Sino a domenica (soltanto) sul palcoscenico del Gioiello
Non soltanto uno “Strappo alla regola” quello scritto e diretto da Edoardo Erba, scrittura in certo qual modo alta, sofisticata e saggia, una regia appartata e in punta di piedi e leggera, ma altresì uno “strappo al o nel teatro”, di oggi come credo di ieri. Un’idea che vive in un mondo tutto suo, appartata, già frequentata, è vero, nel cinema di Woody Allen anno 1985, con “La rosa purpurea” dove una giovane Cecilia, stanca di una vita familiare fatta di soprusi e di delusioni si rifugiava nella magia di una sala per vedere un giorno la sua passione Tom Baxter balzar fuori dallo schermo e proporle una romantica fuga d’amore. Tra queste atmosfere s’avventura, in casa nostra, con garbo e intelligenza Erba, classe 1954, diplomato al Piccolo di Milano, drammaturgo che ha dato esempi nobili di confezione teatrale (con un piede in tivù), citando per tutti “Maratona di New York” (1992) e “Margherita e il gallo” (2007) soltanto e non dimenticando i tanti titoli che se ne sono andati anche all’estero, San Pietroburgo e Los Angeles, Rio de Janeiro e Amburgo, Barcellona e Amsterdam e Budapest.
Sullo schermo – montato in palcoscenico (al Gioiello, sino a domenica 9 marzo) – proiettano un horror degli anni Settanta, di quelli che si facevano a basso costo, ambientato in quella Bellano, sulla riva del lago di Como, dove Andrea Vitali ambienta i suoi gialli e il suo imperdibile maresciallo maggiore Ernesto Maccadò: dove l’Orietta, personaggio secondario del film, è la parte femminile tutta sospiri e sguardi dolci e ti amerò per sempre (lui è Sebastiano Somma) di una coppia in visita, sotto la guida di una enigmatica Asia Argento, di una villa per cui è in vena d’acquisto. Di stanza in stanza, da cunicolo a stanzone superiore che ospita il pollaio, che può fare allora l’Orietta se a un certo punto viene misteriosamente inseguita da uno scuro essere incappucciato e armato di lungo coltello se non trovare quello “strappo” dello schermo e catapultarsi nel più tranquillo palcoscenico? Urla e chiede aiuto a gran voce, alla giovane maschera, Moira, che compare atterrita più di lei e che sorveglia il cinema di un lunedì deserto, timorosa con quell’intrusione di essere cacciata da un posto di lavoro che le offre un minimo di indipendenza da quel Calogero con cui s’è messa e che la sorveglia al cellulare in continuazione. A far la fine della vittima dello schermo è un attimo. Tenta di convincere l’Orietta a ritornare dentro il film, lei che è la prima malcapitata di quel coltellaccio e senza la quale le altre due vittime non potranno mai arrivare: nel frattempo, con una confidenza che s’alimenta pian piano, arrivano i ricordi scolastici della mancata vittima, lei è segretaria in un liceo, “non è mica una scuola media”, e le confessioni di Moira, stanca di quella relazione tossica che le ha fatto anche perdere ogni rapporto con il figlio ma da cui non riesce a uscire. Mentre sullo schermo il film gira a vuoto, continuando la cinepresa a inquadrare galline che in quel pollaio non fanno altro che becchettare e ricevere visite di giornalisti e sensitive (Marina Massironi) che provano a sbrogliare la matassa. Dovrà essere Moira a ritrovare quello “strappo” e l’Orietta a darle una mano per afferrare quella via di fuga: realtà e finzione, ancora il vecchio Pirandello a fare l’occhiolino, l’una là sullo schermo l’altra sul palcoscenico, dove l’esistenza è davvero autentica.
Garbo e intelligenza dicevamo, di scrittura e regia, che si ripetono nelle interpreti, nella delicata e trasognata Maria Amelia Monti e in Claudia Gusmano, che arrotonda quelle vocali siciliane a buttar fuori la rabbia e ancora la non arrendevolezza della sua Moira. Bravissime entrambe, un interscambio notevole di sentimenti e ribellioni, accolte dalle risate e dagli applausi di un pubblico che riempiva la sala. Insomma, un successone.
Elio Rabbione
Le foto dello spettacolo sono di Gianluca Pantaleo.