SPETTACOLI- Pagina 37

“I due Papi” al Gioiello, sino a domenica: il testo di McCarten per due grandi interpreti

Anthony McCarten, classe 1961, origini neozelandesi, drammaturgo e sceneggiatore affermato, più volte candidato agli Oscar, ha il gusto per le biografie. Ogni sua scrittura cinematografica adocchia un personaggio, lo scompone e lo ricompone, lo scava a fondo, ne considera vizi privati e pubbliche virtù, successi e disfatte, in un racconto umano, compatto, doloroso, a tratti sgradevole. Ha guardato a Whitney Huston, nella “Teoria del tutto” al fisico Stephen Hawking, a Winston Churchill nell”Ora più buia”, a Freddie Mercury in “Bohemian Rhapsody”. Nel 2019 ha scritto per il regista brasiliano Fernando Meirelles “I due Papi” basato sul suo testo teatrale “The Pope” andato in scena due anni prima.

Fino a domani, sul palcoscenico del Gioiello, la versione italiana del testo, nella traduzione di Edoardo Erba e per la regia di Giancarlo Nicoletti. Due atti, un paio di duetti di una lirica di alto rango tra le figure di Ratzinger e Bergoglio, lo scandaglio di due caratteri e di due vite all’opposto, il piacere dello studio e della musica per l’uno, la contemplazione e la consapevolezza amara della non eccessiva simpatia nei cuori dei fedeli che si stanno assottigliando sempre più, l’attaccamento imperturbabile a una dottrina solida da secoli; la vitalità sconcertante, il calcio e il tango le sue passioni, l’operato diretto verso i poveri che abitano i sobborghi e la sporcizia e la miseria di Buenos Aires, l’uomo venuto dai confini del mondo, dell’altro. Un modus vivendi che non può non guardare con occhio critico allo stato della Chiesa e alle sue contraddizioni, alla ricchezza ostentata, all’immobilismo che la pervade, un’esistenza che si rifiuta di farne ancora parte e che caldeggia le proprie dimissioni, partendo il cardinale Bergoglio alla volta di Roma con la sua richiesta tra le mani e con un paio di scarpe non più certo nuove ai piedi. Anche papa Benedetto, nel febbraio del 2013, accusando problemi di stanchezza, di insicurezza verso un Dio a cui non si sente più troppo accanto, una responsabilità troppo grande per lui, annuncia le dimissioni, parola rara nella storia del papato, mai più usata – se non “per viltade” – da circa settecento anni, dal rifiuto di Celestino V (ma: “Santità, qualcuno vi obbliga a questo?”, una domanda a cui forse nessuno ha mai voluto dare una risposta).

Papa e cardinale si confrontano, nel verde dei giardini vaticani e sotto le bellezze pittoriche della cappella Sistina, nell’urtarsi delle idee e delle conclusioni, nei modi aspri iniziali dell’uno e delle suppliche dell’altro; per lasciare posto, in seguito, ad un’amicizia, ad un conforto reciproco, alle confessioni che invadono ogni chiacchierata, la scoperta e lo smascheramento delle zone oscure di entrambe le esistenze, da un lato il non aver in nessun momento mai preso posizione contro il regime di Videla, della giunta militare che arrestava, torturava, stuprava e mandava le proprie vittime a morire in mezzo all’oceano; dall’altro quel regime hitleriano ormai del tutto dimenticato e le dichiarazioni negative nei confronti del mondo islamico, lo scandalo degli abusi sessuali sui bambini che da anni agita la Chiesa, sempre coperto, magari con i colpevoli spostati impunemente da una parrocchia all’altra, la fuga di notizie all’interno del Vatiliks e le profonde divisioni sulla gestione della banca vaticana. Questo e molto altro nel racconto di McCarten, che non è certo un saggio, il pretesto per imporre allo spettatore una serata ad alto tasso filosofal/teologico. È l’intreccio ottimamente costruito di dialoghi che spingono a rivedere circa vent’anni di Storia, a confrontarsi con le parole e con gli atti, a ripensare a quanto di negativo ci sia stato e ci sia su ogni versante, a inquadrare magari con impensata esattezza due uomini così lontani tra loro, a domandarsi quanto ci sia ancora da dire e da riflettere su quel passaggio di testimone.

Nicoletti orchestra con garbo (magari con un finale calcistico di troppo), solidamente al servizio dei due interpreti, le riflessioni e i sorrisi che nascono dentro il racconto, ottimamente coadiuvato dall’eleganza delle scene di Alessandro Chiti; interpreti che sono Giorgio Colangeli (Benedetto) e Mariano Rigillo (Bergoglio), in stato di grazia entrambi, un piacere vederli muoversi in scena e ascoltarli, capaci di catturare ogni angolo, ogni sfumatura del testo, di mostrare le aperture e le ambiguità, le sicurezze e i dolori, la quotidianità e la fatica di un servizio che dovrebbe sempre confinare con il divino.

Elio Rabbione

Con il teatro si accendono le “Luci su Monteu”

A Monteu da Po, una rassegna teatrale di qualità firmata “Onda Larsen”

Da sabato 4 novembre

Monteu da Po (Torino)

Una “sfida” per il piccolo ma vivace Comune a quaranta chilometri da Torino, incastrato fra le colline del Monferrato settentrionale. Monteu da Po (antica colonia romana, la “Industria-Bodincomacus”, citata per la prima volta da Plinio il Vecchio, che la descrive come importante porto sul fiume Po) conta oggi 858 abitanti, ma dimostra – i numeri in questo caso non contano – una grande effervescenza culturale, tanto da meritarsi una brillante e suggestiva stagione teatrale che, partendo da sabato 4 novembre arriverà fino a sabato 6 aprile 2024. Ad organizzarla, sotto il titolo di “Luci su Monteu”, sarà la Compagnia Teatrale “Onda Larsen”, fondata nel 2010 da Riccardo De LeoGianluca Guastalla e Lia Tomatis e che a Torino gestisce lo “Spazio Kairòs”, fra Barriera di Milano ed Aurora.

Gli spettacoli si svolgeranno presso il locale “Teatro Comunale” (via Municipio, 3), sempre a partire dalle 21Sei i titoli in cartellone.

Si inizia con “Resti umani”. Lo spettacolo – realizzato con il sostegno di Mibact e vincitore del bando nazionale della Siae “Per chi crea” – è stato scritto da Lia Tomatis, che è anche attrice insieme a Gianluca GuastellaRiccardo De Leo e Daniele Ronco, e vede alla regia Luigi Orfeo: la pièce vuole spingere il pubblico a compiere un’attualissima riflessione su “differenze” ed “etichette”, “categorie” e “limiti”, “confini reali” e “confini imposti”. Domanda di fondo, rivolta dal palco alla platea: “Siamo ancora capaci di comunicare o siamo chiusi in un guscio di spesse convinzioni?”

Di seguito, in sintesi, questi gli spettacoli che verranno proposti:

Sabato 2 dicembre “L’uomo che sussurrava aiuto”, commedia con protagonista un uomo comune, Mario, che rischia di diventare Papa. A seguire, nel nuovo anno, sabato 27 gennaio “Cronache dalla Shoah” con “Teatro Zeta”, compagnia de L’Aquila; a febbraio (sabato 24“L’anno sabbatico” del “Teatro de Gli Incamminati” di Milano, sull’ipocrisia e le falsità che spesso si nascondono nelle cosiddette “famiglie perfette”. E, ancora, “Caro Goldoni” (sabato 23 marzo) nella versione proposta da “Crabteatro / Raumtraum” per chiudere la stagione (sabato 6 aprile) con “Lemon Therapy” degli emiliani “Quinta parete”, uno spettacolo sull’adolescenza: l’epoca delle passioni tristi, delle non scelte, dove la risposta a tutto è “boh!”, il periodo in cui il desiderio è di essere contemporaneamente come tutti gli altri e come nessun altro.

Spiega Riccardo De Leo, vicepresidente di “Onda Larsen”: “La stagione a Monteu da Po vuole coinvolgere e conquistare in modo particolare il pubblico del Chivassese offrendo a questa fetta di provincia torinese un intrattenimento di qualità e sei appuntamenti con cadenza mensile per creare una bella e sana abitudine, quella di andare a teatro”.

La rassegna è realizzato da “Onda Larsen” con il contributo del Comune di Monteu da Po, Regione Piemonte ed “Eppela”.

Per infowww.ondalarsen.org

g.m.

Nelle foto:

–       “Resti umani”

–       “Cronache dalla Shoa” (Ph. Federica Di Benedetto)

–       “L’anno sabbatico”

Che bello, bimbe e bimbi a teatro! Per loro le “domeniche a teatro” al torinese “Spazio Kairòs”

Da domenica 5 novembre

“Recitare non è altro che un bel gioco!”: è lo slogan su cui si basa quella passione per il teatro (in ogni sua forma) che tredici anni fa ha portato gli attori Riccardo De LeoGianluca Guastalla e Lia Tomatis a fondare in città la Compagnia Teatrale “Onda Larsen”, Associazione culturale affiliata “Arci Torino”. E se “recitare” non è altro che un gran “bel gioco”, perché non fare in modo che il teatro diventi un piacevole richiamo, un gioco per l’appunto appassionante, fin dalla più tenera età? Bambini a teatro! Idea da dieci e lode! Per concretizzare la quale, “Onda Larsen” (pur se non sono i primi a cimentarsi nell’impresa) ha pensato bene di organizzare una serie di “domeniche a teatro” in orario pomeridiano dedicate e rivolte proprio ai più piccoli. Alle 16, merenda (ovviamente offerta) e alle 16,30, tutti in platea per l’inizio dello spettacolo. Ad ospitare gli appuntamenti è lo “Spazio Kairos”, ex fabbrica di colla di via Mottalciata 7, a Torino, al confine tra Barriera di Milano, Aurora e Regio Parco.

Si inizia domenica 5 novembre con “Streghe” e si prosegue con un appuntamento al mese: le altre date sono quelle del 3 dicembre, 21 gennaio, 25 febbraio e 17 marzo. Protagoniste, secondo una politica culturale che contraddistingue anche la rassegna serale per adulti di “Onda Larsen”, compagnie da tutta Italia.

Il testo di apertura è messo in scena dalla Compagnia bresciana “Chronos 3” ed é liberamente tratto da “Le Streghe” dello scrittore inglese Roald DahlScritto e diretto da Manuel Renga, con Sara Dho e Roberto Dibitonto (e musiche eseguite dal vivo dallo stesso Dibitonto), è indicato per i bimbi dai cinque anni in avanti. Protagonista Abrahm, un ragazzino che vive con la nonna. Lei gli racconta che esistono le streghe e, dopo averlo istruito su come riconoscerle, partono per l’Inghilterra. Una polmonite, però, costringe l’anziana al riposo: nell’hotel in cui soggiornano, si riunisce proprio il congresso annuale delle streghe d’Inghilterra. Sono guai per nonna e nipote che lotteranno per impedire il realizzarsi del terribile piano delle streghe Cosa mai succederà? Si tratta di “un testo dolce e allo stesso tempo amaro, divertente, avventuroso: parla dei bambini e delle loro paure ma anche dei grandi e delle ‘streghe’ che  tutti dobbiamo affrontare ogni giorno”.

Centrale anche il tema della “diversità”. Il protagonista, trasformato in un topolino, si ritroverà a chiacchierare con la nonna che gli chiederà: “Sei sicuro che non ti dispiaccia essere un topolino per tutta la vita?”. Lui, con serenità e gioia risponde: «Certo nonna! Non importa chi sei o che forma hai, l’importante è che ci sia qualcuno che ti vuole bene”.

Biglietto unico (con merenda omaggio): 8 euro.

L’appuntamento successivo , in programma per domenica 3 dicembre, sarà con “Natale senza rete”, sul palco la Compagnia torinese “La fabbrica delle bambole”; a seguire, domenica 21 gennaio 2024“Verso un’isola piena di bambini e pirati” scritto diretto ed interpretato dalla torinese Tita Giunta, mentre domenica 25 febbraio sarà la volta di “Cuordiferro” del trentino “Collettivo Clochart”. E, per finire, domenica 17 marzo“LEGOMAGIC – Viaggio nel magico mondo di Harry Potter” con gli aretini “Diesis Teatrango”.

Per infowww.ondalarsen.org

  1. m.

Nelle foto:

–       “Streghe”

–       “Cuordiferro”

–       “LEGOMAGIC”

“Anatomia di una caduta”, ogni momento cinematografico è lo specchio dell’ambiguità

Sugli schermi il film della francese Justine Triet, Palma d’oro a Cannes

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Quarto lungometraggio (150’) della regista francese Justine Triet, Palma d’oro al festival di Cannes nel maggio scorso, “Anatomia di una caduta” (scritto con il compagno Arthur Harari, guardando per qualche verso, fin dal titolo, al vecchio Preminger di “Anatomia di un omicidio”. E quanto di questa convivenza sia stato riversato nella vicenda non ci è dato sapere, là dove spesso si parla di vita reale e di finzione letteraria) non è soltanto il resoconto di un antefatto assordato da una musica a volume altissimo – un effetto decisamente disturbante, come molto altro nel film lo è -che spinge intervistata e intervistatrice a rimandare una chiacchierata impossibile (le parole che non riescono a esprimersi, a fuoriuscire, a esplodere) e accecato dal biancore della neve che circonda lo chalet nei dintorni di Grenoble in cui la scrittrice di enorme successo Sandra, tedesca d’origine, vive con il marito Samuel, con cui comunica più facilmente in inglese, spento, avvilito uomo e scrittore, da sempre alla ricerca di un successo che non arriverà mai, e con il figlio undicenne Daniel, ipovedente a seguito di un incidente, forse causato dal padre. Il film dei forse, delle non certezze, delle ricostruzioni della polizia che dicono e non affermano, che studiano con il mezzo di un pupazzo i meccanismi della caduta. Il ragazzino, tornando un giorno a casa da una passeggiata tra i boschi con il suo cane, scopre il cadavere di Samuel riverso nella neve, alcune macchie di sangue all’intorno: forse è stato un incidente, forse un suicidio, forse a spingerlo giù dal sottotetto, in cui stava facendo dei lavori, è stata Sandra, unica presente nella casa. Forse. “Anatomia di una caduta” è anche, soprattutto, in quella seconda parte serrata e chiusa nell’aula di un tribunale, il resoconto di un lungo, parcellizzato, bisturizzato processo che vede Sandra imputata dell’uccisione del marito, messa a confronto con la propria esistenza, con le abitudini e le sue scelte sessuali, con le pieghe d’ombra che deve mostrare anche al figlio.

E questo maggiormente interessa alla regista, tramutare la vicenda in una autopsia che con lucidità (la scrittura della sceneggiatura è perfetta) guarda alla vita di una coppia (qualcuno ha citato Bergman) e alla sua distruzione (con le falsità? con la morte?), condurre all’interno del dibattito la dissezione di un rapporto, montare e rimontare, proporre suggerimenti per turbare le acque e virare immediatamente, dare in pasto agli avvocati – al lupo famelico dell’accusa e a quello innamorato della difesa -, attraverso il peso mai secondario delle parole che invadono lo schermo (Sandra ne conosce tutta l’importanza, lei è una scrittrice, come pure Samuel, anche lui avrebbe – ha – il fuoco della scrittura dentro di sé), gli equilibri difesi e soffocati e il vivere quotidiano che si rivelerà disastroso, i tradimenti di lei, i sensi di colpa dell’una e dell’altra parte, le registrazioni di certi litigi e la violenza verbale che può negli eccessi dell’ira andare oltre, la volontà di lui a rintanarsi, una vera e propria fuga dentro i corridoi ristretti di un rifugio, in quella casa di montagna e l’accondiscendenza di lei, i bisticci delle lingue diverse, le speranze e i sogni a lungo coccolati e miseramente morti. Interessa alla regista risolvere attraverso il momento inaspettato con “l’incidente” del cane e la deposizione del figlio il nodo della non colpevolezza, interessa cercare un happy end che preannunci il ritorno a casa: ma interessa anche buttare là, in un lampo di fotogrammi che attraversa lo schermo e la storia, il dubbio, con il bisticcio – mostrato di sbieco, attraverso la macchina da presa messa lì come a spiare – tra lui e lei, accanto alla finestra che dà nel vuoto. Tutto è in bilico e lasciato in bilico, lo spettatore avanza nella storia e continua a porsi domande. Anche Daniel narra una propria verità – in un panorama di sguardi e ancora una volta di parole decisamente pirandelliano -, inquietante e sicuro negli affetti che dovrà scegliere.

Anatomia di una caduta” è il film in cui è facile spendere la parola capolavoro, dove a galla, senza inganni, senza che qualcosa appaia di troppo, sono portati gli inganni, la incomunicabilità, la desolazione, la quiete sempre in pericolo e lo sconquasso che ne può derivare, il tutto con una padronanza del racconto come raramente si vede sullo schermo. C’è molto teatro, di quel teatro da porre sulle tavole più belle e concrete del palcoscenico; c’è la sapienza di una regista votata ad un femminismo che non si confonde con le vuote quanto sbiadite celebrazioni, che imprime verità cinematografica ad ogni inquadratura; c’è l’esattezza narrativa dei flasback, mai fuori posto; c’è il lavoro sugli attori e degli attori, di Sandra Huller in primo luogo (il Palmarès quale miglior attrice ha preso a Cannes un’altra strada), che mostra (e vive) attimi di tranquillità e di sicurezza personale, di inquietudine, di dolore, di ambiguità, di chiarezza e di sospetti con una incredibile bravura. Senza dimenticare la prova intensa del piccolo Milo Machado Graner, deus ex machina forse veritiero di un film che è senza dubbio il migliore di questo inizio di stagione e che non possiamo non consigliare.

Prosegue nel 2023 il Lab:  OFT fa crescere sogni e talenti

Coinvolgere e valorizzare i giovani musicisti è una delle missioni che da sempre l’Orchestra Filarmonica di Torino porta avanti con passione.

Da alcuni anni questa vocazione si è concretizzata in modo ancora più esplicito nel progetto OFT Lab, grazie al quale alcuni giovani talenti entrano a far parte con regolarità della compagine orchestrale, lavorando fianco a fianco con professionisti di caratura nazionale e internazionale, in uno scambio continuo tra esperienza ed entusiasmo. Questi giovani musicisti condividono inoltre con OFT un percorso formativo grazie al quale possono approfondire le tematiche più rilevanti nell’ambito dello spettacolo dal vivo, per prepararsi alle grandi sfide legate alla professione ed al proprio percorso artistico.
Nell’ambito di OFT Lab sono stati selezionati sia musicisti di strumenti ad arco che a fiato (violino, violoncello, contrabbasso, flauto, corno e tromba), ai quali si aggiungono il musicologo Francesco Cristiani e il grafico Gabriele Mo.
Come nel 2022, poi, alcuni dei ragazzi di OFT Lab sono protagonisti di una rassegna di concerti di musica da camera che si terrà, nell’arco del mese di novembre, a Più SpazioQuattro, “casa” di questa iniziativa.
E per rafforzare lo spirito di OFT Lab, che guarda al futuro rendendolo protagonista nel presente, OFT ospiterà all’interno di questa rassegna anche un concerto dedicato un quartetto di giovanissimi studenti – il Quartetto Irina – in collaborazione con il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino.

«La bellezza della musica dal vivo – racconta il direttore artistico e presidente di OFT Michele Mo – è il frutto di un lavoro di bottega dove si incrociano esperienze diverse. Come Orchestra Filarmonica di Torino da sempre coinvolgiamo in questo percorso giovani professionisti della musica, ragazzi che uniscono talento e ambizione, ai quali è data la possibilità, suonando nelle nostre file, di raccogliere una sfida importante. Con OFT Lab abbiamo fatto un passo ulteriore, perché li sosteniamo anche dal punto di vista della formazione mettendoli al centro di un progetto pensato su misura. Un percorso che finora ci ha riservato grandi e reciproche soddisfazioni e che contiamo di portare avanti anche per il futuro».

IL CALENDARIO DEI CONCERTI DI MUSICA DA CAMERA

OFT Lab#1

Venerdì 3 novembre 2023 ore 21, Più SpazioQuattro

Fabrizio Berto violino
Michele Nurchis pianoforte

Musiche di:
Edward Elgar
Sonata in mi minore per violino e pianoforte op. 82

Cèsar Frank
Sonata in la maggiore per violino e pianoforte

OFT Lab#2

Venerdì 10 novembre ore 21, Più SpazioQuattro

Quartetto Irina

Giovanni Putzulu e Samuele Preda violini
Leonardo Vezzadini viola
Clara Ruberti violoncello

Musiche di:

Franz Joseph Haydn
Quartetto per archi in do maggiore op. 20 n. 2 Hob. III:32

Robert Schumann
Quartetto per archi in la minore op. 41 n. 1

In collaborazione con Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino

OFT Lab#3

Venerdì 17 novembre 2023 ore 21, concerto Più SpazioQuattro

Martino Maina violoncello
Chiara Biagioli pianoforte

Musiche di:

Robert Schumann
Fantasiestüke per violoncello e pianoforte p. 73

Ludwig van Beethoven
Sonata n. 4 per violoncello e pianoforte in do maggiore op. 102 n. 1

Johannes Brahms
Sonata n. 2 per violoncello e pianoforte in fa maggiore op. 99

OFT Lab#4

Venerdì 24 novembre 2023 ore 21 – concerto Più SpazioQuattro

Niccolò Susanna flauto
Giorgia Delorenzi pianoforte

Musiche di:

Johann Sebastian Bach
Sonata per flauto e basso continuo in mi maggiore BWV 1035

Julius Rietz
Sonata per flauto e pianoforte in sol minore op. 42

Paul Taffanel

Grande fantaisie sur Mignon per flauto e pianoforte

LA BIGLIETTERIA

Per i concerti della rassegna di musica da camera a Più SpazioQuattro, via Saccarelli 18 a Torino, è previsto l’ingresso non numerato al costo di 5 euro. I biglietti possono essere acquistati presso la biglietteria dell’Orchestra Filarmonica di Torino in via XX settembre 58 a Torino (martedì: ore 10.30-13.30 e 14.30-18.00; oppure prenotati via mail a biglietteria@oft.it, o telefonicamente in orario di apertura al pubblico tel. +39 011.533 387).

La contemporaneità nel testo di Giovanni Grasso

Sino al 5 novembre, al Carignano, “Il caso Kaufmann”

Una storia d’amore “sovversiva” è quella raccontata nel “Caso Kaufmann” (tra gli altri, Premio Biagio Agnes 2019 e Premio Capalbio per il romanzo storico il medesimo anno) da Giovanni Grasso, scrittore e giornalista, consigliere per la stampa e la comunicazione del Presidente della Repubblica Mattarella e direttore dell’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica dal febbraio 2015. Un periodo buio della Storia, tema e linguaggi alti, doverosamente da ripensare proprio in queste settimane, ottant’anni passati inesorabilmente invano, se nel 14mo arrondissement parigino certe case oggi vengono ancora sfregiate con la stella di David e a Roma si tenta di distruggere certe pietre d’inciampo: che tuttavia non trovano nella trasposizione teatrale di Piero Maccarinelli quella secchezza, quella sincerità compatta dei sentimenti, quel racconto documentaristico che ci saremmo aspettati. Con il pericolo che il caso privato cancelli o per lo meno affievolisca oltre misura nell’attenzione dello spettatore uno sguardo assai più ampio e pubblico.

Sessantenne, ricco commerciante di Norimberga, presidente della Comunità ebraica della città, Lehman Kaufmann viene raggiunto nel dicembre del 1932 dalla lettera di un amico ariano in cui gli è fatta richiesta di prendersi cura di sua figlia Irene e di aiutarla a stabilirsi a Norimberga. Irene è giovane, bella, spigliata e piena d’iniziativa, il rapporto che si instaura tra i due è di affetto e pressoché filiale ma anche portatore di un desiderio nel protagonista che tenue serpeggia nelle parole, negli atteggiamenti, nei momenti di conversazione e di vicinanza, come quelli di un tranquillo pranzo in un ristorante. Dai pettegolezzi iniziali della gente del quartiere si passa, in un totale clima di indifferenza (che maggiormente dovrebbe far riflettere), con facilità alla delazione e all’odio, ormai tutti incanalati nella ferrea legge che l’ebreo è nemico del popolo tedesco e del nazismo in particolare. Una forma di accerchiamento che si stabilisce sempre più forte giorno dopo giorno, negli anni le leggi razziali e la notte dei lunghi coltelli, i rastrellamenti e le deportazioni, i processi farsa già stabiliti, in quella “banalità del male” – sono le parole di Hannah Arendt – che si è ormai impossessata di tutti: dopo dieci anni di umiliazioni e di privazioni e di carcerazione, nel giugno del ’42, Kaufmann verrà condannato a morte per “inquinamento razziale” e Irene ai lavori forzati per quattro anni.

Tutto questo, con squilibri narrativi evidenti, racchiuso nell’incontro tra Kaufmann e il cappellano della prigione (sul palcoscenico del Carignano uno sbiadito Graziano Piazza, incolpevolmente tenuto per troppo tempo immobile all’interno della gabbia carceraria, al buio), dove il primo ha usato il sotterfugio di volersi far cristiano per poi confessare il desiderio di raccontare a chi gli sopravviverà l’intera sua vicenda. Ed ecco allora Kaufmann entrare e riuscire dalla gabbia (a tratti inconsapevolmente sul versante comico: quando, per rendersi visibile al pubblico, nell’oscurità della scena infila con il suo interlocutore il viso tra le inferriate perché più visibile e sonoro arrivi il suo racconto), incontrarsi con Irene (Viola Graziosi, che tratteggia persuasivamente una ragazza piena di voglia di vivere, anche divertitamente sfrontata), con Eva, la domestica di casa (Franca Penone, che dovrebbe rivestire la subdola malvagità e la banalità di ognuno ma che al contrario e ridotta dalla regia a una macchietta divertita e a tratti divertente) che mal sopporta la situazione che sta vivendo sotto i suoi occhi, con i suoi aguzzini, mentre in un paio di occasioni il fondale si anima di croci uncinate e dei bagliori di un incendio. In un meccanismo vecchio stampo, in un ripetersi pericoloso di spostamenti da una parte all’altra della scena firmata in piena ristrettezza da Domenico Franchi, in un espediente che fa tanto vecchia o vecchissima tivù.

La regia di Maccarinelli ha coinvolto la prova di un grande attore quale è Franco Branciaroli, qui indeciso e impreciso nel mostrarsi padre amorevole o riprovevole seduttore, lontano dal dare un vero carattere al suo Kaufmann, sentendosi inspiegabilmente costretto a ricorrere a certe suoi ricami gutturali o sonori, come da tempo non gli sentivamo fare. “Il caso Kaufmann” nell’impronta improvvida di Maccarinelli è debolezza, è parziale messa a fuoco, è il non avere materia di invenzioni tra le mani per esprimere con maggior sicurezza i caratteri dei personaggi: ma il testo di Grasso è comunque un’occasione che impone la propria autorevolezza, nello spendersi in quella contemporaneità che a tratti mette i brividi. Repliche sino a domenica 5 novembre.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Umberto Favretto

Il progetto Beica Ben! approda a Torino con la performance Velhaa

Giovedì 2 novembre, il laboratorio LabPerm trasformerà il teatro di via San Pietro in Vincoli in un’esperienza per condividere la tipica veglia occitana
LabPerm
Giovedì 2 novembre 2023 a partire dalle ore 20.00 – presso la sede di Labperm Aps in via San Pietro in Vincoli n.28 a Torino – Beica Ben! presenterà Velhaa_Per aquihi que duermen nin, una performance dedicata alle veglie alpine. Labperm Aps – Laboratorio Permanente di Ricerca sull’Arte dell’Attore, composta da Domenico Castaldo, Lucrezia Bodinizzo, Marta Laneri, Rui Alber Padul e Zi Long Ying – aveva partecipato alla residenza promossa dal progetto Beica Ben! lo scorso 2022, trasformando un edificio del BioParco Acquaviva di Caraglio in una stalla per le Velhaa. Queste veglie rappresentavano importanti momenti di condivisione per le comunità montane occitane che, riunendosi intorno a cori e narrazioni, tramandavano e consolidavano tradizione e identità. L’evento torinese è realizzato da LabPerm in collaborazione con le corali La Cevitou e L’Escabot (valle Grana) e con la partecipazione del coro aziendale della società “Fregi e Majuscole” di Torino. Il teatro di San Pietro in Vincoli sarà trasformato per l’occasione in una stalla per le Velhaa, seguiranno momenti di condivisione, di racconti tra i partecipanti ed una degustazione alla scoperta dei prodotti tipici delle valli occitane. Ingresso libero su prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti scrivendo a: info@beicaben.it
LabPerm
Il progetto Beica Ben! valorizza l’identità occitana con residenze artistiche nelle valli Maira, Grana e Stura in provincia di Cuneo e ne promuove la conoscenza attraverso l’arte. Lo scorso 29-30 settembre e 1° ottobre sono state presentate le opere realizzate per la seconda edizione durante le residenze artistiche ospitate in primavera. I lavori di Maura Banfo, Manuela Cirino, Silvia Margaria ed Enrico Tealdi, si aggiungono a quelli di Tommaso Rinalidi, Lavinia Raccanello, Silvia Capiluppi, Saverio Todaro, presentate a settembre 2022 in occasione della prima edizione del progetto. Le opere creano il filo conduttore di un percorso narrativo ed artistico che svela e reinterpreta l’antica tradizione montana delle valli occitane in chiave contemporanea.
Beica Ben! è promosso dal Comune di Caraglio – che ne è l’ente capofila – insieme a: Comune di Celle di Macra, Associazione Espaci Occitan, Associazione La Cevitou, Cooperativa Floema, Unione Montana Valle Stura, Unione Montana Valle Grana, Comune di Monterosso Grana, Unione Montana Valle Maira e Comune di Dronero.
Il progetto è realizzato con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando «In luce. Valorizzare e raccontare le identità culturali dei territori» della Missione Creare attrattività dell’Obiettivo Cultura, che mira alla valorizzazione culturale e creativa dei territori di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta rendendoli più fruibili e attrattivi per le persone che li abitano e per i turisti, in una prospettiva di sviluppo sostenibile sia sociale sia economico.
LabPerm
Beica Ben! è promosso dal Comune di Caraglio – che ne è l’ente capofila – insieme a: Comune di Celle di Macra, Associazione Espaci Occitan, Associazione La Cevitou, Cooperativa Floema, Unione Montana Valle Stura, Unione Montana Valle Grana, Comune di Monterosso Grana, Unione Montana Valle Maira e Comune di Dronero.

Il progetto è realizzato con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando «In luce. Valorizzare e raccontare le identità culturali dei territori» della Missione Creare attrattività dell’Obiettivo Cultura, che mira alla valorizzazione culturale e creativa dei territori di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta rendendoli più fruibili e attrattivi per le persone che li abitano e per i turisti, in una prospettiva di sviluppo sostenibile sia sociale sia economico.

 

LabPerm | Laboratorio Permanente di Ricerca sull’Arte dell’Attore di Domenico Castaldo è una compagnia teatrale che nasce nel 1997 e si presenta oggi come un gruppo di cinque attori composto da Domenico Castaldo, Lucrezia Bodinizzo, Marta Laneri, Rui Alber Padul e Zi Long Ying. Il laboratorio teatrale lavora sulle potenzialità creative degli esseri umani al fine di utilizzare l’arte dell’attore come una vera e propria pratica utile a rinnovare la funzione creativa e rivoluzionaria del teatro nel mondo contemporaneo.

Info:
Performance: Velhaa_Per aquihi que duermen nin
Compagnia teatrale: LabPerm | Laboratorio Permanente di Ricerca sull’Arte dell’Attore, composta da Domenico Castaldo, Lucrezia Bodinizzo, Marta Laneri, Rui Alber Padul e Zi Long Ying Data evento: giovedì 2 novembre 2023; ore 20.00
Sede: teatro del laboratorio LabPerm in via San Pietro in Vincoli n.28
Info e prenotazioni: info@beicaben.itProgetto Beica Ben!
Ente capofila: Comune di Caraglio.
Partner: Comune di Celle di Macra, Associazione Espaci Occitan, Associazione La Cevitou, Cooperativa Floema, Unione Montana Valle Stura, Unione Montana Valle Grana, Comune di Monterosso Grana, Unione Montana Valle Maira e Comune di Dronero.
Direttrice artistica: Olga Gambari.

Peppe Servillo legge Marcovaldo

Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO) Venerdì 3 novembre, ore 21

 

 

 

Per i 100 anni dalla nascita di Italo Calvino, Peppe Servillo, con le note alla chitarra di Cristiano Califano, legge “Marcovaldo” portando così in scena uno dei personaggi più celebri della letteratura italiana.

Dalla lettura delle fiabe scelte emergono gli aspetti più fiabeschi e ironici del noto personaggio evidenziandone l’assoluta modernità: la complessa vita caotica in città, l’urbanizzazione senza razionalità ed ordine, l’industrializzazione crescente, la povertà delle fasce più basse della popolazione, la difficoltà dei rapporti umani ed interpersonali.

Le storie di Marcovaldo invitano ad affrontare le difficoltà quotidiane con fantasia ed immaginazione: l’eroe tragicomico insegna come in ogni momento della giornata si possano ricercare segni e occasioni per poter essere felici.

 

Venerdì 3 novembre, ore 21

Peppe Servillo legge Marcovaldo

Con Peppe Servillo, voce recitante

E con Cristiano Califano, chitarra

Distribuzione a cura di AidaStudioProduzioni

Coordinamento artistico a cura di Elena Marazzita

Biglietti: intero 18 euro, ridotto 16 euro

Dido’s Brazilian Jazz in Osteria Rabezzana

Mercoledì 1 novembre, ore 21.30

L’appuntamento del Moncalieri Jazz Festival

Il DBJ – Dido’s Brazilian Jazz nasce nel 2014 con la calda voce di Delfina Di Domenico, il pianoforte eclettico di Massimo Rizzuti pronto ad accompagnare e creare ritmiche che ben si miscelano alle percussioni di Giorgio Ricchezza che le alterna al suono di un elegante sax contralto, insieme al maestoso contrabbasso di Pippo Caccamese. Tutti e quattro uniti dalla passione per la musica, spaziano dalle calde sonorità di bossa nova e samba, all’improvvisazione jazz e al blues leggero, passando tra brani famosi della musica italiana anni ’50 e approdando a grandi miti come Mina, Vanoni, Paoli, Conte.

FORMAZIONE

Delfina Di Domenico, voce

Massimo Rizzuti, pianoforte

Giorgio Ricchezza, percussioni

Pippo Caccamese, contrabbasso

Ora di inizio: 21.30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

“Il Bar Delle Ombre”, anteprima nazionale all’Astra

Debutto martedì 31 ottobre alle 21. Un dramma psicologico per raccontare lo scontro interiore tra bene e male: come nascono i compromessi che caratterizzano la condizione umana?

 

Anteprima nazionale martedì 31 ottobre alle 21 al Teatro Astra di Torino,in via Rosolino Pilo 6,  per “Il Bar Delle Ombre“, un testo di Andrea Zuliani (che firma anche la regia) che vuole essere una riflessione sul dualismo e sulla condizione umana attraverso il linguaggio del dramma.

 

Tutto è perennemente in lotta: bene e maleYin e Yang, giorno e notte, luce e buio, cielo e terra, corpo e psiche. Quanti sono i principi inconciliabili tra di loro ma indissolubilmente uniti? Zuliani -attingendo a Platone e Freud, mettendo insieme il taoismo e la filosofia, oltre a riflessioni personali- racconta la condizione umana intrisa da questo conflitto interiore: come viene effettuata una scelta? Ma soprattutto come nasce un compromesso?

 

Una produzione Areté Teatro con, sul palco, tre attori: Annalisa Platania, nei panni della barista, Simone Valentino alias Black e Andrea Zuliani ovvero White.

 

Peculiarità dello spettacolo sono le musiche, tutte originali, composte da Stefano Lori, musicista e compositore che ha lavorato per importanti spettacoli e musical nazionali (come “A Christmas Carol” o “Il Principe Ranocchio” e per realtà come Mediaset ,Radio Montecarlo, Sonics.

Protagonisti due esseri, depositari rispettivamente del bene e del male: dall’inizio del tempo si trovano costretti a vivere insieme in un bar, isolati in un luogo e in uno spazio indefiniti. Tutto, per loro, è infinita noia e ripetizione ma possono agire nei confronti dell’umanità solo se – nonostante l’inconciliabilità della loro natura – operano insieme e seguono le regole dettate dal “Libro”.

 

Non hanno, dunque, alternativa se non la collaborazione: per poter utilizzare il “Libro” e compiere miracoli devono essere entrambi d’accordo, timbrare quanto scritto, attenendosi a delle regole: altrimenti, entrambi vanno a morte certa.

Questo stare insieme li ha portati paradossalmente a contaminarsi.
Dove li condurrà l’ennesimo scontro? Perché scommesse, ricatti, e lotte portano lentamente le posizioni di entrambi a mescolarsi ed essere invase dal principio alla base di qualunque scelta: il compromesso.

 

***

«Quante volte abbiamo sentito parlare di tao, di Yin e Yang, di giorno e notte, luce e buio, bene e male, azione e stasi, cielo e terra, corpo e psiche: principi inconciliabili tra di loro tuttavia uniti indissolubilmente. E quante volte siamo rimasti affascinati dal pensiero che da due opposti che diventano uno possa scaturire ogni forma di vita, di movimento, di cambiamento. È proprio questo fascino che mi ha spinto ad approfondire la natura del dualismo: un termine usato per definire ogni dottrina che si riferisca in qualsiasi campo di indagine a due essenze contrapposte tra loro. Gli esempi sono molteplici ed esistono centinaia di campi di studi, ma in questo caso specifico il mio interesse si è indirizzato ad una ricerca di carattere antropologico. Ad esempio, in filosofia, il concetto è antico e ampiamente trattato sin dai tempi di Platone, con la definizione dell’uomo come una realtà duale composta da anima e corpo. In psicologia, la troviamo nell’indissolubile unione di “es” e “super-io” elaborata da Froid, un conflitto eterno al centro del quale troviamo “l’io”. La teosofia considera la forma e la vita, la materia e lo spirito, come radici unite indissolubili del “sé”. Molte religioni, in primis il Taoismo, fanno di questo concetto base la propria identità.

Il filo conduttore dagli approfondimenti fatti in questi ambiti mi ha condotto alla necessità di rappresentare tale dualità, attraverso una metafora che rappresenti la stessa condizione umana. Un eterno conflitto interiore che genera una scintilla in grado di indirizzare verso una scelta, prendere una decisione, agendo nel rispetto delle regole che la nostra stessa natura impone.

Come e perché viene effettuata una scelta? Come vengono soppesate le variabili che portano le due parti dentro di noi ad accettare il compromesso che ci permette di agire? È difficile giudicare le azioni altrui proprio a causa dell’impossibilità di conoscere quali pesi e quale bilancia si utilizzino.

“Il Bar delle ombre” non vuole essere un pretenzioso tentativo di dare una risposta a domande tanto complesse, bensì, attraverso il linguaggio del dramma, una spinta alla riflessione sull’uomo, sul libero arbitrio e su come le regole che governano questo mondo siano la cristallizzazione di quello che si potrebbe definire “dio”».

 Andrea Zuliani

 


Biglietto unico 17 euro. Acquisto direttamente in teatro (anche nei giorni precedenti).
Online su https://www.vivaticket.com/it/ticket/il-bar-delle-ombre/216824

 

 

Testo e regia:
Andrea Zuliani

Musiche originali:
Stefano Lori

Scenografie e costumi:
Inverno Workshop

Coreografie:
Antonino Montalbano

 

IL CAST

Annalisa Platania – “La barista”

Simone Valentino – “Black”

Andrea Zuliani – “White”

Areté Teatro
Areté è una compagnia teatrale professionale di Torino che, dal 2018, si  occupa di produzione e allestimento di spettacoli teatrali e di didattica, con più di 130 allievi attivi nei suoi corsi nel solo anno scolastico 2023/24. Lo spettacolo con il quale Areté debutta a novembre 2018 è “Più vera del vero” di Martial Courcier. A maggio 2019 è una delle compagnie gestrici del Torino Fringe Festival, coordinando le attività artistiche nella suggestiva location del Magazzino sul Po. A dicembre 2019 porta in scena, nella rassegna “Animali da palco e dove trovarli” organizzata da Onda Larsen Teatro, lo spettacolo “Il Cadavere”, produzione originale Areté, scritto da Simone Valentino. Da ottobre 2019, grazie agli spazi inizialmente forniti da realtà quali Casa Garibaldi e il Circolo Arci Machito, si occupa di didattica per adulti e bambini. Nel 2021 prende vita la prima edizione della rassegna “(non)RASSEGNAmoci”, curata interamente da Areté negli spazi del teatro Q77. Nel 2021 Areté trova casa a Moncalieri, in via Monte Bianco 29, centralizzando tutte le sue attività: spazi che sono andati, via via, crescendo arrivando agli attuali 200 metri quadri, utilizzati da sale prove, luoghi di insegnamento, aggregazione, polo culturale.