SPETTACOLI- Pagina 2

Note di Classica: Martha Argerich, Robert Trevino e il duo Isaia-Kaihara, le “stelle” di febbraio

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Sabato primo febbraio alle 18, al teatro Vittoria per l’Unione Musicale, Caterina Isaia violoncello e Yukino Kaihara pianoforte, eseguiranno musiche di Beethoven, Britten, Piazzolla. Domenica 2 alle 16.30 al teatro Vittoria, il Duo Evocaciones eseguirà musiche di Granados, Albèniz, Cassadò, Falla.

Mercoledì 5 alle 20.30, al Conservatorio per l’Unione Musicale, Christian Gerhaher baritono, Tabea Zimmermann viola e Gerld Huber pianoforte, eseguiranno musiche di Schumann, Rihm, Fuchs, Kuràg, Schoeck, Brahms. Giovedì 6 alle 20.30 e venerdì 7 alle 20, all’Auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Andrès Orozco-Estrada, eseguirà musiche di Sostakovic. Venerdì 7 alle 20.30 per I Pianisti del Lingotto, nella Sala 500 , il pianista Leif Ove Andsnes eseguirà musiche di Grieg, Janàcek, Chopin. Martedì 12 alle 20.30 per Lingottomusica all’Auditorium Agnelli, l’Orchestre Philharmoniqhe de Monte-Carlo diretta da Charles Dutoit e con Martha Argerich al pianoforte, eseguirà musiche di Ravel e Musorgskij. Mercoledì 12 alle 20.30 al Conservatorio, Massimo Quarta violino, Enrico Dindo violoncello e Pietro De Maria pianoforte, eseguiranno un programma tutto dedicato a Ravel. Giovedì 13 alle 20.30 e venerdì 14 alle 20 all’Auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Robert Trevino, eseguirà musiche di Mahler. Sabato 15 alle 18 al teatro Vittoria, Andrea Scapola violino con Antonio Valentino, eseguirà musiche di Paganini. Lunedì 17 alle 20 al teatro Vittoria per l’Unione Musicale, l’Ensemble Terra d’Otranto, eseguirà un programma dal titolo “Tarantulae, Antidoti e Follie”. Mercoledì 19 alle 20.30 al Conservatorio per l’Unione Musicale, il Quartetto Jerusalem con Sharon Kam clarinetto, eseguirà musiche di Mozart, Sostakovic, Brahms. Giovedì 20 alle 20.30 e venerdì 21 alle 20, all’Auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Marc Albrecht e con Marie-Ange Nguci al pianoforte, eseguirà musiche di Richard Strauss. Martedì 25 alle 20 al teatro Vittoria, Daniele Di Gregorio percussioni ed elettronica, eseguirà il “concerto per marimba e computer” . Il concerto sarà preceduto alle 19.30 dall’aperitivo. Giovedì 27 alle 20 al teatro Regio, debutto di “Rigoletto” di Giuseppe Verdi. Melodramma in 3 atti. L’Orchestra del teatro Regio sarà diretta da Nicola Luisotti. Repliche fino a martedì 11 marzo.

Pier Luigi Fuggetta

Alla ricerca del vero Bob Dylan sbarcato nella Grande Mela

“A complete unknown” di James Mangold sugli schermi

 

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

 

La sua fermata d’autobus fu New York, in quella Grande Mela che era simbolo di grandi fermenti, era il 1961, un paio di jeans e una striminzita giacchetta addosso, il berretto a visiera e una sciarpa a coprire niente, uno zaino sulle spalle e la chitarra nella custodia scura, tra le mani come portafortuna il taccuino delle parole, delle frasi, dei momenti da ricordare, quando il ragazzo Robert Zimmerman aveva vent’anni tondi tondi, veniva da Hibbing, città mineraria del Minnesota e aveva già scelto il nome di Bob Dylan. Il suo primo amore era stato il rock’n’roll ma come per una folgorazione si convertì ben presto al folk. Ebbe a scrivere un giorno: “La questione principale a proposito del rock and roll, per me, era che comunque non era sufficiente. Sapevo bene, quando mi sono dedicato alla musica folk, che si trattava di una cosa molto più seria. Le canzoni folk sono colme di disperazione, di tristezza, di trionfo, di fede nel sovrannaturale, tutti sentimenti molto più profondi. C’è più vita reale in una sola sola frase di queste canzoni di quanta ce ne fosse in tutti i temi del rock’n’roll. Io avevo bisogno di quella musica.” Sino al tradimento, di quella stessa musica, soltanto quattro anni dopo, sino alla svolta “elettrica”, sino a quel mese di luglio quando al Newport Folk Festival Dylan tornava a partecipare e alle note di quella musica un pubblico ostile lo aveva sonoramente fischiato. Lui abbandonò il palco e se ne andò via. Mentre sentiva qualcuno gridargli alle spalle “giuda!”. Tra un arrivo e una fuga – non più la parcellizzazione di un unico personaggio visto e scomposto nello sguardo di sei diversi attori come in “I’m Not There” di Todd Haynes, Leone d’oro veneziano nel 2007 – quattro soli anni di vita, il ritratto di un ventenne nella ricerca quotidiana della sua strada, delle parole e delle note, della chitarra e dell’armonica a bocca, delle insicurezze e dei cedimenti, dei sentimenti instabili e distruttivi, in questo “A complete unknown” che James Mangold ha scritto, con alla base la biografia “Dylan Goes Electric!” di Elijah Wald, e diretto con estrema esattezza e di cui Timothée Chalamet s’è innamorato e ha voluto fortemente sino a diventarne coproduttore: con la più piena benedizione del cantante se le cronache ci dicono che, alla fine dei tanti incontri di lettura della sceneggiatura fatta a due voci, il regista sentiva di fronte a sé un sonoro quanto convinto “vai con Dio”. Il primo incontro è con il suo idolo Woody Guthrie – cantore della Grande Depressione, anche lui ha il suo passato cinematografico: sta ancora nella memoria di qualcuno il vecchio “Questa terra è la mia terra” del ’76 e firmato da Hal Hashby? -, in un letto d’ospedale per il morbo di Huntingdon che gli impedisce di parlare, e in quella stessa stanza l’amicizia e l’interesse del musicista Pete Seeger (un ottimo Edward Norton, entrato di diritto nella cinquina degli Oscar come migliore attore non protagonista, una delle otto candidature del film), che lo prende sotto la sua ala protettrice, proprio lui anima di quel folk. Sono le serate nei piccoli locali del Village, sono il primo album e il primo incontro con Joan Baez, è l’inizio della relazione con Sylvie Russo (che adombra la vera Suze Rotolo, prima musa ispiratrice di Bob, fatta di passioni artiche e movimenti di protesta), capace di guardare in avanti, in una relazione una lunga serie di prendi e scappa che alla ragazza fa male al cuore.

Sono soprattutto la prima metà di quei Sessanta in cui l’America kennediana e di Johnson va incontro alle “covert operations” e alle incursioni aeree in Vietnam, al tentativo di rovesciare Castro con l’operazione della Baia dei Porci, all’assassinio di un presidente e all’impegno di Martin Luther King dentro il movimento per i diritti civili e le marce e il Nobel del ‘64: sono gli anni in cui si costruiscono le canzoni dell’impegno civile, con parole del tutto diverse, ma sono anche gli anni dell’oppressione dei fan per cui ti devi all’improvviso rifugiare in taxi e dei contratti e inverosimilmente del dire altro, sotto lo sguardo di Joan (con cui ha altresì una quantomai forzosa relazione), abituata più di lui a restare ben salda e a combattere. Non soltanto l’appoggio di Johnny Cash, ma il suo senso di maggiore libertà forse, forse una innata e inconsapevole o non accettata insicurezza, lo portano ad abbracciare la chitarra elettrica. Serve quell’ultima esibizione di una canzone folk a rimettere in pace se stesso e il suo pubblico? Materia per intenditori, per chi da sempre ha cercato le basi e lo sviluppo di un grande autore, di un grande scrittore, sino all’ultima corona d’alloro, del proprio idolo. E l’appassionato di cinema trova nella scrittura e nella direzione di Mangold un che per cui appassionarsi e darsi un perché di quelle otto nomination? Pur, una volta usciti dal cinema, non rintracciando amore per il personaggio (ma forse è colpa mia), c’è da dire senza se e senza ma, del tutto credibilmente, che il regista “rende”, attraverso i suoi tanti materiali, uno studio approfondito e severo, un affresco corposo di un’epoca che è il primo ad apparire agli occhi, un racconto linearmente corretto esente da santini – sempre nella speranza (da non intenditori) che quelle esposta sia la verità e non la “sua” verità: i reportage, i vecchi documentari convincerebbero di più? o allora già si dovrebbe tornare a Haynes e a quel volto diviso e sfaccettato tra i diversi interpreti? Forse per nostra tranquillità dovremmo aggrapparci a quel che lo stesso Dylan ha scritto un giorno: “L’unica verità sulla terra è che non c’è verità”. È una storia di canzoni – viene il dubbio che siano persino troppe – ma è soprattutto il ritratto di un giovane uomo e delle donne, altrettanto giovani che lo hanno circondato, assistito, amato e fuggito, storia di sguardi d’amore e di rimprovero (anche Monica Barbaro è una delle candidature, ma allora perché non Elle Fanning?), di letti sfatti e di abbandoni e di ritorni mentre il tuo posto è già stato occupato da qualcun altro. È una storia di grande onestà, dove Dylan pone il proprio placet su una personalità controversa, sul cancellare e riprendere legami, su quel tanto di egocentrico che disturba e allontana, su quell’ego e quei sorrisi canzonatori, quell’alterigia e quella sfida a nascondersi al mondo che ne hanno fatto un artista fuori da ogni regola e da ogni etichetta. Ogni atteggiamento dietro quelle lenti scure che lo hanno messo al riparo da tutto e da tutti, da sempre.

All’interno della cornice che rassicura appieno l’appassionato di cinema, l’imperioso punto focale, il punto di centro entro cui immergere (quasi) ogni proprio sguardo, è Timothée Chalamet, che i quattro anni di preparazione al film hanno in primo luogo reso sicurissimo, per nulla intimorito da un progetto che poteva essere considerato oltre la portata di chiunque, capace di cantare le canzoni “di” Dylan “alla” Dylan, con una sigaretta perennemente tra le dita e gli sguardi e il fraseggio del viso e l’attenzione estrema dei più intimi momenti e i rapporti con gli altri, con gli amori di una gioventù e con i suoi mentori in primo luogo, senza dimenticare la grande, variopinta carovana che tenta di guidarlo e piegarlo, tutto ce lo fa sembrare un Dylan che va dritto (calmiamoci: rasenta?) alla perfezione, l’attore che avverte ogni momento della scena sulle proprie spalle ed è pronto ad affrontare il rischio e scava e vuole arrivare alla radice e alle cause di ogni cosa.

IN.CON.TRA a Torino. La Danza diventa inclusiva e vicina alla comunità

Due appuntamenti imperdibili del progetto

 

Nell’ambito del progetto IN.CON.TRA, vincitore dell’avviso pubblico “Torino che cultura!” promosso dalla Fondazione Egri per la Danza, dal Balletto di Torino e da Guitare Actuelle, si svolgeranno due straordinari appuntamenti dedicati alla danza e alle arti performative.

IN.CON.TRA è l’innovativo progetto triennale che, affiancandosi a Danza oltre le Barriere 3.0, si pone come scopo quello di trasformare Torino in un palcoscenico a cielo aperto, avvicinando le arti performative ai cittadini. Il progetto ruota intorno alle sedi dei soggetti promotori, i quartieri Crocetta e Aurora, e si propone, attraverso il lavoro di due contesti profondamente diversi, di ridurre le distanze tra artisti e comunità, favorendo il benessere attraverso esperienze artistiche immersive.

Presso il laboratorio Coreografico della Compagnia EgriBiancoDanza, in via G. G. Vico 11, venerdì 31 gennaio, alle 20.45, si terrà un appuntamento speciale in apertura di serata in cui il pubblico potrà scoprire AFED, il nuovo incubatore di talenti della Fondazione Egri, che presenterà un estratto del repertorio della compagnia. A seguire un nuovo incontro con il progetto “Cercare la bellezza”, dove il pubblico avrà l’opportunità di assistere in anteprima alla creazione ‘M’illuminò d’immenso’, ispirata al celebre verso ungarettiano. Durante questa serata unica il pubblico sarà parte attiva del dialogo con i danzatori, contribuendo al processo creativo.

Il 7 febbraio, alle 20.45, presso la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, andrà in scena ‘Ring of Love’, spettacolo multimediale che esplora le infinite sfumature dell’amore attraverso Danza, musica dal vivo e canto. Con le coreografie di Raphael Bianco , lo spettacolo si snoderà sulle musiche di grandi artisti quali David Bowie, Radiohead, Amy Winehouse e altri, portando in scena una riflessione potente su relazioni umane e intimità.

Per informazioni e biglietteria

biglietteria@egridanza.com 3664308040

 

Mara Martellotta

“Condominio mon amour” con Daniela Cristofori e Giacomo Poretti

Venerdì 31 gennaio, ore 21

Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

 

 

 

Daniela Cristofori e Giacomo Poretti in “Condominio mon amour” si cimentano in una moderna pochade, una commedia brillante dal ritmo incalzante che affronta l’immensa confusione che vive oggi il mondo del lavoro.

Da oltre trent’anni, il vecchio custode Angelo svolge il proprio lavoro con dedizione presso la portineria di un condominio della “Milano-bene”. Chiama gli inquilini per nome, si occupa della spesa dell’anziano Gaspare e delle paturnie della Signora Biraghi. Custodisce le loro chiavi e i loro ricordi. Quand’ecco che irrompe nella sua vita un imprevisto. Caterina, un’affascinante signora attraversa di volata l’atrio, spalanca la porta d’ingresso e si para di fronte a lui per annunciargli che… è licenziato. La sua presenza non è più richiesta e verrà presto sostituito da un’App! Un’App?! Gli azionisti parlano chiaro: bisogna capitalizzare, fatturare e quindi automatizzare.  Tuttavia, il buon Angelo non è tipo da farsi intimidire e punta i piedi, in una lotta per la sopravvivenza senza esclusione di colpi.

L’atrio del condominio si trasforma, d’incanto, in una scacchiera. Ogni giocatore muove i propri pedoni cercando di prevalere sull’altro, ricama le proprie strategie per restare a galla in questa folle corsa chiamata “progresso”. Chi vincerà la partita? Lo spettacolo racconta, in un susseguirsi di situazioni comiche e poetiche a ritmo incalzante, l’immensa confusione che vive oggi il mondo del lavoro. Il lavoro, un mostro a mille teste, tra orari impossibili, nuove e paradossali occupazioni e, sempre più spesso, perdita di contatto con la realtà. In questo mondo incontriamo la giungla degli inglesismi tra rider, smart working, pet sitter, media manager e chi più ne ha più ne metta. Ultimo e non ultimo il grande Convitato di pietra: l’intelligenza artificiale, una sorta di fantasma che sembra un giorno dover seppellire ogni relazione umana e ogni capacità critica. Il tutto è raccontato dal punto di vista di Angelo e Caterina. I due si scambiano di continuo i ruoli di vittima e carnefice, in un piccolo condominio, spaccato rappresentativo della nostra vita di ogni giorno.

Info

Teatro della Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

Venerdì 31 gennaio, ore 21 (sold out)

Condominio mon amour

Di Daniela Cristofori, Giacomo Poretti, Marco Zoppello

Con Daniela Cristofori, Giacomo Poretti

Regia Marco Zoppello

Scenografia Stefano Zullo

Costumi Eleonora Rossi

Disegno luci Matteo Pozzobon

Musiche originali ed effetti sonori Giovanni Frison

Assistente alla regia Irene Consonni

Produzione Teatro de Gli Incamminati, con il sostegno di GiGroup

Biglietti: intero 22 euro + ridotto 20 euro

www.teatrodellaconcordia.it

011 4241124 – info@teatrodellaconcordia.it

Serata di introduzione alle danze celtiche con il Gruppo Triskel

Venerdì 31 gennaio il LabGraal e Ecospirituality Foundation organizzeranno al CLUB del Garage di Arte & Cultura una serata di introduzione alle DANZE CELTICHE.

Sarà occasione per conoscere belle persone e meravigliosi musicisti, incontrare ritmi e suoni, passi e movimenti non molto usuali per chi vive nella modernità disorientante di questo inizio XXI secolo.

Chi è alla ricerca di altri ritmi e dimenticate emozioni, grazie a Gruppo di danza Triskel non sarà deluso dalla serata.

Queste danze sono ancora in uso presso le ultime culture celtiche ‘operative’ del nostro continente, e principalmente in Galles, Bretagna e Scozia.

DANZE CELTICHE con il Gruppo di Danza Triskel
Workshop a cura di Mirella Zamboni Daniela Giraudo con coinvolgimento del pubblico.
Presenta Rosalba Nattero, vocalist LabGraal

Sanremo 2025, un grande festival: chi vincerà?

Prima che inizi il Festival di Sanremo 2025 vorrei raccontarvi come si svolgerà l’evento, prendete nota e verificate se veramente avverrà come prevedo…

Complimenti alla società organizzatrice dell’evento, una Società in Accomandita Semplice, la BRUNORI SAS.

La viglia, sfilata di tutti i cantanti lungo i CORSI della città fiancheggiati da alti alberi con iRAMA pieni di germogli di tutti i KOLORS. Il corteo sarà preceduto da una Rolls Royce con pneumatici MICHIELIN, elegante e raffinata, e sarà chiuso da un grande carro allegorico con l’Arca di NOEmi.

La serata comincerà con una cantante allegra e GAIA che canterà “Acqua azzurra, acqua CLARA”, una cover di Lucio Battisti (e sembra ranIERI che la cantava il grande Lucio…). Una canzone molto BELLA con romantiche mELODIE che farà scaldare subito l’Ariston.

Seguirà una cantante esordiente, assolutamente sconosciuta (anche Carlo Conti si è chiesto: “Ma KILLA conosce?”) che per l’emozione avrà le gambe mOLLY.

Intervallo nella gara con un ospite straniero dal nome importante, tal JOSHUA (in ebraico, Giosué!), che però, contrariamente al nome, è ateo, senza FEDEZ, e addirittura bestemmia spesso lanciando terribili CRISTIcchi.

Si riprenderà con un’altra giovane speranza, che si esibirà con uno splendido abito alla MODA’ ed un grosso mazzo di ROSE VILLAIN in braccio.

Piccolo intervallo con la proiezione di un cartone animato con Bipbip ed il suo inseguitore WILLIE PEYOTE che non lo acchiappa mai…

A seguire un gruppo sgangherato, guidato da un truzzo che fuma un puzzolente sigaro TOSCANO e con una vistosa macchia di HUNT sulla camicia.

Piccolo incidente in sala: salterà la luce, il pubblico BRANCALA nel buio, purtroppo un anziano sarà colpito da COMA (cose), e trasportato d’urgenza in ospedale.

Alla ripresa dello spettacolo, nuovo ospite straniero (conosciamo solo il suo codice fiscale, RKOMI), che canterà l’indimenticabile GIORGIA on my mind.

Il vincitore (conosco il nome, ma non posso rivelarlo) sarà premiato con una corona di LAURO; qualcuno per l’invidia masticherà fiele e THIELE. Inutile: passata la festa, GABBANI lo Santo…

Buona visione a tutti!

 Gianluigi De Marchi – demarketing2008@libero.it

Dentro il Museo Egizio non soltanto arte, ma anche musica con il Club Silencio

Sarà un’esperienza da ricordare quella organizzata dal Club Silencio al Museo Egizio, dove approda il 30 e 31 gennaio, in via Accademia delle Scienze, con due appuntamenti musicali dedicati all’apertura serale straordinaria. Le Notti Egizie, l’apertura serale del Museo a partire dalle 19.30, permetteranno di visitare la straordinaria collezione di uno dei musei più importanti al mondo in orario serale. Con il Club Silencio le Notti Egizie si prolungheranno e non si tratterà soltanto di una visita guidata tra mummie e reperti del gioiello torinese patrimonio internazionale, ma prevederà due appuntamenti musicali. Il primo con Foamnd, pugliese, in sala conferenze, e Chalanga nella Galleria dei Re. Foamnd, classe 1992, si avvicina alla musica a 8 anni, studia chitarra classica e compositori brasiliani, approdando sul palco con le sue canzoni ad appena 15 anni. Negli anni successivi organizza eventi technoambient con il Collettivo CTRLS Sound Academy a Shangai, cui seguono l’apertura a Nina Kravitz e la partecipazione a Great Wall Festival. Di recente si ricorda una sua residenza a Shangai.

Chalanga è un duo nato a Torino nel 2018 dal dj e produttore Patrick Di Stefano e dal polistrumentista Diego Grassedonio. L’idea di fonderie musica elettronica con sonorità acustiche nasce in uno storico locale dei Murazzi. Gli ingredienti miscelati da Chalanga durante le esibizioni live sono percussioni, flauto, sax e drum machine. Hanno suonato nei più importanti festival musicali in Svizzera, Portogallo e Malta, oltre che in Italia. Vi sarà anche uno spazio per l’arte contemporanea, che entra per la prima volta nel museo con le opere dell’ artista emergente Ali Cherri, classe 1976, regista, già vincitore nel 2022 del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia e autore, nel 2024, di “Returning the Gaze”, il progetto artistico creato appositamente per il Museo Egizio, e della giovane Sara Sallam, 1991, nata in Egitto e residente in Olanda. Questa artista è caratterizzata da una ricerca a artistica multidisciplinare dove convergono diverse tecniche quali la fotografia, la scrittura e le videoinstallazioni. Una sua opera, dal titolo “The Sun Weeps for the Land and Calls fron the Garden of Stones” è collocata a chiusura del percorso della Galleria del Re. Un’altra novità sarà data dalle Pillole d’Egitto, lezioni brevi tenute da curatori e curatrici del Museo che ogni venti minuti forniranno al pubblico lezioni in formato di pillola.

 

Mara Martellotta

Se Yeong-hye non mangia più carne…

“La vegetariana”, in scena all’Astra sino a domenica 2 febbraio

“Prima che mia moglie diventasse vegetariana, l’avevo sempre considerata del tutto insignificante. Per essere franco, la prima volta che la vidi non mi piacque nemmeno: quella sua aria timida e giallognola mi disse tutto quello che mi occorreva sapere di lei”. Procede in questa sorta di narrazione dimessa e disillusa il signor Cheong (un dolente quanto ammirevole Gabriele Portoghese, decisamente convincente) nel romanzo “La vegetariana”, pubblicato nel 2007 e da noi per Adelphi nove anni dopo, autrice Han Kang, coreana del sud, recente premio Nobel per la letteratura, e nella trasposizione teatrale che Daria Deflorian (anche regista e coprotagonista) che fatto con la collaborazione di Francesca Marciano – sceneggiatrice di successo, un timido percorso come attrice e poi un repentino cambio di rotta per un procedere di tutto rispetto, suoi compagni di viaggio Salvatores e Verdone e Bernardo Bertolucci, Valeria Golino e Maria Sole Tognazzi e Cristina Comencini, tra gli altri. Narra il signor Cheong, impiegato dalla mediocre e ormai spenta esistenza, narra della moglie Yeong-hye, decisamente tradizionale ma ordinata, anonima e più o meno felice, dopo pochi anni d’unione pressoché invisibile.

In questa nebbiosa quotidianità, l’uomo si sveglia un mattino per scoprire che lei è intenta a svuotare il frigorifero di casa – come lei anonima e vuota, tolti quegli oggetti che l’abiteranno poco a poco, un lercio materasso che è letto e divano, una tivù, due fogli di giornale che imiteranno un tavolo per il pranzo, un sacco di patate rovesciate a terra che la protagonista prenderà nervosamente a sbucciare, un water e una vasca da bagno – dei tanti sacchetti di carne. “Ho fatto un sogno”, è l’unica risposta della donna alla domanda di una spiegazione, e da oggi in poi di carne non ne mangerà assolutamente più. Nemmeno la famiglia di lei può farle cambiare idea, se il padre, che da sempre racconta ad ogni occasione della sua guerra in Vietnam, non trova altra soluzione che schiaffeggiarla e ficcarle dentro la bocca bocconi di maiale che Yeong-hye regolarmente sputa. Una ribellione, un rifiuto a uniformarsi e ad accettare quei codici che regolamentano la vita familiare e non soltanto che la donna è costretta a vivere. Un annientarsi definitivo, una voce femminile che caparbiamente e ferocemente, tentando anche il suicidio, s’oppone pure al cognato (Paolo Musio), imbarazzante videoartista che filma scene di sesso tra due persone a cui prima ha dipinto fiori su tutto il corpo e questo è quello che propone anche a Yeong-hye, in un avvicendarsi di violenze verbali e fisiche. Come s’oppone alla sorella, che sceglie per lei l’ospedale psichiatrico, mentre procede in un dimagrimento spaventoso, ossessivamente. La terza e ultima parte di un vedersi vivere che s’è fatto tragedia è scolpita nelle parole della sorella, separatasi ormai dal marito, che vede Yeong-hye prosciugarsi sempre più, rinunciare a ogni cosa per prendere a comportarsi come un albero, a poggiarsi come un albero, la testa in giù e le palme delle mani ben fisse al pavimento, un albero che ha soltanto bisogno di acqua e che lei va a cercare nel folto di un bosco, durante una fuga che nella sua mente è libertà. La natura e un nuovo rapporto, quello con la sorella che con le continue corse in autobus va a trovarla in ospedale, non più distruzione degli affetti o repressione, ma un legame che forse qualcosa saprà e potrà costruire. Non conoscevo le pagine scritte da Han Kang e questa trasposizione ha il merito di spingermi domani a sceglierle e a farmi iniziare la lettura: e non è poco.

Soggetto non facile e non tranquillo, che provoca imbarazzo e certo disturbante. Perché questa trasposizione, dove il racconto è esposto di volta in volta con il racconto in terza persona dei tre coprotagonisti, nella scena disadorna di Daniele Spanò, un solo quanto vistoso neon, con un serpeggiare di luci e ombre, posto lì da Giulia Pastore a rischiararla dall’alto, suddivisa da indicazioni di luogo e di tempo che danno svolgimento e concretezza all’azione e suddivise cromaticamente attraverso i colori del rosso, dell’azzurro chiaro, del verde, è portatrice di una poesia alta, tutta da ri-ascoltare, da assorbire, tutta in quel corpo rinsecchito, estremamente eloquente, di un linguaggio che nella propria crudezza mantiene quelle aree di ampia universalità che sanno parlare al sentimento. Dentro un mondo diverso, ricomposto. La regia di Deflorian – preferibile all’attrice – accompagna con precisione lo sguardo e la viva attenzione dello spettatore all’interno della vicenda, si carica di particolari, costruisce parole e azioni e minimi movimenti con rara bravura, scandisce con padronanza, ha in Monica Piseddu una protagonista tesa sino allo spasimo, fatta di intime vibrazioni, prosciugata, ammirevolmente disposta a esporsi nei profondi mutismi, entusiasmante in quel duro esempio di fredda carnalità. Serata di successo per un ragguardevole testo, frutto produttivo di Teatro Piemonte Europa con altre realtà italiane e significativamente estere Odéon-Théâtre de l’Europe, Festival d’Automne à Paris e Théâtre Garonne, scène européenne – Toulouse, testo che ben s’ambienta nella stagione “Fantasmi” “inventata” per la stagione odierna da TPE. Allorché il direttore Andrea De Rosa chiese ai vari responsabili come i loro spettacoli convogliassero in quel titolo, Daria Deflorian ebbe a scrivere: “Se per fantasma intendiamo qualcosa, qualcuno, che improvvisamente sfugge alle forme, alla comprensione, si dissolve, cambia, allora nel romanzo di Han Kang il fantasma è lei, è questa donna qualunque, normale, che improvvisamente prima smette di mangiare e poi, via via, rinuncia a tutto.” Un fantasma che abita le case in qualsiasi latitudine, oggi, sempre.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Andrea Pizzalis.

Dal giornalismo “che conta” agli spettacoli per bambini con “Fondazione Mirafiore”

Sarà un ricco fine settimana quello proposto dalla  creatura di Oscar Farinetti

Da venerdì 31 gennaio a domenica 2 febbraio

Serralunga d’Alba (Cuneo)

Nata nel 2010, nel cuore della Langa del Barolo per volontà di Oscar Farinetti, la “Fondazione Mirafiore” prosegue nei suoi incontri dedicati al cosiddetto “Laboratorio di Resistenza Permanente” e tenuti in quel “Teatro” (centro della vita culturale della “Fondazione”, all’interno del “Villaggio Narrante” in Fontanafredda) dove si dice, in maniera ironica ma neanche poi tanto, “essere sempre consigliabile entrare con un bicchiere di buon vino in mano”.

Ricco e di notevole interesse il programma che la “Fondazione” ha messo in piedi per questo fine settimana, ad iniziare da venerdì 31 gennaio (ore 19) quando, ospite di Farinetti, si potrà incontrare Angela Frenda, uno dei nomi più importanti del “giornalismo gastronomico” in Italia. Nata a Napoli, dopo la laurea e il percorso nella “scuola di giornalismo”, nel 1997 Angela intraprende la sua carriera al “Corriere della Sera”, come cronista politica. Ruolo che dopo poco sente starle un po’ stretto, tanto da fondare nel 2014  una redazione del tutto innovativa. Nasce così “Cook”, prima come “sito” e successivamente evoluto in un “Magazine”, mensile del “Corriere” dedicato al cibo e “food editor” del quotidiano di via Solferino, un vero e proprio microcosmo di creatività e competenza, dove Angela e il suo gruppo di giornalisti ridisegnano con intelligenza e passione i confini del giornalismo gastronomico. Non solo. Frenda è anche autrice di numerosi “libri di ricette” ed è una presenza fissa nel programma di Alessandro Borghese “Celebrity Chef”. Recentemente ha pubblicato “Una torta per dirti addio”, opera che ispirerà il suo incontro alla “Fondazione”, dedicata alla figura straordinaria di Nora Ephron (New York, 1941 -2012). Come Angela, Ephron è stata molte cose: giornalista acuta, scrittrice brillante, regista visionaria, sceneggiatrice geniale e umorista con un tocco unico. Basti pensare al suo ruolo di sceneggiatrice di “Harry ti presento Sally”, dove una donna può parlare apertamente di sesso mangiando un panino al “pastrami”, per capire la sua capacità di rompere schemi con grazia e intelligenza.“Con il cibo – scrive Frenda – non raccontava solo storie, ma rispondeva alle crudeltà della vita. Una torta, infatti, non era mai, per lei, un semplice dolce, ma rappresentava un gesto, una risposta, un simbolo. Con una torta al ‘lime’, ha chiuso un matrimonio segnato da lacrime e tradimenti; con una torta alle mandorle, ha lasciato un segno anche dopo la sua morte, facendosi celebrare con dolcezza e ironia”. Ricette “emotive”, molte delle quali sono state incluse nel volume “Una torta per dirti addio” dove, capitolo dopo capitolo, le ricette diventano il filo conduttore di una narrazione che “intreccia vita, sentimenti e sapori”.

E in ambito giornalistico (sempre di alto profilo) si resta anche con Francesco Costa, ospite della “Fondazione” sabato 1° febbraioalle 18,30. Nuovo direttore designato de “Il Post”, Costa è una delle voci più influenti del panorama giornalistico italiano, nonché profondo esperto di politica statunitense. Negli ultimi mesi ha, anche, seguito sul posto, le elezioni presidenziali che hanno visto contrapporsi Donald Trump e Kamala Harris. Durante l’incontro presso la “Fondazione Mirafiore”, Costa approfondirà, quindi, i risultati delle elezioni di novembre, “analizzandone l’impatto sugli equilibri internazionali e offrendo al pubblico una chiave di lettura privilegiata su un momento cruciale della storia americana”. Il suo eclettismo, in campo giornalistico, lo ha portato anche alla ribalta degli schermi televisivi, come autore e volto della miniserie “The American Way” per “DAZN”, e come collaboratore di Giada Messetti alla conduzione di “CinAmerica”, programma di approfondimento politico e culturale andato in onda su “RaiTre”. Dal 2021 è il conduttore di “Morning”, il podcast giornaliero di rassegna stampa prodotto da “Il Post”, che commenta le principali notizie dell’attualità e che ha raccolto quattro premi agli “Italian Podcast Awards” del 2021. Scrittore di successo, ha inoltre pubblicato quattro libri con “Mondadori”: “Questa è l’America” (2020), “Una storia americana” (2021), “California” (2022) e il più recente “Frontiera” (2023).

E, infine, ricordiamo che Febbraio è anche il mese che la “Fondazione Mirafiore” dedica ai bambini e alle loro famiglie: così da domenica 2 a domenica 23 febbraio ogni domenica alle 16,30 si terrà una rassegna gratuita dedicata ai piccoli dai 4/5 anni in poi e che spazia dalla fiaba musicale allo spettacolo di narrazione passando per il circo contemporaneo.

Primo appuntamento, domenica 2 febbraio con lo spettacolo ispirato al racconto di Carlo Collodi “Pipì e lo scimmiottino color di rosa”Sul palco, Simone Migliavacca in “Buon viaggio Pipì” porterà in scena la sua storia raccontando le avventure dello scimmiottino che vive, con la sua famiglia, nella famosissima foresta di “Vattel’a pesca”.

Tutto il programma su: www.fondazionemirafiore.it

g.m.

Nelle foto: Angela Frenda, Francesco Costa e Simone Migliavacca

Verso Sanremo, il Festival degli italiani

Mancano due settimane all’inizio del Festival di Sanremo, giunto quest’anno alla settantacinquesima edizione e per la quarta volta capitanato da Carlo Conti. Saranno ben 12 i co- conduttori che saliranno con lui sul palco dell’Ariston: Antonella Clerici e Gerry Scotti martedì 11 febbraio; la sera dopo Bianca Balti con Cristiano Malgioglio e Nino Frassica, e ci sarà da ridere; il giovedì un terzetto tutto al femminile composto da Miriam Leone, Elettra Lamborghini e Katia Follesa. Per la serata delle Cover e dei duetti del venerdì con Mahmood e Geppi Cucciari tornerà a Sanremo con i Coma_Cose il torinese Jhonson Righeira sulle note del famosissimo brano “L’estate sta finendo”, hit che ha appena compiuto 40 anni e si esibirà anche  l’unico torinese in gara quest’anno, Willie Peyote il quale insieme a Tiromancino e Ditonellapiaga interpreterà il brano “Un tempo piccolo” del grande Franco Califano. Mentre sabato 15 febbraio per la finale Conti avrà al suo fianco Alessia Marcuzzi e Alessandro Cattelan, presentatore anche del Dopofestival. Sempre di più, forse troppi? E chissà se ne si aggiungeranno ancora… Ma torniamo indietro nel tempo per toglierci qualche curiosità sulle conduzioni di Sanremo e fare un po’ di storia di questo evento nazionale tanto amato e nello stesso tempo tanto detestato dagli italiani.

Numerosi i piemontesi: quando il Festival si svolgeva ancora nel Salone delle feste del Casinò municipale di Sanremo la prima presentatrice del Festival, il primo ad andare in onda anche in televisione nel 1955, dopo quattro edizioni condotte dal torinese Nunzio Filogamo, trasmesse naturalmente solo alla radio fu la cantante e poi prima annunciatrice della sede Rai di Torino Maria Teresa Ruta Rivoira, zia dell’omonima Maria Teresa Ruta, in questi giorni rientrata nella casa del “Grande Fratello”. Nel 1960 un’altra torinese,  Enza Sampò che allora ventiquattrenne abitava ancora in corso Giulio Cesare 10, conduce il decimo Festival insieme all’attore Paolo Ferrari, quello vinto dal famosissimo brano “Romantica” cantato da Tony Dallara e da Renato Rascel che lo scrisse.

Si dice e si ricorda sempre che la prima a condurre da sola il Festival sia stata Loretta Goggi nel 1986. Non è però così  perché nel 1961 il primo Sanremo venne presentato da ben due donne: dall’annunciatrice della sede Rai di Roma Lilli Lembo e dalla moncalierese  Giuliana Calandra, attrice di teatro, tv e cinema, anche nel cast del film di Dario Argento girato a Torino “Profondo rosso” e che tanti inoltre ricorderanno di certo nel ruolo di Mara Canà, la moglie di Oronzo Canà, interpretato da Lino Banfi,  in un’altra pellicola sempre realizzata nel capoluogo, “L’allenatore del pallone”.

Nel 2004 invece troviamo sul palco dell’Ariston la chivassese Simona Ventura con Gene Gnocchi e Paola Cortellesi per l’unico Festival diretto da Tony Renis. La presentatrice invece ad aver condotto più Festival di Sanremo, ben 3, nel 1969 con Nuccio Costa, con Mike Bongiorno nel 1973 e con Corrado nel 1974, è un’altra l’annunciatrice, “il viso d’angelo” della televisione italiana Gabriella Farinon che per anni affiancò Corrado in numerosi “Un disco per l’estate”.

 

Come tre sono stati i Festival vinti da Iva Zanicchi, nel ’67, nel ’69 e nel 1974, la quale riceverà giovedì 13 febbraio il Premio alla Carriera come lo riceverà quest’anno anche Antonello Venditti. La prima cantautrice ad aver vinto il Festival è la torinese Gilda con “Ragazza del sud” nel 1975, cinquanta anni fa. Ancora qualche dato sul Festival numero 75: i Big in gara sono 29, dopo il ritiro di Emis Killa, più le quattro “Nuove proposte”. Sempre in quattro sono gli artisti che hanno già vinto il Festival: Ranieri, Giorgia, Cristicchi e Gabbani. La più giovane in gara è la diciottenne Sarah Toscano che arriva direttamente dall’ultima edizione di “Amici”,  mentre il più anziano è Massimo Ranieri, 73 anni.

 

Igino Macagno