SPETTACOLI- Pagina 18

Un master internazionale per attori e attrici

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Per la direzione artistica di Marco Lorenzi e la direzione organizzativa di Marco Babuin e di Santibriganti Teatro

 

Al via il secondo anno de LoStudio, il master internazionale per attori e attrici, che ha la direzione artistica del regista Marco Lorenzi della compagnia teatrale Il Mulino di Amleto.

Dopo il successo internazionale del primo anno de LoStudio, che si è concluso con lo spettacolo ‘La notte della Repubblica’, ispirato al Giulio Cesare di Shakespeare, torna il bando di selezione per accedere al Master internazionale per attori e attrici, che partirà a gennaio 2025, protraendosi fino a ottobre 2025, riconfermando anche quest’anno la sua vocazione internazionale.

Fra i docenti che si avvicenderanno durante l’anno accademico ricordiamo Massimiliano Civica, Gabriele di Luca di Carrozzeria Orfeo, Michela Lucenti e Francesco Gabrielli di Balletto Civile, Daniel Bausch dell’Accademia Dimitro di Verscio, Marco Lorenzi, Barbara Mazzi, Angelo Tronca e Yuri d’Agostino de Il Mulino di Amleto, Thea Dellavalle e Irene Petris, Bruno De Franceschi, Nicole Kehrberger, Beppe Rosso, Rebecca Rossetti, Lorenzo De Iacovo. Un gruppo nutrito di docenti che metterà al centro la formazione degli artisti, in quanto performer unici nella loro individualità. Lo Studio 2025 riconferma la direzione artistica di Marco Lorenzi e de il Mulino di Amleto e la direzione organizzativa di Maurizio Babuin e di Santibriganti Teatro.

Il master 2025 sarà composto da un semestre di alta formazione, un Summer Camp di approfondimento e in autunno la preparazione e la restituzione dello spettacolo finale. Le lezioni si terranno nella sede del Dravelli di Moncalieri. Nella prima parte ogni docente si alternerà in residenza continua per due settimane accompagnando i partecipanti per tutta la durata del percorso. Sono previste restituzioni di lavoro e aperture verso l’esterno. Il Summer Camp sarà un periodo di lavoro estivo che si svolgerà a San Pietro in Vincoli, nel centro di Torino, in cui i partecipanti lavoreranno a stretto contatto con l’Ensemble de Il Mulino di Amleto. Lo spettacolo andrà in scena per più repliche sempre nel teatro di San Pietro in Vincoli, all’interno della stagione gestita da A.M.A Factory e Fertili Terreni Teatro.

“la mia professione – spiega Marco Lorenzi – è il regista e con il tempo sono sempre più convinto che la pedagogia sia parte del lavoro del regista in modo gioioso e inscindibile.

Per questo, anche quando lavoro ad una regia, le mie domande sono sempre rivolte anche alla pedagogia… Penso che la formazione sia essenziale per la vita del teatro. L’educazione del regista, l’educazione dell’attore e l’educazione degli spettatori. Ciò che può garantire un futuro al teatro è sicuramente l’educazione. A questo proposito ho la sensazione che stiamo smarrendo qualche cosa di molto importante, la formazione sta perdendo sempre di più la sua caratteristica principale: la qualificazione. Oggi in Italia la formazione è diventata superficiale, troppo veloce, espressa per tutti, non più capace di selezionare le persone adatte a questo tipo di professione dalle altre”.

 

La domanda di ammissione dovrà pervenire entro il 30 novembre 2024 a didattica.lostudiotorino@gmail.com

 

Mara Martellotta

I primi film in concorso del 42mo TFF. La vendetta cercata di “Nina”, i comunisti di “Europa Centrale”

Con i colori della Spagna, partecipa quest’anno al TFF la regista Andrea Jaurrieta, nata a Pamplona, oggi 38enne, già assistente di Pedro Almodòvar per “Julieta” e gran debutto in patria sei anni fa con “Ana de dìa”. Accompagna “Nina”, storia tutta al femminile di ricordi e di sospirata vendetta, storia di una donna che, dalla capitale dove vive ed è attrice di largo successo, torna nella città sul mare dove è cresciuta armata di un fucile a pompa nella borsa e di un unico obiettivo, quello di chiudere per sempre i conti con Pedro, scrittore di fama che ora tutti festeggiano e acclamano, l’uomo che ha approfittato di lei appena sedicenne. “Con il mio film voglio prima di tutto parlare di abusi e riflettere sui limiti del consenso. Un tema che attraversa le barriere culturali e colpisce tutte le società in modo trasversale. A mio avviso, c’è la necessità di affrontare questo tema da un punto di vista femminile diverso dal solito. Ovvero, non adottando la prospettiva della vittimizzazione ma affrontando la complessità psicologica e sociale che caratterizza questo tipo di relazione.” La vendetta è davvero l’unica via da scegliere? Nella scrittura di Jaurrieta e soprattutto negli sguardi di Patricia Lòpez Arnaiz, pronta a inseguire quel Darìo Grandinetti che fu già attore per Almodòvar in “Parla con lei”, c’è tutta la tragedia che ha segnato una vita, le sensazioni grame, l’infelicità di sé, il negarsi e la consapevolezza della scelta: ma ancora non s’avverte appieno, con i gesti e le parole e le azioni con cui è stato costruito giorno dopo giorno, il sopravvento su una ragazzina indifesa e troppo sognatrice, non si comprendono appieno le intenzioni e la concretezza della volontà della donna. Nelle note di regia, Jaurrieta corre ben oltre il fatto narrato, pone anticamente le radici della vicenda nella Nina e nel Trigorin di Cechov: un amaro retrogusto letterario e legittimo che altro non fa che convincerci, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto il mondo non sia cambiato affatto. E in questo “Nina” riacquista tutta la propria autorevolezza e la propria verità.

Gianluca Minucci è invece nato a Trieste, classe 1987, è laureato in storia e critica del cinema e filmologia alla Sapienza di Roma, proviene da spot pubblicitari e video musicali, insegna Storia e Letteratura italiana nella scuola pubblica, il suo “Europa Centrale”, scritto con Patrick Karlsen è il primo dei due film italiani in concorso. Il film è definito “un kammerspiel metafisico sulla lotta politica”, è ambientato, nell’aprile del ’40, all’interno di un viaggio in treno durante il quale una coppia di fede comunista dovrà portare a termine l’importante missione che le è stata affidata. C’è violenza (anche qui: i selezionatori, giovanissimi ci hanno avvertiti, è possibile che non riescano più a trovare una di quelle Commedie, intelligenti, costruite con spirito, dalla scrittura che ispira sorrisi tutti di testa, sull’orlo dell’allegria che possano mai trovare posto in un concorso?) psicologica e fisica, c’è la chiusura, quasi il soffocamento dentro gli angoli bui di quei vagoni, ci sono passioni e sospetti, la paura circola tra tutti dal momento che tutti non conoscono bene chi sia l’altro, ci sono passati che riaffiorano e identità che si sovrappongono o si sfaldano. C’è la divisione insuperabile, ci sono i comunisti e i fascisti, i fuoriusciti in quella parte del Novecento, c’è chi fa il doppio gioco (ma è vero, o non è vero?), c’è “un dramma profondamente umano” ci dicono ma che non riusciamo davvero a vedere nei racconti frantumati dei personaggi, c’è una storia di spionaggio “dalla regia espressionista” che non riusciamo davvero a vedere. Vediamo eccessi a non finire, un grottesco fuori luogo, un thriller che alla fine non sa ricomporre le proprie carte, una carneficina finale che nella sua disperazione sa persino di ridicolo, una recitazione esagitata e alla fine inconcludente che finisce col coinvolgere malamente due attori come Paolo Pierobon e Tommaso Ragno, una regia che con la asprezza e la spregiudicatezza del racconto, con le immagini strane e sghembe, con certi primi piani che non sai se di terrore o d’effetto sfacciato, con i particolari inaspettati, con le forzature, con le tante giravolte che finiscono con l’essere la bandiera della non chiarezza, rende un cattivo servizio a una storia che doveva essere trattata in tutt’altro modo. E il pensiero corre a un certo Bertolucci, al suo protagonista malato di “conformismo”, all’epoca narrata che collima con quella di “Europa”, alla violenza e a ogni ricordo che erano morbidamente narrati. E che ancora restano nella memoria.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Patricia Lòpez Arnaiz interprete di “Nina” e Paolo Pierobon in un momento di “Europa Centrale”.

Rock Jazz e dintorni a Torino: Fiorella Mannoia e Javier Girotto & Aires Tango

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’ Auditorium del Lingotto per 2 sere consecutive, si esibisce Fiorella Mannoia.

Martedì. Al Jazz Club suona il Fretstring Duo. All’Off Topic si esibisce Il Muro del Canto.

Al Blah Blah sono di scena i Rank-O.

Mercoledì. Al Teatro Concordia di Venaria arriva Raf. All’Osteria Rabezzana suona il Shawnn Monteiro Italian 4 set. Al Jazz Club serata “ The Chicago Blues Jam”. 

Giovedì. All Hiroshima Mon Amour  si esibiscono i Rovere. Alla Divina Commedia suonano 

gli Electrolite. Al Jazz Club sono di scena i Risonanza Magnetica. Al Magazzino sul Po si

esibisce Cesare Basile. Al Cafè Neruda suona il Tessarollo-Ruggeri Duo. All’Off Topic si

esibiscono i Tripolare.

Venerdì. Al Peocio di Trofarello sono di scena i Crossing Belt. All’Hiroshima Mon Amour 

si esibisce Ditonellapiaga. Alla Divina Commedia i Ghost in The Machine cover band, eseguono

i più grandi successi dei Police. Al Jazz Club suona la Hoochie Coochie Band. Al Folk Club 

è di scena Javier Girotto & Aires Tango. Al Magazzino sul PO suonano gli Ego+ Decrow.

All’Off Topic si esibisce Giargo. Allo Spazio 211 sono di scena i Rock4 Life. Al Blah Blah

suonano A Forest Mighty Black + Passover. Allo Ziggy si esibiscono i Medusa.

Sabato. Al Blah Blah sono di scena Ancillotti+ Oblivion Vortex Doom. Allo Ziggy suonano Corlix+Miss Fortune. Allo Spazio 211 si esibiscono i Savana Funk+Mao Funk+Only Funk.

Al Magazzino sul PO suonano gli Oaxaca. All’Inalpi Arena arriva Laura Pausini. Alla

Divina Commedia si esibisce la Pyram Band. Al Capolinea 8 suona l’APJ Trio. Al Jazz Club

è di scena la Momo Rock Band. .

Domenica. Al Blah Blah suona Brian Lopez.

Pier Luigi Fuggetta

Le tragiche avventure firmate da Ron Howard e il giallo perfetto di Battiston

Sugli schermi il 42mo Torino Film Festival

 

Arrivati al 42mo appuntamento, continua la Stella del Cinema a sorvolare in gran dinamismo, tra le luci che riempiono la notte, le piazze di Torino e i suoi monumenti, la collina e il fiume e dà inizio a quella che sarà una Festa. Festa del Cinema, dei registi e degli attori, di quanti il Cinema lo pensano e lo fanno, lo costruiscono con gli immancabili quattrini e con le idee, del pubblico che affluisce e colma le sale di proiezioni, che fatiche a trovare posti, che fin dai primissimi giorni, per abbonamenti e sbigliettamento, ha già superato i numeri dello scorso anno, della nuova strada che sembra aver preso, moderna e innovativa, glamour ma non soltanto glamour – quanti ancora vivono nell’indecisione, nella vecchia convinzione di una rassegna che da sempre ha cancellato i tappeti rossi e le vippesche presenze, di un festival vicino alle montagne, più che lodevole ma quasi obbligato a rinchiudersi in una più o meno filosofica nicchia, attendano una settimana e alla fine facciano pollice verso oppure no.

 

Arrivati al 42mo appuntamento, il TFF inaugura alla grande al Regio, tra le poltrone rosse e la volta illuminata di Carlo Mollino in un panorama all stars che allinea Sharon Stone, Ron Howard, Sarah Jessica Parker con il consorte Matthew Broderick, Claudia Gerini, Giancarlo Gianini, Rosario Dawson: e l’elenco potrebbe continuare. Tutti o quasi a ricevere nella serata d’inaugurazione e nei giorni a venire – il pubblico non dimentichi l’ultimo colpaccio del nuovo direttore Giulio Base, ovvero Angelina Jolie alle 17 di domenica 24 al cinema Ideal per presentare “Without Blood” da lei scritto, diretto e prodotto, ricavato dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco, che l’affiancherà nel corso della serata – la Stella della Mole, di cui il cinema d’oltreoceano continua a fare raccolta. 

L’inaugurazione è stata affidata a “Eden” diretto da Ron Howard, ispirato a una storia vera, narrata a suo tempo in due opposte versioni. Tra le due guerre mondiali, giungono all’isola di Floreana, nel gruppo delle Galapagos, il dottor Friedrich Ritter e la sua amante Dore, lui nella convinzione di trovare nuovi sviluppi ai propri studi; a seguire, spinto da quell’esempio, Heinz Wittmer, un ex militare, con la giovane moglie e il figlio, e la Baronessa, avventuriera con al seguito un paio d’amanti, disposti a essere suoi lavoratori, secondo gli umori della donna. Che ha in mente di costruire nell’isola un lussuoso hotel per gente danarosa e con quelle intenzioni pretenderebbe l’isola tutta per sé. Medesima è la volontà di Ritter: inevitabile lo scontro tra quei differenti gruppi, troppo diversi l’uno dall’altro, le conseguenze saranno disastrose nella distruzione di un autentico paradiso terrestre. Grande cast (Jude Law, Vanessa Kirby, Daniel Bruehl e Ana De Armas) e panorami mozzafiato, sospetti e il peggiore vitalismo, il “Dorian Gray” di Wilde posato su un tavolo e le citazioni di Nietzsche, psicologie raccontate con estrema attenzione, un alto senso dell’intrigo sino a fare del film un thriller perfetto e dello spettacolo.

Non appena uscirà sugli schermi (28 novembre) non lasciatevi scappare “Il corpo”, presentato qui fuori concorso, scritto (con Giuseppe Stasi, le radici stanno nello spagnolo “El cuerpo” di Oriol Paulo) e diretto da Vincenzo Alfieri, presentato al festival fuori concorso, dove un maiuscolo Giuseppe Battiston, messo a troneggiare sul podio più alto, mostra tutta la sua bravura come forse non l’ha mai fatto, uomo di legge che non incappa per nulla nei luoghi comuni e nei tic che gli abbiamo visto coltivare nel recente “Stucky” televisivo, sbiadita copia trevigiana del tenente Colombo. Giallo a tutto tondo, raccontato con un montaggio del tempo presente e di flashback a cui ancora sovrintende il regista decifrando a poco a poco il passato, “Il corpo” è la storia della sparizione del corpo di Rebecca Zuin (Claudia Gerini), una affascinante imprenditrice dell’industria farmaceutica, dalle stanze buie e spettrali di un obitorio, in una città perennemente ripresa sotto scrosci di pioggia senza posa. Per i tanti frammenti che s’inseguono con intelligente velocità, i sospetti cadono immediatamente sul consorte, tolto ai corsi universitari di chimica e coccolato con quozienti alti di sesso, con macchine sportive come continui regali con tanto di fiocco rosso in bella mostra, con case avveniristiche con piscina, accrescendo l’uomo la propria personale ricchezza con relazioni extra che vanno dagli ardori della cognata a quelli di una ragazza incontrata per caso a una festa. Deve assolutamente far luce su tutto quanto l’ispettore Cosser (Battiston), tra considerevoli dosi d’ironia e di acume e di scatti di rabbia che non gli spetterebbero visto l’abito che indossa. Strada tortuosissima quella percorsa da Alfieri, ma pienamente vinta, con un rebus immerso in ambienti eleganti e fatiscenti allo stesso tempo, con dialoghi che mai inciampano nel banale, con piccole disseminazioni che sino all’ultima manciata di minuti lasciano lo spettatore a chiedersi della colpevolezza di quel poverocristo di marito che s’è preso alla fine venticinque anni di carcere. Assolutamente da vedere per chi ama il giallo di casa nostra, maledettamente bel congegnato e con leggi precise tenute con l’occhio del gran maestro.

Tenta il ritratto della natura incontaminata e solitaria, della vecchiaia, del dolore soffocato e della solitudine Charlie McDowell – il figlio del Malcom dell’”Arancia meccanica” kubrikiana – in “The Summer Book”, fuori concorso, tratto dal romanzo del finlandese Tove Jansson. Tenta perché la materia che può trovare liberi spazi in un libro davvero stenta a prendere corpo e spessore se portata sullo schermo. Racconta di Sophia, bambina di nove anni, e della sua nonna, a cui con molte probabilità non resta più molto da vivere. C’è anche il padre di Sophia, rimasto vedovo, tutti si insediano su di una spoglia isola della Finlandia, per parlare di vita e della sua spicciola filosofia, per dare un’occhiata a un vecchio faro e per salvarsi da una tempesta, per rinvigorire qualche albero e per scoprire un piccolo gatto all’interno di una scatola, per cercare quella pace che solo quell’angolo di paradiso può offrire, per trovarsi davanti qualche sconosciuto vicino, per improvvisare una festicciola di mezza estate, per scoprire parole nuove. La materia non è delle più ricche e avvincenti, dopo la prima mezz’ora il gioco, seppur sincero, non regge più e anche Glenn Close viene catturata in un tentativo affatto riuscito.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Ron Howard durante le riprese di “Eden”, Giuseppe Battiston in “Il corpo” (foto di Gianfilippo De Rossi) e Glenn Close interprete di “The Summer Book”.

Tff, al Regio brillano le stelle del cinema

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Ron Howard, Sharon Stone, Matthew Broderick e Sarah Jessica Parker, Rosario Dawson e  Giancarlo Giannini sono stati i protagonisti della prima serata del 42esimo Torino Film Festival, inaugurato ieri sera al Teatro Regio. Sono stati cinque i premi Stella della Mole: all’attore Matthew Broderick, Rosario Dawson, Sharon Stone,  Ron Howard e Giancarlo Giannini, accolto dal pubblico con una standing ovation. La serata si è conclusa con la proiezione dell’ultimo film di Ron Howard, Eden, presentato a Torino in anteprima mondiale.

Articolo in aggiornamento 

Foto Giuliana Prestipino

 

“L’amore che ho” presentato al TFF

“L’amore che ho” è il titolo del film dedicato alla leggenda della canzone popolare siciliana Rosa Balistreri, “la cantautrice del sud” per antonomasia. Verrà presentato in questi giorni nel corso del Torino Film Festival, giunto alla sua quarantaduesima edizione, nella sezione “Zibaldone”.

Il film, liberamente tratto dalla biografia ufficiale scritta dal nipote dell’artista Luca Torregrossa e diretto dal regista Paolo Licata, racconta e ripercorre i drammi e le gioie della “voce della Sicilia” con i momenti più salienti della sua vita e del suo lavoro. Sempre in prima linea per la difesa dei più deboli, dei lavoratori, delle donne abusate e per lottare contro qualsiasi prevaricazione attraverso le sue canzoni quella di Rosa è una personalità sfaccettata, tormentata e dai sentimenti contrastanti ed al tempo stesso vicina al mondo della musica, del teatro e dell’arte grazie agli incontri con Dario Fo, Andrea Camilleri, Franca Rame e Renato Guttuso.

Rosa Balistreri partecipò anche all’ultima edizione di Canzonissima nel 1974, nel Girone Folk, e l’anno prima venne esclusa dal Festival di Sanremo ’73 perchè impegnata politicamente e coinvolta in manifestazioni contro la mafia. Alla vigilia del Festival il suo brano “Terra che non senti” rimase all’ultimo momento escluso dal concorso perchè il motivo sarebbe lo stesso da lei presentato nel corso dello spettacolo televisivo “Stasera Rosa” andato in onda pochi giorni prima, ma si è sempre sospettato che dietro la squalifica ci fosse una manifestazione di carattere politico. Il racconto del destino di Rosa Balistreri rivela l’anima di un’artista straordinaria e lo spirito di una donna ribelle. Nel cast del film, Lucia Sardo, Donatella Finocchiaro, Anita Pomario e Martina Ziami prestano il volto alla Balistreri nelle diverse fasi della sua vita. Anche la cantautrice Carmen Consoli, che considera Rosa Balistreri un’icona personale, partecipa nel ruolo di Alice e firma le musiche originali.

Igino Macagno

“Lapponia”, risate e riflessioni, ovvero si fa in fretta a dire Natale!

Al Gioiello, sino a domenica 24

Si fa in fretta a dire Natale. Con tutto il suo carico di buone intenzioni, promesse, sorrisi da ogni parte e abbracci anche a chi non si vede da secoli, e tavole e brindisi e montagne di regali. Un gran bel castello di sabbia – per qualcuno o per molti – che un’onda più grande è lì a rovinare o a distruggere del tutto. Immancabilmente, c’è chi tenta di salvare il salvabile ma i tanti giuochi per rimettere ordine e continuità sono sempre più pericolosi e difficili e troppe volte procurano altri guai. Per le festività corrono al nord della Finlandia, nella bianca e fredda Lapponia, Monica e il marito spagnolo Ramon (che pare uscito mezz’ora prima dall’ufficio) con il loro Giuliano per festeggiare con Silvia, sorella trasmigrata di lei onde sposare il nativo Olavi e mettere al mondo la piccola Aina. Tutto potrebbe o dovrebbe filar liscio tra una mezza dozzina di esseri umani che da un po’ di tempo non si vedono e avrebbero saccate di cose da raccontarsi e spartire: ma lassù tra i ghiacci il truce destino vuole che Aina, prole infervorata e troppo sveglia di quattro anni, racconti solerte al cuginetto che Babbo Natale non esiste, che altro non è che una pura invenzione, una grossa bugia dei grandi per mettere tranquilli i bambini e costringerli a comportarsi secondo le migliori maniere. Mentre la duplice prole se ne sta di là a giochicchiare e a frignare (non li vedremo mai in scena, ne sentiremo di tanto in tanto le voci registrate), attorno al tavolo dei perduti festeggiamenti, davanti alla grande vetrata che riflette un paesaggio di abeti e di neve che più serafico non potrebbe essere, in attesa dell’aurora boreale forse rappacificatrice, iniziano a scannarsi gli adulti, scambiando quell’angolo di paradiso per un campo di battaglia dove viaggiano ormai in piena libertà volgarità con scontri fisici inclusi, avendo a contorno, mettendole allo scoperto, quelle confessioni che nessuno ha mai avuto il coraggio di fare finora. Non è soltanto affrontare il problema se ai due ragazzini siano migliori la verità o le bugie, se sia sempre più lodevole lasciare pieno spazio a quella e a quel carico di magia e di illusioni che queste si portano dietro. Perché sono le tradizioni che se ne vanno, i valori familiari cileccano (perché non mi hai chiamata al capezzale di nostro padre mentre stava per andarsene?), le scoperte improvvise e certo inattese (perché Silvia e Ramon da un po’ di tempo si scambiano mail?), certe paternità non proprio sacrosante da sempre tenute nascoste (visto che anche voi la vostra bella bugia l’avete detta?). E via di questo passo.

Lapponia”, autori Marc Angelet e Cristina Clemente, successo a furor di popolo in Spagna e Sud America, guarda nella versione italiana di Pino Tierno, azzeccatissima e tutta nostra, con i suoi sapori tutti di casa nostra, alla famiglia e al cuore suo più interno con una spregiudicatezza così acida e abbrutita che più non si potrebbe. Attraverso una drammatica quanto divertente scrittura che costruisce situazioni e dialoghi e battute a raffica pronte a squadernare risate su risate, la commedia è anche un bell’esempio da cui tirar fuori riflessioni sui rapporti e sul nostro vivere quotidiano che abbiamo costruito e sulle convinzioni che ognuno porta dentro sé, in opposte posizioni: in fondo, fatti di che? Ironia, divertimento, pensieri che riempiono appieno la serata, in un successo incondizionato.

Per la regia di Ferdinando Ceriani che dà un ritmo ai 90’ minuti della vicenda senza un attimo di tregua e nella scenografia di Pier Paolo Ramassa – le pareti in legno, la grande vetrata, l’ambiente ovattato che dovrebbe esprimere calore, una lode a parte – si muovono i quattro interpreti. Come due farfalle sempre più impazzite le presenze femminili, Miriam Mesturino virago tutta scatti e acidume che tutto ordina e che tutto è convinta d’aver previsto secondo il migliore dei modi, e Cristina Chinaglia, capace di accomodare ma anche di gettare qua e là tizzoni ardenti in mezzo ai familiari. Sergio Muniz ci mette pacatezza e tentativi di quieto vivere mentre Sebastiano Gavasso, il nordico che viaggia per leggi libertarie tutte sue, è il più convincente di tutti, attraversando la storia a suon di piatti finlandesi e invettive in lingua, avventurandosi tra l’altro in massime che iniziano con l’affibbiare un retaggio di bugiarderie a tutto il sud dell’Europa e ritagliandosi un successo personale.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Maria Letizia Avato.

Tff al via: oltre ai tanti film, quante stelle sul red carpet torinese

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Una festa per la città, dal 22 al 30 novembre, con la prima volta del direttore Giulio Base

 

Pare proprio che si volti pagina, che il 42mo TFF abbia altre sembianze. Non tanto quella sfrondatura di titoli, da 180 e forse qualcosa di più si passa a 120 e il che non può che fargli bene con quel po’ di spiragli e di respiro offerti nei nove giorni di festival (dal 22 al 30 novembre), ma soprattutto quell’affollato andare e venire sul red carpet di celebrità di casa nostra e di star d’oltreoceano – portati in riva al Po con aerei di linea, si assicura, i jet privati sono ferocemente banditi per non superare quei 2,2 milioni che sono il budget previsto – che se insegue una certa atmosfera capitolina (non dico croisettiana o lagunare) rischia di soffocare o per lo meno mettere a sbiadire, in questo novembre torinese fatto si spera di ultime calde luci e di temperature ancora non proprio troppo fredde, quella certa abituale nicchia di cinefili incalliti, di scopritori di pietre preziose e di rarità su cui poi accanirsi a discutere.

Quel certo raccoglimento sabaudo (?) che da decenni ha impresso una cifra ben precisa alla manifestazione, attraverso altre sigle o etichette, attraverso altri direttori, attraverso altre epoche. Qualcuno ha già arricciato il naso nello spavento di una resa d’identità, evvia, aspettiamo i risultati finali, di partecipazione e di ritorni d’immagini e di quant’altro ci si possa augurare da un nuovo corso. Innegabile che anche soltanto per “vedere” cotante glorie cinematografiche il pubblico crescerà, accalcato e vociante, si spera presente pure alle proiezioni, e interessatissimo.

“La colonna vertebrale del Torino Film Festival – assicura Giulio Base freschissimo direttore, rincuorando tutti – è da sempre cinefila e autoriale e tale rimarrà anche in questa edizione, resterà una proposta di film dallo spirito libero, originale, indipendente, graffiante: la lineaguida principale è infatti proprio quella di un festival che torna allo spirito del Cinema Giovani, contenuto fin dal nome dal principio della nostra storia.” Sei sezioni “ben distinte e di facile fruizione”, tre donne – Margaret Mazzantini, Roberta Torre e Michela Cescon – presidenti delle giurie, particolare attenzione al sociale e riconferma di un impegno alla sostenibilità ambientale. Con première d’eccezione al Teatro Regio madrina Cristina Capotondi e Baratti&Milano che diventa lounge del Festival.

Presenze richiamate dal pacchetto dorato delle Stelle della Mole sono Ron Howard che aprirà con il suo ultimo “Eden”, un drama thriller interpretato da Jude Law e Vanessa Kirby, giorni di paura per una coppia di scienziati tedeschi che alla fine degli anni Venti si trasferiscono alle Galapagos, il nostro Giancarlo Giannini che verrà a raccontarci e a rivedere con noi il suo “Pasqualino Settebellezze”, Rosario Dawson che presenta “Kids” di Larry Clarck e Alec Baldwin a riproporre le immagini di “Caccia a Ottobre Rosso” (stracarico di passaggi televisivi!), Matthew Broderick, in compagnia della consorte Sarah Jessica Parker colonna di “Sex and the City”, a ripensare al suo rapporto (idilliaco? burrascoso?, lo sapremo) con Marlon Brando durante la lavorazione di “Il boss e la matricola”, Vince Vaughn con “Swingers” di Doug Liman e Julia Ormond con “Here’s Yianni” diretto da Christina Eliopoulos, Ornella Muti e Michele Placido ad accompagnare “Romanzo popolare” di Mario Monicelli del 1974, Emmanuelle Béart che presenta il suo documentario “Un silence si bruyant”, diretto con Anastasia Mikova (un’opera per dare voce alle vittime di violenza sessuale, incoraggiandole a superare la vergogna), last but di certo non least Sharon Stone che ci entusiasmerà con tutti i segreti del “suo” – fu interprete e produttrice – “Pronti a morire”, western che vide Sam Raimi dietro la macchina da presa. La chiusura del festival rimarrà in zona, con Billy Zane – il cattivone di “Titanic”, presente in sala – interprete, “con una stupefacente e totale immedesimazione”, di “Waltzing with Brando”, diretto da Bill Fishman, presentato qui in anteprima mondiale, racconto di un progetto dell’attore per la costruzione di un ressort per le vacanze a Tahiti all’inizio dei Settanta.

Chicche preziosissime per questa ventata d’aria nuovissima che il nuovo direttore si è assicurato, accaparrato con viaggi e telefonate lunghissime crediamo, longa manus e contatti coltivati a regola d’arte. Magari qualche insistenza avrà dovuto usarla anche lui ma poi tutto è andato felicemente in porto. Chicca preziosa e doverosa nel centenario della nascita dell’attore – e di questo al direttore sia reso grazie e merito – il ciclo di film che riproporrà la figura e l’arte di Marlon Brando, lui preso a immagine dell’odierno TFF, con quell’angolo di sorriso, intento a sistemarsi il nodo della cravatta rossa, il viso bellissimo, erano le immagini di “Ultimo tango a Parigi”, un omaggio sacrosanto che va dal 1950 al 1994, che non guarda ai capolavori o ai film più che zoppicanti, accettati e fatti per il pagamento delle solite bollette di casa, ventidue titoli tutti insieme, una scorpacciata da non perdere, da far entrare assolutamente tra una proiezione e l’altra del concorso: dal “Tram che si chiama desiderio” a “Giulio Cesare” al “Selvaggio”, da “Fronte del porto” a “Bulli e pupe” ai “Giovani leoni”, da “Pelle di serpente” con Anna Magnani agli “Ammutinati” e “La caccia”, dal “Padrino” ad “Apocalypse Now” a “Missouri”, ogni proposta introdotta da un critico.

120 film scelti sui 5500 titoli pervenuti, 96 lungometraggi e 24 cortometraggi, 23 anteprime mondiali e 22 anteprime internazionali, 13 anteprime europee e 24 anteprime italiane. Tra i sedici film del concorso principale, “Europa Centrale” di Gianluca Minucci, un kammerspiel metafisico sulla lotta politica ambientato nell’aprile del ’40 in un viaggio in treno di una coppia di comunisti (Paolo Pierobon e Tommaso Ragno) a cui è affidata dal Comintern una importante missione, e “N-Ego” di Eleonora Danco, anche interprete travestita da manichino “dechirichiano nei suoi tanti incontri con personaggi che rispecchiano le sue paure e i suoi desideri. Da Tunisia e Argentina, da Ucraina e Belgio e Brasile, da Iran e Danimarca e Stati Uniti tra gli altri in arrivo le altre pellicole, grande attenzione ad argomenti femminili, una nascita inattesa e il desiderio di diventare madri, attrici che riempiono un set di vita reale, insegnanti con la personale infertilità e allieve che rimangono incinte, vendette sull’uomo che fa rovinato una vita, il desiderio di guardare a un futuro o forse la necessità di aggrapparsi ad un passato, la ribellione di una donna e giornalista a un regime che reprime. 

Nella sezione “Fuori concorso” interessanti si preannunciano “Le barbares” di Julie Delpy, una cittadina della Bretagna pronta ad accogliere i rifugiati dell’Est Europa ma qualcosa si guasta allorché ad arrivare sono invece dei profughi siriani; “Il corpo” di Vincenzo Alfieri, con Claudia Gerini, giallo in piena regola per scoprire chi abbia causato la morte di una ricca imprenditrice e la sparizione del suo corpo, “Un natale a casa Croce” in cui Pupi Avati racconta del filosofo e della sua amicizia con Giovanni Gentile, guastata dall’arrivo del fascismo, “Paradis Paris” di Marjane Satrapi, dove un gruppo di parigini, fra cui Monica Bellucci, affronta la morte, “Riff Raff” di Dito Montiel, dove un vecchio criminale dovrà affrontare a Capodanno i vecchi nemici che sono venuti a cercarlo e “The Summer Book” diretto da Charlie McDowell, figlio del Malcom dell’”Arancia Meccanica”, l’ultima estate di una nonna (Glenn Close) che sta per morire, in compagnia della piccola nipote Sophia su un’isola della Finlandia. Altra sezione, “Zibaldone”, altri titoli da tenere d’occhio. Dopo più di vent’anni Maurizio Nichetti torna al cinema in compagnia di Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz con “Amichemai”, “From Ground Zero” in cui il regista palestinese Rashid Masharawi raccoglie 22 cortometraggi realizzati da alcuni registi di Gaza, “La musica negli occhi” di Giovanna Ventura sul rapporto di lavoro e di amicizia soprattutto tra Fellini e Nino Rota e tra Ettore Scola e Armando Trovajoli, “Perfect Number” di Krzysztof Zanussi, il giovane David, matematico polacco ha dedicato la sua vita ai numeri sacrificando i propri sentimenti: l’incontro con il cugino Joachim lo costringerà a riconsiderare le sue scelte.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Jude Law w Vanessa Kirby sono gli interpreti di “Eden” di Ron Howard, film d’apertura del festival; Marlon Brando e Vivien Leigh in una scena di “Un tram che si chiama desiderio”, inserito nella rassegna sull’attore di cui cade il centenario della nascita; Tommaso Ragno in “Europa Centrale” di Gianluca Minucci e una scena di “N-Ego” di Eleonora Danco, entrambi in concorso per l’Italia.

Parte da Savigliano e prosegue ad Alba il Festival Uto Ughi

Uto Ughi, tra i maggiori violinisti del nostro tempo, è protagonista del Festival nazionale che porta il suo nome “Uto Ughi per i giovani”, con partenza dal Piemonte, con precisione dalla città di Alba, e poi tappe a Savigliano, Cuneo e Moretta e in tutta Italia. Dopo il successo de “La Santità Sconosciuta”, il festival che ha portato a esibirsi per sedici edizioni interpreti di altissimo livello artistico, facendo incontrare in varie forme spiritualità e musica, si è trasformato in un progetto dedicato ai giovani. I concerti e le masterclass dedicate ai giovani saranno a ingresso libero e gratuito perché l’arte è un bene prezioso e spirituale a cui tutti devono poter accedere, come spiega il maestro Uto Ughi.

“Per poter portare avanti questa nostra missione – aggiunge il maestro Uto Ughi – il sostegno dei partner è prezioso e fondamentale e, in un periodo economicamente così difficile per le famiglie, è più che mai doveroso da parte nostra donare un festival culturale musicale per emozionare il pubblico appassionato, avvicinare le nuove generazioni alla cultura e salvaguardare la grande tradizione musicale.

In un momento in cui le nuove generazioni hanno subito un impoverimento formativo e culturale a causa della pandemia, nel 2021 la Santità Sconosciuta, d’intesa con il maestro Uto Ughi e la Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero, ha elaborato un programma ricco di interpreti affermati, talenti virtuosi e momenti musicali eccellenti per far vivere al pubblico l’emozione della grande musica.

Il festival ideato dal Maestro Uto Ughi, dall’Associazione Culturale Arturo Toscanini di Savigliano e sostenuto per le tappe piemontesi, dalla Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero, e altre importanti realtà nazionali, si presenta con particolarità culturali e artistiche uniche e originali, soprattutto per la volontà di diffondere il piacere della musica classica tra le fasce più giovani della popolazione, ad ingresso libero e in forma gratuita. Con questa finalità sono in programma incontri con gli allievi di tutte le scuole di ogni ordine e grado per trasmettere alle nuove generazioni l’amore e la sensibilità verso la musica e in generale verso la cultura. Questo tipo di divulgazione ha il merito di catturare l’attenzione dei ragazzi, trasmettendo loro messaggi positivi da applicare alla quotidianità. Attraverso una programmazione di concerti, la musica viene spiegata in modo semplice e diretto, sollecitando una partecipazione attiva da parte del pubblico.

Il programma musicale per l’edizione 2024 del festival Uto Ughi per I giovani prevede martedì 3 dicembre alle 21 alla Creusa Neira di Savigliano un viaggio musicale tra composizioni originali e i più celebri arrangiamenti per quintetto di ottoni Strumentisti dell’Orchestra Nazionale della Rai. Venerdì 6 dicembre, nella chiesa della Beata Vergine di Moretta concerto di Uto Ughi e Leonardo Bartelloni con un recital per violino e pianoforte, con pezzi emblematici della grande tradizione violinistica. All’Auditorium Ferrero di Alba, alle 21, Uto Ughi e i Filarmonici di Roma insieme ne “La magia del Violino”.

Lunedì 9 dicembre alle 10.45 prove aperte per tutti gli studenti della città di Alba per la lectio “La musica spiegata da Uto Ughi”.

MARA MARTELLOTTA

Shakespeare… al buio! Al Teatro “Spazio Kairòs /Onda Larsen” di Torino

Un singolare esperimento con spettatori bendati per meglio accostarsi al più importante drammaturgo inglese

Sabato 23 novembre, doppia replica

L’esperimento non è nuovo. Dopo il tutto esaurito dello scorso anno con “Romeo & Giulietta”, “Spazio Kairos/Onda Larsen Teatro” di via  Mottalciata 7, a Torino, ritorna a proporre William Shakespeare in una“versione inedita”.

L’appuntamento è per sabato 23 novembre(alle 18 e alle 21), allorché agli spettatori verrà proposto di “salire sul palco bendati” per meglio (in modo decisamente inusitato) fruire di “Macbeth”, una delle più celebri e la più breve delle tragedie shakespeariane, composta dal grande drammaturgo inglese fra il 1605 ed il 1608. La proposta, inserita nella stagione di “Onda Larsen – Interferenze” e dal titolo “I Teatri della mente – Macbeth”, arriva dal “Teatro della Juta / Commedia Community” di Alessandria, con drammaturgia e regia di Luca Zilovich e sul palco sette attori: Giacomo Bisceglie, Enrica Fieno, Lorenzo Fracchia, Michela Gatto, Giulia Maino, Fabio Martinello e Mattia Stango.

I “Teatri della mente” sono “un format – spiegano gli organizzatori – di spettacoli sensoriali a cui gli spettatori assistono bendati e seduti al centro dello spazio scenico mentre attici e attori recitano in mezzo a loro”. Il pubblico (al massimo 60 spettatori a replica) viene condotto in sala già bendato, ricevendo da subito i primi “stimoli sensoriali”.
Una volta seduto sarà, quindi, trasportato nell’azione scenica dalla voce degli attori, dagliodori e dai paesaggi sonori che completano la drammaturgia delle scene.


Dopo “Romeo & Giulietta” (che lo scorso anno fece il tutto esaurito allo “Spazio Kairòs”), il secondo capitolo de “I Teatri della Mente”guiderà lo spettatore attraverso la tragica ascesa al potere di Macbeth, protagonista di una delle più cruente tragedie di Shakespeare che, al par suo, drammatizzò straordinariamente i disastrosi “effetti fisici e psicologici” della ricerca del “potere” per il proprio interesse personale. Il pubblico sarà immerso nelle atmosfere di una Scozia oscura, governata da despoti e abitata da streghe, in cui attori e spettatori daranno vita insieme allo spettacolo, i primi recitando e i secondi immaginandolo nella loro mente. Avvolto dalla nebbia delle brughiere scozzesi, il pubblico, proprio grazie agli stimoli sensoriali, sobbalzerà sulle sedie nel percepire accanto a sé il rumore delle spade, e sarà condotto nella perversità della mente del tiranno scozzese dall’odore acre della battaglia e dalle voci incalzanti delle streghe, respirando da vicino la folle sete di potere di Lady Macbeth, ispirata alla regina Grouch di Scozia.

Lo spettacolo in programma per sabato prossimo 23 novembre è il secondo che il regista Luca Zilovich allestisce per l’alessandrino “Teatro della Juta” con la tecnica propria dei “Teatri della Mente”.

“È un modo diverso – spiega Zilovich – di pensare al teatro, in cui lo spettatore bendato mette in moto la sua creatività e diventa artista dello spettacolo al pari di attrici e attori seguendo l’ambizioso Macbeth attraverso la ‘profezia delle streghe’: si trova con lui sul campo di battaglia e viene condotto nel lato più profondo della sua mente”. Seduto nello stesso spazio scenico, il pubblico diventa attore fra gli attori, assistendo e concretamente “partecipando” ad una delle più famose tragedie shakespeariane, in una versione indubbiamente inedita, attraverso la quale le vicende del tiranno scozzese vengono narrate esclusivamente tramite stimoli uditivi, olfattivi (prodotti da Enzo Ventriglia) e tattili.

Un modo “nuovo” di fare e vivere il teatro. Curioso e di “grande effetto”, considerando, almeno, i brillanti risultati finora ottenuti. E chissà che ne avrebbe pensato e detto lo stesso “Bardo” o “Cigno dell’Avon”? Personalmente sarei propenso per un “excellent!”, considerandone la “personalità estroversa ed intuitiva” descritta da alcuni suoi biografi.

Per info: “Spazio Kairòs/Onda Larsen Teatro”, via Mottalciata 7, Torino; tel. 351/4607575 o www.ondalarsen.org

g.m.

Nelle foto: Teatro della Juta in “Macbeth”, immagini di repertorio