SPETTACOLI- Pagina 2

Gypsy Musical Academy  in scena con “Hollywood Parade” 

 

La Gypsy Musical Academy porterà in scena al teatro Don Bosco di Rivoli ‘Hollywood Parade’ anche a scopo benefico

Il 17 dicembre prossimo alle 21, presso il teatro Don Bosco di Rivoli,  in via Stupinigi 1, la Gypsy Musical Academy  tornerà in scena con ‘Hollywood Parade’, un esilarante spettacolo in cui si cimenteranno i giovani artisti della sezione Accademia. I ragazzi faranno vedere il loro meglio con un “mash up” esplosivo tratto dai kolossal internazionali portati sui grandi schermi di Hollywood.
Questo show eccezionale vede la supervisione artistica di una vera stella internazionale,  Millie O’ Connell, protagonista di musical londinesi come “Alladin”, “Six” e “Rent” e in questi giorni ospite della Gipsy per allestire lo spettacolo al fianco dei gypsies.
Le coreografie sono firmate da Cristina Fraternale Garavalli, la direttrice musicale è Marta Lauria.
Il mash-up prevede la messinscena di titoli quali “Dreamgirls” storico musical con Beyoncé, “Footlose” con Kevon Bacon, “Smash” con Jennifer Hudson, “Nine” con Nicole Kidman e Fergie, “Burlesque” con Cristina Auguilera. Lo spettacolo non è solo occasione di grande intrattenimento,  ma è anche un evento a favore della Llifc, Lega Italiana Fibrosi Cistica del Piemonte. I fondi raccolti saranno orientati alla formazione del personale sanitario specializzato dei due Centri di Cura pediatrico ( Regina Margherita) e per adulti ( Ospedale San Luigi).

Gypsy Musical Academy

Via Pagliani 25

0110968343

info@gypsymusical.com

Mara   Martellotta

Vertigo, la stagione dell’Orchestra Sinfonica RAI guarda al cinema

Di Renato Verga
La stagione dei Concerti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI continua a guardare al cinema con curiosità e intelligenza. Dopo le tre serate inaugurali dedicate al muto, il settimo appuntamento offre un trittico musicale di grande fascino: un capolavoro hitchcockiano, una fiaba stravinskiana e, per chiudere, uno dei vertici del sinfonismo ottocentesco. A legare i tre mondi, un direttore che Torino conosce bene e accoglie sempre con entusiasmo: Juraj Valčuha.

Si parte con Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) di Alfred Hitchcock e con le musiche di Bernard Herrmann, un autore che ha trasformato la colonna sonora in un vero linguaggio psicologico. Herrmann, nato nel 1911, direttore d’orchestra prestato alla radio e scoperto da Orson Welles, debutta al cinema con Citizen Kane e trova in Hitchcock il suo alleato ideale. In Vertigo, film costruito come una spirale di desiderio e ossessione, la musica non si limita a seguire le immagini: le precede, le spinge, le interpreta. Fin dai titoli di testa, la spirale grafica di Saul Bass trova un equivalente perfetto nella spirale sonora: archi ipnotici, cromatismi in continua rotazione, armonie che sembrano sempre sul punto di cedere. La Suite proposta dall’OSN raccoglie i momenti più intensi: il Prelude vorticoso, l’aura sospesa dei temi legati a Madeleine, il crescendo quasi wagneriano di Scène d’Amour, le sezioni finali dove i motivi dell’inseguimento ritornano come un’ossessione ricorrente. Valčuha, che di Herrmann coglie la forza drammatica e la sorprendente autonomia sinfonica, guida l’orchestra con gesto chiaro e senso narrativo.

Cambio d’atmosfera con Le baiser de la fée, il balletto composto nel 1928 da Igor Stravinskij per i Ballets Russes e rielaborato prima in una suite (1934), poi in una seconda versione nel 1949. Una storia semplice e inquietante: una fata bianca e glaciale bacia un bambino, lo “segna” per la vita e torna a riprenderlo il giorno delle nozze. Un racconto di Hans Christian Andersen che Stravinskij trasforma in un omaggio al balletto romantico e soprattutto a Čajkovskij, suo nume tutelare. Non a caso, l’archetipo è quello classico dell’artista-poeta, figura sospesa tra realtà e fantasia, tra la quiete domestica e l’irresistibile richiamo dell’altrove. È il mondo delle Willi di Giselle, delle creature eteree che seducono e annientano, delle figure in bilico tra bellezza e morte. Qua e là affiora persino un’eco lontana di Petruška: sberleffi ormai filtrati, quasi un ricordo di gioventù. Valčuha mette in rilievo la brillantezza della scrittura orchestrale, ricchissima di colori, e l’orchestra risponde con morbidezza e slancio.

Dopo l’intervallo, la scena cambia nuovamente. L’orchestra torna in formato romantico, minime le percussioni e assenti le tastiere richieste nella prima parte del programma: è il segno che si entra nel territorio della Sesta Sinfonia Patetica di Čajkovskij, la più celebre e la più enigmatica del compositore russo. Valčuha sceglie un approccio che scava nella partitura senza indulgere al melodramma. L’incipit del primo movimento, tenue e cupo, appare particolarmente desolato, con dinamiche trattenute e una tavolozza sonora di grande sobrietà. Il successivo Allegro non troppo, con i suoi continui cambi di tempo, crea una sensazione di instabilità emotiva quasi patologica che il direttore rende con grande lucidità.

I due movimenti centrali, un valzer apparentemente rasserenante e un terzo tempo costruito su un tema di marcia sempre capace di strappare applausi anticipati (puntuali anche questa volta), non dissolvono del tutto la tensione sotterranea. E quando arriva il finale, l’Adagio lamentoso, la sinfonia rivela tutta la sua radicalità: un lento conclusivo che è quasi un addio al mondo, scritto da Čajkovskij appena nove giorni prima di morire. Valčuha evita i toni tragici estremi e sceglie una linea più moderna, fatta di trasparenze, dinamiche sottili, colori pastello e un’attenzione particolare alle pulsazioni ritmiche. Ottima la prova del timpanista Biagio Zoli, essenziale nel dare corpo alla drammaturgia interna del pezzo.

Ne emerge un Čajkovskij meno romantico del consueto e sorprendentemente vicino a un gusto mahleriano, proiettato verso il Novecento. Una chiusura intensa e misurata per una serata che ha saputo attraversare, con coerenza e leggerezza, tre mondi musicali lontani ma legati da un unico filo: la capacità della musica di raccontare ciò che le immagini – cinematografiche, coreografiche o sinfoniche – solo suggeriscono.

“Il Codice del Dáimon”, per la stagione “Iperspazi” di Fertili Terreni Teatro

Per “Iperspazi”, stagione 2025-2026 di Fertili Terreni Teatro, a San Pietro in Vincoli, da martedì 16 a domenica 21 dicembre alle 19.30, andrà in scena “Il Codice del Dáimon”, liberamente ispirato a “Il codice dell’anima” di James Hillman, diretto da Domenico Castaldo. Interpreti lo stesso Domenico Castaldo, Marta Laneri, Zi Long Yng, Marianna Rebellato, con la partecipazione di Camilla Bernardi, Mattia Gimigliano, Shuya Lu Gua, Meike Müller, e Alessandro Galeano per la drammaturgia. Le scene e i costumi sono di LabPerm Light, il designer Davide Rigodanza.

Le repliche dello spettacolo si inseriscono all’interno del programma “ORA” di Ama Factory e LabPerm, vincitore dell’avviso pubblico “Circoscrizioni, che spettacolo….dal vivo! 2025”.

La nuova produzione del collettivo torinese LabPerm, diretto da Domenico Castaldo, prende forma da un prolungato lavoro di studio teatrale attorno alla psiche, o vocazione umana, ghianda o dáimon che, per gli ideatori del progetto, si afferma attraverso una straordinaria forza emotiva, direttamente sprigionata dall’interpretazione dei performer. Ne “Il Codice del Dáimon”, in maniera neanche troppo velata, il testo dello psicanalista James Hillman accompagna lo spettacolo con le sue Auguste riflessioni sulla necessità della psiche di manifestarsi nella vita di ognuno di noi. Nel saggio si utilizzano diverse biografie straordinarie per esemplificare come il Dáimon abbia influenzato la loro esistenza e quella delle persone che ne vennero in contatto. Che cos’è realmente il Dáimon? La risposta a questa domanda si potrebbe definire come “forza istintuale”, che muove l’uomo oltre le influenze sociali e genitoriali”.

Da queste premesse, LabPerm ha costruito uno spettacolo che, a partire dai momenti eccezionali delle biografie dei performer, permette di incarnare il Dáimon personale in una figura archetipica. Davanti allo spettatore prenderanno forma Arianna di Creta, un principe decaduto, una santa folle e altri personaggi. Epifanie che aiuteranno il pubblico a immergersi nella narrazione e riconoscere il proprio Dáimon, strumento essenziale e potente alleato nel coltivare l’anima, la psiche, l’invisibile, parte imprescindibile della nostra vita quotidiana.

Biglietti: intero 13 euro se acquistato online / 15 euro in cassa la sera dell’evento. È possibile lasciare il biglietto sospeso tramite donazione online o satispay, e di entrare gratuitamente per gli under 35 grazie ai biglietti messi a disposizione grazie alla collaborazione con Torino Giovani.

www.fertiliterreniteatro.com

Mara Martellotta

Rejoice Gospel Choir, Natale è vicino!

REJOICE GOSPEL CHOIR
in concerto con “Re-Load”
Direttore Gianluca Sambataro
Mercoledì 17 Dicembre 2025 – ore 21
Chiesa di Santa Pelagia – via San Massimo 21
Non è Natale senza musica Gospel..Protagonista della serata,ultima dell’anno all’interno della rassegna “Contatti Sonori”, sarà il Rejoice Gospel Choir, diretto da Gianluca Sambataro. La formazione unisce la potenza del gospel afroamericano alle sonorità dello swing, del pop e del jazz, portando sul palco uno spettacolo ricco di suggestioni: dal groove intenso del gospel americano alle linee melodiche più dolci.
Il loro repertorio abbraccia suggestioni che spaziano dal groove energico del gospel americano (Kirk Franklin, Kurt Carr) alle linee melodiche del gospel europeo, ma negli ultimi anni il gruppo ha inoltre arricchito le proprie esibizioni con brani di artisti internazionali dei generi pop, musical e rap, rivisitati in chiave gospel con testi e arrangiamenti originali.
Lo spettacolo offre  ma un vero e proprio viaggio, fatto di atmosfere coinvolgenti e di emozioni profonde.
GD

La ferocia, dietro le normali pareti di casa

Sino a domenica 14 dicembre, nella sala dell’Astra

Nell’ambito della stagione allestita dal direttore e regista Andrea De Rosa per il TPE / Teatro Astra, credo che “La città dei vivi” sia lo spettacolo teatrale maggiormente emblematico di quella “idea di identità e delle sue trasformazioni”, riflesso di una umanità in via di disfacimento e di una società in continua trasformazione, radice del più bieco pessimismo, che percorrerà il triennio in cui ci siamo avviati, prima domanda della lunga fila di quante possono sorgere: “che cosa diventano le persone quando si trovano ad affrontare esperienze estreme”. Non più persone né fantasmi ma semplicemente “mostri”. Esseri – ancora umani? – che travalicano i limiti delle nostre comuni aree di normalità per divenire qualcosa di inconsueto, di abnorme, di assolutamente diverso, eroi o assassini essi siano, nelle sfere del bene e del male. Sono i mostri che hanno il potere di sconvolgerci, che si mettono dritti davanti a noi, con forza e prepotenza, che ci terrorizzano “ma che non possiamo ignorare perché ci costringono a guardare come in uno specchio l’immagine di cosa potremmo diventare.”

Il mostro è il riflesso di una società voyeuristica, che scrolla le spalle, posta una storia su Instagram, si annoia a morte”, aggiunge Ivonne Capece che adatta (ben presente a commento la sequela dei video, con attori a essere una sorta di coro) e dirige “La città dei vivi” traendolo liberamente dal romanzo – per chi scrive queste note uno dei più “belli” letti in questa ultima manciata d’anni, se quel termine non sviasse tutto il marciume e l’angoscia che ci sono in quelle pagine – dato alle stampe nel 2022 da Nicola Lagioia, a riscrivere l’omicidio avvenuto nel marzo di sei anni prima in un caseggiato romano al Collatino, anonimo, eguale a tanti, del poco più che ventenne Luca Varani – era nato a Serajevo, adottato in Italia, studente di scuole serali e un aiuto per il padre nella vendita di dolciumi, una fidanzata e una doppia vita di prostituzione maschile, che contattato una sera mercanteggia tra i cento e i centocinquanta euro, è ospitato drogato seviziato colpito con un martello e un coltello, ripetutamente, un centinaio di colpi, martoriato -, ad opera di Marco Prato e Manuel Foffo – trentenni, due ragazzi apparentemente “normali” ma con l’idea di uccidere una persona per “vedere l’effetto che fa”, due buone famiglie alle spalle, quello, laurea in scienze politiche, omosessuale e organizzatore di eventi gay a Roma, da tempo affetto da HIV e da disturbi bipolari, il suicidio nel carcere di Velletri, la testa ficcata in un sacchetto di plastica, il giorno avanti l’inizio del processo, nel giugno del ’19; questo, capace di ripulire sommariamente la scena del crimine e di andare il giorno dopo al funerale dello zio, di fare in macchina le prime confessioni al padre, poi le parole dolorose all’avvocato e agli inquirenti, le ammissioni, le storie di devianze e di ricatti, di paure, di spasmodico uso di cocaina. Nella cancellazione totale della lucidità: davanti alla quale, tuttavia, il pubblico ministero non potè non sottolineare come “davanti a condotte criminali come questa oggetto del processo è difficile credere che possano essere commesse da un umano. Il polimorfismo da cui è affetto Foffo, né l’intossicazione cronica da alcol, giustificano l’accaduto”, aggiungendo che con quei fatti si era toccato “l’abisso umano”.

Già “La ferocia”, Premio Strega, romanzo precedente di Lagioia, era approdato in palcoscenico. Oggi Capece affronta con “La città dei vivi” questo enorme quanto assurdo, disturbante magma di violenza e lo rende con una mirabile lucidità, in cadenze, calibrature, in una scrittura che eccelle nella descrizione di una Roma che si fa universale (riflessa nella scenografia di Rosita Vallefuoco, fatta di ruderi senza valore, dove anche il Giulio II di Raffaello è ormai posto a rovescio), forse autentico “caput mundi” in negativo, in quella polvere bianca che cade da ogni parte e ristagna, nei racconti e nelle esasperazioni, nei fallimenti, nella ricerca edonistica, nel fascino cieco, nei rapporti di incessante violenza e in quelli più intimi tra padri e figli, nel desiderio di spiegare sempre più a fondo quanto sia successo con l’introduzione della figura dell’autore, senza eccedere in quella ragnatela di voyeuristico che sarebbe in agguato e ucciderebbe ben altre problematiche che sono alla base di quel fatto di cronaca. Una stagione all’inferno, radicata, nera, duratura, che coinvolge pesantemente non soltanto quel nucleo di morti e di morte ma altresì la società intera, i vivi forse soprattutto, l’intero atomo opaco del male, irrimediabile, quella che vive tranquillamente dietro le pareti di case confortevoli e di famiglie rispettabili. Non soltanto narrazione: ma pretesa confessione di tutti, scavo che non vorresti mai eseguire, sino a diventare una “ossessione esistenziale”, “un’autopsia interiore” che tutto finisce per coinvolgere. Roma che è diventata caos e pseudo normalità, accettazione e indifferenza, lo specchio ben più ampio della “ferocia”, il lampo di un attimo e la quotidianità che riprende a scorrere. “Fare arte significa misurarsi con un abisso, senza la certezza di uscirne indenne”, aggiunge in ultimo quella che innegabilmente diventa la coautrice.

Il successo incondizionato della serata non potrebbe essere tale senza l’apporto dei quattro interpreti – Sergio Leone, Daniele Di Pietro, Pietro De Tommasi e Cristian Zandonella -, pronti a una inconsueta partecipazione, a una immedesimazione che a tratti è capace di mettere i brividi, a coinvolgere, a porre il pubblico davanti a colpe e momenti bui e situazioni che non hanno rimedio.

Elio Rabbione

Nelle immagini di Luca Del Pia, alcuni momenti dello spettacolo.

“Una Vita per il Jazz”

Domenica 14 dicembre dalle 20.30 al Conservatorio G. Verdi, concerto: “Una Vita per il Jazz” , Memorial Sergio Ramella, Concerto Benefit. Giunto alla seconda edizione, vuole ricordare la figura di Sergio Ramella, colui che da grande appassionato di jazz, ha portato a Torino e non solo i più grandi musicisti della storia del Jazz. I giovani di “To Young To Jazz” insieme ai musicisti del jazz piemontese, suoneranno oltre che per ricordare Ramella, anche per finanziare una borsa di studio per un giovane talento del corso di jazz al Conservatorio. La serata sarà presentata da Edoardo Fassio. Sul palco del conservatorio si alterneranno : Limen Collective di Fabrizio Leoni e Alessandro Soro, Trio Careful di Sonia Infriccioli, Mattia Basilico Quartet, Dario Caiffa Quartet, Mashkatarìa Quartet di Caterina Graniti. Special Guest : Nico Morelli, Gianpaolo Petrini, Alfredo Ponissi, Emanuele Sartoris, Marco Tardito, Luigi Tessarollo. L’ingresso è su donazione (a partire da 10 euro). Tutto il ricavato andrà a finanziare borse di studio per giovani musicisti e anche la rassegna To Young To Jazz.

Pier Luigi Fuggetta

“Padre, mostramelo ancora”

Music Tales, la rubrica musicale

Negli ultimi giorni circola online un misterioso brano attribuito a Pink e Lady Gaga, intitolato Forgive Me Father.
Video su YouTube, post sui social e clip rielaborate dai fan hanno alimentato l’idea di una collaborazione che avrebbe del clamoroso.
Ma c’è un problema: la canzone, a quanto pare, non esiste davvero.
Non compare nelle discografie ufficiali, né nelle piattaforme di streaming,
né in alcuno degli annunci delle due artiste.
Ed è proprio da qui che nasce un’inquietudine profonda: com’è possibile che qualcosa di non reale sembri così convincente da confonderci? Perché una parte di me, e forse di chiunque si imbatta in questi contenuti, si ritrova davvero spaventata dal non riuscire più a distinguere ciò che è autentico da ciò che è costruito.
Pink e Lady Gaga sono due delle figure più riconoscibili e potenti del pop contemporaneo.
La prima, con il suo graffio emotivo e la sincerità brutale, ha costruito un repertorio che parla di ferite, resilienza e verità. Gaga, invece, ha sempre giocato sul confine tra arte e performance, identità e trasformazione, realtà e finzione.
Forse proprio per questo l’idea di un loro duetto ci appare così credibile: la loro stessa arte vive da sempre su quel confine dove tutto potrebbe essere vero e tutto potrebbe essere messo in scena.
Eppure “Forgive Me Father” non risulta da nessuna parte. Non esiste un comunicato, non esiste un’uscita digitale, non esiste una conferma. È una sorta di miraggio pop: una canzone desiderata, immaginata, costruita dagli algoritmi o dai fan, ma non registrata da loro.
Paradossalmente, proprio il fatto che la canzone sembri reale anche se non lo è la rende ancora più significativa.
Forgive Me Father,per come è immaginata nei montaggi online, parla di colpa, confessione, liberazione.
Un tema che risuona con la sensibilità di entrambe le artiste.
Ma il vero significato, oggi, sembra riguardare noi ascoltatori:
quanto siamo vulnerabili di fronte a un contenuto che ci appare perfettamente plausibile, perfettamente costruito, ma completamente privo di radici nel reale?
Questa vicenda lascia una sensazione inquietante: viviamo in un tempo in cui la realtà è diventata fluida, manipolabile, riscrivibile con pochi click.
Video deepfake, audio ricostruiti, grafiche persuasive, titoli pensati per attirare attenzione… tutto può sembrare autentico, persino un brano mai registrato da due star mondiali.
Ed è qui che nasce la mia paura:
se non riusciamo più a riconoscere cosa è vero e cosa no, cosa diventerà di noi come ascoltatori, come cittadini, come persone?
L’informazione si sfilaccia, la fiducia si sbriciola, e ogni contenuto diventa un enigma da decifrare.
Forgive Me Father non esiste, ma il suo “fantasma” racconta perfettamente l’epoca in cui viviamo: un mondo dove tutto può essere simulato, replicato, imitato… fino a sembrare reale.
Forse, alla fine, il titolo stesso diventa una metafora:
“perdonaci Padre, perché abbiamo esagerato, perchè non sappiamo più vivere nel “qui ed ora” perchè non sappiamo più distinguere il vero dal falso”.
E questa consapevolezza, a me, oggi, fa paura. Paura vera.
“Ciò che è reale non è mai, se non per un istante, a un solo livello di realtà.”
  Michel Foucault
CHIARA DE CARLO
scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!
Ecco a voi gli eventi da non perdere

La poesia si fa rito: torna Atti Impuri con il Groovy Soup Collettive  

Sabato 13 dicembre, alle 20, l’Off Topic Cubo di Torino (via Giorgio Pallavicino 35) accende i riflettori su “Atti Impuri Poetry Slam & Groovy Soup Collettive”, una jam poetica e musicale che celebra la parola come atto collettivo, vivo e performativo.

Cuore della serata sarà “Atti Impuri”, una poetry slam che riunisce alcune delle voci e delle performance più interessanti della scena italiana, tra poesia performativa e improvvisazione. Un’arena in cui i versi diventano gesto, ritmo ed energia condivisa, trasformando ogni testo in un’esperienza scenica capace di coinvolgere il pubblico come parte attiva del rito poetico.

Con loro sul palco ci saranno i Groovy Soup Collettive, realtà nata nel 2023 e già forte di 14 musicisti provenienti da percorsi e scene differenti. Una formazione fluida che ha fatto dell’improvvisazione il proprio DNA: ogni performance nasce sul momento grazie al linguaggio di conduzione ritmo con señas, un metodo che intreccia musica, danza e ritualità in un’unica trama sonora.

Il collettivo si esibisce sia al completo sia in formazioni ridotte, alternando concerti a laboratori dal vivo che permettono ai musicisti di sperimentare nuove modalità creative e avvicinarsi a forme di espressione musicale inedite. Il risultato è sempre un’esperienza vibrante e profondamente partecipata, in cui l’innovazione prende forma nota dopo nota.

Valeria Rombolà

Torna in scena Novecento di Alessandro Baricco

Per la regia di Gabriele Vacis con gli artisti e le artiste di PoEM

Martedì 16 dicembre, alle 19.30, al teatro Gobetti, tornerà in scena Novecento di Alessandro Baricco, per la regia di Gabriele Vacis e interpretato per tre decenni da Eugenio Allegri, per il quale il monologo era stato scritto.

Ora si tratterà di una lettura corale che vedrà in scena Pietro Maccabei, Enrica Reabudo, Letizia Russo, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera e Gabriele Vacis. Scenografia e ambienti sono di Roberto Tarasco, il suono di Riccardo Di Gianni. Lo spettacolo è prodotto dal teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale in collaborazione con PoEM, impresa Sociale Potenziati Evocati Multimediali. Sarà replicato fino a domenica 4 gennaio prossimo. Benny Boodmann, T.D. Lemon Novecento, pianista geniale e imprevedibile, cresce e vive sul transatlantico Virginian. Misterioso, libro irresistibile, lascia il mondo a bocca aperta scegliendo di non scendere mai dalla sua nave. Oggi il personaggio rivive in una rilettura corale con gli artisti e le artiste di PoEM. Le scenografie di Roberto Tarasco accompagnano ogni passaggio, mentre la musica che ha reso celebre la storia è la stessa e continua a incantare. Novecento cresce, esiste nel mate della musica in un viaggio emozionante, senza fine, che ha coinvolto migliaia di persone in tutto il mondo.

Teatro Gobetti – 16 dicembre 2025/ 4 gennaio 2026

Il 16, il 18 e il 20 dicembre ore 19.30/ il 17 e 19 dicembre ore 20.45/ domenica 21 dicembre ore 16/ dal lunedì 22 a giovedì 25 dicembre riposo/ venerdì 26 dicembre e sabato 27 dicembre, lunedi 29 e martedi 30 dicembre ore 19.30/ domenica 28 domenica, domenica 4 gennaio e giovedì 1 gennaio ore 16/ la recita di mercoledì 31 dicembre è fuori abbonamento e si terrà alle 20.30/ venerdì 2 gennaio ore 20.45.

Biglietteria: teatro Carignano, piazza Carignano 6, Torino / 011 5169555 / 800 235333/ biglietteria@teatrostabiletorino.it

Mara Martellotta

Il rock degli anni Sessanta e Settanta al Cineteatro Baretti

Il rock degli anni Sessanta e Settanta, con le emozioni che suscita, è protagonista di un doppio appuntamento il 10 e l’11 dicembre, alle ore 21,sul palcoscenico del teatro Baretti, con lo spettacolo “On Air”, scritto e con la regia di Andrea Murchio. Gli interpreti sono Alessia Olivetti, nei panni della musa Linda, e Eugenio Gradabosco. Lo spettacolo, teatrale e musicale insieme, racconta la storia di Rick Bradley, provocatorio stand up comedian, con la passione e quasi il vizio della musica. Alessia Olivetti e Eugenio Gradabosco, attraverso la musica, accompagnano il pubblico in un viaggio che fa rivivere l’atmosfera degli anni Sessanta e Settanta, con gli eventi essenziali e i protagonisti di quel periodo storico irripetibile: la morte di Martin Luther King, la guerra in Vietnam, la contestazione del ’68, la famiglia Manson, l’empeachment del Presidente Nixon. Questi avvenimenti sono accompagnati dai grandi pezzi degli artisti che dominarono le classifiche di quegli anni, quali i Beatles, i Beach Boys, i Doors, Bob Dylan. A suonare questi pezzi sono Claudio Nicola al basso, Francesco Brancato alla batteria, Alfredo Ponissi al sassofono, Guido Bartalesi alla chitarra, Frank Polacchi al pianoforte e la vice di Sandra Pettiti. Lo show è in ricordo di Andrea Murchio e Rosa Mogliasso.

Cineteatro Baretti – via Giuseppe Baretti, 4

Biglietti 14 euro intero – 12 euro ridotto

Mara Martellotta