SPETTACOLI- Pagina 17

“Solness”, la tragedia di un uomo potente

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Al Carignano, sino a domenica 8 giugno

Presentando “Solness” – spettacolo di chiusura della stagione dello Stabile torinese, in attesa che siano svelate il 6 giugno prossimo le carte di quella 25/26 -, Andrea Tarabbia ricorda come ci siano scrittori riccio e scrittori volpe, prendendo a prestito un’affermazione di Isaiah Berlin, pensatore liberale di origini lettoni, che nel suo lungo cammino di vita ricevette tra l’altro il “Jerusalem Prize” in onore delle sue opere concepite e scritte intorno alla libertà individuale nella società, parole a loro volta ricavate da un frammento di Archiloco, “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Per insegnarci che sono volpi quanti abitano tante forme, da Balzac a Puškin a Joyce, aggiungendoci Cechov e il nostro Pirandello, ricci tutti quelli che formano nella loro scrittura un unico punto centrale, un’unicità di visione attorno a cui costruire la propria poetica, da Lucrezio a Proust a Dostoevskij. A Henrik Ibsen, un gran bel riccio di Norvegia, chiuso nel suo teatro e nei suoi drammi, che per una vita intera ha puntato al dramma, soltanto, personaggi forti e granitici i suoi, pronti a prendere forma esclusivamente sulle tavole di un palcoscenico. Tarabbia parla di “ossessione: ma allora, “benvenuta ossessione”.

Solness” è il vecchio, da sempre collaudato “Il costruttore Solness” (1892), a cui Ármin Szabò-Székely adattandolo e Kriszta Székely – che ha già scandagliato i drammi di Nora e di Hedda – formandolo registicamente hanno sottratto il termine d’attività, ampliando nelle intenzioni e nella mente all’Uomo – ottocentesco e nostro contemporaneo – ogni morbosità, sporcata forma d’affermazione, tratto misogeno, la pretesa di qualsiasi falsa apparenza e l’annientamento di quei segreti e le tragedie che abbiano attraversato l’esistenza di Halvard Solness (la morte dei due gemelli e il distacco dalla moglie Aline, una tragedia che Ibsen poeta aveva già anticipato: “Stavano seduti, quei due, in una casa tanto accogliente / nei giorni d’autunno e d’inverno. / Poi la casa bruciò. Tutto giace in macerie. / Quei due possono solo rovistare tra le ceneri.”): salvo poi, giustamente, ad apertura di sipario, metterci davanti agli occhi l’archistar, una sorta di Citizen Kane dell’architettura, quel modellino illuminato che è un po’ il logo della premiata ditta, ma la nostra visione s’è già allargata su un più ampio orizzonte. Nella “tragedia” di quest’uomo – falsamente e scorrettamente superuomo, che s’è costruito momento dopo momento, azione dopo azione, un ego abnorme, che ha allineato ogni essere umano attorno a sé, nella sfera privata come in quella pubblica e lavorativa, che ha messo alle corde quanti nella sfera giovanile abbiano tentato e tentino di sopravanzarlo, mettendo del proprio o rivisitando progetti suoi, con la risposta del più totale dominio, che ha costruito un mondo di bellezza ma altresì di distruzione, lucidamente ricercata, che ha azzerato la sessualità e gli affetti – la vita muta drasticamente con l’arrivo, improvviso ma pure (avremo modo di scoprire) congegnato, della giovanissima Hilde, forse una simbolica coscienza, certo un essere umano che pretende una confessione e il confronto con un passato di colpe, dove lei stessa è stata offesa. Con il tempo che ha Székely di metterci di fronte all’abuso sessuale, al filo rosso del Me too, in un sopruso che non è certo saltato fuori dal nulla in tempi vicini a noi e che s’allarga al tema del potere. Tema che si focalizza, all’interno dello spettacolo (che rimarrà al Carignano sino a domenica 8 giugno), nell’intuizione di mutare il vecchio originale Knut Brovik, nella cui ombra Solness s’è formato, in un personaggio, femminile, quello di Frida, che qui ha le note sincere e disperate di Laura Curino.

Correttamente ambientato (sono di Botond Devich le scene, un tavolo che è luogo di lavoro ma anche di confessioni, un sovrabbondante parco luci – di Pasquale Mari – ampie come un tetto di chiarificazione e di tribunale, e laterale, che è pronto a restringersi nei momenti più intimi) in un’epoca che è la nostra, senza forzature di comodo, “Solness” è uno spettacolo forte, compatto, di piena e stimolante meditazione, audace in certi suoi approfondimenti, pienamente concentrato nella propria attualizzazione, innalzato a una specifica “monumentalità”, ogni passaggio retto da Székely con fermezza e calibratura d’intenti, salvo – m’é parso, vedendo lo spettacolo all’indomani della prima e ponendo alcune incertezze nella scusante del rodaggio – inciampare qua e là nella parte finale, non distribuendola appieno, nel passaggio tra un più pronunciato realismo a una metafisicità, che coinvolge anche certi faticosi meccanismi e che – inavvertitamente – “sporca” il messaggio che il testo ibseniano ci lascia.

Lisa Lendaro come Kaja e Marcello Spinetta come Ragnar sono le prime costanti vittime del costruttore, d’eccellenza le apparizioni di Mariangela Granelli come Aline, chiusa nella torre del suo risentimento e nello sguardo verso un passato che non può essere che di dolore, ragazza ribelle e vendicativa la Hilde di Alice Fazzi, la più sfacciatamente moderna ed emblematica della intera operazione. Tra tutti i suoi compagni si muove in pose tiranniche, con una assai efficace bravura, il Solness di Valerio Binasco, in abiti scuri o in piena libertà tra mutande e accappatoio, concentratissimo e solido, battagliero a rivendicare il suo status vitae e i rapporti bacati con gli altri, la verità che è all’interno del proprio premierato, specchio della forza che distrugge ma anche di quella debolezza, con rarissime luci di umanità, che una ragazza comparsa (quasi) dal nulla gli ha fatto scoprire, mettendolo in un angolo, per sempre.

Elio Rabbione

Le foto di “Solness”, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale con la regia di Kriszta Székely, sono di Luigi De Palma.

L’Unione Musicale celebra Fryderyk Chopin

L’Unione Musicale celebra Fryderyk Chopin con un Festival interamente dedicato alla sua musica, in cui verranno eseguiti integralmente valzer, ballate, scherzi e mazurke. Si tratta di un’immersione totale nell’universo del compositore polacco attraverso quattro diversi concerti distribuiti in due giornate con un doppio appuntamento al Teatro Vittoria, il 27 e 28 maggio, alle 17.30 e alle 20.

Protagonisti tre talenti del Conservatorio di Torino: David Irimescu, Matteo Buonanoce e Maria Josè Palla. Irimescu è un pianista torinese di origine rumena, talento fuori dal comune, vincitore nel 2018 di Amadeus Factory, primo talent di musica classica in Italia. Nel 2023 si laurea con lode e menzione al Conservatorio di Torino con Claudio Voghera e riprende ad esibirsi in concerto. Nel 2024 ha la possibiltà di frequentare l’Università della Georgia come miglior allievo del Conservatorio, e alla borsa Open Source, seguendo il corso di Enrico Pace all’Accademia di Pinerolo. Di recente ha vinto il primo premio allo Scarlatti di Trapani. Maria Josè Palla, cagliaritana, si è avvicinata allo studio del pianoforte a 11 anni e ha completato gli studi con il massimo dei voti tra il Conservatorio di Torino e altre istituzioni internazionali, come l’Hemu di Losanna. Attualmente fa parte del trio Hieracon. La sua ricerca sonora è raffinata, rendendola un’interprete versatile. Ultimo interprete Matteo Buonanoce, che ha già collezionato numerosi premi internazionali e ha scoperto lo strumento a soli 6 anni. Grazie alla loro sensibilità multiforme potranno evidenziare le diverse sfaccettature espressive della poetica di Chopin.

Mara Martellotta

Il sipario si apre su INTERPLAY Festival

INTERPLAY/25

Torino
28 maggio > 14 giugno + 15 luglio 2025
A cura di Ass. Cult. Mosaico Danza
Direzione Artistica di Natalia Casorati

MERCOLEDì 28 MAGGIO dalle ore 21
CASA DEL TEATRO 
Corso Galileo Ferraris 266, Torino

TEMA – IDENTITA’ / COMPLESSITA’ DELL’INDIVIDUO

VIRO > ‘55
ABBONDANZA BERTONI (IT)
PRIMA REGIONALE

IL FAUT QUE JE > ‘10
CLEMENCE JUGLET (FR)
PRIMA NAZIONALE

Il sipario si apre sulla venticinquesima edizione di INTERPLAY Festival, la storica vetrina internazionale dedicata alla danza contemporanea d’autore, che dal 28 maggio al 14 giugno animerà Torino con un ricco programma di spettacoli, eventi site-specific e performance nei teatri e negli spazi urbani con un appuntamento speciale previsto il 15 luglio presso il nuovo Living Lab di Mosaico Danza.

Ad inaugurare il Festival, mercoledì 28 maggio due spettacoli che attraversano con la loro riflessione uno dei temi di questa edizione del festival, quello dell’identità e della complessità dell’individuo contemporaneo. In un mondo attraversato da continue trasformazioni sociali, culturali e tecnologiche, la danza si fa strumento per indagare chi siamo, come ci percepiamo e come desideriamo essere riconosciuti. Attraverso il linguaggio del corpo – fragile, potente, mutevole – artisti e coreografi mettono in scena tensioni e contraddizioni, esplorano territori intimi e collettivi, sfidano stereotipi e ruoli precostituiti. Il tema si declina in una pluralità di approcci: dalle narrazioni autobiografiche alla disgregazione delle identità binarie, dal confronto con il tempo e le aspettative sociali alla ricerca di autenticità in un presente iperconnesso e spesso disumanizzante.

Dalle 21 alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, saranno due spettacoli straordinari come “VIRO” di Abbondanza/Bertoni in prima regionale. Dopo il successo di Femina, finalista al Premio UBU 2023, Michele Abbondanza e Antonella Bertoni presentano il lavoro cdedicato alla figura maschile contemporanea. Due danzatori si confrontano come specchi simmetrici, incarnando contraddizioni e fragilità di un’identità maschile liquida, sfuggente, talvolta malinconica. Un’esplorazione coreografica intensa, amplificata dalle sonorità techno di Olaf Bender aka Byetone.
A questo link la scheda completa

Abbondanza Bertoni “viro”, foto Tobia Bertoni (mercoledì 28 maggio, Casa del Teatro Ragazzi e Giovani)

🔹 “IL FAUT QUE JE” di Clémence Juglet (FR) – Prima Nazionale
Una corsa contro il tempo, tra ossessioni, desideri e ricerca di perfezione. La coreografa francese, pluripremiata in contesti internazionali, porta in scena un assolo potente e viscerale, capace di toccare corde profonde. Tra ticchettii, silenzi e musiche avvolgenti, la performance diventa specchio di una condizione umana universale: il conflitto tra tempo e identità.
A questo link la scheda completa


Clemence Juglet “Il faut que je”

INFO E BIGLIETTI
Per il programma completo e le modalità di accesso agli spettacoli, visita il sito ufficiale www.mosaicodanza.it o segui gli aggiornamenti sui canali social del Festival.

Goliarda, la ricerca della ribellione e della felicità

Sugli schermi arriva da Cannes “Fuori” di Mario Martone

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

L’ultimo istante è uno sguardo in macchina, pensoso e dolente, a testimoniare una vita difficile, una tempesta di sentimenti, l’alternarsi caotico dei rapporti, le scorribande e i momenti intimi, il “dentro” e il “fuori” che abbiamo attraversato lungo i 117’; lo ha preceduto una manciata di minuti di altissimo cinema, quando riusciamo finalmente a mettere a fuoco il personaggio di Roberta, una ragazza che da sempre entra ed esce dal carcere, la sua voglia di ribellione e di libertà, la sua inadeguatezza al mondo, le sue debolezze, le sue risate forse forzate ma liberatorie, con una valigia piena zeppa di lettere che ha tirato fuori dal deposito bagagli della stazioni Termini, legami con i compagni e un processo in pendenza per banda armata (siamo nel 1980, in una scena precedente un calendario aveva mostrato la data del due agosto), la sua lenta fuga e lo smarrimento della scrittrice Goliarda Sapienza a cui “Fuori” Mario Martone ha dedicato, unico rappresentante dell’Italia a Cannes e uscito a mani vuote.

Martone, con l’abituale collaborazione alla sceneggiatura della moglie Ippolita Di Majo, ha ricavato il film sulla base dei romanzi di Goliarda, di intima vena autobiografica, “L’università di Rebibbia” e “Le certezze del dubbio” – riportati alla luce dal marito Angelo Pellegrino, caratterista della commedia all’italiana ma anche presente con Bertolucci in “Novecento” o con Tornatore in “Malèna”, come con grande fatica e accanimento pubblicò a sue spese il migliaio di copie dell’”Arte della gioia” due anni dopo la morte dell’autrice -, frutto sulla pagina dell’esperienza carceraria della scrittrice, dopo l’impulsivo furto di pochi gioielli nella casa di un’amica, un luogo – le mura e le celle del carcere – dove ha toccato con mano l’iniziale sospetto ma dove ha ritrovato egualmente se stessa, l’accoglienza e l’amicizia e la solidarietà, per guardare poi in faccia la difficoltà nel tornare alla vita di ogni giorno, “a un mondo che non capisce il diverso e non perdona gli errori”, quello che la obbligava a cercare l’occupazione di correttrice di bozze che le salvasse le bollette e lo sfratto. Più facile quel gruppo d’amiche insomma che i salotti della Roma bene. Più facile la quotidiana costruzione del “tempio dell’amicizia” che non rapporti non sentiti e indesiderati. Un’amicizia, una stretta sorellanza, una femminile complicità che nei giorni di piena libertà continuerà a fortificare con Roberta soprattutto e con Barbara, tra telefonate e appuntamenti e una allegra gita al mare (che certo avrebbe necessitato di una maggior estensione, magari senza spingersi in quella doccia a tre, tanto sottolineata nelle colonne dei giornali, che peraltro il regista filma con estremo pudore e delicatezza), occasioni a intonare con quelle che ancora stanno là “dentro” “Sinnò me moro”: un Rustichelli d’annata, dal “Maledetto imbroglio” di Germi, ieri come oggi nella voce di Luisa De Santis.

Martone, con l’aiuto eccellente del montaggio di Jacopo Quadri, non ha scelto la linearità del racconto ma ha saggiamente quanto nervosamente inquadrato, vivificandola, la vicenda di Sapienza – contrariamente a quanto scritto nei giorni scorsi da “Variety”, bibbia festivaliera: “ripetitivo e noiosamente non lineare, tenta qualcosa di più impressionistico ed espansivo, con risultati emotivamente muti e talvolta stranamente strumentali” – in un continuo passato e presente, in un frammentarsi e ricomporsi che rendono vitale ogni episodio, in un “dentro” e un “fuori” che sono l’anima della narrazione, in un andamento imprevedibile che a ogni passo irrobustisce l’azione senza relegarla mai in quella consequenzialità che avrebbe finito per renderla debole e anonima. Quello che semmai manca al film di Martone, nella sua scelta di scrittura e registica, è lo scavare a fondo nella descrizione, nel chiarire e nello scoprimento da parte dello spettatore quindi, dei sentimenti dei due principali personaggi soprattutto, Goliarda e Roberta, le rabbie e le riconciliazioni, i vuoti e i pieni ci verrebbe da dire di una relazione: ma forse, questa, una imposizione a se stesso, un raccontare sfocato, considerato e lasciato, non allineato, affidato agli altri nelle sue conclusioni.

Barbara è Elodie, sempre più presenza cinematografica. Da applauso incondizionato le interpretazioni di Valeria Golino, una Goliarda catturata da un mondo che non ha mai pensato di considerare suo ma che è un panorama senza limiti e confini di amicizia e di libertà insperate, il suo mondo intero controverso (lo spezzone finale con Enzo Biagi è lì giustamente a spiegare i dissapori e i dubbi con la “normalità” che sta fuori), forte, umanamente sballottata, incredula a tratti; soprattutto la Roberta di Matilde De Angelis, una trentenne attrice che cresce a vista d’occhio, mostra tutta la ribellione del personaggio come pure le tante crepe, di vita e di affettività, in una maniera estremamente sincera, con il corpo e la mente e gli occhi, con la voce imperfetta, con i suoi improbabili tacchi a spillo, con il suo grande bagaglio di attrice pronta a prove sempre più ardite e alte.

“La meglio gioventù”: al Regio protagonisti due direttori e due direttrici d’orchestra giovani, talentuosi e pluripremiati

la Corte d’Onore di Palazzo Reale sarà lo scenario dei concerti promossi dal Teatro Regio di Torino nell’ambito della stagione attuale, intitolata “La meglio gioventù”, dal 2 al 24 luglio prossimo. I protagonisti di questi concerti estivi del Teatro Regio saranno quattro direttori d’orchestra giovani, talentuosi e pluripremiati, due direttrici e due direttori.

“Siamo un teatro aperto – hanno dichiarato Mathieu Jouvin, Sovrintendente del Regio e Cristiano Sandri, direttore artistico – e vogliamo favorire le collaborazioni. Siamo quindi felici di tornare a collaborare con i Musei Reali proponendo una rassegna estiva che sia piacevole e godibile durante le serate d’estate. Vogliamo l’opportunità a quattro giovani direttori d’orchestra, due uomini e due donne, per un discorso di parità, molto talentuosi e con un bagaglio importante d’esperienza alle spalle di emergere e farsi conoscere al meglio”.

Accanto ai quattro direttori d’orchestra figureranno cinque cantanti del Regio Ensemble e ottanta, fra ragazzi e ragazze, del nostro Coro di Voci Bianche istruito dal Maestro Ulisse Trabacchin. Con “La meglio gioventù in concerto” il Teatro Regio rinnovato l’impegno nel valorizzare le nuove generazioni artistiche, stimolando la curiosità del pubblico e invitandolo a lasciarsi sorprendere da nuove bacchette e da sguardi inediti sulla musica. Sono quelli di Matteo Dal Maso, torinese, classe 1998, Danila Grassi, pugliese, 32 anni; Sieva Borzak, 28 anni, di origini italo russe; Liubov Nosova, 32 anni, di San Pietroburgo, che saliranno sul podio invitando il pubblico a scoprire le bacchette del futuro.

Il primo appuntamento è in programma mercoledì 2 luglio, e si intitola “Sempre Verdi”, un omaggio travolgente a uno dei maggiori compositori del melodramma italiano. Verranno scelti i Cori e i brani sinfonici fra i più toccanti e amati dal pubblico internazionale. Il programma spazia dai titoli giovanili ai capolavori della maturità, offrendo un ritratto variegato del compositore. In scaletta troveremo pagi e tratte da “Un giorno di Regno”, “Nabucco”, “Luisa Miller”, “I Masnadieri”, “Stiffeglio”, “La battaglia di Legnano”, “Il trovatore”, “Macbeth”, “Ernani” e “La traviata”. Sul podio dell’Orchestra del Coro del Teatro Regio sale il torinese Matteo Dal Maso, il Coro è istruito da Ulisse Trabacchin, solisti cantanti del Regio Ensemble Siphokatsi Molteno e Janusz Nosek. L’appuntamento sarà replicato giovedì 3 luglio.

Le ragazze e i ragazzi del Coro del Teatro Regio saranno i protagonisti del concerto di lunedì 7 luglio, dal titolo “Girotondo”, guidati dal Maestro Claudio Fenoglio, direttore pianoforte, in un affascinante viaggio musicale tra secoli e continenti, attraverso culture e stili lontani tra loro, ma uniti per una sera dalla forza del cantare insieme. Il concerto spazia da Camille Saint-Saëns a Pëtr Il’ic Cajkovskij, da Arrigo Bolto a Leonard Bernstein, passando per Peter Maxwell Davies, Georges Biset, Puccini, Jean Avsil, Mauro Zuccante e John Rutter. Si tratta di un repertorio ricco e variegato che, oltre a emozionare il pubblico, rappresenta per i giovani cantori u ‘esperienza formativa preziosa: cantare in coro educa all’ascolto, alla disciplina, alla bellezza del fare musica in armonia con gli altri.

Mercoledì 9 e giovedì 10 luglio sono in programma due serata all’insegna dell’emozione pura, dove la musica a racconta gioie e seduzioni, drammi, passione e tormento . Con “Intermezzo” il Teatro Regio invita il pubblico a lasciarsi trasportare in un viaggio intenso e raffinato, in cui ogni brano è un frammento di vita, un’istantanea dell’animo umano. Sul podio la talentuosa Danila Grassi, prima donna a dirigere un’opera nella storia del Festival della Valle Itria, che guiderà l’Orchestra e il Coro del Regio accanto al soprano solista Albina Tonkikh, artista del Regio Ensemble, in un programma che alterna celebri intermezzi , brani sinfonici e cori tratti dal repertorio verista. Ricordiamo “La Gioconda” di Ponchielli, “I pagliacci” di Leoncavallo, “La Cavalleria Rusticana” di Mascagni, “Fedora” di Giordano fino ai grandi titoli pucciniani, tra cui “Le Villi”, “Manon Lescault”, “Turandot”, “Madama Butterfly”. Ogni pagina musicale può essere una carezza o un colpo al cuore.

Martedì 15 e mercoledì 16 luglio il Teatro Regio renderà omaggio a Mozart, straordinario talento capace di comporre capolavori a vent’anni, rivoluzionare l’Opera prima dei trenta e lasciare un’eredità immortale a soli 35 anni. Con le serate intitolate “I preferiti di Mozart”, il Regio rende omaggio a questo miracolo della musica, proponendo una selezione delle sue pagine più amate: “Ouverture – arie e danze” dal “Flauto Magico”, il “Don Giovanni”, “Le nozze di Figaro”, “Così fan tutte” e “Idomeneo”. Sul podio Sieva Borzak, che guiderà il Coro del Regio e gli artisti del Regio Ensemble, Albina Tonkikh, Siphokatsi Molteno, Daniel Umbelino, Janusz Nosek e Tyler Zimmerman, per una serata di humour e eleganza.

Mercoledì 23 e giovedì 24 luglio a essere protagoniste saranno le “Donne fatali”, le donne raccontate da Georges Bizet, che oscillano tra il ruolo di seduttrici magnetiche e figure materne e protettive, diventando protagoniste di storie dove il destino degli uomini si gioca sul filo della passione, del desiderio e dell’illusione. In “Donne fatali” l’Orchestra e il Coro del Regio saranno diretti da Liubov Nosova, e daranno voce a due tra le più celebri composizioni musicali del compositore francese, “L’Arlésienne”, con le sue suggestive musiche di scena trasformate in suite sinfoniche e “Carmen”, capolavoro dell’Opera ottocentesca, qui proposta nelle sue pagine orchestrali più iconiche. Si tratta di un programma di grande impatto emotivo che esplora l’universo femminile attraverso la forza evocativa della musica di Bizet, capace di dipingere con tratti intensi un’intera gamma di emozioni.

I concerti inizieranno tutti alle ore 21, ai possessori del biglietto è riservata l’apertura eccezionale del Giardino Ducale, a partire dalle ore 20, per una passeggiata serale e un aperitivo presso la caffetteria. Prenotazione: info@caffetteriareale.it. I concerti avranno luogo presso la Corte d’Onore di Palazzo Reale, piazzetta Reale 1.

Biglietti in vendita alla biglietteria del Teatro Regio, piazza Castello 215, a Torino, e online.

Telefono: 011 8815241242 – biglietteria@teatroregio.torino.it

Orari: da lunedì a sabato 0re 11-19 – domenica 15.30 – 16.30

Mara Martellotta

Rock Jazz e dintorni a Torino: gli appuntamenti della settimana

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Martedì. Al Blah Blah suonano i Kontravoid. Al Vinile si esibisce Alex Vaudano.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana è di scena il Corrado Abbate Trio. Al Jazz Club The Chicago Blues Jam!

Al Blah Blah suonano gli Hippie Death Cult + Supasonic Fuzz.

Giovedì. Al Peocio di Trofarello sono di scena gli Horse Power. Al Cafè Neruda suonano Gianni Denitto e Alberto Gurrisi. Allo Ziggy si esibiscono Notturno Kilroy+ Simone Villa + Mazaratee.

Venerdì. Al Jazz Club si esibiscono i 20 Strings. Al Circolino suonano gli After Dark “Blues Experience”. Al Blah Blah sono di scena gli Alteria + guest t.b.a. Allo Spazio 211 si esibisce Gaia Morelli. Allo Ziggy suonano Monade Stanca+ Bowelaw.

Sabato. Al Cap 10100 concerto Gospel. Al Jazz Club suonano i FarRock. Al Bunker per 2 sere consecutive “Jazz is Dead ! Festival. Al Blah Blah suonano gli Small Jackets + Fox Conspiracy + Onyrica. Allo Ziggy si esibiscono i Manicomio. Allo Spazio 211sono di scena i c+c= maxigross.

Domenica. Al Bunker “ “Jazz is Dead! Festival”. Al Blah Blah suonano i The Lings.

Pier Luigi Fuggetta

Human/Machine. Un’esperienza immersiva tra arte e tecnologia

Lunedì 26 maggio, ore 21

Teatro Vittoria, via Gramsci 4, Torino

Human/Machine

Un’esperienza immersiva tra arte e tecnologia, musica elettronica e danza contemporanea, per un dialogo creativo tra uomo e macchina

 

Con Human/Machine prende vita lunedì 26 maggio al Teatro Vittoria di Torino per la Stagione 2025 della Stefano Tempia, una live performance nella quale musica elettronica, live coding, musica acustica e danza trovano un punto d’incontro, chiudendo un grande cerchio di lettura intorno al concetto generale di arte. Sul palco il Collettivo Riflessi con i danzatori Elisa Dal Zovo, Giulia Di Martino, Doris Qehaja, Gabriel Interlando in dialogo con le invenzioni di Davide Anzaldi, musicista underground, polistrumentista ed esperto di informatica.

Human/Machine nasce da una riflessione che, nel 2019, sembrava remota, ma che oggi è diventata una realtà condivisa. In un mondo in cui l’intelligenza artificiale e la tecnologia permeano ogni aspetto della vita, l’arte si fa ponte tra l’umano e il digitale. Corpo, suono e codice si intrecciano in un dialogo profondo. Da un lato, la materia viva degli strumenti acustici, dall’altro l’universo fluido e mutevole dei suoni elettronici generati in tempo reale dal codice. La macchina non è più solo uno strumento, ma una presenza creativa, capace di generare emozioni e dinamiche, mentre il corpo traduce impulsi in movimento. I suoni, inizialmente astratti e algoritmici, incontrano la fisicità dei suoni organici, dando vita a un flusso continuo di interpretazione reciproca. La danza diventa un linguaggio che plasma il suono, mentre il suono trasforma il corpo. Human/Machine è una riflessione che non appartiene più al futuro: è il presente, un presente in cui il conflitto lascia spazio alla collaborazione, dove uomo e macchina diventano co-creatori di un’arte che esplora e celebra il loro incontro. Un respiro comune, un linguaggio condiviso.

COLLETTIVO RIFLESSI

Collettivo Riflessi nasce all’interno di Esplorazioni Contemporanee APS con l’obiettivo di approfondire e concretizzare, in forma estetica, una ricerca sulla commistione tra linguaggi artistici: danza, musica e fotografia.

Il progetto è guidato dalla coreografa Laura Ziccardi, affiancata da un team multidisciplinare composto dalla docente e danzatrice Marta Molinari, dalla fotografa Sonia Santagostino e dal polistrumentista Davide Anzaldi. Un gruppo di professionisti che ha scelto di condividere un percorso di esplorazione artistica, nato da esperienze trasversali e sviluppato negli spazi dell’associazione, ambiente ideale per dare corpo e forma a nuove espressioni performative. Il Collettivo si configura come un laboratorio permanente di ricerca, dove l’interazione tra corpi, suoni e immagini genera esperienze sceniche originali e coinvolgenti. Il gruppo si alimenta del contributo di danzatori e artisti diversi, uniti da una visione condivisa e da un approccio aperto alla sperimentazione. Questo continuo dialogo tra persone, estetiche e pratiche differenti mantiene vivo e in costante evoluzione il processo creativo del Collettivo.

DAVIDE ANZALDI

Musicista e compositore con 30 anni di esperienza dal vivo e in studio, combina il polistrumentismo con l’elettronica, audio recording e live coding. Le collaborazioni con innumerevoli professionisti lo portano a studiare percussioni tradizionali e intonate, batteria, basso, chitarra e tastiere. Da sempre appassionato di elettronica, ha esperienza nella gestione di progetti IT, sviluppo software, loopstation e live coding. Specializzato in esibizioni, composizione, arrangiamento per gruppi di danza contemporanea, teatro, realtà virtuali e sound design sviluppa un custom kit di strumenti ibrido, librerie software per audio e un linguaggio personale, risultato di una combinazione di varie influenze di musica acustica ed elettronica.

LAURA ZICCARDI

Piemontese, approfondisce la danza contemporanea tra Milano, Londra e New York. Laureata in Comunicazione (IULM) e in Scienze dello Spettacolo (UniMi), si specializza come insegnante all’Accademia Teatro alla Scala, consegue il Diploma di Coreografa Regione Lombardia. Conduce laboratori di improvvisazione per danzatori e musicisti al Conservatorio G. Verdi di Milano. Co-fondatrice di Esplorazioni Contemporanee APS, di AMAWAY project e della SFD – Scuola di Fotografia di Danza, è anche docente all’Istituto Italiano di Fotografia. Dirige il Collettivo Riflessi.

MARTA MOLINARI

Danzatrice, formatrice e facilitatrice somatica Body Mind Centering®, diplomata alla Paolo Grassi di Milano. Ha lavorato con artisti italiani e internazionali e partecipato a tournée in Europa e Asia. È co-fondatrice e direttrice artistica di Esplorazioni Contemporanee, ideatrice del format Sento, Mi Muovo, Dico dedicato a bambini e adolescenti. Assistente alla coreografia nel Collettivo Riflessi diretto da Laura Ziccardi. La sua ricerca Come un respiro unisce corpo, percezione e relazione in un approccio integrato tra arte e pedagogia.

DANZATORI:

ELISA DAL ZOVO

Diplomata al Centro Formazione AIDA nel 2017. Inizia la carriera lavorativa con diverse collaborazioni, tra cui Ferrari Gala Road Tour (2023) in tutta Europa, Amaway project (dal 2020) in Italia. Lavora in diversi teatri italiani, tra i quali Teatro Coccia di Novara (2021/2022/2024) Teatro di Bergamo (2022) e il Teatro alla Scala di Milano (2025) e prende parte a diversi progetti indipendenti in Italia.

GIULIA DI MARTINO

Diplomata al Corso di Perfezionamento del Centro Formazione AIDA di Milano. Approfondisce i suoi studi al corso di Alta Formazione del CCN Aterballetto. Danzatrice per Mediaset, Aterballetto, Milano Fashion Week, Milano Beauty Week, Centre Du Ballet, Illusion Group.

DORIS QEHAJA

Danzatrice contemporanea, di origine albanese, classe 1999. Lavora tra Verona e Milano. Danza per vari progetti ed eventi tra i quali: Amaway, progetto legato alla danza e alla fotografia; Collettivo Riflessi, con le produzioni Riflessi, Spazio. Tempo e Human Machine (coreografie di Laura Ziccardi); Mandala Dance Company, con Riti di passaggio e In arte Maddalena (coreografie di Paola Sorressa) esibendosi in teatri nazionali ed internazionali.

GABRIEL INTERLANDO

Danzatore formatosi a Milano, diplomato all’Accademia Susanna Beltrami, approfondisce lo studio del movimento al Centro Formazione Aida e al corso di Alta Formazione del CCN Aterballetto attraverso l’esplorazione di diversi generi, con particolare attenzione alla ricerca e all’improvvisazione. Collabora con coreografi come Paola Lattanzi, Niyayesh Nahavandi, Camilla Pasetto, Alberta Palmisano, Salvatore Sciancalepore e Laura Ziccardi.

L’ACCADEMIA CORALE STEFANO TEMPIA

Fondata nel 1875, l’Accademia Corale Stefano Tempia è la prima associazione musicale del Piemonte e l’Accademia corale più antica d’Italia.

Riferimento storico per l’educazione alla musica e la divulgazione del repertorio a cappella e sinfonico corale, l’Accademia si distingue fin dalle origini per le frequenti  collaborazioni con prestigiosi direttori come Giovanni Bolzoni, Giuseppe Martucci, Lorenzo Perosi,  Arturo Toscanini, e la realizzazione di grandi eventi culturali tra cui la prima esecuzione in Italia del Judas Maccabeus di Haendel (1 marzo 1885) e la prima esecuzione a Torino della Nona Sinfonia di Beethoven (18 marzo 1888).

L’Associazione promuove una Stagione annuale di concerti ospitata presso prestigiose sedi torinesi e in decentramento, in cui abitualmente invita solisti e complessi di alto profilo oltre che offrire un notevole contributo in prima persona. Accanto all’organizzazione e alla programmazione di una stagione musicale che si svolge soprattutto a Torino, ma anche altrove sul territorio piemontese, l’Associazione partecipa a festival e a iniziative musicali in tutta la regione. Riconosciuta a livello nazionale e membro di Sistema Musica, la Stefano Tempia si distingue per la sua missione di educare alla conoscenza del canto corale e alla passione per la musica colta in tutte le sue forme. Per vocazione questa antica istituzione si spinge a esplorare repertori meno frequentati, proponendo opere e brani poco noti o raramente eseguiti, spaziando dai grandi autori della tradizione a composizioni contemporanee e arrangiamenti che dialogano con linguaggi musicali trasversali e innovativi. L’Accademia è guidata da un Direttivo composto da coristi e presieduto da Isabella Oderda, corista nelle file dei soprani e prima donna a ricoprire questo ruolo nella storia della Tempia. Direttore Artistico e Maestro del Coro Luigi Cociglio.

Nel 2025 l’Accademia celebra il suo 150° anniversario con una Stagione che combina in modo armonioso antico e moderno, creando un dialogo musicale che promuove continuità e sperimentazione. Questo approccio si riflette anche nella modalità di collaborazione con artisti e gruppi, incoraggiando forme di coproduzione per ampliare le prospettive e il pubblico della Tempia. I giovani interpreti rappresentano il cuore pulsante della stagione: una significativa percentuale di concerti li vedrà protagonisti, sostenuti con pazienza e determinazione.

INFO

Lunedì 26 maggio, ore 21

Teatro Vittoria, via Gramsci 4, Torino

HUMAN/MACHINE

Concept, sound design, live coding: Davide Anzaldi

Coreografia: Laura Ziccardi

Assistente alla coreografia: Marta Molinari

Elisa Dal Zovo, danzatrice

Giulia Di Martino, danzatrice

Doris Qehaja, danzatrice

Gabriel Interlando, danzatore

Biglietti: intero 15 euro, ridotto 10 euro (soci Tempia, under 30, enti convenzionati)

Biglietti al link:

https://www.ticket.it/musica/evento/humanmachine—a-mutual-interpretation.aspx

Per informazioni: www.stefanotempia.it

Nasce il centro estivo della Gypsy Musical Academy di Torino

Dai banchi di scuola al palcoscenico nel giro di una sola estate. Il percorso è  davvero molto più  lungo per diventare ballerini professionisti, ma quello che propone la Gypsy Academy di Torino è davvero un buon inizio per i talenti in erba e non solo. Si tratta del Centro Estivo Musical dedicato ai bambini dai 6 agli 11 anni che, finita la scuola, potranno gettarsi a capofitto nell’universo musical all’interno della più grande accademia multidisciplinare di Torino, che rappresenta un’eccellenza italiana.

Un’occasione per bambini e genitori della Circoscrizione, desiderosi di impegnare al meglio i lunghi mesi estivi dei propri figli ( giugno, luglio e settembre), una volta terminata la scuola. I partecipanti avranno l’opportunità di allestire uno spettacolo ogni due settimane, trattando materie  relative al musical, quali allestimento, canto, danza, recitazione, presenza scenica e scenografia.  Lo spettacolo verrà  poi rappresentato nel teatro della Gypsy, in via Pagliani 25. Sono previste molte attività aggiuntive, quali il gioco al parco attrezzato, una gita golosa da Silvano per assaggiare uno dei gelati più buoni di Torino.

Posti limitati. Informazioni allo 011.0968343

Info@gypsymusical.com

Mara Martellotta

Buon compleanno, Festival delle Colline!

La trentesima edizione, dall’8 ottobre al 3 novembre

Una lunga storia d’amore e di teatro”, dice l’Assessora Rosanna Purchia non appena arrivata alla Fondazione Merz per la presentazione della nuova edizione del Festival delle Colline (dall’8 ottobre al 3 novembre prossimi), un’edizione e un anniversario – un trentennale – che Marzio Zorio ha riassunto in quel logo più che esplicativo, tre grandi X che in obliquo formano una lunga linea compatta, attraversate dagli oscillii zigzaganti di una sorta di elettrocardiogramma emotivo che sta lì a decifrare trent’anni di spettacoli. Era il 1996 e gli scenari erano le piazze di paese, i cortili e le case rubate per una sera anche furtivamente a chi li abitava, le ville e i castelli della collina torinese, tutto frutto di chiacchierate e di intuizioni da parte di Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla, che ancora ne sono al timone. Una storia d’amore che forse chiamarla un susseguirsi di serate e di appuntamenti suona riduttivo: piuttosto una specie di follia che a un certo punto prese organizzatori e pubblico – quel pubblico che a volte vagava per i verdi pendii alla ricerca dell’introvabile luogo di rappresentazione, che sottostava al maltempo improvviso e vedeva l’allora assessore Valter Giuliano asciugare sedie e materiale fonico mentre Pippo Delbono aspettava le ventitré per poter iniziare la sua “Rabbia” -, un momento di teatro aperto alle molte voci teatrali sempre in arrivo che catturò anno dopo anno un momento importante, fondamentale, nella vita culturale di Torino e dell’intero Piemonte. Tempi pionieristici, ieri come ieri un confronto pieno d’entusiasmo tra drammaturgie differenti, a partire da quelle ore del tramonto del 10 luglio, sulla scalinata della settecentesca Villa Bria di Gassino, quando Galatea Ranzi vi prese a recitare i versi di Clemente Rebora – un’altra antica follia credere nella forza della poesia! -, quando Roberta Bosetto intonò Emily Dickinson nella chiesa di Santa Croce di San Raffaele Cimena, quando Alessandro Quasimodo, in una piazza di Pavarolo, si mise di fronte all’Odissea tradotta da suo padre, quando Aldo Reggiani recitò le poesie di Oddone Cappellino nel palazzo comunale di San Raffaele Cimena.

A voltarsi indietro, vediamo ancora una volta questo “palcoscenico privilegiato” – che continua -, italiano e internazionale per il teatro contemporaneo, ci rivediamo alle spalle numeri di tutto rispetto, come 603 spettacoli di cui 157 stranieri, circa 1300 recite con 287 prime, 336 luoghi a raccogliere 2300 interpreti. Una lunga storia d’amore che ha raccolto 38 paesi esteri per un totale di 180mila spettatori. Bei traguardi, invidiabilissimi. Qualcosa s’è assestato da ieri a oggi, molte cose sono cambiate, le visioni e l’impegno politico-civile, lo spirito di ricerca e di importanza e di bellezza sono sempre quelli. Oggi il Festival delle Colline – ancora l’inossidabile duo alla direzione artistica – è realizzato da TPE – Teatro Piemonte Europa in partnership con Fondazione Merz e in collaborazione con il Teatro Stabile Torinese e Torinodanza Festival, la Fondazione Piemonte dal Vivo e il Museo Nazionale del Cinema, e vede il sostegno del Ministero per la Cultura, della Regione Piemonte, della Città di Torino, della Fondazione Compagnia San Paolo e della Fondazione CRT.

Nei luoghi scelti quest’anno a ospitare i sedici spettacoli proposti – dall’Astra alla Fondazione Merz, dal teatro San Pietro in Vincoli al Museo del Risorgimento al Palazzo degli Istituti Anatomici, dalle Fonderie Limone a Le Roi Music Hall – si avvicenderanno la compagnia catalana Agrupaciòn Senor Serrano (nel 2015 Leone d’Argento per l’innovazione teatrale alla Biennale di Venezia) con “Historia del amor”, una reliquia pre-colombiana e una storia d’amore che inizia sul web ma pure Katharine Hepburn e Humphrey Bogart con Virginia Woolf ed Enea, Rimini Protokoll che porterà un titolo alla Magritte, “Ceci n’est pas une Ambassade” con un anziano diplomatico, una vibrafonista e una attivista digitale durante l’inaugurazione di un’ambasciata di Taiwan a Torino, ovvero le mire espansionistiche dell’imperialismo cinese, la Compagnia Arnaboldi con “Autour du Corps”, il Bauhaus cancellato dal nazismo e la Sagra della Primavera di Stravinskij. Federica Rosellini è al centro di “iGirl” di Marina Carr (lo spettacolo farà anche parte del cartellone del TPE, sabato 11 e domenica 12 ottobre), bella scoperta di una delle più importanti drammaturghe irlandesi, una fusione di teatro, videoarte e musica, un curioso sconfinamento nell’arte contemporanea, e Marco Lorenzi che guarda in chiave moderna, con il Mulino d’Amleto, al “Giulio Cesare” shakespeariano che per lui è “la notte della Repubblica”, vista come vittima da uccidere e da sacrificare, ovvero amore per la patria o per il potere?, “La vie secrète des vieux” che dobbiamo a Mohammed El Khatib, ovvero un gruppo di persone anziane, sul parquet di una sala da ballo, “per esaltare passioni che sono inversamente proporzionali alla fragilità dei corpi”, amori in là con gli anni, e ancora Lina Majdalanie e Rabin Mroué, artisti libanesi, a firmare il rapporto tra Brecht e la Commissione per le attività anti-americane, mentre guardano alle loro vite di esuli e ai disastri delle dittature.

Ancora Benedetta Parisi con una performance itinerante, uno spettacolo con il pubblico in cuffia alle prese con percorsi individuali e collettivi che esplorano la Fondazione Merz e il vicino Garage Lancia, il gruppo Sotterraneo con il pubblico che danza, due celebri discorsi di Matteotti che Elena Cotugno porta negli spazi del Museo del Risorgimento mentre Paolo Musio s’affida alla maratona poetica della lettura dell’Eneide virgiliana e Tiziano Cruz con “Wayqeycuna” (il titolo si traduce in “miei fratelli”) fa rivivere storia e cultura di una comunità andina. Il primo novembre torna la compagnia che più è stata presente in questi trent’anni di festival, i Motus, con “Frankenstein (A Love Story) e Frankenstein(A History of Hate”), ancora Maria Hassabi, danzatrice coreografa artista, Sergio Ariotti in veste di autore/attore con Aldo Salassa per “L’ispezione”, quattro repliche per uno studio su Emilio Salgari e Mario Carrara che si incrociarono nel 1911, l’uno morto suicida, l’altro obbligato a fare un’ispezione sul cadavere, mentre l’Italia entrava nell’avventura coloniale in Libia e Carrara sarebbe stato costretto a fare i conti con il fascismo vent’anni dopo. Lunedì 3 novembre, in finale di festival, una sempre interessante tappa, “Fuga. Ventuno poesie di Primo Levi” presentato con lo Stabile torinese, dello studio che Valter Malosti va conducendo sulla figura dello scrittore di “Se questo è un uomo”, del suo mondo letterario, saggistico e poetico. Una silloge di poesie, al suo fianco la chitarra di Paolo Spaccamonti.

Elio Rabbione

Nelle immagini: “l’elettrogramma emotivo” inventato dall’artista Marzio Zorio per i trent’anni del Festival; scene dagli spettacoli “Ceci n’est pas une ambassade” e “Autour du Corps”; Federica Rosellini interprete di “iGirl” di Marina Carr.