

 

Proseguono le iniziative collegate alla grande mostra dedicata a Tim Burton, aperta fino al 7 aprile prossimo al museo Nazionale del cinema di Torino. In occasione del Carnevale il Museo alla Mole Antonelliana propone un concorso dedicato ai fan di Tim Burton.

Dal 7 al 13 febbraio i visitatori troveranno all’interno del percorso di mostra una postazione allestita come un ‘Dance corner’ con faretti e fondale dedicati. Chi lo desidera potrà sfruttare lo spazio per ricreare, con un video, la celebre coreografia di ballo di mercoledì Addams, diventata virale sui social con la canzone dei The Cramps- Goo to muck.

Il concorso avrà luogo sulle pagine social del Museo Nazionale del Cinema e le cinque performance che avranno più like verranno premiate con una box esclusiva contenente una selezione del merchandising della mostra e il più votato riceverà una vip card della durata di un anno che darà accesso gratuito agli spazi del museo e al Cinema Massimo.

“Carnevale è l’occasione perfetta per dare ai nostri visitatori la possibilità di cimentarsi con il ballo di mercoledì, diventato uno dei trend più famosi sui social- sottolineano Enzo Ghigo e Domenico De Gaetano, rispettivamente presidente e direttore del Museo Nazionale del cinema. In questi mesi molte delle oltre 280 mila persone che hanno visitato la mostra di Tim Burton erano vestite come i suoi personaggi. Abbiamo quindi pensato alla possibilità di ricreare questo Dance corner che avrebbe dato l’opportunità a tutti di sentirsi per un minuto Mercoledì Addams. Questa è anche la magia del mondo di Tim Burton!”.

 

Mara Martellotta

Un vero successo per quei ragazzi fatti di grinta, di sudore e di sogni

“Fame – Saranno famosi” all’Alfieri, sino a domenica 28 gennaio

Fuori, le immagini dei panorami di New York, le case antiche e la selva di grattacieli, i parchi e gli alberi dalle foglie rossastre, le nubi che trascorrono veloci, il Chrysler sullo sfondo e la neve che scende e che imbianca; al di qua della vetrata, nelle aule della famosa quanto esclusiva scuola di Performing Arts, un gruppo di ragazzi tutti giovanissimi – con loro gli insegnanti, qualcuno con il desiderio di confessarsi dolorosamente a se stesso e agli altri -, grinta fatica sudore e lacrime, la passione e la voglia di affermazione, la speranza in un futuro di soddisfazioni e di emozioni sempre vive e autentiche, le prove di ogni giorno che non risparmiano nessuno, in cui nessuno ha il successo in tasca, c’è chi dopo quattro anni di corsi taglia il traguardo e chi cade, come un angelo spezzato, vittima delle disillusioni e della spirale di una droga che finisce per avvolgerlo completamente. Quattro anni che sono l’ossatura temporale e le epoche difficili di “Fame – Saranno famosi”, all’inizio degli anni Ottanta film di culto diretto da Alan Parker, un successo di personaggi, di dialoghi e di canzoni soprattutto (tra tutte, “Fame” e “Out Here in My Own”), il ritratto di quell’”american dream” capace di coinvolgere tutti quanti, la voglia di riversarsi nelle strade per trasmettere un sogno.

Poi arrivò la serie televisiva, lunga 136 episodi, che raggruppò pubblico ad oltranza davanti ai canali televisivi, serali e pomeridiani, poi il musical che definì quei successi ai quattro angoli del mondo. Oggi Fabrizio Di Fiore Entertainment, con la compagnia Roma City Musical, con il concretizzarsi del sogno di un impresario ispirato, produce una versione in cui si pensa in grande, si realizza in grande e si mostra in grande, con un debutto torinese – grandioso e applauditissimo, partecipato di emozioni e di risate, ritmato negli applausi, siglato con molte chiamate al termine – che non può essere altro che il biglietto da visita di un lungo percorso che accompagnerà la compagnia attraverso varie piazze italiane fino al termine della stagione. La versione vista all’Alfieri è firmata da Luciano Cannito, una macchina da guerra (immaginiamo, senza dubbi) che firma la traduzione e il riadattamento del libretto originale di José Fernandez e le liriche di Jacques Lévy (una attualizzazione che non guasta, il punto più alto oggi è Meryl Streep e l’immagine clou è quella di Brad Pitt, gli accadimenti sono altri rispetto a quelli di quattro decenni fa), che costruisce coreografie capaci di sfoderare un ritmo trascinante come di rado ci si imbatte su di un palcoscenico e una regia che mette a fuoco i personaggi, ognuno dei ragazzi e degli adulti, ognuno con i tanti sentimenti che lo attraversano e che sa sempre mettere in primo piano l’idea del gruppo, dello sforzo comune, dello spirito di squadra. Ognuno con la propria storia, chi s’innamora sognando i grandi testi di Cechov e di Shakespeare, chi non vede certo un ostacolo per un avvenire di ballerina qualche chilo di troppo, chi trasmette a tutti gli altri un mare di allegria (nascondendo a se stesso una traccia di insicurezza, forse), chi mostra una ribellione che tende ad accusare una vita solitaria e difficile, una famiglia sull’orlo della distruzione, come il “povero negro sempre da aiutare”.

Un’edizione di successo, dicevamo, a cui concorrono le scene di Italo Grassi (c’è anche un doveroso posto lassù in alto, per due postazioni, per la batteria spericolata di Paola Caridi su un lato del palcoscenico e per la chitarra di Alberto Gandin e il pianoforte di Giulio Decembrini sull’altro) e i costumi di Veronica Iozzi (bellissimi quelli finali bianco/argento che arieggiavano quelli del “Chorus Line” cinematografico di Attenborough). Gli insegnanti hanno i visi e la professionalità di Lorenza Mario, di Garrison Rochelle, di Stefano Bontempi e di Barbara Cola che con la sua personalissima quanto incisiva Miss Sherman, preside dell’istituto, si ritaglia un angolo di autentiche emozioni largamente apprezzate dal pubblico. Le emozioni, il duro lavoro, i successi e le sconfitte, il senso della competizione, le lacerazioni non rimarginabili, la fatica e la dedizione di ogni sera, la comunicazione sincera verso chi sceglie di uscire di casa e ha tutto il diritto di assistere a un qualcosa di bello che assomigli a un rito, tutto questo incrocia la bravura e per molti già la maturità di un gruppo di ragazzi scelti tra i tantissimi che si sono presentati ai provini. Mi è piaciuta la sicurezza interpretativa di Flavio Gismondi (Nick, già alle spalle qualche stagione di televisione e teatro) e la naturale sincerità e la voce di Ginevra De Soller (e mi auguro che di lei sentiremo ancora parlare), l’estensione vocale e la simpatia di Michelle Perera (Mabel), anche la sfrontatezza acerba di Raymond Ogbogbo (qui Tyrone, il Leroy Johnson del film), che dovrebbe credere di più nel proprio personaggio, fatto di tanti chiaroscuri, interiorizzarlo maggiormente e non affidarlo troppo alla fisicità; la splendida voce e la approfondita interpretazione della Carmen di Alice Borghetti, in uno spazio tutto suo. Davvero brava, convincente. Con loro i compagni Alfredo Simeone, Giuseppe Menozzi, Greta Arditi, Arianna Massobrio e Claudio Carlucci. Serata da memorizzare, un successo (assicurato) da saggiare per le repliche che termineranno domenica 28 gennaio.

Elio Rabbione

Nelle immagini: alcuni momenti dello spettacolo nelle foto di Valerio Polverari.

Dal 25 gennaio al primo febbraio al Teatro Regio  il Don Pasquale di Donizetti

Sarà un Don Pasquale di rilievo quello che prenderà avvio il 25 gennaio prossimo al Teatro Regio fino al primo febbraio 2024.

Nell’opera si susseguono a ritmo serrato momenti di farsa ad altri di tenerezza sentimentale, quali la serenata al chiaro di luna di Ernesto, che mandò in delirio il pubblico parigino la sera del debutto nel 1843. In questa storica produzione sono richieste duttilità e reattività per affrontare le diverse situazioni, che risultano garantite da un doppio quartetto di specialisti. Il maestro Alessandro De Marchi ha una costante attenzione verso le modalità interpretative dell’età del belcanto e condurrà certamente l’orchestra attraverso una partitura spumeggiante. Scene e costumi sono di Eugenio Guglielminetti, per la magistrale regia di Ugo Gregoretti, che collocano la vicenda in una Roma ottocentesca, piena di vita e di poesia.

Don Pasquale è un’opera buffa in tre atti di Gaetano Donizetti. Il libretto scritto da Giovanni Ruffini, anche se firmato da Michele Accursi ,è un rifacimento del libretto che Angelo Anelli scrisse nel 1810 per Ser Mercantonio di Stefano Pavesi.

La controversia sull’attribuzione del libretto del Don Pasquale può essere definito un bisticcio politico. Giovanni Ruffini era un mazziniano autentico, una delle anime della Giovine Italia, esiliato in Francia.

Il clima sociale francese era estremamente cosmopolita in quegli anni. La cultura era in fermento e l’Europa veniva destabilizzata da continue rivoluzioni. Parigi divenne il luogo ideale per l’incontro tra le posizioni politiche e culturali più disparate. Durante le stesura del Don Pasquale, quello che poteva diventare una lunga e fruttuosa collaborazione tra Ruffini e Donizetti si trasformò in un calvario per entrambi. La diatriba finale fu sull’allestimento e i costumi dell’opera. Donizetti voleva per il don Pasquale un allestimento moderno, pur essendo l’opera un rifacimento d’un libretto del 1810.

Ruffini montò su tutte le furie e rifiutò di firmare il libretto.

A dirimere la bagarre intervenne un amico di Donizetti, Michele Accursi, che propose di apporre le sue iniziali sul libretto. Per questo motivo il libretto originale risulta a firma di “M.A”

Questo stratagemma favorì anche lo stesso Donizetti. In Italia mal sarebbe stato accolto un libretto firmato da un esule politico condannato a morte e rifugiatosi in Francia.

La prima rappresentazione si tenne, infatti, proprio in Francia, al Théatre- Italien di Parigi il 3 gennaio 1843.

L’umorismo nel don Pasquale è irresistibile quanto crudele. Il protagonista è un anziano benestante che decide di sposarsi per diseredare il nipote Ernesto, innamorato di Norina, una bella vedova ma senza soldi.

La decisione costerà cara a Don Pasquale perché un suo amico, il dottor Malatesta, ordirà ai suoi danni una beffa colossale. Il vecchio signore, deriso e schiaffeggiato, accetterà, seppur con un sorriso, la frase pronunciata dalla futura nuora “Ben è scemo di cervello/ chi s’ammoglia in vecchia età “.

“Un curioso accidente” di Carlo Goldoni, regia e interpretazione di Gabriele Lavia

In scena al teatro Carignano 

 

Martedì 23 gennaio, alle 19:30, al teatro Carignano debutta “Un curioso accidente”, per la regia di Gabriele Lavia, che sarà in scena con Federica Di Martino e Simone Toni, Giorgia Salari, Andrea Nicolini, Lorenzo Terenzi, Beatrice Ceccherini, Lorenzo Volpe, Leonardo Nicolini. Lo spettacolo, coprodotto da Effimera, Teatro di Roma – Teatro Nazionale e dal Teatro della Toscana, resterà in scena per la stagione in abbonamento dello Stabile fino a domenica 28 gennaio 2024. Gabriele Lavia firma la regia è interpreta questo testo poco noto di Goldoni che, ancora oggi, si rivela come un autentico capolavoro di scrittura drammaturgica.

Un soldato ferito, un ricco mercante e una figlia in età da marito: Gabriele Lavia torna al teatro Carignano portando una commedia scritta nel 1760, che racconta una serie di amori incrociati e fraintesi, ma tocca soprattutto uno degli aspetti centrali dell’arte goldoniana: il rapporto tra vero e verosimile. In questa storia crudele ed esilarante, i due protagonisti, padre e figlia, usano le persone come marionette: amore, cura, amicizia e generosità, nelle loro mani, diventano strumenti per insultare, deridere e ferirsi a vicenda. Menzogne, manipolazioni e disinformazione sono lo specchio deformato e attuale dei vizi dell’uomo.

Filiberto, ricco mercante olandese, uno dei protagonisti della commedia goldoniana, ospita in casa propria Monsieur de la Cotterie, un giovane e squattrinato ufficiale ferito in guerra che si innamora, ricambiato, di Giannina, la figlia di Filiberto. La ragazza, di fronte ai sospetti del padre e temendo che questi possa non essere favorevole alla loro unione, gli rivela che de la Cotterie si è innamorato, ma di un’altra fanciulla. Il mercante, quindi, credendo di fare una buona azione, decide di spendersi in tutto e per tutto ad aiutare il giovane a coronare il suo fasullo sogno d’amore, con il solo risultato di ottenere una catena lunghissima e divertentissima di equivoci.

“Goldoni – dichiara Gabriele Lavia, interprete e regista – scrive un autentico e delicato capolavoro. L’autore avverte che la vicenda narrata nella commedia corrisponde a un fatto vero, verissimo, accaduto non da molto tempo in Olanda e che gli è stato raccontato da persone degne di fede in Venezia al Caffè della Sultana, in piazza San Marco, e le persone medesime lo hanno poi spronato a formarne una rappresentazione comica”.

“Un curioso accidente”, opera teatrale in tre atti, è stata portata per la prima volta in scena a Venezia nell’ottobre dell’anno della stessa stesura, avvenuta nel 1760. Non ebbe immediato successo ma, nonostante questo, dopo “Il servitore e i due padroni” e “La locandiera”, rimane la commedia di Goldoni che vanta il maggior numero di traduzioni. Sotto il ben congegnato meccanismo scenico, in quest’opera affiorano aspetti centrali dell’arte goldoniana, quali il rapporto tra vero e verosimile, la descrizione di una nuova civiltà evoluta come quella olandese e un inserimento di figure non tradizionali, come quella del mercante e della giovane intraprendente.

Teatro Carignano, piazza Carignano 6, Torino

Orari spettacoli: martedì-giovedì-sabato ore 19:30 / mercoledì-venerdì ore 20:45 / domenica ore 16:00

Biglietteria Teatro Stabile di Torino: 011 5169555

 

Mara Martellotta

Sold-out per Riccardo Muti e la Chicago Symphony Orchestra all’Auditorium del Lingotto

Nasce da un’iniziativa della Città di Torino e dell’Assessorato alla Cultura il concerto – già sold-out – che venerdì 26 gennaio, alle 20.30 all’Auditorium Giovanni Agnelli, vede protagonisti il Maestro Riccardo Muti e la Chicago Symphony Orchestra.

 

Un evento straordinario di grande prestigio che unisce per la prima volta Fondazione per la Cultura TorinoLingotto Musica e Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro e promuove due fra le maggiori manifestazioni musicali torinesi: il festival MITO SettembreMusica e la rassegna dei Concerti del Lingotto. L’evento, coprodotto da Fondazione per la Cultura Torino e Lingotto Musica, contribuirà a sostenere le attività dell’Istituto di Candiolo – IRCCS, una delle eccellenze italiane e punto di riferimento internazionale nel campo della ricerca e cura oncologica. Grazie al sostegno dei suoi donatori, oggi l’Istituto è interessato da un importante piano di sviluppo finalizzato alla realizzazione di nuovi spazi a disposizione di medici, ricercatori e, soprattutto, dei pazienti e delle persone a loro vicine.

Quella di Torino è la prima data del tour italiano che il 27 gennaio toccherà anche il Teatro alla Scala di Milano e il 28 il Teatro dell’Opera di Roma. La serata segna il ritorno dopo molti anni a Torino della Chicago Symphony Orchestra sotto la guida di uno dei direttori più amati e celebrati del nostro tempo. «Nell’anno in cui dirigerò a Torino Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi – dice il Maestro Riccardo Muti – sono felice di riportare la grande Orchestra di Chicago in questa città che ho imparato ad amare e ad ammirare». Il Maestro Muti, che lo scorso giugno ha concluso il suo mandato da decimo Direttore musicale della blasonata compagine americana dopo tredici anni, è stato nominato Direttore musicale emerito a vita nel settembre 2023, titolo mai assegnato prima nella storia della CSO.

Legata a doppio filo alla cultura e alla musica mitteleuropea – tedesco di nascita era il suo fondatore Theodore Thomas che creò l’Orchestra nel 1891 –, la Chicago Symphony Orchestra è stata guidata in oltre un secolo di storia da direttori come Fritz Reiner, Sir Georg Solti e Daniel Barenboim; Pierre Boulez, Carlo Maria Giulini e Claudio Abbado ne hanno inoltre ricoperto la carica di direttori ospiti principali. Con un repertorio che spazia dal barocco al contemporaneo, si esibisce in più di 150 concerti l’anno presso il Symphony Center di Chicago e la sede estiva del Ravinia Festival, mentre le sue incisioni discografiche hanno ottenuto 64 Grammy Awards. La compagine possiede anche una lunga tradizione di tournée internazionali: sono ben 63 quelle effettuate dal 1892 in 29 Paesi nel mondo.

«È un vero piacere accogliere nuovamente a Torino il Maestro Muti – dice il Sindaco Stefano Lo Russo – dopo il grande successo del Don Giovanni nel 2022 al Teatro Regio, dove tornerà in primavera. Questo appuntamento, reso possibile grazie alla Fondazione per la Cultura Torino e a Lingotto Musica, sarà ancor più prestigioso grazie alla presenza di una delle orchestre più blasonate al mondo, la Chicago Symphony Orchestra, che non vediamo l’ora di ascoltare. Un concerto di livello internazionale che avrà anche la finalità altrettanto importante di favorire le attività di fundraising di un’altra eccellenza che ha sede sul nostro territorio, la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro».

«Ringraziamo la Città e la Fondazione per la Cultura Torino per avere proposto a Lingotto Musica – dice il Presidente Giuseppe Proto – di essere partner musicale di questo progetto, che testimonia una volta di più come la musica sia non solo nutrimento dell’anima ma possa anche essere un efficace strumento per perseguire finalità di natura filantropica. Con grande soddisfazione salutiamo il ritorno del Maestro Muti in stagione dopo sei anni, felici di poter ospitare per la prima volta la Chicago Symphony Orchestra, che impreziosisce ancora di più il novero delle grandi orchestre che in trent’anni di storia si sono succedute nella rassegna dei Concerti del Lingotto».

«C’è un legame profondo tra la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro e i grandi eventi musicali – sottolinea il Presidente Allegra Agnelli –. Mi piace ricordare, tra i grandi artisti che ci hanno sostenuto, Pavarotti, Giulini, Mehta, Rostropovič, Dalla, Morandi, Ramazzotti, Ligabue e tanti altri che hanno scelto di essere concretamente al fianco della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Sono contenta che questo evento speciale cada nei giorni in cui inauguriamo nuovi laboratori e nuovi spazi per la ricerca all’Istituto di Candiolo – IRCCS. Grazie a tutti i partner e le Istituzioni per aver scelto di essere ancora una volta con noi».

Il programma impaginato dal Maestro Muti per la tappa torinese della Chicago Symphony Orchestra è un florilegio tutto mediterraneo affidato alla Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 di Felix Mendelssohn, detta «Italiana» perché ispirata dall’esuberanza di colori e di vita che l’animo dell’artista riportò dal soggiorno in Italia durato dal 1830 al 1832, e alla fantasia sinfonica Aus Italien op. 16 che il ventiduenne Richard Strauss compose nel 1886 per rievocare le impressioni riportate dal suo primo viaggio nel Bel Paese. Apre la serata la prima esecuzione italiana di The Triumph of the Octagon di Philip Glass, commissionato nel 2023 dalla Chicago Symphony. Dedicato alla pianta ottagonale della famosa fortezza federiciana di Castel del Monte in Puglia, il nuovo lavoro del grande compositore minimalista è un omaggio al Maestro Muti e alla sua terra d’origine. «Il mistero che avvolge questo antico maniero e l’unicità delle sue forme geometriche sono stati formidabili catalizzatori – afferma il compositore Philip Glass –. Anche se ho scritto musica su persone, luoghi, eventi e culture, non ricordo di aver mai composto un pezzo su un edificio storico. Era chiaro che non stavo scrivendo un brano su Castel del Monte ma sulle suggestioni simboliche che offre un luogo così enigmatico».

Precede il concerto, alle 18.30 in Sala Berlino, la conferenza introduttiva a cura del musicologo e critico musicale Paolo Gallarati.

venerdì 26 gennaio 2024 ore 20.30
Auditorium Giovanni Agnelli (via Nizza 280, Torino)

Chicago Symphony Orchestra
Riccardo Muti direttore
 Philip Glass
The Triumph of the Octagon (Prima esecuzione italiana)

Felix Mendelssohn-Barholdy
Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 «Italiana»

Richard Strauss
Aus Italien. Fantasia sinfonica in sol maggiore op. 16

Conferenza introduttiva a cura di Paolo Gallarati
Ore 18.30 Sala Berlino (via Nizza 280, Torino)

INFORMAZIONI

Il concerto è esaurito. La biglietteria c/o l’Auditorium Giovanni Agnelli (via Nizza 280/41, 10126, Torino) sarà comunque aperta il giorno di concerto dalle 18 alle 20.30. Per maggiori informazioni: lingottomusica.it

“L’istruttoria” di Peter Weiss al teatro Gobetti per la Giornata della Memoria

Martedì 23 gennaio con gli allievi del Teatro Stabile di Torino

 

In occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, martedì 23 gennaio, alle ore 19:30, al teatro Gobetti, gli allievi della Scuola per Attori (TST) daranno voce a “L’istruttoria”, il celebre testo che Peter Weiss scrisse dopo aver assistito allo storico processo contro un gruppo di SS e dei funzionari del lager di Auschwitz, che si svolse a Francoforte dal 1963 al 1965. Nelle giornate di dibattimento vennero ascoltati quasi 500 testimoni, 248 dei quali scelti tra i 1500 sopravvissuti, e questo fu il primo vero tentativo da parte della Repubblica Federale Tedesca di far fronte alla questione delle responsabilità individuali, imputabili a esecutori di ogni grado, attivi nei recinti del lager. Il passato è solo una dimensione del lavoro di Weiss, mentre la dimensione del presente è meno percepibile per la sua stessa ambiguità. La cronaca di quel processo non avrebbe significato, infatti, se ad essa non rispondessero le nostre coscienze contemporanee.

Diretti da Leonardo Lidi, questi giovani interpreti daranno voce alle testimonianze che vennero rilasciate durante queste dolorose udienze, rispondendo con consapevolezza al dovere di ricordare l’Olocausto e mantenere vivo il nostro impegno verso la storia. “L’istruttoria” è un atto di denuncia contro i criminali nazisti. Un giudice, un difensore e un procuratore, 18 accusati e 9 testimoni anonimi sono i personaggi di un’opera in 11 canti che, come un inferno laico e contemporaneo, trascende la rappresentazione del processo e acquista la veridicità di una tragedia antica. Si tratta di una sorta di viaggio agli inferi, non solo nel tempo ma anche nello nello spazio, in cui i personaggi, bloccati tra forma e vita, tentano con l’azione di dipingere l’istante eterno della storia e del ricordo. Nel 1965, quando l’opera fu pubblicata, furono molti gli allestimenti realizzati secondo i dettami teatrali di Weiss. Questi richiedevano una estremizzazione del teatro epico brechtiano, come la totale riduzione dell’aspetto emotivo, per far emergere in tutta la sua potenza l’informazione documentaria. A più di quarant’anni di distanza dai fatti, all’aspetto documentaristico si affianca quello emotivo.

Assistente alla regia è Francesca Bracchino.

“L’istruttoria”, prodotta dal Teatro Stabile di Torino, verrà replicata per la stagione in abbonamento fino a domenica 28 gennaio 2024.

 

Mara Martellotta