La famiglia, almeno nella nostra società, era fino a qualche decennio fa il nucleo basilare della nostra società; dalla famiglia di origine i figli si staccavano con il matrimonio (spesso di facciata perché l’omosessualità non è una “scoperta” di oggi) dando origine ad una famiglia propria.
Occorre ricordare che fino all’approvazione della legge Fortuna-Baslini nel 1970 che ha introdotto il divorzio anche nel nostro Paese, le famiglie potevano tuttalpiù separarsi (quindi i componenti potevano vivere in luoghi separati) ma non potevano, ipso facto, contrarre un nuovo matrimonio.
Negli ultimi decenni il divorzio è poi statisticamente aumentato in modo vertiginoso: chi sia nato negli anni ‘60 ricorderà che i genitori dei nostri compagni di scuola, tranne casi rari, erano tutti uniti in matrimonio e quelli divorziati erano veramente una rarità; ora, al contrario, la rarità sono le famiglie unite (conviventi o sposate) formate da genitori e loro figli.
Il divorzio, però, porta con sé un altro effetto inevitabile: lafamiglia si disfa, ma i figli che fine fanno?
Spesso, quando avviene un divorzio, i figli vengono usati come arma di ricatto, gli ex si parlano appena, non c’è possibilità di mantenere un rapporto civile anche per il bene dei figli; qualche volta, tuttavia, tra persone intelligenti e quando la separazione avviene in modo ragionevole il rapporto continua e, per il bene dei figli, nelle nuove famiglie che si creano, entrano a farne parte anche gli ex.
Si assiste così ad una e vera famiglia allargata, composta da 4 genitori con i figli nati in costanza di matrimonio edeventualmente con quelli nati al di fuori di questo.
In linea di massima sono personalmente favorevole ad un simile rapporto che non danneggia i minori, non danneggia le singole persone (particolarmente le donne che sono la parte più vessata e che ha più compiti da svolgere) e consente di avere, comunque, quattro persone anziché due che vigilano sui singoli ragazzi.
Non tutto è oro però ciò che luccica: quante neo-coppie entrano in crisi proprio perché ci sono i figli dell’uno o dell’altro? In alcuni casi il compagno o la compagna si sentono in dovere di occuparsi del figlio altrui rivestendo un ruolo che non compete, e non deve competere, loro né dal punto di vista economico né da quello affettivo. Ciò non toglie che occorra rispettare i figli del compagno o della compagna; se hanno l’età per comprendere potranno interagire meglio con la nuova coppia ma non devono essere considerati figli da chi non ne sia il genitore.
In altri casi, in modo opposto, il nuovo compagno (o compagna) agiranno come se il figlio altrui non esistesse ed anche in questo caso commettono un errore perché il figlio c’è, va considerato e rispettato e occorre agevolare il genitore evitando aut-aut nelle decisioni, vessandolo con frasi “Non abbiamo mai tempo per noi” o proponendo attività e viaggi che pongono il genitore in crisi perché rifiutando scontenta il partner ma accettando scontenta il figlio.
Come in ogni relazione occorre bandire l’egoismo, è necessarioporre un freno al proprio orgoglio e agire sempre a vantaggio dei minori che, proprio per questo, non possono difendersi da soli e necessitano che i loro diritti vengano comunque tutelati.
Nei Paesi del nord Europa la famiglia allargata è una realtà da molto tempo prima che nascesse in casa nostra, ma la realtà sociale di quei Paesi è sicuramente meno inficiata da gelosia, possessività e narcisismo patologico; si veda soltanto i recenti casi di femminicidio (nei primi cinque mesi del 2023 sono stati 45 a fronte di 129 omicidi complessivi; di questi 45, ben 37 sono stati commessi in ambito familiare o comunque da persone coinvolte affettivamente con la vittima.
E’ evidente che con una simile maglia nera, almeno nei Paesi cosiddetti civili, pensare che quando una coppia si scioglie la famiglia allargata sia la giusta conseguenza sembra quasi un’utopia ma è in questa direzione che tutti dobbiamo lavorare, non soltanto psicologi e sociologi, operatori delle Forze di Polizia, avvocati e magistrati. Ogni singola persona deve rendersi conto che occorre accantonare ogni desiderio di vendetta, ogni forma di rivalsa o l’utilizzo dei figli come arma di ricatto per poter ripartire tutti da zero o da ciò che di buono è rimasto della relazione terminata.
Un detto recita che nelle separazioni la colpa non è mai di uno solo.
Inoltre, chi abbia un minimo di conoscenza dell’ambiente carcerario sa che i detenuti per reati sessuali o contro le donne non vengono accolti col tappetino rosso o con cenni di stima (per usare un eufemismo): forse può aiutarvi a riflettere.
Sergio Motta