Un concerto rappresentativo della collaborazione UNESCO e Ministero della Cultura
Sabato 17 settembre, ore 17
Si tornerà indietro nel tempo e sembrerà di tornare a Corte, sabato 17 settembre (ore 17), quando il “Salone d’Onore” della “Palazzina di Caccia” di Stupinigi farà da prestigiosa cornice a “Cerimoniale e divertissement”, concerto che vedrà protagonisti l’Orchestra Barocca dell’“Accademia di Sant’Uberto” e l’“Equipaggio della Reggia di Venaria” con corni da caccia dell’“Accademia”, dichiarati “Patrimonio Immateriale UNESCO” nel dicembre 2020. L’evento concertistico – occasione speciale, organizzata da “Fondazione Ordine Mauriziano” e “Accademia di Sant’Uberto”, per rivivere un appuntamento tipico, un tempo, delle residenze sabaude ed internazionali – ha ottenuto, oltre al contributo della “Fondazione CRT”, il finanziamento del “Ministero della Cultura” a favore dei “Patrimoni Culturali Immateriali UNESCO”. Nel “Salone d’Onore” della Palazzina, saranno presenti anche alcuni studenti che hanno aderito al “Progetto Barocco”, nato dalla collaborazione con il “Liceo Classico Cavour” di Torino nell’ambito del “Pcto- Alternanza Scuola Lavoro” : gli allievi partecipanti all’iniziativa ed integrati nell’orchestra, riceveranno dall’“Accademia” la dotazione di strumenti originali e il supporto di tutor esperti. La direzione è di Alberto Conrado.
Per l’occasione, sono stati scelti due enormi compositori, fra i massimi rappresentanti del Barocco. Di Georg Philipp Telemann (Magdeburgo,1681- Amburgo,1767) verranno eseguiti il “Concerto in Fa maggiore per due corni da caccia ed archi TWV 52:F3” e l’ “Ouverture-Suite in Mib maggiore per due corni da caccia ed archi TWV 55:Es1”, mentre di Giovanni Battista Pergolesi (Jesi,1710- Pozzuoli,1736) lo “Stabat Mater”, opera che costituisce l’estremo suggello della breve – eppur intensa – parabola biografica e artistica di Giovanni Battista Draghi, detto “il Pergolesi”. La composizione risale infatti agli ultimi mesi di vita del musicista: addirittura, secondo una tradizione tutto sommato plausibile, sebbene non confortata da evidenze documentarie, egli sarebbe riuscito a portare a termine la stesura poche ore prima della morte, a soli ventisei anni e dopo essersi trasferito dalla marchigiana Jesi a Napoli, nel cui vivace ambiente musicale avrebbe svolto la maggior parte della sua carriera, divenendo uno dei massimi rappresentanti della scuola musicale partenopea.
L’arte musicale dei corni da caccia è stata dichiarata, come detto, “Patrimonio UNESCO” nel 2020 ed è stata proprio l’“Accademia di Sant’Uberto” a lavorare alla sua candidatura insieme ad altri partner europei provenienti da Francia, Belgio, Italia e Lussemburgo. Per presentare la documentazione, con il “Ministero dei Beni Culturali”, l’“Accademia” ebbe pure a coinvolgere Regione Piemonte, Reggia di Venaria, Palazzina di Stupinigi, Città di Venaria e Nichelino. Dopo il riconoscimento UNESCO, si è data poi come obiettivo immediato la trasmissione del sapere in tutta Italia: di qui l’organizzazione del concerto di sabato alla “Palazzina”, insieme ad altri appuntamenti già realizzati e avvenire. La pratica dello strumento ha una storia unica rispetto agli altri: nato e sviluppato tra il XVII e il XVIII secolo per le cacce reali, è stato simbolo del potere e della magnificenza delle corti d’età barocca, ma contemporaneamente opportunità per grandi compositori e dunque subito introdotto nella musica d’arte, in ambito militare e d’ intrattenimento.
Per info: “Palazzina di Caccia”, piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi-Nichelino (Torino); tel. 011/6200634 o www.ordinemauriziano.it . Al concerto si entra con il biglietto di ingresso alla Palazzina, fino a esaurimento posti.
g.m.


Fu una bella amicizia quella tra Sam Shaw e Marilyn Monroe, un’amicizia che si srotola autentica lungo gli anni di un decennio e poco più, lungo i Cinquanta, lui sui quaranta lei di venticinque anni quando si conobbero, lui che s’interessa alla musica e al teatro, alla pittura e alla scultura (in gioventù, senza soldi, se n’è anche andato per le strade di New York a raccogliere catrame per realizzare le sue prime opere) alla letteratura, all’attivismo politico; lei dal ’47 gira per gli studios, con particine di nessuna importanza, non accreditata, sino a tre anni dopo quando fa compagnia per poco meno di un minuto ai fratelli Marx per “Una notte sui tetti”, per poi incamminarsi verso la “Giungla d’asfalto” di Huston ed “Eva contro Eva” di Mankiewicz. L’anno successivo Shaw lavora alla 20th Century Fox al film “Viva Zapata”, Marilyn è pur la fidanzata del regista Elia Kazan ma i ruoli scarseggiano e per arrotondare si propone all’amico Sam come autista, tutti i giorni della lavorazione del film, nel tragitto casa lavoro.
dall’infanzia. La bellezza del bianco e nero e la gioia del colore, una giornata al mare in un costume bianco intero o la scommessa della “grande interpretazione”, seduta sulla panchina di un parco, a fingere di orecchiare le parole di una giovane coppia che non la riconosce; a bersi una tazza di tè o nel momento del trucco tra le luci e lo specchio, a ripassarsi la matita sulle labbra, avvolta in una canottierina nera, spalline sottilissime, a scappare dal St. Regis Hotel di New York per andare a girare la scena immortale di “Quando la moglie è in vacanza”, dove l’abito bianco della svampita “the girl” del piano di sopra, all’uscita della sala cinematografica, viene sollevato, attraverso la griglia d’aerazione, dallo spostamento d’aria causato dal passaggio di un treno della metropolitana: sotto lo sguardo di un disincantato Tom Ewell e di un inviperito Joe Di Maggio, poco propenso a vedere la moglie a gambe scoperte sotto gli occhi di decine di curiosi che assistevano alle riprese sulla 51a strada (tali il trambusto e la calca che Billy Wilder decise di rifare la scena in studio poi). Con grande felicità, al contrario (le cronache ci hanno riportato il suo viso), del tipo incaricato dì azionare la macchina del vento al piano di sotto.
messo a disposizione della mostra. Un patrimonio ricavato da case d’asta, archivi di studi cinematografici e da collezioni private, più di 1500 originali, attualmente il più grande e importante del suo genere. Si allineano nelle teche illuminate i guanti indossati il giorno del matrimonio, i suoi occhiali scuri e i biglietti d’aereo, la lettera d’amore a Miller, gli oggetti per il trucco, un paio di bigodini (e qualcuno avverte che, a guardar bene, si può ancora intravedere un capello dell’attrice), il tubetto di colla che usava per applicarsi le ciglia finte, l’abito rosso di “Come sposare un milionario”. Ogni cosa è lì a ricreare un’aura di leggenda, un lampo di ricordi, a riportarci a certi sorrisi come a questo piuttosto che a quel titolo di una filmografia dove si contano poco più di una trentina di opere, dalle prime apparizioni ai momenti di ineguagliabile maturità. Ogni cosa è lì, anche nel proprio mistero, a distanza di decenni, a rivelarci ancora una volta il fascino di un’attrice e la solitudine di una donna (“trova qualcuno che ti rovini il rossetto non il mascara”), il suo desiderio di amare e di essere amata (“vorrei essere felice, ma chi lo è? chi è felice”), la ricerca di sicurezza, la consapevolezza che il suo successo arrivava dal pubblico e non alle “costruzioni” di una casa cinematografica (“Hollywood è un posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima”), il suo innegabile humour (“dicono che il denaro non faccia la felicità, ma se devo piangere preferisco farlo sul sedile posteriore di una Rolls Royce piuttosto che su quelli di un vagone del metrò”).