SPETTACOLI- Pagina 207

Il cinema che esalta la musica. Torna il Seeyousound

 Dal 21 febbraio al 1 marzo / Venerdì 21 al Cinema Massimo si accendono i riflettori sul Seeyousound Torino Music Film Festival, l’unico festival di cinema italiano a tematica musicale giunto alla sua sesta edizione dopo aver allargato i propri orizzonti nell’ultimo anno in altre sei città italiane

Dieci giorni in cui spaziare tra i più disparati generi musicali in un ricco programma di ospiti da tutto il mondo, anteprime assolute ed eventi live irripetibili. Nell’anno di Torino città del Cinema 2020 è il primo festival in ordine di apparizione ad aprire le danze ai festeggiamenti.

Ospite d’onore Julien Temple, leggendario regista britannico che ha dedicato la sua intera carriera allo speciale legame che unisce il cinema e la musica, firmando film culto come La grande truffa del rock’n’roll, Absolute Beginners e realizzando videoclip per le piú grandi rock star del pianeta tra cui Rolling Stones, David Bowie, Sex Pistols, Paul McCartney, Depeche Mode, Blur. E sarà proprio Temple ad inaugurare la manifestazione il 21 con l’ultimo lavoro Ibiza – The silent movie realizzato con l’aiuto del dj e produttore Fatboy Slim per ripercorrere la storia della iconica isola, capitale del clubbing internazionale. E il regista britannico sarà protagonista anche sabato 22 febbraio, per la proiezione di tre titoli della sua filmografia accomunati dalla relazione tra luoghi e musica, due dei quali per la prima volta in Italia.

Ma gli ospiti non finiscono qui. Ce n’è per tutti i gusti. Salirà sul palco del Cinema Massimo il compositore e musicista Christophe Chassol che sonorizzerà Ludi, film da lui scritto e composto. Chassol, compositore unico nel suo genere, utilizza il metodo ultrascoring, combinazione di film-documentario, animazione ed effetti speciali in cui lo spettatore diventa protagonista della performance. I Marlene Kuntz propongono in anteprima assolutala sonorizzazione del muto anni ’30 Menschen am Sonntag; Massimo Zamboni dei CCCP e CSI, regalerà al pubblico alcuni brani live per la proiezione de La macchia mongolica; Patrizio Fariselli degli Area sarà protagonista della serata Gioia e rivoluzione che celebrerà Demetrio Stratos, durante la quale suonerà alcuni pezzi; mentre la giornalista e modella Benedetta Barzini, sarà protagonista della masterclass organizzata con IAAD ispirata alla serie Stili ribelli prodotta da Sky Arte.

Tra gli altri anche la regista Lily Rinae che presenta in anteprima internazionale il documentario Born Balearic Jon Sa Trinxa and The Spirit of Ibiza in cui racconta la scena musicale di Ibiza e la vita del “leggendario DJ di Ibiza”; il regista Simon Bird che presenterà Days of the Bagnold Summer, commedia indie con Earl Cave, figlio di Nick; A.J. Eaton autore di David Crosby: Remember My Name, prodotto da Cameron Crowe (autore di Almoust Famous); Gio Arlotta presenta per la prima volta in Italia il suo We Intend To Cause Havoc, tributo agli WITCH, rock band anni ’70 dello Zambia; Marco Porsia porta a SYS Where Does a Body End? sugli SWANS. Infine, un piccolo omaggio a Marco Mathieu, indimenticato giornalista di Repubblica e bassista dei Negazione, con il cortometraggio in anteprima assoluta de Lo spirito continua di Claudio Paletto che ripercorre la lavorazione del disco Young Till I Die dedicato a lui.

Rimangono un punto fermo le storiche rassegne: Rising Sound che ci trasporterà in Africa per scoprire dove nasce il ritmo che fa ballare il mondo, Into the groove, ogni proiezione un evento unico e irripetibile; e le quattro sezioni competitive che offriranno 44 titoli di cui 18 in anteprima italiana: i lungometraggi di finzione e documentari per Long Play Feature e Long Play Doc, i corti di 7Inch e i videoclip di Soundies. La novità di questa edizione è Frequencies, contest di sonorizzazione live lanciato nel 2019 che mostrerà i suoi primi risultati al pubblico.

Così racconta il festival il direttore Carlo Griseri: “Seeyousound numero 6, nuove date e nuovo programma. Quando si lavora con intensità a un progetto come questo, che si sviluppa quasi quotidianamente e che nell’ultimo anno ha visto un’espansione in sei città italiane, oltre a svariati altri progetti e al lavoro internazionale del network di festival tematici nato lo scorso anno proprio durante il nostro, si rischia di non accorgersi del tempo che passa. Poi metti insieme i pezzi di tutto ciò su cui hai lavorato e guardi il programma completo che siamo riusciti a costruire quest’anno: un po’ di orgoglio, inutile nasconderlo, c’è. Bentornati a Seeyousound!”

Giuliana Prestipino

Biglietti e abbonamenti su www.seeyousound.org e alla biglietteria del Cinema Massimo MNC.

facebook.com/SEEYOUSOUND // instagram.com/seeyousoundfestival // twitter.com/seeyousound

 

SYS è organizzato da Associazione Seeyousound. In collaborazione con Museo Nazionale del Cinema, Torino Città del Cinema 2020 // Regione Piemonte. Con il patrocinio di Città di Torino // Con il contributo di Fondazione CRT. L’iniziativa fa parte di ‘Torino Città del Cinema 2020. Un film lungo un anno’, un progetto di Città di Torino, Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte, con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in collaborazione con Regione Piemonte, Fondazione per la Cultura Torino. 

www.torinocittadelcinema2020.it

 

 

I nuovi concerti di “Vitamine Jazz”

Gli appuntamenti all’Ospedale Sant’Anna per la rassegna che arriva  al centosessantaduesimo concerto e alla sua terza stagione, organizzata per la “Fondazione Medicina a Misura di Donna” e curata da Raimondo Cesa

I concerti avranno inizio dalle ore 10.00 nella sala Terzo Paradiso in via Ventimiglia 3 aperta al pubblico, dedicata alle pazienti e ai loro cari.

Martedì 18 febbraio “Let’s Beat”

Max Ferrarini chitarra ritmica e voce
Oscar Malusa percussioni e voce
Maurizio Malano chitarra solista

I Let’s Beat! nascono a Torino nel 2005 dall’idea di tre amici nonché musicisti autori e compositori
già attivi da molti anni sulla scena musicale cittadina.
Il gruppo ha all’attivo centinaia di concerti in Italia e all’estero. In tutto questo tempo ha saputo
plasmare il progetto iniziale dandogli forma, anima e carattere fino a renderlo un suggestivo spettacolo fatto innanzi tutto di musica, la straordinaria musica dei Beatles che noi tutti conosciamo… ma anche rendendolo davvero emozionante, struggente e dolcemente nostalgico. Lo stesso spettacolo che alterna il sogno lisergico al limpido viaggio dell’anima, quello che ci riporta inesorabilmente ai meravigliosi anni ’60 di John, Paul, George e Ringo, quello che ci fa toccare con mano e ci restituisce intatte le ruvide e indelebili pieghe di un epoca straordinaria che non ritornerà mai più.
Selezionati dalla FIFA nel 2006 hanno suonato a Colonia per i campionati del mondo di Calcio a margine della partita Germania vs Inghilterra.
Tra tutte ricordiamo la loro performance a Verona prima dell’esibizione di Paul McCartney e più di recente i loro concerti al Teatro Smeraldo e al Piccolo di Milano per i festeggiamenti dei 50 anni dei Beatles in Italia. Sempre nell’ambito dei medesimi festeggiamenti nel Luglio del 2016 hanno suonato anche al Teatro
Ariston di Sanremo alla presenza di Mrs Freda Kelly la celebre segretaria dei Beatles.

Giovedì 20 febbraio “Duo Masuero-Aluffi”

Carlo Masuero chitarra
Arcangelo Aluffi percussioni

L’impianto musicale di questa formazione ha le sue radici nelle melodie e nei ritmi del Sud America, subendo anche l’influenza latina dei paesi Sud Europei. Il repertorio abbraccia un arco temporale di circa un secolo, dall’inizio del 1900 ai giorni nostri, con brani della tradizione popolare di grandi autori quali: Pixinguinha, Azevedo, Cartola e brani più moderni influenzati dalla corrente jazzistica, composti da autori come: A. C. Jobim, J.Bosco, Barroso ed altri ancora.

“Girando per Torino”, omaggio al cinema

È stato presentato alla stampa e al pubblico torinese il tour di cineturismo, un percorso composto da 20 postazioni multimediali dislocate nel centro cittadino che raccontano la storia del cinema realizzato a Torino nel corso degli anni, dalla nascita della settima arte ad oggi

In questo anno di celebrazioni che vedono il cinema al centro della programmazione culturale della Città, il progetto ha l’obiettivo di offrire ai torinesi e ai turisti la possibilità di approfondire e rivivere venti pellicole che hanno contribuito a rendere Torino meta e location privilegiata di tantissime produzioni cinematografiche.

Venti differenti postazioni nei luoghi più iconici della città, ciascuna dedicata ad una specifica pellicola: da Cabiria fino al recentissimo The King’s Man, passando attraverso Profondo RossoSanta MaradonaLa Meglio GioventùDopo MezzanotteIl Divo.

 

Nell’anno in cui il Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte compiono rispettivamente vent’anni, il tour permetterà ai visitatori di scoprire aneddoti e curiosità su ciascuno dei film individuati, evidenziando ancora una volta lo storico legame tra Torino e l’industria culturale e produttiva del cinema.

 

Ognuna delle venti postazioni è stata realizzata esternamente con grafiche ed immagini legate ad uno specifico film, alternate a pannelli riflettenti che mirano a valorizzare il contesto architettonico circostante. Internamente la postazione permetterà al pubblico di accomodarsi su sedute che richiamano quelle dell’Aula del Tempio della Mole Antonelliana per visionare video legati alla pellicola e ascoltare commenti e curiosità che hanno la voce di Steve Della Casa e Efisio Mulas, storici conduttori della trasmissione radiofonica di Radio Tre “Hollywood Party”.

 

Una mappa cartacea – che elenca e raffigura le venti location e i venti film ad esse collegate – verrà distribuita presso gli uffici del turismo di Piazza Castello e Piazza Carlo Felice; è naturalmente possibile visionare l’intero tour sul sito di Torino Città del Cinema, ed è inoltre possibile scaricare gratuitamente e utilizzare l’App “Italy For Movies”: all’interno di quest’ultima si trova l’itinerario dedicato a Torino Città del Cinema 2020, con percorsi e itinerari turistici ideati e curati da Steve Della Casa Federica De Luca.

 

Se la postazione punta infatti alla valorizzazione dell’opera filmica, l’uso dell’applicazione – “l’App che fa CIAK”, lanciata lo scorso anno dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali- permette di valorizzare la location di riferimento, restituendo così al pubblico tanto l’anima cinematografica quanto quella turistica del progetto.

 

A supporto della promozione del tour è stata inoltre attivata una collaborazione con le Associazioni dei taxisti torinesi e con le Associazioni delle Guide Turistiche regionali, affinché conoscano e promuovano il progetto presso i rispettivi bacini d’utenza: sono infatti stati programmati due specifici momenti di incontro per fornire informazioni e materiali relativi a “Girando per Torino”.

 

Per valorizzare il risvolto turistico del progetto è stata inoltre realizzata un’articolata campagna di comunicazione composta da affissioni, videomapping, merchandise, supporti editoriali di vario tipo (brochure, cartoline, mappe), insieme alla promozione sui più importanti social e ad una pianificazione media (banner e adv sulle principali testate nazionali).

 

Le ‘opere’ – a completamento dell’installazione inaugurata lo scorso novembre in piazza Castello – sono realizzate da Fargo Film, ideate e progettate dallo Studio Loredana Iacopino Architettura.

Tutte le postazioni saranno attivate e fruibili a partire dalla giornata odierna, per l’intero anno. La postazione situata all’interno della Stazione di Porta Nuova verrà invece aperta al pubblico a partire dalla giornata di martedì 18 febbraio.Il progetto è stato curato da Film Commission Torino Piemonte e Museo Nazionale del Cinema e vede Iren come Partner Tecnico di “Girando per Torino”: in questo modo il Gruppo conferma il proprio interesse alle iniziative culturali del territorio.

 

L’iniziativa fa parte di ‘Torino Città del Cinema 2020. Un film lungo un anno’, un progetto di Città di TorinoMuseo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte, con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in collaborazione con Regione PiemonteFondazione per la Cultura Torino, media partner Rai.

www.torinocittadelcinema2020.it

#TOcinema2020

Suonare ovunque

Caleidoscopio rock USA anni 60 / Sei hai un manager… ok; ma se il management è autogestito (magari da un membro della band o da un suo parente) la vita è dura e non bisogna mai lasciarsi scappare l’occasione per potersi esibire

 

Ecco che allora proprio le bands che non hanno un “gestore di date ed eventi” devono fare della flessibilità la loro bandiera:

suono adattabile alle circostanze, ai gusti, al pubblico, alla fascia d’età dei fruitori, al contesto, alla tipologia di locale o di location. Sono frequenti gli esempi di bands anni Sessanta (sovente meteore o di medio-piccolo cabotaggio) costrette ad adattarsi ai più diversi ambienti, che, nell’impossibilità di sostenere le spese dei trasferimenti, si prodigavano ad esibirsi in qualsiasi contesto utile in un raggio anche ristretto geograficamente. Altre si trovavano di fronte alla necessità (nonostante il budget limitato) di effettuare spostamenti estenuanti tra cittadine non sempre vicine e comode da raggiungere; con il risultato che le spese di viaggio superavano regolarmente gli introiti delle esibizioni e dei gigs ed era solo la passione (se non anche l’incoscienza) a sostenere l’entusiasmo e la voglia di continuare. Un esempio lampante di quest’ultima fattispecie erano i Sanz, Incorporated [o Sanz, Inc.], band dell’area di Petersburg nel sud-ovest dell’Indiana. Gli elementi erano giovanissimi, tutti tra i 14 e i 17 anni di età, con un management sostanzialmente a conduzione famigliare (famiglia Ficklin): Steve e Brent Ficklin (V), Dave Adams (chit), Larry Adams (b), Bob Ficklin (org), Ron Hale (batt). Furono in buona sostanza una band che non poteva permettersi momenti di pausa, dal momento che gli introiti non erano mai abbastanza (sebbene non avessero la “zavorra” di un manager apposito da pagare); e fu così che si vedevano costretti a muoversi ininterrottamente tra Indiana, Illinois e Kentucky (Tri-state area), tra Petersburg, Santa Claus, Evansville, Fairfield, Sullivan, Lawrenceville, Princeton, Terre Haute, Bloomington, fino ad Owensboro e Morganfield. Inoltre qualsiasi location era fattibile, senza essere choosy ed andare troppo per il sottile; i Sanz, Incorporated spaziavano da teen dance clubs a hotels, da parcheggi a drive-in bars a feste di liceo, a parties in piscina, a feste per eventi sportivi o a margine di fiere (praticamente ovunque tranne i parties universitari). Questa attività febbrile li tenne lontani dalle “Battles of the Bands”, competizioni che invece coinvolgevano regolarmente molti gruppi dell’epoca; infatti l’ingresso in sala di registrazione fu autonomo, in sordina, con mezzi semplici, niente ambizioni sfrenate e niente spinte da produttori o sponsor e portò all’incisione di due 45 giri nell’arco di un semestre con l’etichetta Skoop (Showboat records a Santa Claus, Indiana). Nel dicembre 1966: “My Baby’s Eyes” [Steve & Bob Ficklin] (1069; side B: “I’m Gonna Leave You”) e nel maggio 1967: “I Just Want You” [Steve & Bob Ficklin] (1072; side B: “I’ll Never Forget”). Specialmente i brani del primo 45 giri ricevettero una discreta accoglienza nelle programmazioni di alcune radio dell’Indiana e dell’Illinois, ma l’effetto sfumò rapidamente. Infatti i Sanz, Incorporated andarono incontro al tipico destino delle bands in età liceale; si sciolsero entro l’autunno 1967, dopo che i componenti più “anziani” raggiunsero la high school graduation (nel caso specifico il batterista Hale e il cantante Steve Ficklin).

 

Gian Marchisio

 

 

 

All’Alfieri “I soliti ignoti”, repliche sino a domenica, tra gli attori Giuseppe Zeno

Vinicio Marchioni è interprete e regista: “Vorrei che il pubblico applaudisse divertito, commosso e innamorato di questi personaggi indimenticabili”

“Adattare un classico è sempre una sfida rischiosa e difficile. Ma sono le sfide che vale la pena vivere, insieme ai miei compagni di strada”, dice Vinicio Marchioni. Perché di sfida si è davvero trattato.

 

Appropriarsi della sceneggiatura dei Soliti ignoti che nel 1958 Mario Monicelli scrisse con la insostituibile collaborazione di Suso Cecchi D’Amico e della coppia Age&Scarpelli – l’operazione di adattamento la si deve oggi ad Antonio Grosso e Pier Paolo Piciarelli -, far rivivere su di un palcoscenico l’Italia da poco uscita dalla guerra con tutta la sua miseria, con le periferie romane e il sottobosco fitto di allegre anime perse, di delinquenti da strapazzo campioni dell’arte d’arrangiarsi, portare sessant’anni dopo soprattutto la vitalità tragicomica di un cinema che s’irrobustiva in modo definitivo e cambiava registro per significare appieno una pagina nuova, quella della commedia all’italiana, capace di essere, sotto diverse angolazioni e aspirazioni, una delle facce di maggior successo del cinema di casa nostra. Si rimandavano in soffitta finalmente le tante derivazioni farsesche, del varietà e dell’avanspettacolo, il facile divertimento basato a tratti sull’improvvisazione, sull’effetto immediato e scontato, sulla scenetta dal blando doppio senso o della gag più o meno sgangherata, per porsi di fronte al gioco ondivago della quotidianità, alla necessità di affrontare una volta per tutte argomenti drammatici visti imperturbabilmente sotto la lente dell’approfondimento dei caratteri, della leggerezza e dell’ironia, di una calma comicità. Peppe er Pantera, Tiberio, Mario, Dante Cruciani che insegna ai giovani ad aprire le casseforti, Ferribotte e Capannelle, tutti a tentare il colpo a via delle Cannelle, dietro piazza Venezia, il colpo che dovrebbe cambiare per sempre la loro vita, non sono più maschere ma uomini in carne e ossa, veri, come mai autentici, per le strade e per le piazze di Roma, alla fermata del tram che li dovrebbe portare chissà dove, a fare il gran botto e, caduta una semplice parete, a ritrovarsi a guardarsi in faccia uno con l’altro, a ritrovarsi alla fine ingabbiati in un nuovo lavoro cui hanno sempre cercato di sfuggire, mantenerne la spericolata semplicità, questa era la sfida.

“Ci sono dei film che segnano la nostra vita e I soliti ignoti per me è uno di questi -, prosegue Marchioni, oggi quarantacinquenne, divenuto famoso con il Freddo nel televisivo Romanzo criminale di Sollima, preziose collaborazioni al cinema con Valeria Golino, Paolo Genovese (The place), Donato Carrisi e Ivano Di Matteo (Villetta con ospiti, tuttora al cinema, un curriculum teatrale di tutto rispetto, da Ronconi ad un non dimenticato Kowalsky nel Tram di Williams per la regia di Latella ad una personale rivisitazione di Cecov (Uno zio Vanja). “Come uomo mi sono divertito e commosso di fronte alle peripezie di questo gruppo di scalcinati ladri. Come attore mi sono esaltato davanti alla naturalezza con cui recitano mostri sacri come Mastroianni e Gassman. Come regista ho amato il perfetto equilibrio con cui Monicelli rende un argomento drammatico in modo leggero”. Marchioni ha guardato ad una storia, immersa ormai nel passato, e ne ha esaltato le tematiche eterne che la possono avvicinare a noi, considerando ad esempio quella povertà che aveva le proprie radici nel dopoguerra ma che è ancora presente, sebbene sotto altre forme, in tante zone d’Italia; ha riconsiderato la “vitalità indistruttibile” – anche a percorrere binari che non portano da nessuna parte – di un gruppo di uomini, con la loro arruffata sfrontatezza, con gli sbagli, con gli amori sinceri e no che s’intrecciano lungo la storia, con le risate e con le paure, con il divertimento e la commozione di un tempo che ancora oggi possono coinvolgerci (“spero che gli spettatori possano uscire da teatro con gli stessi sentimenti che provo io dopo una visione del film: divertiti, commossi e perdutamente innamorati di quei personaggi indimenticabili”).

Con lui e l’amico Giuseppe Zeno, sul palcoscenico dell’Alfieri da stasera (ore 20,45, domani sabato ancora stesso orario) a domenica (ore 15,30), sono Augusto Fornari, Salvatore Caruso, Vito Facciolla, Antonio Grosso, Ivano Schiavi e Marilena Anniballi; le scene sono di Luigi Ferrigno, i costumi di Milena Mancini, le musiche di Pino Marino.

 

Elio Rabbione

 

La foto di Vinicio Marchioni è di Valeria Mottaran; la foto di Giuseppe Zeno è di Azzurra Primavera; mentre quella di scena è di Lanzetta-Capasso

I vestiti del grande cinema in mostra alla Mole

 

La Sartoria Annamode è un’autentica  eccellenza torinese del Made in Italy dagli anni Cinquanta a oggi nel realizzare abiti per il cinema

Alla Mole, il Museo Nazionale del Cinema inaugura venerdì 14 febbraio la mostra ‘Cinemaddosso, i costumi di Annamode da Cinecittà a Hollywood’, curatrice  Elisabetta Bruscolini.

 

Sono esposti 100 costumi per 40 film. Nel percorso  ogni abito è esposto come un’opera d’arte e corredato da brani di film, citazioni, e pannelli touch. Passeggiando sui 280 metri della rampa sotto la volta dell’edificio  dell’Antonelli si rivivono  70 anni della storia imprenditoriale al femminile delle sorelle Anna e Teresa Allegri, che hanno reso celebre la Annamode in tutto il mondo.

 

“La mostra – sottolinea  il presidente del Museo del Cinema, Enzo Ghigo (nella foto ) – è il primo grande evento organizzato dal Museo nell’ambito delle celebrazioni di Torino Città del Cinema 2020″.

Sarà  visitabile fino al 15 giugno. Esposti  costumi di film come Guerra e Pace di King Vidor (1956), Matrimonio all’italiana di Vittorio De Sica (1964),  Marie Antoinette di Sofia Coppola (2006).

Al Regio è tempo di Nabucco

L’opera rappresentò il primo trionfo di Giuseppe Verdi. Il coro ne è protagonista indiscusso

Il coro rappresenta sicuramente il nucleo portante del Nabucco di Giuseppe Verdi in scena al teatro Regio di Torino, di cui l’atteso debutto è previsto stasera alle 20. L’opera, che verrà rappresentataper dieci recite fino a sabato 22 febbraio prossimo, nasce da una nuova produzione del Teatro Regio di Torino, in collaborazione con il Teatro Massimo di Palermo e con il contributo della Reale Mutua, che stasera offrirà un buffet. La regia è firmata da Andrea Cigni, l’Orchestra del Teatro Regio è diretta dal maestro Donato Renzetti, il Coro dal maestro Andrea Sechi.

“Il coro rappresenta un elemento fondamentale nel Nabucco spiega il maestro Andrea Sechi  in mancanza del quale il dramma mancherebbe della sua ragion d’essere. I solisti presentano, infatti,delle forti caratterizzazioni ed una precisa funzione. Lo sfondo, sia dal punto di vista drammaturgico sia da quello musicale, è dato dal coro. Del resto l’opera del Nabucco, tra le più celebri del repertorio verdiano, si apre con la famosa aria “Gli arredi festivi“.

Nel ruolo di Nabucco si alterneranno i baritoni Giovanni Meoni, Damiano Salerno e Leo Nucci, grande leggenda del mondo della lirica che ha fatto di questo personaggio verdiano il suo cavallo dibattaglia. Nel ruolo di Abigaille si alterneranno le soprano Csilla Boross e Tatiana Melnychenko; in quello di Ismaele i tenori Stefan Pop e Robert Watson. Nel ruolo di Zaccaria di alternano quali interpreti Riccardo Zanellato e Ruben Amoretti, infine in quello diFenena le mezzosoprano Enkelejda Shkosa ed Agostina Smimmero.

L’opera di soggetto biblico, su libretto di Temistocle Solera, rappresentò il primo grande successo del compositore nativo di Roncole di Busseto. Il celebre coro “Va’ pensiero “, per decenni considerato tiepidamente dalla critica, ebbe la sua consacrazione grazie allo stesso Verdi, in una tarda rievocazione del melodramma, diventando addirittura mitologia dopo l’esecuzione diretta da ArturoToscanini un mese dopo la morte del maestro.

La grande originalità verdiana consistette nel rendere il coro un elemento centrale del dramma,  vale a dire un vero e proprio personaggio,  apace di entrare dentro i fatti, non soltanto semplicemente commentandoli o raccontandoli. Verdi è stato in grado di condensare la portata emotiva e scenica della storia nel cosiddetto “coro-nazione”, un gruppo coeso e forte, destinato a trionfare, ad andare, nel corso dell’opera, in battaglia,  perderla, poi attaccare di nuovo con furore, lamentare la libertà perduta, prepararsi al martirio ed essere capace a risorgere. Al di là  dellepossibili connotazioni patriottiche e politiche, in questo si concentrala scelta vincente di Verdi.

Mara Martellotta 

Le Acrobazie Musicali di una coppia in disaccordo

Venerdì 14 e sabato 15 febbraio 2020 | Ore 21.00 Teatro Le Musichall – Corso Palestro 14, Torino

SCONCERTO D’AMORE

Di e con: Ferdinando D’Andria e Maila Sparapani

 

Un concerto-spettacolo innovativo, che porta in scena una storia d’amore travagliata, nella quale ognuno di noi può riconoscersi, attraverso l’ironia e le “Acrobazie Musicali” di una coppia in disaccordo. Sconcerto d’amore è un concerto-spettacolo comico con acrobazie aeree, giocolerie musicali e prodezze sonore.

Nando e Maila hanno fatto una scommessa: giocare ai musicisti dell’impossibile trasformando la struttura autoportante, dove sono appesi il trapezio e i tessuti aerei, in un’imprevedibile orchestra di strumenti. I pali della struttura diventano batteria, contrabbasso, violoncello, arpa e campane che insieme a strumenti come tromba, bombardino, fisarmonica, violino e chitarra elettrica, creano un’atmosfera magica definendo un insolito mondo sonoro. Nando e Maila interpretano una coppia di artisti: musicista eclettico lui e attrice-acrobata lei, eternamente in disaccordo sul palcoscenico come nella vita.

Dunque…come fare per spezzare la monotonia di coppia quando il pentagramma, seppur ricco di variazioni sul tema, si riduce sempre alla stessa solfa? Cogli la prima mela! Inaspettatamente, ai due attori se ne aggiunge un altro, uno spettatore inconsapevole, l’oggetto del desiderio per Maila. Un concerto-commedia all’italiana – dove si passa dal rock alla musica pop suonata a testa in giù dai tessuti aerei fino a toccare arie d’opera e musica classica – che condurrà il pubblico in un crescendo di emozioni. Ogni dissonanza si risolverà in piacevole armonia, con un poetico “happy ending” sul trapezio.

Donne in guerra, Sottodiciotto presenta “For Sama”

Proiezione in anteprima, mercoledì 12 febbraio. Torino, Cinema Centrale, ore 19.45

Sottodiciotto Film Festival & Campus e la casa di distribuzione Wanted presentano in anteprima torinese, in versione originale sottotitolata in italiano, domani, mercoledì 12 febbraio, al Cinema Centrale, alle ore 19.45, il film For Sama (Alla mia piccola Sama), realizzato dalla giornalista siriana Waad al-Kateab insieme con il regista inglese Edward Watts.

Girato durante la lunga battaglia di Aleppo, il film è candidato all’Oscar 2020 nella categoria “miglior documentario” e vanta già un numero eccezionale di riconoscimenti internazionali. Nella lista degli oltre 50 premi vinti dal lungometraggio in tutto il mondo, figurano quattro British Independent Film Awards, un BAFTA e un European Film Award come “Best documentary”, oltre all’Œil d’or al Festival di Cannes. In Italia ha vinto al Biografilm Festival il Best Film Unipol Award, il premio assegnato dalla giuria internazionale – che lo ha definito “un film potentissimo, straziante, ma al contempo pieno di vita, di amore e di voglia di futuro” – e quello del pubblico.

Frutto della selezione di circa 300 ore di riprese quotidiane, effettuate da Waad al-Kateab negli anni più cruenti del conflitto siriano, For Sama è un viaggio intimo nell’esperienza femminile della guerra, raccontata da una giovane madre alla sua piccola figlia.  Waad ha 21 anni ed è una studentessa universitaria quando, nel 2011, sull’onda delle primavere arabe, i giovani di Aleppo insorgono contro la dittatura di Bashar al-Assas, domandandone a gran voce la fine. La spietata repressione del regime, che darà luogo alla più sanguinosa guerra civile del nostro tempo, induce molti a fuggire dal Paese. Ma Waad sceglie di restare nella città dilaniata e di sposarsi con Hamza, un medico che sarà l’ultimo rimasto, nella zona ribelle, a curare centinaia di feriti al giorno, nei mesi atroci dell’assedio alla città.

For Sama è una videolettera d’amore indirizzata da Waad alla loro bambina nata sotto le bombe per spiegarle perché i suoi genitori hanno voluto rimanere ad Aleppo e tenerla con sé su quello che allora era un fronte di guerra e il teatro di una catastrofe umanitaria. Reportage drammatico e insieme diario personale e familiare, il film è una storia di resistenza e di speranza, in cui spicca, in una cornice di devastazione, lo sforzo costante di ritrovare barlumi di normalità e ricreare una quotidianità in grado di preservare la piccola Sama dalla paura e dall’angoscia della guerra: «Fin dall’inizio – ha detto l’autrice – ho capito che ero più affascinata dal catturare storie di vita e umanità, piuttosto che concentrarmi sulla morte e la distruzione».

La proiezione sarà introdotta da Enrico Bisi, direttore di Sottodiciotto Film Festival & Campus, Giampiero Leo, vicepresidente del Comitato per i diritti umani della Regione Piemonte, e Hadil Tarakji, insegnante e traduttrice. Il film uscirà nelle sale il 13 febbraio, con il patrocinio di Amnesty International Italia e la voce narrante doppiata da Jasmine Trinca.

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Ingressi: biglietto intero € 8, ridotto € 5
Info: Sottodiciotto Film Festival & Campus c/o AIACE Torino, Galleria Subalpina 30, Torino; tel. 011 538962, info@sottodiciottofilmfestival.it, www.sottodiciottofilmfestival.it
Cinema Centrale, Via Carlo Alberto 27, Torino; tel. 011 540110

Proiezione nell’ambito di Torino Città del cinema 2020

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Alla mia piccola Sama (For Sama) di Waad al-Kateab e Edward Watts (Regno Unito/ Siria 2019, 100’)
La storia di Waad al-Kateab attraverso gli anni della rivolta di Aleppo, in Siria, quando si innamora, si sposa e dà alla luce Sama, il tutto mentre intorno esplode il conflitto. La sua camera raccoglie storie incredibili di perdita, risate e sopravvivenza mentre Waad si chiede se fuggire o meno dalla città per proteggere la vita di sua figlia, in un momento in cui partire significa abbandonare la lotta per la libertà per la quale ha già sacrificato così tanto. La storia di Waad inizia nel 2012 quando era studentessa di marketing alla Aleppo University. Le proteste contro la terribile dittatura di Assad scoppiano anche all’interno dell’ateneo e Waad è una delle prime a prenderne parte. Con la sua macchina fotografica documenta la gioia e l’ottimismo di quei primi giorni. È allora che incontra un giovane medico di nome Hamza insieme al quale, con un gruppo di amici, continua a manifestare anche quando il regime ricorre alla violenza per soffocare le rivolte, gettando la città in una vera e propria guerra. Alcuni loro amici muoiono e loro stessi sfuggono per un soffio ai cecchini, agli attacchi aerei e alle bombe. Ogni momento viene ripreso dalla loro telecamera e, nel mezzo di tutto ciò, Hamza chiede a Waad di sposarlo. Dopo poco tempo Waad rimane incinta e i due ragazzi conducono una vita familiare del tutto simile a quella di qualsiasi giovane coppia, tranne per il fatto che la loro luna di miele si svolge in un momento di guerra. Quando i russi intervengono a sostegno del regime, nel settembre 2015, la repressione nei confronti dei ribelli diventa feroce. Eppure, nonostante la paura, Waad e Hamza decidono di non fuggire dalla città come molti altri, ma di restare e continuare a combattere per la libertà rendendosi conto che quella lotta non è più solo per loro ma soprattutto per il futuro della figlia. Sama nasce il 1 ° gennaio 2016, un piccolo raggio di speranza in mezzo caos. Il primo anno di vita di Sama è l’ultimo di guerra per la città, un momento di oscurità quasi inimmaginabile. Il regime e i suoi alleati ricorrono a ogni atrocità possibile per eliminare i ribelli. L’ospedale di Hamza è bombardato. Vengono assediati e assistono ad attacchi sferrati con ogni tipo di arma, dai gas alle bombe a grappolo che producono veri e propri massacri anche di donne e bambini. Ma nonostante tutto, Waad e Hamza hanno la gioia di essere diventati genitori che dà loro la forza di resistere a lungo, ma non evita che quando la situazione precipita siano comunque costretti all’esilio.
Quando stanno per lasciare la loro città hanno le lacrime agli occhi: una città distrutta, quel luogo dove è nato e morto un sogno di libertà. Sama così diventa un simbolo di amore e speranza che la violenza dei tiranni non potrà distruggere.

Agli Oscar con “Parasite” vince il cinema d’Oriente

L’Oscar 2020 verrà ricordato come l’Oscar delle sorprese, che in una notte ha sparigliato le carte ordinatissime della vigilia, della sala del Dolby Theatre ad applaudire chi mai si sarebbe pensato di applaudire, dello sconcerto e delle risate dei vincitori ancora in stato di sogno, delle lacrime in bilico su occhi sgranati e increduli

 

Perché non era mai successo, in 92 anni dacché respira l’Academy, di premiare un film di lingua non inglese, di mettere in ombra colleghi più ricercati e sicuri, leggi Scorsese Tarantino Mendes, colonne hollywoodiane, di dare il giusto riconoscimento ad un affresco, ironico e cruento al tempo stesso, che analizza con il suo racconto tutto invenzioni e giravolte stracolme d’intelligenza e universalizza la lotta di classe, la sempiterna battaglia tra chi ha e chi non ha.

Trionfa Parasite di Bong Joon Ho (già Palma d’oro a Cannes), trionfa la Corea del Sud, con quattro statuette da tenere ben strette in mano, le maggiori, quelle che hanno più peso, miglior film in assoluto, miglior regia, miglior film internazionale (come si dice da questa edizione: e qui a riporre grandi speranze era l’Almodovar di Dolor y gloria) e miglior sceneggiatura originale – un vero gioiello! -, trionfa il cinema “altro”, quello che non sta all’ombra dell’industria americana, trionfa quel cinema che ti spinge ad approfondire con una seconda visita, ad una lettura mai frettolosa, ad apprezzare una messinscena straordinaria di piccoli tocchi e di grandi esplosioni, a ripercorrere quelle nominations di migliori film e a convincerti appieno che la multiforme giuria ha davvero fatto un buon lavoro e s’è espressa al meglio.

Lasciando che tutti gli altri premi si diffondessero a pioggia su questo o su quel titolo. Come da previsioni, i migliori attori sono Joaquin Phoenix per Joker e Renée Zellweger per il non eccelso Judy (ma lei è davvero straordinaria nella rivoluzione del suo corpo e del suo viso, nell’aggrapparsi ai figli e alla vita, nel disfacimento e nella sconfitta), i migliori attori non protagonisti, come da previsioni, Laura Dern per Storia di un matrimonio e Brad Pitt, una statuetta alla sua bravura dimenticando quei monumenti che sono Joe Pesci e Al Pacino in Irishman di Scorsese. Nessuno ha pensato di prendere in considerazione Piccole donne di Greta Gerwig se non per i costumi e di questo dobbiamo essere davvero grati al Cielo, Tarantino si deve accontentare dei riconoscimenti davvero circoscritti a Brad e alla miglior scenografia, Jojo Rabbit di Taika Waititi avrà unicamente da rallegrarsi per la statuetta alla miglior sceneggiatura non originale. Il superpronosticato 1917 con il superpubblicizzato e falso pianosequenza di Sam Mendes ha incrociato soltanto tre premi tecnici (quanto ci aveva convinto vedendo la storia dei due soldatini portaordini attraverso le trincee), effetti speciali e sonoro nonché l’obbligato inchino alla magistrale fotografia di Roger Deakins, già vincitore due anni fa, mentre Le Mans ’66 firmato da James Mangold si porta a casa l’Oscar per il montaggio delle immagini e del sonoro. Martin Scorsese sta a guardare a mani vuote e sorride a chi gli proclama devozione e influenze come alla sala in piedi in una riconoscente standing ovation. E Elton John canta al pianoforte la canzone vincitrice di Rocketman: ma la festa è tutta per questo cinema d’Oriente che ha tutte le carte in regola per appassionarci e per farci discutere.

 

Elio Rabbione