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Non consumi il gas? Peggio per te: paghi la bolletta!

Di Gianluigi De Marchi *

Sono entrato in un supermercato alla ricerca di una birra speciale che volevo assaggiare.

Ho fatto il giro degli scaffali e, non avendola trovata, mi sono diretto alla cassa per uscire.

La cassiera mi ha bloccato il cancelletto impedendomi di passare e chiedendomi 20 euro.

Stupito, ho chiesto perché, non avendo comprato nulla.

“Non importa se non ha comprato, ha fatto un giro nei nostri locali e deve pagare la quota fissa”

Ho provato a discutere, è stata irremovibile ed alla fine, maledicendola silenziosamente, lo ho dato una banconota da 20 ed ho cercato di uscire.

Niente da fare, cancelletto chiuso.

“Signore, deve darmi anche 20 euro per il trasporto in taxi”

Non ci ho visto più dalla rabbia ed ho urlato: “Ma cosa va cianciando, sono venuto qui con la mia macchina parcheggiata nel piazzale!”

“Può darsi, ma noi abbiamo un parcheggio di taxi a disposizione dei clienti, quindi deve pagare il servizio!

Ho reagito violentemente finché….

Finché mi sono svegliato madido di sudore; per fortuna un incubo, forse le tre uova mangiate la sera prima erano state troppo pesanti per il mio fegato.

Ho raccontato il sogno a mia moglie durante la colazione, chiudendo il racconto con una frase consolatoria: “Per fortuna era un incubo, certe cose non possono succedere”

Mia moglie mi ha guardato sogghignando e porgendomi una busta aperta: “Sei sicuro che non possa succedere? Guarda questa bolletta arrivata stamattina!”

Incredibile, ma vero.

Plenitude mi ha inviato una bolletta da 23,23 euro indicando chiaramente: “Consumo totale fatturato 0 smc” ed aggiungendo sul retro “Spesa per la vendita di gas naturale euro 9,57” e “Spesa per la rete e gli oneri generali di sistema euro 9,47”.

Capito?

Non ho acceso il riscaldamento, non ho cucinato, non ho consumato un millimetro cubo di gas, ma devo pagare 23,23 euro perché Plenitude esiste…

Il bello è che 9,57 euro sono addebitati per “Vendita di gas naturale” che non ho usato, e 9,47 euro sono addebitati (come indicato nella specifica a piè di pagina) per “Attività di trasporto del gas naturale”!

Signori della Plenitude, vi invito a portarmi il gas naturale in Rolls Royce per giustificare l’addebito, altrimenti non avete motivo per prelevare 23,23 euro dal mio conto.

Signori della Plenitude, non fate come la cassiera del mio incubo, che mi estorce soldi pur non avendo comprato nella al supermercato ed addirittura pretende il pagamento del taxi solo perché c’è il parcheggio nel piazzale…

Signori della Plenitude, sicuramente il contratto prevede queste operazioni, che quindi sono legalmente a posto; ma la coscienza non vi dice nulla sulla loro eticità e correttezza commerciale?

·        Giornalista e scrittore

·        demarketing2008@libero.it

Regione e Consiglio, un incontro a IoLavoro sul benessere giovanile

All’interno del programma di IOLAVORO 2025, mercoledì 12 novembre, alle ore 15:00, presso le OGR Torino (Corso Castelfidardo 22, Torino), si terrà l’incontro educativo e motivazionale “Chi è felice non bulla, non sballa e non molla”, promosso dalla Fondazione della Felicità ETS in collaborazione con il Consiglio regionale del Piemonte. L’iniziativa, ideata e condotta da Walter Rolfo con la partecipazione dell’artista e “mago missionario” Flip (Mattia Bidoli), nasce con l’obiettivo di offrire ai giovani un momento di riflessione e di crescita, per affrontare con positività e consapevolezza le sfide del futuro. Un significativo esempio di sinergia istituzionale tra Regione e Consiglio che condividono la medesima visione: porre il benessere dei ragazzi al centro delle politiche educative e sociali del Piemonte. Entrambi considerano il contrasto al bullismo e a ogni forma di disagio giovanile una priorità assoluta: promuovere la felicità, l’autostima e la consapevolezza significa anche costruire una società più rispettosa, solidale e capace di riconoscere il valore di ciascuno.

Il lavoro sul futuro parte da qui, dai nostri giovani e dalla loro serenità – ha commentato il Vicepresidente della Regione Piemonte Elena Chiorinodobbiamo aiutarli a credere in se stessi, a scoprire i propri talenti e a far capire che la felicità nasce anche dal sentirsi utili, competenti e protagonisti della propria vita. Vogliamo trasmettere ai ragazzi orgoglio e fiducia nelle proprie capacità e nel territorio. Non dobbiamo arrenderci ad una narrazione troppo spesso negativa: il Piemonte è una terra di energie straordinarie e di giovani con tante capacità. Come Regione continuiamo a investire in percorsi di formazione e orientamento che offrono opportunità vere e concrete. Perché credere in se stessi è il primo passo per costruire il proprio futuro.”

Per il Presidente del Consiglio regionale Davide Nicco: “Attraverso questa iniziativa il Consiglio regionale del Piemonte riafferma il proprio ruolo di istituzione che dialoga, educa e accompagna. Parlare di felicità, oggi, significa interrogarsi su ciò che davvero ci tiene uniti: la fiducia, l’equilibrio, il senso di appartenenza e la capacità di coltivare relazioni sincere in un mondo che corre veloce. Significa occuparsi della capacità di resistere alle pressioni, di credere in sé stessi e negli altri. Solo comunità che si sentono appagate possono contrastare il disagio, l’isolamento, la violenza. Per questo investiamo sull’ascolto e sulla crescita dei giovani: perché un Piemonte che sa guardare avanti senza paura non può prescindere dalla serenità di chi lo abiterà”.

Per il Consigliere Segretario Fabio Carossoil Consiglio regionale ha voluto questa iniziativa per i giovani. Incontrare i giovani e mettere la Felicità al centro delle loro vite è stato un progetto condiviso. In un mondo dove tutto corre veloce, e dove viviamo perennemente “connessi” spesso si perdono i rapporti personali e la capacità di credere in sé stessi, collaborare, risolvere problemi, trovare entusiasmo anche nelle sfide. Per questo abbiamo chiesto ad un ingegnere della felicità di ragionare con loro“.

L’incontro unisce formazione, intrattenimento e motivazione, offrendo un’esperienza capace di coinvolgere e ispirare le nuove generazioni, in un contesto — quello di IOLAVORO 2025 — che guarda al futuro del lavoro e delle competenze con uno sguardo umano, educativo e valoriale.

Per info www.iolavoro.org

Diventa Property Manager BnB di successo

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La guida torinese per trasformare gli affitti brevi in un’attività redditizia

Nasce da un’esperienza tutta torinese il nuovo libro di Magda Pettinà, architetto d’interni e consulente immobiliare che, dopo anni di lavoro nel settore, ha deciso di mettere nero su bianco il suo percorso e condividere con i lettori una guida completa dedicata al mondo degli affitti brevi e del property management.

Il volume, disponibile su Amazon in formato eBook e cartaceo, si intitola “Diventa Property Manager BnB di successo – Guida completa per creare un’attività redditizia di affitti brevi e lavorare da ovunque nel mondo”.
Non una semplice raccolta di nozioni tecniche, ma un manuale pratico e motivante che accompagna passo dopo passo nella creazione di un business realmente sostenibile nel tempo, capace di unire libertà e redditività.

Attraverso esempi concreti, strategie di marketing e strumenti operativi, Magda guida i proprietari di casa, gli aspiranti gestori e gli agenti immobiliari che desiderano ampliare la propria offerta, a comprendere come valorizzare un immobile e massimizzare i guadagni attraverso la gestione professionale BnB.

Fondatrice di Domus Atelier, studio che unisce immobiliare, design d’interni e consulenza per affitti brevi, Magda offre un approccio tailor-made, in cui estetica e redditività si incontrano per trasformare ogni casa in un progetto di valore. Un punto di vista autentico, radicato nell’esperienza di chi conosce profondamente Torino, i suoi quartieri e le potenzialità del mercato locale.

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Forze armate o disarmate?

L’approssimarsi del 4 novembre, Giornata delle Forze armate, nonché Anniversario della vittoria della Prima Guerra Mondiale riporta in discussione l’opportunità di avere forze armate, di celebrare una guerra, soprattutto in un periodo che di conflitti nel mondo ne vede troppi.

E’ palese che tali discussioni siano cominciate nel momento in cui è stata sospesa la leva obbligatoria e la scuola, in generale, ha smesso di insegnare educazione civica, le ore dedicate alla formazione sono state sostituite da quelle dedicate a come cambiare genere ed in quale toilette recarsi a seconda se si percepisca una disforìa di genere o no.

Va innanzitutto ricordato che anche i Carabinieri, per effetto della legge delega n. 78, dal 31 marzo 2000 sono la quarta forza armata dello Stato; ciò significa che se subiamo un’aggressione, o entrano i ladri in casa o subiamo un qualsiasi altro reato, ed odiamo le Forze armate dobbiamo essere coerenti e chiedere al 112 che ci venga inviata la Polizia di Stato oppure non chiediamo aiuto così si rafforza in noi la convinzione di essere coerenti e che le Forze Armate siano inutili.

Ottaviano Augusto, che di guerre se ne intendeva, già venti secoli fa disse “Si vis pacem para bellum” (Se vuoi la pace, prepara la guerra), ad indicare come uno Stato militarmente potente ha sicuramente meno probabilità di essere aggredito.

Ma pensiamo al presente: quante volte i nostri militari intervengono e sono intervenuti in zone calde, come contingente di pace? Proprio perché contingente di pace (il primo fu in Libano, nel 1982 e nel 1983, al comando del Gen. Angioni) non aveva come obiettivo combattere ma la dotazione di armi era un deterrente per le popolazioni in conflitto).

E quante volte, dagli Alpini al Genio passando per le altre specialità, sono intervenuti a seguito di sismi (inteso come plurale di sisma, non come ex servizio segreto) per aiutare la popolazione, fornire supporto per il rinvenimento di ferito e cadaveri o per somministrare cibo, acqua e medicinali? A partire dall’alluvione di Firenze nel 1966, arrivando al terremoto del Belice nel 1968, ai terremoti di Friuli (1976) e Irpinia (1980) proseguendo con tutti gli altri eventi, le forze armate hanno fornito mezzi e personale altamente addestrato salvando vite e venendo in soccorso alle popolazioni coinvolte.

Nessuno di noi può ricordare il terremoto di Messina nel 1908 dove, a seguito dello sciacallaggio posto in essere da molte persone ed essendo morti molti appartenenti alle nostre forze dell’ordine, furono i marinai russi ad intervenire per bloccare il fenomeno, restituendo ove possibile i beni ai legittimi proprietari.

Se una mamma, come spesso sento dire, incute ai figli piccoli la paura delle divise dicendo “se non stai bravo dico al carabinieri di portarti via” (o scemenze analoghe) non dobbiamo poi stupirci che quel bambino, da adulto, odi le divise o creda di dover necessariamente reagire a qualsiasi richiesta proveniente da un individuo in divisa.

Collaboro spesso con Carabinieri, altre forze armate, Corpo militare della CRI e non li ho mai percepiti come aggressori, eredi di nefandezze del passato o, comunque, enti e persone da escludere dalla vita di un Paese.

La storia insegna e serve da monito per le generazioni future soltanto se viene studiata, compresa, contestualizzata; solo così può aiutare a comprendere gli errori del passato ed evitare che si ripetano.

Salta agli occhi come, chi oggi inveisce contro le divise sia il primo a lamentarsi che quando ne hai bisogno non ci sono mai, a criticare le spese militari senza considerare che appartenendo ad un Ente sovranazionale (NATO) abbiamo, ipso facto, obblighi di armamento e di intervento dai quali non possiamo esimerci per un patto sinallagmatico (io aiuto te, tu aiuti me).

Certo è che se il tempo dedicato a criticare, blaterare e denigrare le forze armate ed i loro appartenenti venisse utilizzato per affiancarle, magari come volontari, forse (e sottolineo forse) se ne potrebbe ridurre il numero.

Sergio Motta

Paolo Siccardi: dai teatri di guerra alle rotte dei migranti

Al Centro Interculturale della Città di Torino 

Il Centro Interculturale della Città di Torino di corso Taranto ospita giovedì 6 Novembre alle ore 18 l’evento “Dai teatri di guerra alle rotte dei migranti”. Partendo da alcuni scatti realizzati nell’arco della sua carriera, il giornalista e fotoreporter Paolo Siccardi racconta il suo percorso umano e professionale tra memorie, immagini e storie raccolte nelle zone di conflitto di tutto il mondo per dare voce a tutte quelle persone dimenticate dalla cronaca e cancellate dalla storia. Nell’arco di alcuni decenni Siccardi ha costruito il suo linguaggio fotografico con cui leggere e interpretare la realtà. Un linguaggio che diventata racconto di una lunga esperienza di fotoreporter. Il suo è un percorso umano e professionale che viaggia tra memoria, immagini e le storie raccolte nelle zone di guerra più calde del mondo, e che si riconosce da un obiettivo sempre al servizio di quell’umanità fatta di singole persone sovente dimenticate dalla cronaca e cancellate dalla storia. Realtà che conosce bene per avere a lungo frequentata come fotoreporter in quei luoghi dove tornavano, dopo l’ultimo conflitto mondiale, i terribili bagliori della guerra. Come Robert Capa, uno dei più grandi maestri della fotografia, sostenitore della tesi contenuta in una delle sue frasi più famose ( “Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino” ) anche lo sguardo di Siccardi è sempre stato il più vicino possibile alla realtà che voleva rappresentare, limitando al minimo i filtri tra fotografo e soggetto. Le sue foto sono spesso asciutte, centrate sulla sofferenza, la miseria e il caos che la guerra porta con sé. In fondo , nel suo lavoro, ha messo in pratica l’insegnamento di Henri Cartier-Bresson: “quello che un buon fotografo deve cercare di fare è mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio”. Ed è ciò che ha fatto con il suo codice di scrittura per immagini, con uno stile e una sensibilità che l’ha distinto da molti altri che preferivano le velocissime spedizioni di due o tre giorni con molto denaro a disposizione, giubbotti antiproiettile in prestito e una buona dose di cinismo nella ricerca dello scoop a tutti i costi. La conferma è testimoniata dai tanti lavori, dalle mostre, dai reportage pubblicati sulle testate più prestigiose, da libri come il bellissimo e quasi introvabile Una guerra alla finestra, testo fotografico che documentava i suoi reportage a Sarajevo e nei Balcani più di trent’anni, edito dal Gruppo Abele.
Eros Bicic, giornalista nato a Pola a quel tempo corrispondente dall’estero per il Corriere della Sera, presentando quel volume di Paolo Siccardi, scriveva con parole quasi profetiche: “Soltanto fra molto tempo capiremo forse quanto la guerra nella ex Jugoslavia sia stata devastante per tutti noi. Anche per quelli che si credono fuori, lontani, appartenenti a un’altra civiltà, ad altri valori e destini. Allora comprenderemo forse che senza che ce ne fossimo resi conto, quegli orribili massacri, quell’immensa sofferenza della popolazione, quella violenza senza limiti, avevano sconvolto, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, il nostro modo di essere, il nostro concetto del bene e del male, la nostra sensibilità all’ingiustizia, la convinzione di essere forti nel bene e capaci di fermare il male. Allora, quando i tempi saranno probabilmente anche peggiori di quelli attuali, ci ricorderemo che, chi sa come, proprio la guerra jugoslava ci aveva abituati a convivere con l’orrore, ad accettarlo come un fatto quotidiano, quasi normale, senza più l’ambizione di ribellarsi. E capiremo che doveva essere proprio in questi anni che, distratti, abbiamo perso la nostra coscienza”. Paolo Siccardi, all’epoca trentenne fotoreporter con già all’attivo numerosi servizi e reportage in giro per il mondo, in quella sessantina di pagine con trentasette scatti che documentavano il dramma della gente nella ex Jugoslavia e in particolare a Sarajevo, interrogava le coscienze quasi in presa diretta, richiamando l’attenzione in quel 1993 sul conflitto che infuriava da quasi tre anni sull’altra sponda dell’Adriatico, nel tempo in cui Sarajevo nel cuore della Bosnia, la regione più jugoslava della terra degli Slavi del sud, era stretta d’assedio e si preparava al secondo, terribile inverno di sofferenze. L’occhio della sua macchina fotografica inquadrava la realtà, indagava la vita che resisteva testardamente alla violenza, scavava in quella tragedia dall’interno, si soffermava sulle istantanee della vita di tutti i giorni nella Sarajevo “amorosa che non si arrende” ( Liubavno Sarajevo se ne predaje ) come scriveva il poeta Izet Sarajlic. Da quel tempo e come allora le sue foto hanno documentato molte realtà, migrazioni e conflitti. I suoi scatti vanno guardati senza fretta per coglierne l’essenza. Come diceva Bicic “bisogna lasciare che quelle immagini entrino in noi da sole, senza forzature” per avvertire il dolore di cui sono impregnate, per cogliere il racconto “ dell’assurdità della sofferenza, della distruzione e dell’ingiustizia”. Un lavoro di decenni che narra il caos che produce morte e pulizia etnica, le migrazioni in cerca di speranza, cibo e pace per sfuggire alle violenze e alle carestie, le corse a perdifiato per sfuggire al tiro dei cecchini ai quattro angoli del mondo, le file per l’acqua e il pane ma anche i giochi dei bambini, la voglia di vivere che non si fa soffocare e prova a resistere in condizioni spesso oltre il limite, dal medio oriente al Dombass, dal Sud America all’Africa spesso dimenticata. Il suo lavoro e le immagini che ha scattato nel corso di una vita sono necessarie per aiutarci a comprendere e forse ( perché la speranza in fondo è davvero l’ultima a morire..) a diventare un poco migliori e meno disattenti su ciò che ci accade attorno. Sono scatti d’autore che rappresentano con la stessa forza il punto dove la cronaca e l’informazione incontrano l’arte perché è fondamentale riflettere su ciò che è stato evitando gli “sguardi indifferenti e bui” dei tanti, veramente troppi, che preferirono e preferiscono guardare da un’altra parte. In fondo è questa l’unica ragione etica nel lavoro di un buon fotoreporter.

Marco Travaglini

 

Se Topolino parla torinese

Nella storia a fumetti della Disney ”Topolino e il ponte sull’Oceano” ci vengono presentate due novità assolute. Una é la scrittura in torinese e due si ammicca alla politica nazionale con Orazio che conclude così: « Per traversè l’ocean a venta ch’a sia bel gròss, e pura mi i l’hai ancor nen vistlo ». Per chi legge Topolino e non conosce per niente il torinese che, dialetto dei dialetti è definito piemontese (si utilizzava il ‘torinese-piemontese’ per far parlare un monferrino e un langarolo che non conoscevano i reciproci dialetti), traduco: ”Per attraversare l’oceano bisogna avere un ponte[ implicito nel testo il riferimento al ponte sullo Stretto di Messina ]molto grande, eppure io non l’ho ancora visto”. Qui l’autore della storia a fumetti Alessandro Sisti, neanche surrettiziamente, introduce l’eterna polemica Nord-Sud sulle grandi opere mai concluse o mai iniziate dalla Salerno-Reggio Calabria al ponte sullo stretto di Messina, che Orazio deve ancora, con ironico stupore, vedere iniziare. Il ponte sull’oceano è un ‘oceano’ di intoppi, ritardi, difficoltà che diventano alibi e schermaglie governo-opposizione.

“Lasciamo la parola ai messinesi”, ”si sfora il budget lo dice la corte dei conti”, ”la mafia si infiltrerà negli appalti e non si sa se vuole si o vuole no”, ma alla fine l’essenziale, cioè costruire un ponte che congiungerà la Sicilia con il resto della penisola e che proietterebbe l’Italia tra le nazioni finalmente civili, non riesce a essere una priorità bipartisan. Ebbene questa necessità infrastrutturale, nel mentre scrivo tornata di stringente attualità, viene ‘paradossalmente’ intercettata da una nuvoletta di Topolino pubblicata in dialetto torinese. Una recente iniziativa della Disney Panini Comics, che da un po’ di tempo a questa parte ( inizio 2025), ha lanciato delle storie nei dialetti regionali: Napoletano, Laziale, Pugliese, Lombardo e via dicendo. Con consulenti docenti di linguistica italiana di livello universitario(Riccardo Regis dell’Università di Torino). Una iniziativa molto importante, volta a valorizzare il patrimonio dei dialetti locali, vera fucina della lingua italiana unificata. Valore culturale inestimabile e non reperto fossile di una archeologia del sapere anacronistica e no-global. Ogni numero in edicola ha la storia in dialetto, per i lettori della regione interessata e per quelli delle altre regioni italiane, é uscita e uscirà in lingua nazionale. Cosí che, se molti seguaci della teoria del villaggio globale di Marshall Mc Luhan, hanno sostenuto e sostengono a ragion veduta, che la televisione, nel ventesimo secolo, ha contribuito in gran parte a unificare la lingua italiana e a farla utilizzare in tutto il nostro territorio, così si può sperare che il fumetto con questa e altre iniziative, possa contribuire a rivalorizzare i dialetti nostrani, come vere e proprie lingue parlate, scritte.. e ora anche disegnate.

Aldo Colonna

“Sciopero”. Ai bambini lo spiega l’“orso Cedo”

Lo “sciopero” al centro di un libro per bambini, presentato all’ “Unione Industriali” di Torino

Mercoledì 5 novembre, ore 18

Papà, cosa significa che oggi non vai a lavorare perché aderisci allo “sciopero”? … Ma poi che cos’ è ‘sto sciopero? Il papà: Che domande Carletto! Quando sarai più grande, te lo spiegherò! Ma perché mai aspettare? Lo sciopero e il diritto allo sciopero (art. 40 della “Costituzione Italiana”) spiegato ai più piccoli, in modo semplice e chiaro (magari attraverso i toni della favola) è una cosa assolutamente giusta ed educativa. E allora perché non farlo … magari proprio attraverso le pagine semplici ed accattivanti di un libro? A pensarla così – e ne condividiamo appieno l’idea – è Massimiliano Gerardi, consulente del lavoro di Torino, che sull’argomento s’è messo di buzzo buono e ha scritto proprio un libro, dal titolo “L’orso Cedo e lo sciopero”, che in anteprima, verrà presentato mercoledì prossimo 5 novembrealle 18, all’ “Unione Industriali” di via Fanti, a Torino. E dove sennò?

Poche pagine (com’è giusto), in tutto 28, edito da “Buckfast Edizioni”, con piacevolissime illustrazioni firmate da Chiara Gobbo, il libro ha, quale protagonista, l’amica Bea che, con le altre pecore, non vuole assolutamente farsi tosare: la lana le serve per l’inverno e, invece, dovrebbe finire per la produzione dei pregiati giubbotti “Moncarotin”. Ed ecco allora entrare in gioco, alla bisogna, la figura del “consulente del lavoro” orso Cedo, grazie al quale scoprirà cos’è e come va organizzato uno sciopero e cosa sancisce la “Costituzione” al riguardo. Imparerà cosa sono i “sindacati di categoria” (che nel libro riflettono un chiaro richiamo alla realtà, sia nei nomi delle sigle sia in quelli dei loro segretari) e la diatriba finirà a un tavolo dell’“Unione Animaletti Industriali” per comprendere meglio il valore di un accordo. Si parlerà anche di “premio di produzione” e “welfare aziendale”, di “serrata” e “datore di lavoro”. E non solo. Insomma, lezione completa per un tema di grandissima attualità.

“La mia idea era creare un libro che i bambini potessero leggere con i loro genitori per capire questi diritti costituzionali: siamo o no una ‘Repubblica fondata sul lavoro?”, spiega Gerardi“La mia – continua – vuole essere una storia semplice per avvicinarsi a concetti importantissimi e capire anche meglio la vita dei loro genitori”. Ciò cui, soprattutto, Gerardi tende è arrivare a spiegare a fondo quello che considera il “valore” per eccellenza, messo in luce dal libro: “Il bello della contrattazione collettiva”. Ovvero “trovare un punto d’incontro che soddisfi aziende e lavoratori”. “Si tratta di confronto – aggiunge – e mai di scontro perché, a mio modo di vedere, quando si conclude in modo soddisfacente un accordo e lo si firma, la vittoria è di tutti: imprenditori, lavoratori e i loro rappresentanti.
Il libro che Gerardi presenterà il prossimo mercoledì e che vede protagonista l’orso Cedo segue ad altri tre, tutti presentati al “Salone Internazionale del Libro di Torino”.

Nel 2022 aveva dato alle stampe “L’orso Cedo. Il consulente del lavoro degli animali”, dove affrontava addirittura, a favore di una “tartaruga”, il tema dello “smart working”.

Nel 2023 pubblicava “L’orso Cedo. Il consulente del lavoro degli animali e la videosorveglianza”, dove  “Bea la Pecora” non si sente più tranquilla da quando il suo datore di la­voro, Silvio il Coniglio, ha installato un sistema di vi­deosorveglianza del gregge, peraltro senza avvertire le pecore. Non solo: ha anche licenziato “Salvatore il Cane Pastore” che, fino a quel momento, si è occupato di mantenere al sicuro il gregge.

Nel 2024 è arrivato “L’orso Cedo. Il consulente del lavoro degli animali e gli animaletti con disabilità”: la storia di “Gino il Tal­pino” che essendo sempre costretto a lavorare sot­toterra, ha perso del tutto la vista. Orso Cedo indica, allora, quali sono le regole per rispettare i diritti dei lavoratori con disabilità.

Da questi tre libri è anche nata un’“opera musicale” per bambini, “Le avventure dell’Orso Cedo”, prodotto dall’Istituto Musicale Città di Rivoli “Giorgio Balmas” e musicato da Filippo Bulfamante.

L’idea è di creare, prossimamente, anche un “audiolibro”.

Alla presentazione del libro all’“Unione Industriali” parteciperanno, fra gli altri, con l’autore Massimiliano Gerardi e l’illustratrice Chiara Gobbo, moderati dalla giornalista Chiara Priante, sindacalisti, imprenditori e consulenti del lavoro.

Per ulteriori info: “Unione Industriali”, via Fanti 17, Torino; tel.011/57181 o www.ui.torino.it

g.m.

Nelle foto: Cover libro “L’orso Cedo e lo sciopero”; Massimiliano Gerardi

Pubblicità regresso

Chi di noi non ricorda le campagna di “Pubblicità e progresso” che, a partire dal 1971, hanno diffuso comunicazione persuasiva in ambito sociale?

Campagne destinate a vari aspetti del sociale, dalla Giornata nazionale della memoria e dell’impegno alla Colletta alimentare, da Conosciamo la Sindrome di Tourette a Giallo plasma per citarne solo una ridottissima parte, hanno portato a conoscenza di molti alcuni problemi della nostra società suggerendo come intervenire, come poter contribuire alla loro soluzione.

Di recente, tuttavia, i media tanto cartacei quanto radiotelevisivi sembrano aver invertito la tendenza, portando a conoscenza del pubblico solo alcuni eventi, per la quasi totalità negativi, impedendo alla comunità persuasiva di indirizzo sociale di produrre i suoi frutti.

Mi riferisco, ad esempio, ai TG che dedicano la maggior parte della programmazione serale (l’ora con maggior audience) a stragi, guerre, omicidi efferati, terremoti e ciò che di peggio sia successo di recente; è evidente, poi, che l’audience dei vari TG sia in calo (fonte il Sole 24ore, settembre 2025).

Non intendo dire che i media non debbano occuparsi di tali notizie, anzi, il diritto di cronaca è sacrosanto, ma se le campagne di cui sopra richiamano sottoscrittori e questi, poi, non vengono adeguatamente informati sui risultati ottenuti grazie al loro contributo, si rischia di vanificare l’intera campagna.

Presi come siamo in un vortice di impegni, notizie, scadenze, ecc. è evidente che quasi nessuno di noi riesca a seguire direttamente, ad esempio sul sito di questa fondazione o quell’associazione di ricerca o quell’ente no profit, quale sia stato il raccolto di una campagna, o il risultato di una ricerca reso possibile grazie a tutti i soci.

Ecco che lì i media avrebbero, e sicuramente possono avere, un ruolo primario nella diffusione della campagna, dei risultati e nella conseguente adesione ad ogni campagna successiva dei soci finanziatori.

Si parla tanto di volontariato ma, a detta di moltissime associazioni, specie tra i più giovani l’adesione al volontariato è in calo, complici l’asocialità di molti di essi, uno stile di vita che non consente di essere performanti fino al tardo pomeriggio, la scelta di dedicare il proprio tempo ad attività passive anziché di aiuto al prossimo.

Appare, dunque, evidente come i media di ogni genere (social, radio e TV, carta stampata, affissione stradale, camion vela e altro) abbiano un ruolo fondamentale nel prima, durante e dopo: campagna di sensibilizzazione e raccolta, comunicazioni sull’andamento, comunicazione dei risultati economici e sanitari o sociali della campagna (acquistati 1 milione di vaccini, inviato 100 mila razioni di cibo, ecc).

Credo fortemente che ogni impresa, particolarmente se operante nella comunicazione, non possa e non debba sottovalutare l’aspetto etico: va bene realizzare profitti, è la naturale missione di un’impresa, ma rinunciare ad una minima parte di profitto per favorire la comunicazione persuasiva di tipo sociale (ad esempio applicando tariffe di favore) sono sicuro non sia un dovere menoimportante.

Direttori del marketing, direttori di testata, webmasters e chiunque si occupi della comunicazione su un mezzo di informazione dovrebbe tener presente questo gap nella comunicazione: forse non aumenterebbe la tiratura o l’audience, sicuramente renderebbe un servizio alla società e, perché no, in alcuni casi aumenterebbe la vendita di spazi pubblicitari.

Sergio Motta

Il Museo dei Serial Killer a Torino

PENSIERI SPARSI di Didia Bargnani

“Non è un caso che si sia deciso di aprire, dopo Firenze, il Museo dei Serial Killer a Torino – mi spiega Gianpaolo Gazziero – dove nel 1861 sono state elaborate le prime teorie sulla Criminologia per arrivare poi ad una disciplina ben definita, l’Antropologia Criminale, grazie a Cesare Lombroso.  Con i miei soci, Filippo Terzani e Luca Pianesi, abbiamo pensato che Torino avrebbe potuto rispondere positivamente ad un museo di questo tipo, non a caso questa è anche la città scelta da Dario Argento per ambientare alcuni dei suoi film cult ed è famosa per essere un luogo esoterico dove si pratica la magia nera”.
E’ un viaggio virtuale, attraverso la storia del crimine dal Medioevo ad oggi, quello che intraprende il visitatore di questo museo aperto da pochi giorni a Torino in via Arcivescovado 9.
Tramite un audioguida possiamo ricostruire la storia di ogni serial killer rappresentato nel museo, cercando di capire quali percorsi di vita hanno contribuito a creare questi “mostri”.
 Siamo abituati a pensare che situazioni simili esistano solo nei film o nelle fiction ma non è così, il male e la malvagità esistono, fanno parte della vita e forse, addentrandoci nella mente di questi personaggi,  possiamo rendercene conto ed esorcizzare in qualche modo la paura nei confronti del male.
 Secondo l’FBI i Serial Killer si dividono in Organizzati e Disorganizzati, i primi pianificano i loro delitti, solitamente hanno una famiglia e una vita sociale irreprensibile, i secondi invece uccidono in preda ad un impulso e lo fanno con molta violenza, le vittime in genere sono oggetto di attenzioni sessuali e cannibalismo.
La mostra inizia con un omaggio a Cesare Lombroso, si prosegue leggendo sulle pareti che l’Italia è il secondo Paese al mondo per numero di Serial Killer, dopo gli Stati Uniti e che donne serial killer sono sostanzialmente di tre tipi: assassine per vendetta, vedove nere che ammazzano componenti della propria famiglia per soldi e gli angeli della morte che decidono di non far soffrire ulteriormente i pazienti a loro affidati.
I manichini che raffigurano i serial killer presenti nel museo sono stati realizzati dall’azienda che produce gli effetti speciali per le produzioni di Netflix e sono impressionanti per la loro attinenza alla realtà: la prima che incontriamo è la Contessa Sanguinaria che nel 1500 in Ungheria uccise più di 600 ragazze per berne poi il loro sangue.
L’incontro successivo è con il cosiddetto Vampiro di Brooklyn, cannibale che si nutriva di bambini, per poi passare a John Waine Gacy, Richard Ramirez, Jeffrey Dahmer, il famoso Charles Manson e, unica italiana, Leonarda Cianciulli detta “ la saponificatrice di Correggio” che trasformava le sue amiche in biscotti e saponi.
Il museo è visitabile tutti i giorni dalle 10.30 alle 18.30, i minori di 14 anni devono essere accompagnati.

Riccardo Larini alla Casa della Madia

Domenica 26 ottobre è stato di nuovo ospite alla Casa della Madia, Riccardo Larini esperto nel campo dell’intelligenza artificiale applicata all’istruzione. Tema della giornata è stato l’utilizzo delle nuove tecnologie e, in particolare, dell’intelligenza artificiale sia in ambito quotidiano che educativo.

Il titolo dell’evento “Luci ed Ombre dell’innovazione tecnologica” fa riferimento proprio agli aspetti positivi e negativi che possono derivare dall’utilizzo di questi
strumenti che, se usati nella maniera opportuna, possono anche migliorare le nostre vite.

Di fronte e un pubblico particolarmente interessato e preparato, Larini ha mostrato come l’innovazione tecnologica rappresenta sicuramente uno degli aspetti più trasformativi della società contemporanea ma, allo stesso tempo, non possiamo considerarla completamente neutrale: ogni nuovo strumento tecnologico influenza le nostre vite in base all’utilizzo che ne facciamo, basti pensare ad Internet che ha reso possibile connettere le persone in tutto il mondo e diffondere le informazioni con una velocità senza precedenti ma, allo stesso tempo, ha aperto la strada a fenomeni di disinformazione e di polarizzazione.

Larini ha portato la riflessione sul concetto di “progresso ambiguo”, che vede il coesistere e l’intrecciarsi di benefici e rischi di questi strumenti, rendendo difficile valutare le conseguenze sociali, economiche ed etiche di ogni innovazione.

Tra i principali vantaggi dell’innovazione tecnologica, vi è sicuramente l’aumento dell’efficienza produttiva, un accesso più rapido alle informazioni e il miglioramento della qualità della vita: ad esempio, in ambito medico, l’uso dell’intelligenza artificiale consente di fare diagnosi più precise, mentre nel settore educativo le nuove tecnologie ci permettono di personalizzare l’apprendimento e supportare gli insegnanti nel lavoro di tutti i giorni.

Tuttavia, quelli che vediamo come dei benefici, non sono automatici ma dipendono dalle scelte consapevoli che fanno gli utenti e i decisori politici. Per questo, le nuove tecnologie sono come due facce della stessa medaglia e dipende dall’uomo la scelta di quale di queste mostrare.

Accanto ai vantaggi, emergono infatti numerose sfide e altrettanti rischi. Tra i problemi principali constatiamo la disuguaglianza digitale, che esclude da opportunità educative e lavorative coloro che non hanno la possibilità di accedere ad Internet e agli strumenti tecnologici.

Inoltre, l’automazione del lavoro e l’intelligenza artificiale comportano la possibile perdita di manodopera, rendendo necessarie delle politiche di riqualificazione professionale. Tra gli altri rischi possiamo elencare quelli riguardanti la nostra privacy, poiché la raccolta massiva di dati personali può portare a profilazioni e controlli sociali. Infine, l’uso eccessivo di dispositivi digitali può avere un impatto negativo anche sulle relazioni sociali, rendendo sempre più scarsa la qualità delle interazioni tra le persone.

Per questi motivi, Larini ha sottolineato come l’idea che la tecnologia possa risolvere da sola i problemi sia una mera illusione: infatti, diventa indispensabile assumere un approccio consapevole e responsabile da parte della collettività affinché questi strumenti possano concretamente aiutarci, anziché arrecare ulteriori problemi.

La tecnologia è realmente uno strumento molto potente ed efficace, ma il suo impatto dipende dal modo in cui la società sceglie di utilizzarlo. Innovare, infatti, significa assumersi delle responsabilità ed è fondamentale promuovere un dialogo continuo tra sviluppatori, legislatori e cittadini, affinché vengano valutate attentamente le implicazioni etiche e sociali di ogni nuova soluzione tecnologica. Solo in questo modo, l’innovazione può diventare un motore di progresso sostenibile per tutti, al servizio del bene comune e del miglioramento della nostra società.

Fr. Goffredo ha concluso la giornata ringraziando Riccardo Larini per la capacità di dare chiavi di lettura chiare ed essenziali che consentono di conoscere un fenomeno decisivo al quale accostarsi senza ideologie e ingenuità.

IRENE CANE