SPETTACOLI- Pagina 10

L’Orchestra Filarmonica di Torino accende i riflettori su Officina

Il 14 novembre prossimo la rassegna di musica da camera “Officina”, nel corso della quale giovani musicisti di talento animano il palco di Cascina Roccafranca, prevede un nuovo concerto. L’Orchestra Filarmonica di Torino accende i riflettori su “Officina”, che rappresenta uno degli orizzonti più dinamici e sperimentali del suo percorso artistico. Nata come naturale del progetto OFT Lab, “Officina” si propone oggi non più come semplice laboratorio, ma come una sorta di crocevia creativo, in cui la musica diventa terreno di scambio tra generazioni, stili, repertori e linguaggi. In questo spazio, in continua trasformazione, giovani interpreti e compositori si incontrano per dar vita a otto appuntamenti che, da ottobre a dicembre, il venerdì, alternando concerti pomeridiani e serali, animeranno il palcoscenico di Cascina Roccafranca, in via Rubino 45, la casa del quartiere di Mirafiori Nord che ospita l’iniziativa. Il programma di “Officina” intreccia classico, contemporaneo e jazz, con un’attenzione particolare alla nuova musica. Ogni concerto include una prima assoluta, commissionata a otto compositori emergenti provenienti dal Conservatorio Giovan Battista Martini di Bologna. Il 14 novembre sarà protagonista, in collaborazione con il Conservatorio Verdi di Torino, il quartetto Ipazia, composto da Mei Harabe e Samuele Leo ai violini, Fiamma Kamenchtchik alla viola e Elena Cavecchi al violoncello. I giovani musicisti proporranno il Quartetto op.18 n.1 in fa maggiore di Beethoven, il Quartetto in mi minore per archi di Giuseppe Verdi e il brano “Washi no yaiba”, di William Succi, classe 1995, in prima esecuzione assoluta.

“’Washi no yaiba’, che si traduce come ‘lame di carta’, è un brano per quartetto d’archi ispirato alla leggerezza del Washi, la tradizionale carta giapponese – ha dichiarato William Succi – qui immaginata come una lama sottile e affilata. La scrittura agile è tagliente degli archi richiama il gesto rapido e controllato del taglio, intrecciandosi con sonorità e armonie della musica giapponese contemporanea”.

L’appuntamento successivo sarà il 21 novembre alle ore 21, con il violino di Giulia Dainese e il pianoforte di Giorgia De Lorenzi, che proporranno brani di Beethoven, Amy Beach e la nuova pagina di Filippo Paris.

Biglietti: ingresso unico 5 euro – acquistabili presso la biglietteria dell’OFT, in via XX Settembre 58, Torino – oppure via mail a biglietteria@oft.it – 011 533387

Mara Martellotta

OFF Topic, “La più grande tragedia dell’umanità”

Per Iperspazi, la stagione 2025-2026 di Fertili Terreni Teatro , presso Off Topic, mercoledì 19 e giovedi 20 novembre alle ore 21 andrà in scena “La più grande tragedia dell’umanità”, uno spettacolo produzione Malmadur e Evoè! Teatro con i performer David Angeli e Theresa Maria Schlichtherle. Si tratta di un gioco di ruolo teatrale, adatto ad un pubblico di età superiore ai 14 anni, o, se si preferisce chiamato a decidere ed indirizzare il corso del racconto, “La più grande tragedia dell’umanità”,  presenta un meccanismo tanto spiazzante quanto in apparenza articolato , un impianto performativo in cui il pubblico è chiamato a dover scegliere tra due tragedie. Quella che viene votata come più grande rimane in gioco, per poi confrontarsi subito dopo con una nuova tragedia, mentre l’altra viene scartata.
Si tratta di una struttura ad eliminazione diretta, come si direbbe nel gergo sportivo , dove per alcune votazioni possono avere diritto di voto solo gli spettatori che hanno  vissuto la tragedia esaminata, per altre possono averlo solo gli spettatori  che non l’hanno vissuta, per altre ancora solo un numero  limitato di presenti.
Le tragedie oggetto di analisi e votazione verteranno su vari casi, dalla perdita di un cellulare a un amore tradito, da un parente malato a un’epidemia, passando per un genocidio come per l’esplosione del sole, ovvero la morte di un uomo solo in un paese di provincia, e molto altro ancora.
Il progetto originario ruota intorno a due temi principali, la spettacolarizzazione del dolore che viviamo quotidianamente su media e social network e la rappresentabilità del tragico.
Le tragedie da votare sono di volta in volta  portate in scena attraverso linguaggi espressivi, dalla recitazione alla musica, dalle immagini video ai documenti storici. Il numero complessivo delle stesse, sia che interessino  eventi storici o piccoli fatti privati, grandi personaggi o gente sconosciuta, sarà sconosciuto agli spettatori. A seconda del momento saranno presentate in un ordine stabilito o estratte a sorte. Il comune denominatore è sempre il diretto coinvolgimento con il pubblico, il mostrare il legame più stretto tra media e dolore, tra il fatto e i filtri attraverso cui siamo abituati a guardarlo. ”La più grande tragedia dell’umanità” rappresenta un impianto in continua evoluzione, work in  progress teatrale pronto a mutare a seconda del luogo in cui viene messo in scena e del tempo che vivono gli spettatori. Essa ri-crea e ri-scrive la realtà attraverso concetti universali  come la tragedia e il dolore, ammettendo di uscire sconfitto  da un eventuale confronto con la società che spettacolarizza il dolore. All’interno di un meccanismo-gioco l’obiettivo finale è  quello di turbare le coscienze, elencando le tragedie del quotidiano, mettendolo l’una con l’altra in competizione fra loro, tra serio e faceto, azzardando l’impossibile paragone tra dolori.
Il biglietto unico intero ha il costo di 13 euro se acquistato online, di 15 euro in cassa la sera dell’evento.
Resta la possibilità di lasciare il biglietto sospeso , tramite donazione online o con satispay, e di entrare gratuitamente per alcuni under 35 grazie ai biglietti messi a disposizione attraverso la collaborazione di Torino Giovani.
I biglietti si possono acquistare online sul sito www.fertiliterreniteatro.com

Mara Martellotta

Musical a Corte a Stupinigi: Wicked Musical

La storia delle streghe di Oz rappresenta un trionfo di Broadway, con musiche e liriche di valore straordinario del veterano Stephen Schwartz, capaci di mescolare il pop contemporaneo alla teatralità classica.

Domenica 16 novembre alle ore 19 si terrà un musical a corte alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, dal titolo Wicked Musical , basato sul romanzo di Gregory Maguire  che racconta gli eventi precedenti al classico “Il Mago di Oz”.
Brani iconici come Defying Gravity, con le sue potenti note acute che sfidano la gravità, proprio come il personaggio di Elphaba, e Popular, sciocca e ironica, riflettono perfettamente le personalità contrastanti delle protagoniste. Altri brani memorabili includono l’intenso duetto “For Good” e la complessa No Good Deed, che mostrano la profondità emotiva e la versatilità  vocale richieste dalle interpreti. La musica di Wiched non è solo un  accompagnamento della storia, ma un elemento narrativo essenziale capace di guidare lo spettatore attraverso la trasformazione dei personaggi, creando momenti di intensa drammaticità combinati a sequenze più  leggere e dando vita a un’esperienza teatrale e cinematografica indimenticabile.

Musical a Corte

Salone d’Onore della Palazzina di Caccia di Stupinigi

Nichelino (Torino)

Wicked Musical

Info 0116279789

biglietteria@teatrosuperga.it

Mara Martellotta

“Arpagone” in scena al teatro Baretti

La stagione 2025-2026 del teatro Baretti, intitolata “Aurea Familia”, porterà in scena giovedì 20 alle ore 21, e venerdì 21 novembre alle ore 20, “Arpagone”, il nuovo e provocatorio spettacolo di Michele Santeramo, pluripremiato drammaturgo e regista che interpreta e reinventa la celebre figura di Moliére in una satira feroce sull’avidità e il valore della vita umana. I sette attori e attrici del territorio piemontese selezionati tramite call pubblica, Elena Aimone, Andrea Gaia Bosio, Christian Di Filippo, Elisa Galvagno, Francesco Gargiulo, Noemi Grasso e Jacopo Massara saranno protagonisti e testimoni in scena di una residenza-laboratorio intensiva, sotto la regia dello stesso Michele Santeramo. In questa riscrittura audace, Arpagone non si limita ad accumulare denaro, traffica in esseri umani e vende bambini nati in zone di guerra a coppie occidentali facoltose, con la promessa di un futuro migliore per tutti. È una commedia che tratta i temi delle adozioni illegali, del traffico di bambini, del desiderio di maternità e paternità, oltre alla crisi morale della società contemporanea. Il pubblico è invitato a immergersi nel soggiorno di Arpagone, coinvolto emotivamente e posto di fronte a scelte etiche sconvolgenti, tra responsabilità, amori, affari e tragedia. La storia si sviluppa in una trama avvincente che mette a nudo sogni, laure e contraddizioni umane tra trattative d’adozione, la richiesta estrema di un trapianto e il valore della vita umana. Arpagone interrogherà il pubblico chiedendogli: “Se fosse tuo figlio ad avere bisogno di un cuore, non lo strapperesti a mani nude dal corpo di un altro?”. Lo spettacolo mescola ironia tagliente e riflessione sociale, invitando gli spettatori a prendere parte attiva e consapevole al dibattito sul valore della vita. Lo spettacolo “Arpagone” è un viaggio nel cuore delle contraddizioni moderne, capace di unire il pubblico e gli artisti intorno alle domande fondamentali su giustizia, denaro, amore e responsabilità. Lo spettacolo fa parte degli appuntamenti “Come ali sulle radici”, progetto artistico e umano che unisce teatro e comunità, mettendo al centro la persona e le relazioni, realizzato nell’ambito di “Torino che spettacolo!”

Info e biglietti sul sito www.cineteatrobaretti.it
Cineteatro Baretti: via Baretti 4, Torino – 011 655187

Mara Martellotta

Il ratto del serraglio: rapiti dall’orchestra, non dalla regia

Di Renato Verga

Mozart, il più inafferrabile tra i genî, torna al Regio di Torino con Il ratto dal serraglio, opera che incarna perfettamente la sua doppia natura: musica che ride mentre riflette, scherza mentre sonda gli abissi dell’animo, si pavoneggia con le percussioni “turche” mentre cesella affetti d’alta scuola. La definizione di “inafferrabile” è quanto mai appropriata per un Singspiel che vive di contrasti,
praticando un funambolismo stilistico che mescola virtuosismo vocale, comicità tagliente e introspezione psicologica. La vicenda, tratta dal libretto di Gottlieb Stephanie il Giovane, fiorisce nel pieno della moda delle turcherie. Nel 1782 Mozart, appena liberatosi dal giogo dell’arcivescovo Colloredo, approda a Vienna e si concede tutti i piaceri dell’esotismo musicale: fanfare di giannizzeri, tamburi, triangoli, campanelli e un imperatore che borbotta «Troppe note», ricevendo la più lapidaria delle risposte: «Giusto quanto basta». Dopo un periodo di fortuna, l’opera quasi scompare dai radar italiani: troppa leggerezza per il nuovo gusto romantico, troppo audace quel gioco di sentimenti a doppia faccia. Bisogna attendere il Novecento perché Il ratto torni a mostrarsi in scena, e lentamente anche Torino accumula i suoi ricordi: Luigi Alva Belmont negli anni ’70, William Matteuzzi Pedrillo negli ’80, Livermore regista nel 2006. E ora, l’allestimento che arriva da Versailles, dove Michel Fau aveva creato uno spettacolo filologicamente barocco nel contesto dell’Opéra Royal. Il castello francese, però, tollera meglio certe voluttà scenografiche rispetto alla “molliniana” sala torinese. A Versailles la scenografia di Antoine Fontaine – moresca, coloratissima, tutta false prospettive – respirava in simbiosi con il luogo; a Torino diventa un po’ museale: graziosa ma staccata dal contesto. Anche la regia, ripresa da Tristan Gouaillier, appare più che sobria, incapace di imporsi su un’opera che invece richiede vivacità, gioco, ma anche introspezione. Gli esempi virtuosi non sono mancati: Christof Loy a Barcellona, McVicar a Glyndebourne. Qui, purtroppo, dopo un primo tempo piatto e un secondo un po’ più vivace, si arriva al tappeto volante di Selim senza un’idea di fondo. E gli interpreti non sono sempre a loro agio nelle lunghe parti recitate in tedesco; persino l’unico vero attore non riesce a dare spessore al personaggio del pascià. Sul fronte vocale la situazione è altalenante. Alasdair Kent, raffinato haute-contre e Paolino di classe nel Matrimonio segreto torinese, inciampa su Belmonte, ruolo che richiede smalto e sicurezza: l’aria d’ingresso traballa, la proiezione è modesta, le agilità faticano. Olga Pudova, gloriosa Regina della Notte ma meno convincente altrove, affronta Konstanze con disciplina, ma senza vera penetrazione emotiva e con prudenza eccessiva nelle arie virtuosistiche. Osmin di Wilhelm Schwinghammer possiede le note gravi, ma non il corpo sonoro per farle vibrare. Splendono invece i servitori: Leonor Bonilla è una Blonde irresistibile, luminosa e frizzante; Manuel Günther un Pedrillo vivace, spiritoso, tecnicamente solido. E poi c’è la vera stella della serata: Gianluca Capuano, che dal podio reinventa Mozart come un orologiaio del colore. L’ouverture brilla fin dalle prime note, con quella scrittura marziale che dà il tono esotico e il tema lirico che ammalia. Le “turcherie” diventano nella sua lettura un motore ritmico, non un soprammobile. Le dinamiche sono scolpite, i dettagli rifiniti, la teatralità palpabile: Capuano dà vita a un Mozart vibrante, duttile, mobile, coerente. Inafferrabile, sì – ma magnificamente vivo.

Una lotta privata e quella di un intero paese, per una eccellente opera prima

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Sugli schermi “Anemone” di Ronan Day-Lewis

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Un attore immenso come Daniel Day-Lewis, di dura scuola britannica, che ha navigato tra teatro e cinema soprattutto, tre Oscar all’attivo più altrettante candidature, Golden Globe e Bafta a mitraglia, deciso otto anni fa a ritirarsi dallo schermo dopo la prova del “Filo nascosto” – lo aveva già fatto dopo l’insuccesso di “The Boxer”, quando si rifugiò a Firenze e si fece assumere come apprendista calzolaio, lasciando che poi fosse Scorsese a resuscitarlo come il “macellaio” Cutting in “Gangs of New York” -, torna ora tenacemente e meravigliosamente in pista per scrivere con il figlio Ronan la sceneggiatura e farsi protagonista di “Anemone”. Ronan, che ha radici ben salde nella scrittura e nel cinema, la mamma essendo Rebecca Miller regista e il nonno Arthur commediografo e la nonna quella Inge Morath, fotografa, che gli ha trasmesso la passione per la pittura e per l’immagine: e sarebbe sufficiente la bellezza della fotografia, tra interni rischiarati dal fuoco e dalle poche lampade e i paesaggi sconfinati, dipinti tra il rosso di un tramonto e il raggrupparsi grigiastro che precede una grandinata salvifica e un temporale, di Ben Fordesman, doverosamente presente nel cast e artefice di un lavoro a cui il regista non può non aver partecipato (certe macchie di boscaglia riprese dall’alto).

Tutto accade a Sheffield e nei luoghi poco lontani, il taciturno Jem vive con Nessa e con il figlio di lei, Brian, un giovanissimo irrequieto e solitario, che al momento buono sa menar le mani, che porta in sé chissà quali segreti (ha appena reso malconcio un ragazzo, quelle nocche sbucciate gliele vedremo per tutti i 120 minuti). Perché Ronan Day-Lewis inizia a raccontare la sua storia e la dilata oltre misura (certe opere prime che hanno la smania di voler dire tutto e subito), dando in gran bella veste cenni e brandelli di fatti e di ricordi allo spettatore, in un montaggio altrettanto frastagliato e scomposto, un attimo incastrato nell’altro a distante e tempi lontanissimi, offrendo indizi e frasi smozzicate, riempiendola di scene di cui a un primo sguardo ti chiedi la necessità, silenzi continui e sguardi calibrati intrecciati che valgono più di mille parole: ma palpabilmente la affascina, quella storia. Jem, che ha soltanto con sé una moto e una antica parola d’ordine con due coordinate, è andato alla ricerca di Ray, suo fratello e padre del ragazzo, un recluso dal mondo, una casa in mezzo alla foreste, con i primi piani degli alberi e dei rami che s’intersecano, in un mare di verde e di ombre che è una bellezza. Faticoso il film, cupo, raggomitolato in se stesso, angoscioso, costruito a tratti su dialoghi che sanno troppo di tavolino e di scrittura, che a poco a poco si scopre nella descrizione di una amara vicenda, i rapporti cancellati tra padri e figli in cui una madre (Samanta Morton) vorrebbe porsi ad ago della bilancia, che da ristretta, familiare, particolare angoscia si prende spazio per espandersi a una intera nazione, una guerra, il dramma delle sommosse e gli attentati che leggemmo nei pub, le bandiere in fiamme, l’Ira e la lotta, i rastrellamenti e le prigioni: si procede nella curiosità, nella sicurezza sempre più forte delle capacità di un ragazzo che con “Anemone” entra nel mondo del cinema.

Ripetiamolo, non è di facile presa “Anemone”, è un percorso accidentato, un muoversi con lentezza e con circospezione, dall’una e dall’altra parte della barricata, ci si può anche inciampare, cadere in quelle tante simbologie – soprattutto nella seconda parte – di cui il film s’arricchisce ma lasciando ancora lo spettatore nel bisogno di decifrare (la tempesta di ghiaccio che s’abbatte sulla fragilità del fiore del titolo, il grande pesce che scende la corrente del fiume). Al comando di quasi ogni inquadratura c’è la prova potente di Daniel Day-Lewis (un altrettanto ottimo Sean Bean gli fa da spalla, principalmente muta e il giovane Samuel Bottomley è sicuramente una promessa), massiccio, sguardi e movimenti in pieno calibro, primi piani pronti a confessare tutto il passato e l’incertezza del presente, ancora silenzi e le zuffe e i balli, due monologhi che dovrebbero far scuola, che danno sempre maggior spessore al personaggio, che ne delineano le sofferenze e la lotta combattuta per poterle superare, la rivincita sul prete che parecchi anni prima ha abusato di lui e l’uccisione di un ragazzo nel pieno della lotta armata, in una qualche strada di una città. La guerra di un paese e i rapporti dentro una famiglia, quegli stessi temi che più di trent’anni fa Day-Lewis aveva già affrontato come Gerry Conlon in “Nel nome del padre” di Jim Sheridan, divenendo una degli attori più prestigiosi del cinema mondiale.

Memorial Egidio Forti: “In cil e jé une Stele”

Sabato 15 novembre prossimo, alle ore 21, si terrà al teatro della Provvidenza, in via Asinari di Bernezzo 34/A, un concerto dedicato ad un amico, dal titolo “In cil e jé une Stele”, quinta edizione del Memorial Egidio Forti.

Egidio Forti, Gigi per gli amici, fu direttore del coro Edelweiss di Torino per circa dieci anni, e di lui rimangono bellissimi ricordi e profonda stima in chi l’ha conosciuto e frequentato in amicizia sul lavoro e in ambito corale. Sarà l’eccellenza del coro Cai Uget, giunto quest’anno alla soglia dei suoi ottant’anni di attività, ad avere il piacere di esibirei.

Ingresso a offerta libera – prenotazione  obbligatoria – telefono: 353 3928235 – whatsapp: 340 9941201

Mara Martellotta

Al teatro Astra lo spettacolo che si ispira al vampiro di Bram Stoker

Con Dracula, lo spettacolo che si ispira al vampiro di Bram Stoker, si inaugura martedì 11 novembre alle ore 21 la stagione del Teatro Astra TPE di Torino. Il direttore artistico Andrea De Rosa ha voluto dedicare alle persone che si trovano ad affrontare esperienze estreme questa prima pièce teatrale, tale da farle diventare dei mostri.
“Il mostro è l’essere – secondo Andrea De Rosa – che a qualsiasi prezzo rifiuta la morte. Mostruoso è il desiderio di prolungare la vita oltre ogni limite”.
Il Conte Dracula non è più da tempo un personaggio nato dalle fantasie popolari e dalla penna di Bram Stoker. È un vero e proprio mito dell’età moderna, diventata simbolo di un’immortalità vissuta come una condanna. La sua vicenda, elaborata in una nuova versione da Fabrizio Sinisi, evoca il sogno contemporaneo di un corpo che potrebbe diventare immortale tramite i progressi della tecnologia; mentre il Vampiro, eterno e solo, ricerca una via di fuga dalla propria natura, gli altri personaggi lottano per affermare il valore della mortalità. È davvero un dono vivere per sempre o è invece una maledizione? La nuova produzione del TPE è liberamente ispirata al celebre romanzo di Bram Stoker, e prende vita grazie al testo di Fabrizio Sinisi e alla visione registica di Andrea De Rosa. Sul palco Michelangelo Dalisi, Marco Cacciola, Marco Divsic, Michele Eburnea, Chiara Ferrara e Federica Rosellini, che danno corpo a questa complessa riscrittura del mito. L’allestimento scenico è stato curato dallo stesso De Rosa, in collaborazione con Luca Giovagnoli, le luci sono di Pasquale Mari e il suono di G.U.P. Alcaro. I costumi sono firmato da Graziella Pepe, e Marco Corsucci all’assistenza di regia.
La messa in scena di Dracula ha inizio martedì 11 novembre, alle ore 21, e durerà fino al 30 novembre. Sicuramente una lunga vita sul palcoscenico torinese per questo romanzo che ha un intenso passato teatrale. Furono la mogli di Stoker e l’amico Hamilton Deane a immaginare, a partire dal romanzo, una rappresentazione scenica che mantenesse l’alone di mistero e la forza orrorifica, è al teatro che si deve il mantello di seta nera, ed è dal palcoscenico che emerge la figura di Bela Lugosi, l’attore ungherese protagonista del primo spettacolo su Dracula.
Gli spettatori saranno accolti in un teatro Astra del tutto rinnovato: la particolarissima scelta registica di Andrea De Rosa prevede un ampliamento e un ripensamento dello spazio scenico, che lo porterà ad occupare spazi inusuali, inducendo gli spettatori a guardare lo spettacolo con un nuovo sguardo, e a farsi guidare dalle voci e dai suoni per rintracciarne la fonte misteriosa.

“Nel romanzo di Bram Stoker -afferma De Rosa – il male prende forma nel personaggio di Dracula, che viene definito Nosferatu, il non morto. Il Vampiro è l’incarnazione di un corpo che non può morire, ma che non riesce neanche a vivere davvero, perché per mantenersi in vita è costretto a nutrirsi del sangue di altre creature, condannando le sue vittime a una sorta simile alla sua. Credo che il grande successo di questo mito leggendario moderno dipenda dal fatto che riusciamo a ritrovare quel desiderio universale di sfuggire alla morte che ci accompagna, rivelandone il lato mostruoso: vivere per sempre significa portare con sé il peso di una solitudine eterna. Dracula è la storia di un uomo che non riesce a morire, e di un pubblico che accetta di guardare negli occhi questo suo desiderio mostruoso, cosiccome il Conte Dracula non è solo un personaggio letterario, ma un vero e proprio archetipo della nostra modernità, e anche il suo castello è diventato un luogo che appartiene al mito. La dimora del Vampiro è un teatro di apparizioni ed epifanie, un luogo onirico dove le leggi dello spazio-tempo vengono sovvertite. Il castello di Dracula è il luogo di uno sprofondamento, di un deragliamento del pensiero e del sogno. Per questo motivo abbiamo trasformato in modo radicale la normale struttura del teatro Astra, facendone uno spazio evocativo e misterioso, livido e asettico, un grande altare spettrale dove si svolge un rito antico e, contemporaneamente, moderno”.
“Perché Dracula è un mostro ?– si chiede Fabrizio Sinisi – non solo perché si nutre del sangue delle sue vittime, ma perché è mostruoso il dono che porta: un’eternità che pesa come una condanna, un tempo estenuante e interminabile, un forte desiderio di non morire che diventa quasi negazione della vita stessa. Dracula è un mostro, in quanto simile al Dioniso de ‘Le Baccanti’ o al ‘Mefistofele’, perché introduce nel mondo umano qualcosa di estraneo, affascinante, prodigioso e terribile, che ci spaventa, ma che non può fare a meno di attrarci”.

I suoni sono ferrosi, ruvidi e lividi, espressioni di una prigione dell’anima e di un battito pulsante che squarcia le vene, e che finalmente apre un varco alla luce per un attimo, per sempre. I costumi di Dracula raccontano invece una figura che attraversa epoche, contamina luoghi, sospesa tra la vita e la morte, come una malattia che non guarisce. Intorno a lui ogni personaggio è bloccato nel proprio presente, prigioniero di un tempo immobile. Gli abiti evocano eleganza e inquietudine, tracciando il segno di questa dannazione eterna.

TPE Teatro Astra – via Rosolino Pilo 6, Torino

Info e biglietti: disponibili su tpeteatroastra.it

Mara Martellotta

In scena al Gobetti la pièce “Anna Cappelli” dell’autore napoletano Annibale Ruccello

Debutto martedì 11 novembre, alle ore 19.30, presso il teatro Gobetti, della pièce teatrale “Anna Cappelli” di Annibale Ruccello, diretta dal drammaturgo e regista argentino Claudio Tolcachir, interpretato da Valentina Picello, recentemente insignita del premio ANCT -Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. La scenografia è di Cosimo Ferrigolo, le luci di Fabio Bozzetta. Lo spettacolo, co-prodotto da Carnezzeria, Teatro di Bari e Teatro di Roma, Teatro Nazionale in collaborazione con AMAT & Teatri di Pesaro per RAM Residenze Artistiche Marchigiane, resterà in scena al Gobetti fino a domenica 16 novembre prossimo. Al centro del testo di Ruccello, che il regista argentino Claudio Tolcachir non aveva conosceva prima, cosiccome le precedenti interpretazioni italiane di Anna Marchesini o di Maria Paiato, vi è la protagonista femminile Anna, giovane impiegata, oppressa dalla famiglia e dalla padrona di casa, una giovane che tenta con tutte le sue forze di emanciparsi per costruire la vita che ha sempre desiderato. Cruciale nel suo percorso è l’incontro con l’ingegnere Tonino Scarpa, che le propone una convivenza a due condizioni: no al matrimonio e ai figli. Nonostante l’offerta di Tonino non rispecchi del tutto i sogni di Anna, lei accetta, e i successivi tentativi della donna di autodeterminarsi si trasformeranno presto in ossessione, fino ad approdare a un tragico epilogo.

“Si tratta di un testo che si interroga sul ruolo della donna nel tempo – dichiara Claudio Tolcachir – l’indipendenza, la prospettiva di futuro e la solitudine, la mancanza di mezzi e risorse emergono con un umorismo pungente e assurdo all’interno della pièce, che ci conduce attraverso i labirinti della mente di un personaggio inconsueto e pieno di contraddizioni, commovente e imbarazzante al tempo stesso. Ognuno di noi potrebbe incrociarla nella propria vita, ma potremmo anche sentirci come lei, così impotenti da prendere le decisioni peggiori. La pièce teatrale è un gioiello sul corpo di un’attrice unica, Valentina. La sua sensibilità, la sua immaginazione, l’infinita delicatezza del suo humour danno a questo testo un’impronta unica e fresca. Una proposta molto netta: questa donna, il pubblico e la vita in mezzo a loro, lo humour e la tragedia mischiati, quel sorriso doloroso che attraversa gli spettatori e non li lascia mai indifferenti”.
Annibale Ruccello, scomparso nel 1986, a trent’anni, è oggi un autore di culto, dalla voce lirica e beffarda. Arrivato dalla scuola di Roberto De Simone, rappresenta la punta di diamante della drammaturgia napoletana accanto a Enzo Boscato e Manlio Santanelli. Attraverso i suoi testi ha raccontato la deriva della nostra società servendosi di una scrittura oscillante tra la verità del dialetto e la parodia, intrecciando echi storici con il quotidiano. “Anna Cappelli” si può considerare come una black comedy tra ossessione e solitudine.

Teatro Gobetti – via Rossini 8, Torino

11 – 16 novembre “Anna Cappelli”

Orario: martedì, giovedì, sabato ore 19.30 / mercoledì, venerdì ore 20.45 /dedicata ore 16

Biglietteria: teatro Carignano, piazza Carignano 6, Torino – 011 5169555 – biglietteria@teatrostabiletorino.it

Mara Martellotta