Music Tales, la rubrica musicale




In una sala dell’Astra, come non l’avete mai vista, sino al 30 novembre
Si parla di mostri nella stagione appena iniziata per il Teatro Piemonte Europa con “Dracula”, e scusate se c’è mostro più grande del tiranno arroccato a metà del ‘400 nel suo lugubre castello tra le selve dei Carpazi. Un mondo di minacce e di torture, di uomini impalati e di lupi ululanti, di buio, ma si può fare spazio altresì agli incubi infiniti e carestie e pestilenze, a certe navi che solcano chissà quali mari invase dai topi. “Il mostro è l’essere che a qualsiasi prezzo rifiuta la morte; mostruoso è il desiderio di prolungare la vita oltre ogni limite”, ci avvertono il regista Andrea De Rosa – riconfermato per il prossimo triennio: mentre il primo resta testimoniato, come “una conversazione” con Annalena Benini, nel bel volume “Buchi neri, cecità, fantasmi”, che ha l’introduzione di Laura Bevione – e l’autore Fabrizio Sinisi, che ha ricavato il testo in piena libertà dal romanzo di Bram Stoker, spostandosi tra simbologie e reali crudeltà, affondando nel passato per spingersi sino a un amore del nostro presente.
Prima di tutto lo spazio scenico dell’Astra (repliche sino al 30 novembre), chiuso nelle forme déco innalzate da Contardo Bonicelli, e oggi attraversato da qualche “rudere”, una nuova architettura, applaudito capolavoro d’invenzione dovuto al regista e a Luca Giovagnoli, in cui il pubblico, dopo il passaggio lungo uno stretto corridoio, è ospitato in uno sguardo nuovo, completamente diverso da come sino a oggi abbiamo potuto vedere le pareti e una platea, oggi scoprendo finestre da cui traspirano i raggi della luna e l’ammonticchiarsi delle solite sedute che, ancora oggi possono soddisfare i movimenti in verticale del nuovo principe delle tenebre, sino a spingerci verso l’alto, un altissimo sconosciuto, sino ai graticci che arruffano le urla e la disperazione di una voce umana. Ci ritroviamo da un lato che per tutti gli altri spettacoli è la scena degli attori, guardiamo con uno sguardo stranito e sghembo ma pieno di una curiosità che diventa a poco a poco passione, veniamo incapsulati in tutta questa oscurità a cui le luci di Pasquale Mari offrono sciabolate o coni o zone di fredda luce. Un uso dello spazio che convince appieno nella propria invenzione, una sorta di girone infernale, luogo di corse a perdifiato e di gemiti e di sospiri, di narrazioni ansimanti e di ricerca d’amore, alla luce fievole di quei candelabri che sarebbero piaciuti a Coppola – ma le livide atmosfere ci avvicinano anche all’opera di Murnau (non ci stupiremmo veder saltar fuori una macchina da presa a filmare terrore e slanci e urla); uno spazio pronto a farsi gabinetto medico e vasi autoptici, su uno di essi è già adagiato il corpo di una ragazza e un grande cuore rosso, che s’anima in quegli otto filamenti che salgono e scendono, attraverso cui passa il sangue angosciato e vivifico di Mina. Compresi i battiti che fanno parte della colonna sonora costruita da G.U.P. Alcaro (“un suono ferroso, ruvido e livido”). Un efficace barocchismo strettamente intrecciato con il gotico nero della vicenda – un susseguirsi di monologhi che creano alta poesia – che si perde nella storia e nella letteratura, nelle credenze popolari e nei racconti di un tempo.
Il testo di Sinisi è il resoconto senza soste di quella lotta che il conte o il Nosferatu o il non morto intraprende nella non volontà di accettare la presenza della morte e ancora per sfuggire, nello stesso tempo, a quella immortalità che s’accorge essere una condanna, una maledizione e un inferno, un tempo senza fine (“forse la bellezza consiste proprio in questo, nel fatto che le cose hanno un tempo, che sono fragili, che potrebbero morire”, ci dice al contrario De Rosa), colpito dalla necessità di vivere attraverso il sangue altrui. Spettacolo fisico, materico, coinvolgente come raramente abbiamo avuto occasione, perché ne siamo toccati dalla parola, dal senso di terrificante perdizione che occupa i personaggi e inevitabilmente arriva a coinvolgerci. Sfrondata di quelle “forme” sfacciatamente terrificanti che al cinema possiamo aver visto indossate dal personaggio, De Rosa ha affidato a Federica Rosellini il ruolo del titolo: avvolta nel suo mantello dalle oscurità rossastre, simile a una belva, cancellando il tempo come lo spazio, l’attrice, in una prova da viscerale applauso, incarna nei movimenti, nella durezza del viso mostrato secco e affilato, in bella evidenza sotto la rasatura a zero, nell’uso spasmodico della voce che innalza a livelli inimmaginabili – senza perdere, come tutti i suoi colleghi (vivaddio!) una eccellente dizione che è sempre più difficile apprezzare a teatro -, nell’apparire all’improvviso e nel rifugiarsi in qualche angolo oscuro quella che altresì dobbiamo ammirare del conte, la sua grandezza, come grandi seppur sprofondati nella condanna sono certi personaggi dell’inferno dantesco. Eccellente è altresì la prova di Chiara Ferrara, indomita in quella bara che sempre qualcuno arriva a ripulire dal sangue sparso, come quelle di Michele Eburnea (Jonathan), Michelangelo Dalisi (il medico) e Marco Divsic (il marinaio che ci urla dalla sua nave fantasma, dall’alto). Uno spettacolo che non è soltanto una visione, è un ripensamento fatto d’intelligenza, una lunga riflessione, un fare i conti con l’io di ognuno di noi: il convincente esempio di un inizio di stagione.
Elio Rabbione
Nelle immagini di Andrea Macchia, alcuni momenti dello sopettacolo
Dopo il successo di Flashback Art Fair, nasce mAFF mater Art Film Fest, il nuovo festival dedicato all’audiovisivo e alle sue molteplici espressioni. Curato da Tommaso Magnano, il festival inaugura la sua prima edizione da giovedì 20 a domenica 23 novembre, con la presentazione di 12 cortometraggi internazionali dedicati al tema della madre, selezionati attraverso una call di partecipazione. L’opera che svetta più in alto sul palazzo più alto del complesso di corso Lanza è fonte di ispirazione del Festival Mater, parola antica e fondante. Nell’archetipo materno confluiscono forza creatrice e talvolta distruttrice: vita e materia, radici e memoria, la figura materna attraversa gli antipodi. Protagonista e antagonista, salvezza e perduta, rifiuto e rifugio.
La call ha accolte adesioni da artisti e registi provenienti da tutto il mondo: Italia, Stati Uniti, Polonia, Iran, Finlandia, Turchia, Portogallo, Palestina, Grecia, Regno Unito, Francia, Spagna, Canada ed Emirati Arabi. La selezione ufficiale dei 12 cortometraggi è stata curata da Antonio Cavicchioni, Valentina Damiani, Luca Giordano, Clara Gipponi e dal direttore artistico Tommaso Magnano. La giuria de mAFF è composta da professionisti del settore, fotografi, registi, critici di cinema e arte: Diana Bagnoli, Gianluca De Serio, Christian Calliandro, Francesca Spada e Chiara Pellegrini. La giuria è chiamata a selezionare sei cortometraggi finalisti che saranno presentati all’interno di una mostra che verrà inaugurata domenica 23 novembre, alle ore 12, e pensata per mettere in discussione le modalità tradizionali di fruizione cinematografica. Trasposti dallo spazio della sala a quello espositivo, i corti diventano opere, oggetti visivi e temporali che si offrono allo sguardo non più secondo la linearità imposta dalla proiezione, ma come presenze installative. È un dispositivo che spinge il cinema oltre i suoi confini consueti, riformulando il rapporto tra spettatore, immagine e spazio, e proponendo un nuovo modo di abitare il film. La mostra di sei corti si terrà dal 23 novembre al 15 febbraio 2026, al secondo piano del padiglione B di Flashback Habitat. Il pubblico potrà votare il corto preferito, e al termine della mostra verrà assegnato il premio Mater ai vincitori e alle vincitrici.
Mara Martellotta
Il Teatro Regio propone un concerto speciale in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della Violenza contro le Donne, programmato martedì 25 novembre prossimo, alle ore 18.30, nel foyer Del Toro. Si tratterà di un momento di ascolto e riflessione aperto alla città, a ingresso libero. L’iniziativa nasce da una proposta delle artiste del Coro del Teatro Regio, che hanno scelto di mettere la propria voce e sensibilità al servizio di una causa che interroga profondamente la coscienza civile attraverso un programma che alterna pagine musicali e letture. Nel corso della serata verranno raccolte offerte a sostegno dei centri antiviolenza E.M.M.A. ETS, realtà attiva sul territorio torinese che offre accoglienza, aiuto e supporto alle donne vittime di violenza, con assistenza psicologica e legale gratuita, interventi d’emergenza e percorsi di empowerment. Sotto la direzione del Maestro Ulisse Trabacchin, il programma è affidato alle artiste del Coro del Teatro Regio, affiancate dal soprano Albina Tonkinkh e dal mezzosoprano Martina Myskohljd, insieme alle prime parti dell’orchestra del Teatro: Sara Tenagli, flauto, e Alessandra Vico, contrabbasso, con Jeong Unkin al pianoforte. Le letture saranno interpretate dall’attrice Sara Gedeone, formatasi alla Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino.
“Ringrazio le artiste del Coro del Regio – ha dichiarato il Sovrintendente del Teatro Regio Mathieu Jouvin – per aver proposto alla direzione del Teatro questa iniziativa; hanno dimostrato grande sensibilità nei confronti di un tema che tocca tutti noi e drammaticamente attuale. Da subito abbiamo deciso non solo di accogliere ma di unirci convintamente alla realizzazione del concerto, certi che un luogo di cultura come il nostro teatro possa anche essere sede di riflessione e impegno civile. Si tratta di un’opportunità per ricordare i valori su cui si fonda una comunità, tra i quali non è contemplata la violenza”.
La scelta dei brani segna un sottile fil rouge che lega la raffinata malinconia del repertorio cameristico francese, comprende Madrigal e la Pavane di Gabriel Fauré, la Less Chemins de l’Amour di Francis Poulenc, la Nuit di Camille Saint-Saëns, e André Caplet con Viens un flute invisibile supire, alla profondità meditativa dei Seven Part Songs di Gustav Holst.
Si tratta di una selezione che, muovendo dalla rappresentazione della passione e dell’intimità della notte, arriva a esplorare come la tenerezza e la poesia possano essere sopraffatte dal dolore, ma anche riscattate dalla speranza. Le letture intrecceranno versi e parole a partire dalla Gelosia di Cesare Pavese, che svela il germe del possesso e su confronta con una lucida espressione di libertà di Maria Giorgia Ulmar, Luce Nuda, per giungere alle testimonianze di Gino Cecchettin, sotto il titolo di “Cara Giulia”, e Neige Sinno con Triste Tigre.
Ingresso gratuito fino a esaurimento posti
Teatro Regio – piazza Castello 215, Torino
Mara Martellotta
Mescolando abilmente musica e comicità, Mark the Hammer offre uno sguardo irriverente e politicamente scorretto sul processo di creazione artistica degli spettacoli dal vivo.
Sul palco protagonista anche l’Intelligenza Artificiale, con la quale Mark, esperto e grande conoscitore, si sfida costantemente. Grazie all’uso dell’AI il pubblico verrà coinvolto diventando parte integrante dello spettacolo e vivendo un’esperienza interattiva e unica, come se entrasse fisicamente all’interno di un video dell’artista. Le persone in sala diventeranno addirittura decisivi in alcuni momenti del live.
La produzione, insieme a Mark, tengono a sottolineare e precisare che tutto lo spettacolo è assolutamente inedito, canzoni comprese. Per un live basato sull’effetto sorpresa.
L’artista nel dettaglio dichiara:
“Come creare un live show senza alcun talento” non è un live delle mie canzoni già pubblicate. In effetti, tecnicamente non è nemmeno un concerto, anche se c’è moltissima musica!
È uno show sperimentale che vuole rappresentare tutte le mie passioni (ed ossessioni): musica, comedy, intelligenza artificiale e… satira.
Lo spettacolo è altamente scorretto e sconsigliatissimo sotto i 14 anni.
Ci sarà una band? No. Sarò da solo sul palco? No.
Vi ho confuso? Bene così… Preparatevi ad essere stupiti!
LA BIOGRAFIA DI MARK THE HAMMER
_____________________________________________________________________________________________________
Mark The Hammer, al secolo Marco Arata, è un musicista e polistrumentista classe ‘86.
Nato a Genova, inizia a suonare all’età di otto anni il pianoforte; a quindici anni aggiunge la batteria, a sedici la chitarra, a diciassette il basso e non smette mai di cantare.
Nel 2006 diventa chitarrista di J-AX e uno YouTuber, diventando famoso su questa piattaforma grazie alle “sfide impossibili” e a tutorial ironici su come creare canzoni senza avere alcun talento oppure a come sfruttare follemente tutti gli AI attualmente disponibili sul web.
Dal giorno d’iscrizione ad oggi ha così superato i 170 milioni di visualizzazioni.
Grazie al successo sul web Mark pubblica cinque album e centinaia di musiche e canzoni
originali. Ora tocca al teatro con lo spettacolo “Come creare un live show… senza alcun
talento” che ha sperimentato già nei club ottenendo un grandissimo successo.
Per conoscere al meglio personaggio e follia di Mark The Hammer è possibile visitare i suoi canali ufficiali
https://www.youtube.com/markthehammer – https://www.instagram.com/markthehammer86/
IL TOUR
_____________________________________________________________________________________________________
Le date del tour 2025 di Mark The Hammer già annunciate sono le seguenti:
venerdì 14 novembre: GENOVA – Teatro Govi
venerdì 21 novembre: VERONA – Teatro Alcione
sabato 22 novembre: Borgaro Torinese (TO) – Teatro Atlantic
domenica 30 novembre: MILANO – Santeria Toscana
Il Teatro Atlantic è sito all’interno del complesso alberghiero dell’Hotel Atlantic in Via Lanzo 163 a Borgaro Torinese.
INFO BIGLIETTI
_____________________________________________________________________________________________________
|
I biglietti di tutte le date del tour sono in vendita:
|
Per maggiori informazioni contattare Dimensione Eventi all’indirizzo e-mail biglietteria@dimensioneeventi.it www.dimensioneeventi.it FB /dimensioneeventi.it IG /dimensioneeventi |
Debutta al teatro Gobetti, martedì 18 novembre prossimo, alle ore 19.30, la pièce teatrale “Eretici – il fuoco degli spiriti liberi”, scritto, diretto e interpretato da Matthias Martelli. Lo spettacolo intreccia le vite di donne e uomini che nei secoli hanno percorso strade diverse da quelle indicate. Si tratta di scienziati, filosofi, artisti, pittori, giornalisti e liberi pensatori che hanno scelto di essere dissidenti, rischiando la loro stessa esistenza. Martelli intreccia le vite di questi spiriti liberi e narra come il loro pensiero ardente abbia oltrepassato il tempo. Esempi ne sono Giordano Bruno, Galileo, Caravaggio e Pasolini, passando per streghe e papesse rivoluzionarie, fino a giungere ai nostri tempi. Sulla scena lo stesso Matthias Martelli e tre cantanti: Laura Capretti, Flavia Chiacchella e Roberta Penta, che disegnano con voce e corpo personaggi, epoche, luoghi e storie, unendo il tragico al comico, il grottesco alla poesia, per scoprire che gli eretici sono ancora fra noi. Le musiche originali sono di Matteo Castellan, i costumi di Roberta Spegne.
“Ho scritto ‘Eretici’ – dichiara Matthias Martelli parlando della drammaturgia – tenendo presente quello che sarebbe accaduto sul palco. Uno spettacolo giullaresco non è mai una narrazione lineare, vigono le leggi di un linguaggio fisico e letterario. Questo tipo di testo teatrale è un esempio di letteratura corporea, e risulta tanto più ricco, tanto più sensi tiene l’occhio rivolto sulla scena. ‘Eretici’ è il soggetto ideale per questo tipo di scrittura, data la varietà rei luoghi e dei personaggi. Con un tema così vasto nel tempo e nello spazio, le atmosfere e i protagonisti si moltiplicano, ampliando le loro possibilità creative. Contemporaneamente ho cercato di mantenere un costante umorismo presente in ogni storia tragica. Basta un cerchio di luce, un cambio di intenzione per passare dall’ironia al dramma, dallo sghignazzo alla poesia. Mentre la tragedia travolge ed emoziona, la comicità aiuta lo spettatore a illuminare il racconto con spirito distaccato. L’ironia emerge dalla Storia, spesso involontariamente paradossale, e poi al gioco scenico, corporeo e vocale, dai cambi di ritmo e dai grammelot. In ‘Eretici’ lo spettatore non deve mai stare comodo sulla sedia; è spinto a partecipare, ad alzare l’anima dalla poltrona, pèrche gli eretici ci stimolano continuamente ad agire. Lo spettacolo è stato scritto tenendo a mente un concetto allargato di eresia. L’eretico non è solo il ribelle religioso, ma chi sceglie di percorrere la strada meno battuta, attraversando il suo tempo in direzione ostinata e contraria”.
Info: teatro Gobetti, via Rossini 8, Torino – orari: martedi, giovedi 19.30/ mercoledi e venerdi 20.45 / sabato ore 16 e 19.30 / domenica ore 16
Biglietteria: teatro Carignano, piazza Carignano 6, tel: 011 5169555
Mara Martellotta
Da martedì 18, nel teatro Marcidofilm
Era il giugno del 1985, quarant’anni fa, tondi tondi. Tutt’altra aria a Torino, forse non teatrale, dico la stagione appena conclusa, in mezzo ai vecchi e consolidati – la vecchia triade – Pirandello Shakespeare Goldoni gli Stabili e le compagnie di giro si buttano a tentare sorprese e innovazioni, Testori propone “I Promessi Sposi alla prova” e Otomar Krejca guarda con occhi nuovi a Cecov, Brusati (quando ancora si scrivevano testi) mette in scena la sua “Donna sul letto” per Edmonda Aldini – oggi molti si chiederanno, come don Abbondio, “ma costoro, chi erano?” -, arriva Peter Handke con “Attraverso i villaggi” e il russo Yurij Ljubimov guarda al Dostoevskij di “Delitto e castigo”, sopraggiunge un altro sberleffo di Paolo Poli, “Magnificat”. Ma tutto rimaneva più o meno chiuso in certe regole ben precise e delimitate. Per restare da quelle parti manzoniane: il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare. Invece il coraggio arrivò, proprio in quello stesso giugno, in una mansarda di via Berthollet, tra quelle vie in cui oggi non ci piace più tanto passare, lassù, “per le antiche scale” avrebbe detto Mario Tobino, lassù dove i neonati Marcido Marcodorjs – una sorta di declinazione? – e Famosa Mimosa – una pianta rarissima? – mettevano in scena “Studio per le Serve, una danza di guerra” di Jean Genet poeta maledetto. E l’atto rivoluzionario era compiuto: “una performance che produsse un’eco non secondaria nel panorama della ricerca teatrale italiana – scrive oggi il Marco Isidori, anima del gruppo, ricordando quel tempo -, suscitando adesioni appassionate ed altrettanto appassionati dissensi.
Adesioni, come quella di Giuseppe Bartolucci che tre anni dopo avrebbe sottolineato “Bisogna rifarsi ai tempi gloriosi della soffitta di via Berthollet, per respirare, per cogliere il mito dei Marcido; quando salirne le scale era già un’iniziazione d’animo, un batter fitto del cuore, uno scoprire ed accogliere visi ed azioni di antica familiarità e di grande semplicità. E poi quell’improvviso squillo di battaglia, quel rovente duello con la lingua di Genet, in uno spazio ovattato e riflesso da tanto colore rosso da sembrare un palcoscenico pronto ad ospitare un assalto mortale”. Era nato qualcosa di nuovo, di inaspettato, un “rito svolto con pura passione, però esattissimo, esaltato fino al parossismo, però rigorosamente descritto”.
Quarant’anni, anniversario d’un evento e di una compagnia, e ritorna il successo delle “Serve”, oggi, primo esempio di un rigore costantemente inseguito, di un linguaggio “facilmente riconoscibile”, di una recitazione lucida e grottesca, dell’importanza e della ricerca continua del suono e della parola, portata suggerita urlata decifrata anatomizzata, di invenzioni scenografiche che, fattrice Daniela Dal Cin, hanno costruito la storia di testi e di palcoscenici: tutto questo mentre viene anche pubblicato per i caratteri della casa editrice Editoria&Spettacolo, con la prefazione di Raimondo Guarino, e presentato, “I Teatri della Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa II”, storia di una lunga avventura scenica. Ritorna il successo di Maria Luisa Abate, come Solange – affiancata da Paolo Oricco che è Claire -, espressione alta dell’odio verso la propria padrona, capaci entrambe di inscenarne ogni sera l’assassinio. Ritorna il testo di Genet (ispirato a un fatto di cronaca nera) che qui vede “la signora” sparire dalla scena per vivervi unicamente nei gesti, nelle parole e nelle viscerali imitazioni di Solange, innalzandosi con bella intuizione di Isidori al tema del doppio, una piena osmosi tra le due sorelle, la costruzione di un alter ego, nel lontano ricordo personale una Solange agghindata a Madonna e una corona fatta di mollette da bucato che le circonda la testa, un’unica lampadina a illuminarle il viso. Su tutto la voce, le voci, che si sprigionano acute e piane, feroci e melense, poetiche e acri. “Nella strenua condensazione dei suoi segnali, uno spettacolo dalla forza drammatica molto inusuale, sia per l’inflessibile determinazione coreografico/vocale che ne reggevo lo scheletro, sia per la prestazione superlativa e veramente fuori misura di Maria Luisa Abate”, riassume oggi l’Isi voltandosi a guardare ancora una volta alla sua creazione. Da martedì 18 novembre alle 20,45 (durata 45’, repliche sino a domenica 23, alle ore 16), spettacolo d’apertura della stagione 25/26, nel teatro Marcidofilm di corso Brescia 4.
Elio Rabbione
Nelle immagini, le “origini” delle “Serve”, con Maria Luisa Abate e Lauretta Dal Cin (credits Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa)
EDITORIALE
C’è un dettaglio che colpisce, nelle parole di papa Leone XIV davanti a oltre cento protagonisti del cinema mondiale riuniti nella Sala Clementina ieri: l’aver definito il cinema “un’arte giovane, sognatrice e un po’ irrequieta”. In un’epoca in cui tutto – a partire dalla tecnologia – sembra invecchiare in fretta, compresi i linguaggi culturali, il Pontefice ha ricordato che il grande schermo conserva ancora una vitalità originaria, quella scintilla che i fratelli Lumière accesero 130 anni fa e che continua a interrogare la nostra capacità di osservare e decodificare il reale.
Leggi l’articolo su L’identità: