SPETTACOLI- Pagina 2

Lella Costa al Concordia: Otello, di precise parole si vive

Teatro Concordia

Giovedì 18 dicembre, ore 21

 

Otello, di precise parole si vive è il ritorno in scena, dopo 24 anni, dell’Otello di Lella Costa e Gabriele Vacis che preserva intatta la sostanza narrativa dell’immortale testo di Shakespeare ma mette in luce in modo unico e contemporaneo il dramma e la morte di Desdemona aggiornando le parti che contenevano allusioni non più comprensibili al pubblico contemporaneo. La storia di Otello, con temi come lavoratori stranieri, matrimoni misti, manipolazione e femminicidio, risulta incredibilmente attuale, rendendo ancora più impellente la necessità di continuare a raccontarla.

 

Succede con i grandi autori, forse soprattutto con Shakespeare: i loro testi, le loro storie, i loro personaggi sono, letteralmente, immortali. Continuano a parlarci, a stupirci, a incantarci; a volte ci aiutano perfino a capire chi siamo, cosa ci sta succedendo adesso. E quando incontri una di queste storie perfette in genere te ne innamori, e soprattutto ti rendi conto che non avrebbe alcun senso provare a inventarne un’altra per dire le stesse cose, ma che è lecito, forse perfino doveroso, continuare a raccontare quella. Precisamente quella. È quello che è successo a Gabriele Vacis e a me, e non una volta sola. È quello che ci ha entusiasmati a tal punto da pensare di riportare in scena, dopo 24 anni, il nostro Otello, preservando intatta la sostanza narrativa (Shakespeare) ma intervenendo e modificando quelle parti in cui l’attualità, o meglio la contemporaneità, richiedevano un aggiornamento. Quelle parti in cui lo stesso Bardo si divertiva a inserire allusioni e citazioni per noi incomprensibili (chi mai sarà quel “Signor Angelo” che condiziona perfino il Doge?), ma che sicuramente per gli spettatori dell’epoca erano chiarissime, e probabilmente molto divertenti. Se poi ci aggiungiamo una trama folgorante, il cui riassunto potrebbe sembrare una notizia di cronaca di oggi (un lavoratore straniero altamente qualificato, un matrimonio misto, una manipolazione meschina e abilissima, un uso doloso e spregiudicato del linguaggio, un femminicidio con successivo suicidio del colpevole), allora ci rendiamo conto di quanto bisogno abbiamo di continuare a raccontare e ascoltare questa storia. Precisamente questa.

Lella Costa

 

 

Ho sempre pensato che Otello fosse la tragedia dell’uccidere per amore. Se il Moro soffocasse Desdemona perché la odia non ci sarebbe dramma. Invece, che Otello ammazza la sua donna perché la ama, continuiamo a raccontarcelo dopo quattro secoli. È così, no? La tragedia si annida nel contrasto, nella contraddizione inconciliabile. Bene: ho appena espresso una stupidaggine. Sì, perché oggi sappiamo che quello non è amore. Non c’è mai amore quando c’è violenza e sopraffazione. E questo ce l’hanno insegnato le donne. Le più giovani in modo molto risoluto. Quello che ho enunciato, che Otello uccide Desdemona per amore, è un principio patriarcale. Proprio patriarcale, attenzione, non maschilista. Il maschilismo è un modo di comportarsi: quando mi accorgo, o mi costringono a prendere atto che è sbagliato, la smetto. È come fumare, lo so che fa male, però quando comincia a prendermi una qualche cardiopatia, smetto. Certo ci sono i recidivi, però anche loro lo sanno che stanno facendo una cosa sbagliata, anche se magari lo negano o lo giustificano con qualche ostentazione di libertà o pretesa di scorrettezza politica. Il patriarcato no. Non è che possiamo scegliere se essere o non essere patriarcali. Il patriarcato ce l’abbiamo dentro, in profondità, perché comincia da Zeus che si prende tutte le donne che gli piacciono, volenti o nolenti. Perché tutta la cultura occidentale, lo stesso continente in cui viviamo prende il nome da una ragazza, Europa, rapita dal patriarca per eccellenza, Zeus, appunto. E poi ci sono i patriarchi della Bibbia, l’altra colonna della nostra cultura, che non è che trattino le donne con grandi riguardi. Dev’essere per questo che tanti maschi sono disposti a riconoscersi maschilisti, perché da quello si può guarire, ma appena pronunci la parola patriarcato partono con infinite ed eruditissime contestazioni antropologiche, storiche, sociali il e chi più ne ha più ne metta. Raccontare l’Otello con Lella Costa significa provare a capire cosa possiamo fare, noi maschi, per emanciparci dall’umiliante condizione di oppressori a cui siamo condannati dalla storia. Me li vedo già, anche certi amici miei a pensare: ecco il solito maschio pentito che vuole autoflagellarsi e vai col tango… queste, ormai, sono le parole dell’arroganza maschile, sono le parole di chi insulta il padre di Giulia Cecchettin mentre cerca le parole per liberarci dalla prigione del patriarcato. Perché prima di tutto si tratta di trovare le parole, precise parole che ci aprano alla comprensione di tutti gli Otelli vittime di sé stessi prima ancora che dei tanti Iago che ci ammorbano, ma soprattutto precise parole che ci aiutino a comprendere la tragedia vera di Desdemona, che si annida nel profondo delle anime.

Gabriele Vacis

 

Lella Costa è attrice, autrice e scrittrice. Tra gli spettacoli più recenti: Le nostre anime di notte (2022), con Elia Schilton e regia di Serena Sinigaglia; Intelletto d’amore. Dante e le donne (2021) regia di Gabriele Vacis; La vedova Socrate (2020) di Franca Valeri, regia di Stefania Bonfadelli; Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione (2020) regia di Serena Sinigaglia e La parola giusta (2019) regia di Gabriele Vacis. Ha pubblicato con Feltrinelli, Piemme e Solferino.

 

Gabriele Vacis, regista ed autore. I suoi spettacoli sono rappresentati in Italia e nel mondo. Ha promosso e diretto grandi eventi, festival e teatri. Il suo film Uno scampolo di paradiso ha vinto il Premio della Giuria al Festival di Annecy. È socio della Giovane compagnia PoEM.

Antonio Latella dirige Vinicio Marchioni in “Riccardo III”

 

Al Teatro Carignano dal 16 al 23 dicembre

Martedì 16 dicembre, alle 19.30, debutterà al Teatro Carignano il “Riccardo III” di Shakespeare nell’adattamento di Antonio Latella, che firma anche la regia dello spettacolo, e Federico Bellini, che ha curato la traduzione del testo. Protagonista della pièce teatrale è Vinicio Marchioni, attore romano, volto noto al pubblico del piccolo schermo, che deve interpretare il personaggio di Riccardo III, personaggio crudele e ambizioso, violento e manipolatore, di cui ha ampiamente approfondito le fonti storiche e saggistiche, e anche la botanica, perché a fare da sfondo alle sanguinose vicende del conte di Glouster è un eden di rose bianche. Antonio Latella affronta Riccardo III scegliendo come arma la parola, che diventa seduzione pura, forza che incanta e inganna, ricordandoci che a tradire il Paradiso fu l’angelo più bello. Il regista scava nell’incanto oscuro del testo in un giardino scenico che diventa luogo di desiderio e inganno, relazioni pericolose e poteri che si intrecciano. Riccardo, più che verso il trono, lotta contro il femminile, ed è proprio una donna a infliggergli la sconfitta definitiva, affiancata dal custode, un personaggio inedito che veglia sull’eden teatrale, difendendone la fragile bellezza.

“Il male è. Non è una forma, non è uno zoppo, non è un gobbo. Il male è vita – dalle note di regia di Antonio Latella – il male è natura, divinità. Il nostro intento è quello di andare oltre l’esteriorità del male, cercando di percepirne l’incanto. È chiaro che se il male stesso viene rappresentato attraverso un segno fisico, il pubblico è portato ad accettarlo: vede la mostruosità e la giustifica. Prova empatia e non simpatia per il protagonista. È ancora accettabile questo alibi della deformità nel XXI secolo ? Probabilmente il Bardo ne aveva bisogno per giustificare al pubblico, in qualche modo, tutte le malefatte del protagonista. A noi interessa la forza della parola e la sua seduzione e, perché no, la sua scorrettezza. Il serpente incantò Eva con le parole e, in ogni caso, bisogna pensare che fu abile in quanto riuscì a far staccare la mela dell’albero ad Eva, ma fu Adamo a morderla. Chi dei due peccò? Il male che mi interessa è nella disarmonia. Il male è il giardino dell’eden, una bellezza accecante, che pretendere un ritorno al figurativo, opulenta e ingannatrice, fatta di relazioni pericolose, di giochi di seduzione continui, e in questo Riccardo III è il maggiore dei maestri. La sua battaglia non è per la corona, non è per l’ascesa al trono, ma per la sottomissione del femminile, quando è il femminile che gli darà scacco matto, poiché sarà la regina madre a portare a termine una tremenda maledizione. La traduzione di Federico Bellini mi permette di giocare con tempi e andamenti ritmici quasi da commedia. Ci siamo presi il lusso, studiando i personaggi, di ampliarne uno già esistente e chiamandolo ‘custode’: apparentemente servitore del male e di Riccardo III, che con il procedere della narrazione  si scoprirà essere strumento di bellezza del luogo; un custode che vuole garantire la sopravvivenza del giardino dell’eden, quel custode che per questo è pronto a tutto, quel tutto sintetizzato dalla parola ‘amen’”.

Teatro Carignano: piazza Carignano 6, Torino

Orari spettacoli: 16-17-18 dicembre ore 19.30/17 e 19 dicembre ore 20.45/domenica 21 dicembre ore 16/22 e 23 dicembre ore 19.30

Biglietteria: Teatro Carignano

Mara Martellotta

Tra divertimento e magia con il “Funny Magic Show”

Alla Casa del Teatro di Torino, dal 26 dicembre al 6 gennaio prossimo, torna l’appuntamento con l’illusionismo con lo spettacolo “Funny Magic Show”, prodotto da Muvix Europa in collaborazione con il Circolo degli Amici della Magia di Torino, la più importante realtà di magia italiana, fucina di grandi nomi, quali Brachetti, Alexander e Luca Bono.

Si tratta di uno spettacolo unico, divertente e magico, adatto ai giovani spettatori cosiccome a quelli adulti che non hanno perso la voglia di lasciarsi stupire e incantare. Oltre venti spettacoli, tra pomeridiani e serali, fanno di questo show forse il titolo con maggior numero di repliche delle Feste torinesi. Saranno protagonisti il Clown Carillon, al secolo Paolo Casanova, reduce da una tournée in Germania, Austria e Stati Uniti con l’iconico Circus Theatre Roncalli, l’omino dei sogni, affiancato da Nox, dalla voce suadente e incantevole. Sara presente la comicità trascinante di Nicola Virdis, finalista di Italia’s Got Talent con il suo celebre tormentone “turn around” e l’inconfondibile cardigan rosso. Non mancheranno l’estro frizzante del Mago Alan, che farà breccia nel cuore degli spettatori più giovani, e gli esperimenti di telepatia e trasmissione del pensiero della misteriosa Madame Zorá, che coinvolgerà e sorprenderà il pubblico. Proseguirà con le immagini create con la sabbia da Mister Brondino, anche maestro di prestidigitazione.

Tutto questo e molto altro nello spettacolo diretto da Giancarlo Judica Cordiglia, che rappresenta un invito a sognare e ridere anche a Capodanno.

Biglietti: dai 14 ai 22 euro. 31/12 serata speciale di Capodanno – telefono: 389 2064590 – info: www.magic-show.it – casateatroragazzi.it

Casa del Teatro Ragazzi e Giovani – corso Galileo Ferraris 266, Torino

Mara Martellotta

Gypsy Musical Academy  in scena con “Hollywood Parade” 

 

La Gypsy Musical Academy porterà in scena al teatro Don Bosco di Rivoli ‘Hollywood Parade’ anche a scopo benefico

Il 17 dicembre prossimo alle 21, presso il teatro Don Bosco di Rivoli,  in via Stupinigi 1, la Gypsy Musical Academy  tornerà in scena con ‘Hollywood Parade’, un esilarante spettacolo in cui si cimenteranno i giovani artisti della sezione Accademia. I ragazzi faranno vedere il loro meglio con un “mash up” esplosivo tratto dai kolossal internazionali portati sui grandi schermi di Hollywood.
Questo show eccezionale vede la supervisione artistica di una vera stella internazionale,  Millie O’ Connell, protagonista di musical londinesi come “Alladin”, “Six” e “Rent” e in questi giorni ospite della Gipsy per allestire lo spettacolo al fianco dei gypsies.
Le coreografie sono firmate da Cristina Fraternale Garavalli, la direttrice musicale è Marta Lauria.
Il mash-up prevede la messinscena di titoli quali “Dreamgirls” storico musical con Beyoncé, “Footlose” con Kevon Bacon, “Smash” con Jennifer Hudson, “Nine” con Nicole Kidman e Fergie, “Burlesque” con Cristina Auguilera. Lo spettacolo non è solo occasione di grande intrattenimento,  ma è anche un evento a favore della Llifc, Lega Italiana Fibrosi Cistica del Piemonte. I fondi raccolti saranno orientati alla formazione del personale sanitario specializzato dei due Centri di Cura pediatrico ( Regina Margherita) e per adulti ( Ospedale San Luigi).

Gypsy Musical Academy

Via Pagliani 25

0110968343

info@gypsymusical.com

Mara   Martellotta

Vertigo, la stagione dell’Orchestra Sinfonica RAI guarda al cinema

Di Renato Verga
La stagione dei Concerti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI continua a guardare al cinema con curiosità e intelligenza. Dopo le tre serate inaugurali dedicate al muto, il settimo appuntamento offre un trittico musicale di grande fascino: un capolavoro hitchcockiano, una fiaba stravinskiana e, per chiudere, uno dei vertici del sinfonismo ottocentesco. A legare i tre mondi, un direttore che Torino conosce bene e accoglie sempre con entusiasmo: Juraj Valčuha.

Si parte con Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) di Alfred Hitchcock e con le musiche di Bernard Herrmann, un autore che ha trasformato la colonna sonora in un vero linguaggio psicologico. Herrmann, nato nel 1911, direttore d’orchestra prestato alla radio e scoperto da Orson Welles, debutta al cinema con Citizen Kane e trova in Hitchcock il suo alleato ideale. In Vertigo, film costruito come una spirale di desiderio e ossessione, la musica non si limita a seguire le immagini: le precede, le spinge, le interpreta. Fin dai titoli di testa, la spirale grafica di Saul Bass trova un equivalente perfetto nella spirale sonora: archi ipnotici, cromatismi in continua rotazione, armonie che sembrano sempre sul punto di cedere. La Suite proposta dall’OSN raccoglie i momenti più intensi: il Prelude vorticoso, l’aura sospesa dei temi legati a Madeleine, il crescendo quasi wagneriano di Scène d’Amour, le sezioni finali dove i motivi dell’inseguimento ritornano come un’ossessione ricorrente. Valčuha, che di Herrmann coglie la forza drammatica e la sorprendente autonomia sinfonica, guida l’orchestra con gesto chiaro e senso narrativo.

Cambio d’atmosfera con Le baiser de la fée, il balletto composto nel 1928 da Igor Stravinskij per i Ballets Russes e rielaborato prima in una suite (1934), poi in una seconda versione nel 1949. Una storia semplice e inquietante: una fata bianca e glaciale bacia un bambino, lo “segna” per la vita e torna a riprenderlo il giorno delle nozze. Un racconto di Hans Christian Andersen che Stravinskij trasforma in un omaggio al balletto romantico e soprattutto a Čajkovskij, suo nume tutelare. Non a caso, l’archetipo è quello classico dell’artista-poeta, figura sospesa tra realtà e fantasia, tra la quiete domestica e l’irresistibile richiamo dell’altrove. È il mondo delle Willi di Giselle, delle creature eteree che seducono e annientano, delle figure in bilico tra bellezza e morte. Qua e là affiora persino un’eco lontana di Petruška: sberleffi ormai filtrati, quasi un ricordo di gioventù. Valčuha mette in rilievo la brillantezza della scrittura orchestrale, ricchissima di colori, e l’orchestra risponde con morbidezza e slancio.

Dopo l’intervallo, la scena cambia nuovamente. L’orchestra torna in formato romantico, minime le percussioni e assenti le tastiere richieste nella prima parte del programma: è il segno che si entra nel territorio della Sesta Sinfonia Patetica di Čajkovskij, la più celebre e la più enigmatica del compositore russo. Valčuha sceglie un approccio che scava nella partitura senza indulgere al melodramma. L’incipit del primo movimento, tenue e cupo, appare particolarmente desolato, con dinamiche trattenute e una tavolozza sonora di grande sobrietà. Il successivo Allegro non troppo, con i suoi continui cambi di tempo, crea una sensazione di instabilità emotiva quasi patologica che il direttore rende con grande lucidità.

I due movimenti centrali, un valzer apparentemente rasserenante e un terzo tempo costruito su un tema di marcia sempre capace di strappare applausi anticipati (puntuali anche questa volta), non dissolvono del tutto la tensione sotterranea. E quando arriva il finale, l’Adagio lamentoso, la sinfonia rivela tutta la sua radicalità: un lento conclusivo che è quasi un addio al mondo, scritto da Čajkovskij appena nove giorni prima di morire. Valčuha evita i toni tragici estremi e sceglie una linea più moderna, fatta di trasparenze, dinamiche sottili, colori pastello e un’attenzione particolare alle pulsazioni ritmiche. Ottima la prova del timpanista Biagio Zoli, essenziale nel dare corpo alla drammaturgia interna del pezzo.

Ne emerge un Čajkovskij meno romantico del consueto e sorprendentemente vicino a un gusto mahleriano, proiettato verso il Novecento. Una chiusura intensa e misurata per una serata che ha saputo attraversare, con coerenza e leggerezza, tre mondi musicali lontani ma legati da un unico filo: la capacità della musica di raccontare ciò che le immagini – cinematografiche, coreografiche o sinfoniche – solo suggeriscono.

“Il Codice del Dáimon”, per la stagione “Iperspazi” di Fertili Terreni Teatro

Per “Iperspazi”, stagione 2025-2026 di Fertili Terreni Teatro, a San Pietro in Vincoli, da martedì 16 a domenica 21 dicembre alle 19.30, andrà in scena “Il Codice del Dáimon”, liberamente ispirato a “Il codice dell’anima” di James Hillman, diretto da Domenico Castaldo. Interpreti lo stesso Domenico Castaldo, Marta Laneri, Zi Long Yng, Marianna Rebellato, con la partecipazione di Camilla Bernardi, Mattia Gimigliano, Shuya Lu Gua, Meike Müller, e Alessandro Galeano per la drammaturgia. Le scene e i costumi sono di LabPerm Light, il designer Davide Rigodanza.

Le repliche dello spettacolo si inseriscono all’interno del programma “ORA” di Ama Factory e LabPerm, vincitore dell’avviso pubblico “Circoscrizioni, che spettacolo….dal vivo! 2025”.

La nuova produzione del collettivo torinese LabPerm, diretto da Domenico Castaldo, prende forma da un prolungato lavoro di studio teatrale attorno alla psiche, o vocazione umana, ghianda o dáimon che, per gli ideatori del progetto, si afferma attraverso una straordinaria forza emotiva, direttamente sprigionata dall’interpretazione dei performer. Ne “Il Codice del Dáimon”, in maniera neanche troppo velata, il testo dello psicanalista James Hillman accompagna lo spettacolo con le sue Auguste riflessioni sulla necessità della psiche di manifestarsi nella vita di ognuno di noi. Nel saggio si utilizzano diverse biografie straordinarie per esemplificare come il Dáimon abbia influenzato la loro esistenza e quella delle persone che ne vennero in contatto. Che cos’è realmente il Dáimon? La risposta a questa domanda si potrebbe definire come “forza istintuale”, che muove l’uomo oltre le influenze sociali e genitoriali”.

Da queste premesse, LabPerm ha costruito uno spettacolo che, a partire dai momenti eccezionali delle biografie dei performer, permette di incarnare il Dáimon personale in una figura archetipica. Davanti allo spettatore prenderanno forma Arianna di Creta, un principe decaduto, una santa folle e altri personaggi. Epifanie che aiuteranno il pubblico a immergersi nella narrazione e riconoscere il proprio Dáimon, strumento essenziale e potente alleato nel coltivare l’anima, la psiche, l’invisibile, parte imprescindibile della nostra vita quotidiana.

Biglietti: intero 13 euro se acquistato online / 15 euro in cassa la sera dell’evento. È possibile lasciare il biglietto sospeso tramite donazione online o satispay, e di entrare gratuitamente per gli under 35 grazie ai biglietti messi a disposizione grazie alla collaborazione con Torino Giovani.

www.fertiliterreniteatro.com

Mara Martellotta

Rejoice Gospel Choir, Natale è vicino!

REJOICE GOSPEL CHOIR
in concerto con “Re-Load”
Direttore Gianluca Sambataro
Mercoledì 17 Dicembre 2025 – ore 21
Chiesa di Santa Pelagia – via San Massimo 21
Non è Natale senza musica Gospel..Protagonista della serata,ultima dell’anno all’interno della rassegna “Contatti Sonori”, sarà il Rejoice Gospel Choir, diretto da Gianluca Sambataro. La formazione unisce la potenza del gospel afroamericano alle sonorità dello swing, del pop e del jazz, portando sul palco uno spettacolo ricco di suggestioni: dal groove intenso del gospel americano alle linee melodiche più dolci.
Il loro repertorio abbraccia suggestioni che spaziano dal groove energico del gospel americano (Kirk Franklin, Kurt Carr) alle linee melodiche del gospel europeo, ma negli ultimi anni il gruppo ha inoltre arricchito le proprie esibizioni con brani di artisti internazionali dei generi pop, musical e rap, rivisitati in chiave gospel con testi e arrangiamenti originali.
Lo spettacolo offre  ma un vero e proprio viaggio, fatto di atmosfere coinvolgenti e di emozioni profonde.
GD

La ferocia, dietro le normali pareti di casa

Sino a domenica 14 dicembre, nella sala dell’Astra

Nell’ambito della stagione allestita dal direttore e regista Andrea De Rosa per il TPE / Teatro Astra, credo che “La città dei vivi” sia lo spettacolo teatrale maggiormente emblematico di quella “idea di identità e delle sue trasformazioni”, riflesso di una umanità in via di disfacimento e di una società in continua trasformazione, radice del più bieco pessimismo, che percorrerà il triennio in cui ci siamo avviati, prima domanda della lunga fila di quante possono sorgere: “che cosa diventano le persone quando si trovano ad affrontare esperienze estreme”. Non più persone né fantasmi ma semplicemente “mostri”. Esseri – ancora umani? – che travalicano i limiti delle nostre comuni aree di normalità per divenire qualcosa di inconsueto, di abnorme, di assolutamente diverso, eroi o assassini essi siano, nelle sfere del bene e del male. Sono i mostri che hanno il potere di sconvolgerci, che si mettono dritti davanti a noi, con forza e prepotenza, che ci terrorizzano “ma che non possiamo ignorare perché ci costringono a guardare come in uno specchio l’immagine di cosa potremmo diventare.”

Il mostro è il riflesso di una società voyeuristica, che scrolla le spalle, posta una storia su Instagram, si annoia a morte”, aggiunge Ivonne Capece che adatta (ben presente a commento la sequela dei video, con attori a essere una sorta di coro) e dirige “La città dei vivi” traendolo liberamente dal romanzo – per chi scrive queste note uno dei più “belli” letti in questa ultima manciata d’anni, se quel termine non sviasse tutto il marciume e l’angoscia che ci sono in quelle pagine – dato alle stampe nel 2022 da Nicola Lagioia, a riscrivere l’omicidio avvenuto nel marzo di sei anni prima in un caseggiato romano al Collatino, anonimo, eguale a tanti, del poco più che ventenne Luca Varani – era nato a Serajevo, adottato in Italia, studente di scuole serali e un aiuto per il padre nella vendita di dolciumi, una fidanzata e una doppia vita di prostituzione maschile, che contattato una sera mercanteggia tra i cento e i centocinquanta euro, è ospitato drogato seviziato colpito con un martello e un coltello, ripetutamente, un centinaio di colpi, martoriato -, ad opera di Marco Prato e Manuel Foffo – trentenni, due ragazzi apparentemente “normali” ma con l’idea di uccidere una persona per “vedere l’effetto che fa”, due buone famiglie alle spalle, quello, laurea in scienze politiche, omosessuale e organizzatore di eventi gay a Roma, da tempo affetto da HIV e da disturbi bipolari, il suicidio nel carcere di Velletri, la testa ficcata in un sacchetto di plastica, il giorno avanti l’inizio del processo, nel giugno del ’19; questo, capace di ripulire sommariamente la scena del crimine e di andare il giorno dopo al funerale dello zio, di fare in macchina le prime confessioni al padre, poi le parole dolorose all’avvocato e agli inquirenti, le ammissioni, le storie di devianze e di ricatti, di paure, di spasmodico uso di cocaina. Nella cancellazione totale della lucidità: davanti alla quale, tuttavia, il pubblico ministero non potè non sottolineare come “davanti a condotte criminali come questa oggetto del processo è difficile credere che possano essere commesse da un umano. Il polimorfismo da cui è affetto Foffo, né l’intossicazione cronica da alcol, giustificano l’accaduto”, aggiungendo che con quei fatti si era toccato “l’abisso umano”.

Già “La ferocia”, Premio Strega, romanzo precedente di Lagioia, era approdato in palcoscenico. Oggi Capece affronta con “La città dei vivi” questo enorme quanto assurdo, disturbante magma di violenza e lo rende con una mirabile lucidità, in cadenze, calibrature, in una scrittura che eccelle nella descrizione di una Roma che si fa universale (riflessa nella scenografia di Rosita Vallefuoco, fatta di ruderi senza valore, dove anche il Giulio II di Raffaello è ormai posto a rovescio), forse autentico “caput mundi” in negativo, in quella polvere bianca che cade da ogni parte e ristagna, nei racconti e nelle esasperazioni, nei fallimenti, nella ricerca edonistica, nel fascino cieco, nei rapporti di incessante violenza e in quelli più intimi tra padri e figli, nel desiderio di spiegare sempre più a fondo quanto sia successo con l’introduzione della figura dell’autore, senza eccedere in quella ragnatela di voyeuristico che sarebbe in agguato e ucciderebbe ben altre problematiche che sono alla base di quel fatto di cronaca. Una stagione all’inferno, radicata, nera, duratura, che coinvolge pesantemente non soltanto quel nucleo di morti e di morte ma altresì la società intera, i vivi forse soprattutto, l’intero atomo opaco del male, irrimediabile, quella che vive tranquillamente dietro le pareti di case confortevoli e di famiglie rispettabili. Non soltanto narrazione: ma pretesa confessione di tutti, scavo che non vorresti mai eseguire, sino a diventare una “ossessione esistenziale”, “un’autopsia interiore” che tutto finisce per coinvolgere. Roma che è diventata caos e pseudo normalità, accettazione e indifferenza, lo specchio ben più ampio della “ferocia”, il lampo di un attimo e la quotidianità che riprende a scorrere. “Fare arte significa misurarsi con un abisso, senza la certezza di uscirne indenne”, aggiunge in ultimo quella che innegabilmente diventa la coautrice.

Il successo incondizionato della serata non potrebbe essere tale senza l’apporto dei quattro interpreti – Sergio Leone, Daniele Di Pietro, Pietro De Tommasi e Cristian Zandonella -, pronti a una inconsueta partecipazione, a una immedesimazione che a tratti è capace di mettere i brividi, a coinvolgere, a porre il pubblico davanti a colpe e momenti bui e situazioni che non hanno rimedio.

Elio Rabbione

Nelle immagini di Luca Del Pia, alcuni momenti dello spettacolo.

“Una Vita per il Jazz”

Domenica 14 dicembre dalle 20.30 al Conservatorio G. Verdi, concerto: “Una Vita per il Jazz” , Memorial Sergio Ramella, Concerto Benefit. Giunto alla seconda edizione, vuole ricordare la figura di Sergio Ramella, colui che da grande appassionato di jazz, ha portato a Torino e non solo i più grandi musicisti della storia del Jazz. I giovani di “To Young To Jazz” insieme ai musicisti del jazz piemontese, suoneranno oltre che per ricordare Ramella, anche per finanziare una borsa di studio per un giovane talento del corso di jazz al Conservatorio. La serata sarà presentata da Edoardo Fassio. Sul palco del conservatorio si alterneranno : Limen Collective di Fabrizio Leoni e Alessandro Soro, Trio Careful di Sonia Infriccioli, Mattia Basilico Quartet, Dario Caiffa Quartet, Mashkatarìa Quartet di Caterina Graniti. Special Guest : Nico Morelli, Gianpaolo Petrini, Alfredo Ponissi, Emanuele Sartoris, Marco Tardito, Luigi Tessarollo. L’ingresso è su donazione (a partire da 10 euro). Tutto il ricavato andrà a finanziare borse di studio per giovani musicisti e anche la rassegna To Young To Jazz.

Pier Luigi Fuggetta